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L’antisemitismo
secondo la definizione della Alleanza internazionale per la memoria
dell’Olocausto (IHRA): veramente è equiparato all’antisionismo?
La recente dichiarazione d’amore di Salvini per Israele si aggiunge
alla lunga lista delle precedenti di esponenti della destra, anche
estrema come Orban. Israele, invece di essere indignato o quanto meno
imbarazzato, ne è compiaciuto. Dore Gold, ex ambasciatore israeliano
all’Onu, ospite d’onore al recente convegno leghista
sull’antisemitismo, ha apprezzato le parole di Salvini ed ancora di
più avrà apprezzato la sua intenzione di accelerare l’iter
parlamentare sulla adesione del governo italiano alla definizione
dell’IHRA e sul disegno di legge Anti – BDS. Complice la
vicinanza della Giornata della memoria si susseguono iniziative pro
Israele associate a un pressing mediatico che ha pochi precedenti ed
è raro non trovare riferimenti alla definizione di antisemitismo
dell’IHRA.
La
vulgata corrente su questa definizione vuole che essa equipari
antisionismo e antisemitismo ( si veda, anche, da ultimo, il
Corriere della Sera del 17 gennaio 2020 sul convegno leghista). Così
non è e, a onor del vero, neppure intende esserlo. Si ha
l’impressione che i più scrivano e parlino della definizione senza
averla neppure letta. Ogniqualvolta il commento del testo sia stato
affidato a giuristi o, quantomeno, a non addetti alla propaganda
sionista la critica alla definizione è stata radicale e ferma è
stata la denuncia dei suoi enormi limiti. Certamente non vi si può
trovare alcuna equiparazione tra antisionismo e antisemitismo.
Perfino il redattore della definizione, l’avvocato statunitense
Kenneth Stern, ritenuto non di sinistra ed autodefinitosi sionista,
contrariato dalla strumentalizzazione del suo testo ha preso le
distanze da queste mistificazioni.
Andiamo
per punti e cerchiamo di intenderci innanzitutto sui termini.
L’antisionismo
è l’avversione e il contrasto al progetto coloniale di
insediamento, risalente a fine ‘800, di creazione di uno Stato
ebraico nella Palestina storica. Da subito è stato esplicitato che
lo Stato sarebbe stato esclusivamente ebraico, concetto poi ribadito
e codificato nella legge sullo Stato nazione del luglio 2018. Secondo
questo progetto i nativi palestinesi sono destinati al transfer negli
Stati arabi confinanti o altrove. I dirigenti sionisti non hanno mai
fatto segreto di questa intenzione, si vedano le dichiarazioni di
Hertzl, Ben Gurion, Golda Meir, Rabin, Sharon e altri. Solo la
strenua resistenza, ormai quasi secolare, del popolo palestinese ha
impedito sinora la realizzazione del programma.
L’antisemitismo
è una forma di razzismo nei confronti degli ebrei di qualsiasi
nazionalità. Il termine più corretto sarebbe peraltro antiebraismo
o antigiudaismo, essendo semiti anche i palestinesi e non essendo
semiti gli ebrei askenaziti e i convertiti non arabi; continueremo
però ad usare questo termine convenzionalmente accettato.
Storicamente
l’antisemitismo è proprio della destra; non a caso ora si parla di
“nuovo” antisemitismo attribuendolo alla sinistra ( clamoroso
l’attacco a Corbyn e al suo Labour). Preciso che non includo nella
sinistra italiana il PD, partito promotore di leggi o disegni di
legge di stampo chiaramente filosionista. La sinistra è antisionista
perché è antirazzista e anticolonialista. Da qui la necessità per
i sionisti di equiparare i due termini.
L’operazione
mistificatoria risale nel tempo (tra i promotori qui da noi
ricordiamo Napolitano) ma per anni è stata relegata nell’ambito
politico. Ora si sta tentando di estenderla a livello legislativo.
Dal 2015 in Senato pende un disegno di legge che criminalizza il BDS
definendolo antisemita. Nel 2016 è stata varata l’”aggravante
Shoah”, cioè l’aumento di pena quando l’istigazione all’odio
razziale riguarda la Shoah. Il 5 ottobre 2018 la Camera dei deputati
ha invitato il governo ad adottare la definizione di antisemitismo
dell’IHRA. Ora si aggiunge la destra salviniana a rafforzare le
truppe che vogliono che il dissenso politico venga ridotto ad odio
razziale.
In
questa operazione mistificatoria è ritenuto strumento importante la
definizione di antisemitismo dell’IHRA e per questo se ne richiede
l’adozione; per fare ciò, però, se ne deve stravolgere il senso,
partendo dal tenore letterale. La definizione di antisemitismo
dell’IHRA ha un precedente nella definizione provvisoria della EUMC
(Comitato di monitoraggio dell’Unione europea su razzismo e
xenofobia). Questa definizione risale al 2005 ma non è mai stata
adottata. La definizione dell’IHRA risale al 2015 come versione
rielaborata della precedente ed è stata adottata nel 2016. L’Unione
Europea con risoluzione del 1° giugno 2017 sulla lotta contro
l’antisemitismo ha invitato gli Stati membri, le istituzioni e le
agenzie ad adottare e applicare la definizione.
Su
alcuni aspetti non c’è contrasto: è pacifico che non è una
definizione legalmente vincolante e che è una mera definizione di
lavoro. Il termine inglese rende meglio il concetto: “ non legally
binding working definition”. Che questo sia lo scopo della
definizione è stato ribadito dal suo autore, l’avvocato Stern, che
in una testimonianza scritta del 2017 al congresso USA ha denunciato
l’uso improprio della definizione e ha ribadito che era stata
ideata come definizione provvisoria con l’obiettivo di
standardizzare la raccolta di dati sulla incidenza dei delitti di
odio antisemita nei vari Paesi. Insomma la definizione ha uno scopo
pratico, lavorativo; è una definizione operativa.
La
definizione consta di un testo di 38 parole che vorrebbero definire
il concetto di antisemitismo; seguono poi 11 esempi. Questa la
definizione: “L’antisemitismo
è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come
odio nei loro confronti. Le manifestazioni retoriche e fisiche di
antisemitismo sono dirette verso le persone ebree o non ebree e/o la
loro proprietà, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro
luoghi di culto”. Anche
ai non addetti ai lavori appare chiaro che quanto affermato è una
tautologia: essere antisemiti vuol dire odiare gli ebrei. Gli esempi
dovrebbero chiarire il concetto ma non possono né ampliare nè
limitare la portata della definizione. Passiamoli quindi in rapida
rassegna.
Il
primo: “ incitare
e contribuire all’uccisione di ebrei o a danni a loro scapito, o a
giustificarli, nel nome di una ideologia o di una visione estremista
della religione”. Questo
esempio descrive una condotta evidentemente antisemita non certamente
riferibile al movimento di solidarietà col popolo palestinese e al
BDS, da sempre sostenitori di pratiche pacifiche.
II
secondo: “avanzare
accuse false, disumanizzanti, perverse o stereotipate sugli ebrei, in
quanto tali, o sul potere degli ebrei come collettività, ad esempio,
ma non esclusivamente, il mito di una cospirazione mondiale ebraica o
degli ebrei che controllano i media, l’economia, il governo o altre
istituzioni sociali ”.
Vale quanto detto per il primo esempio: le condotte descritte non
sono certo riferibili al movimento di solidarietà che non critica
gli ebrei in quanto tali ma solo alcune organizzazioni ebraiche, le
cosiddette lobby ebraiche, che portano avanti determinate politiche
di sostegno al sionismo. Si pensi all’AIPAC.
Il
terzo: “accusare
gli ebrei di essere responsabili di comportamenti scorretti,
effettivi o immaginari, commessi da una sola persona o da un gruppo
ebraico, o addirittura di atti commessi da non ebrei”.
Condotta chiaramente antisemita ma non certo attribuibile al
movimento di solidarietà con i palestinesi.
Il
quarto: “negare
il fatto, l’ambito, i meccanismi (ad esempio le camere di gas) o
l’intenzionalità del genocidio degli ebrei perpetrato dalla
Germania nazionalsocialista e dai suoi sostenitori e complici durante
la seconda guerra mondiale ( l’Olocausto)”.
È descritto il cosiddetto negazionismo, anch’esso estraneo alla
sinistra; alcuni autori non di destra si sono avventurati nella
ricostruzione storica della Shoah, criticando e contestando i dati
ufficiali (cosiddetto riduzionismo). Anche questa condotta nulla ha a
che vedere con i palestinesi e col movimento di solidarietà.
Il
quinto: “accusare
gli ebrei come popolo o Israele come Stato di aver inventato o
esagerato le dimensioni dell’Olocausto”.
Si introduce con questo esempio il riferimento allo Stato di Israele.
Anche questa condotta non appartiene alla sinistra, anche se la
strumentalizzazione della Shoah è parte integrante della politica e
dell’azione sionista: si pensi alla affermazione di Golda Meir
secondo cui dopo la Shoah tutto sarebbe stato permesso ad Israele
oppure al libro di denuncia di Norman Finkelstein “L’industria
dell’Olocausto”.
Il
sesto:” accusare
i cittadini ebrei di essere più fedeli a Israele o alle presunte
priorità degli ebrei in tutto il mondo che agli interessi dei propri
paesi”.
È questa una antica accusa e una antica polemica che non interessa i
palestinesi e il movimento di solidarietà.
Il
settimo: “ negare
al popolo ebreo il diritto all’autodeterminazione, ad esempio
sostenendo che l’esistenza di uno Stato di Israele è un
atteggiamento razzista”:
con la legge sullo Stato nazione il diritto all’autodeterminazione
è stato riconosciuto solo agli ebrei con una evidente
discriminazione rispetto agli altri cittadini di diversa fede
religiosa; l’uguaglianza è un valore storico della sinistra che
quindi legittimamente critica la politica discriminatoria di Israele
e rivendica il diritto all’autodeterminazione del popolo
palestinese. Al contrario, la ministra della giustizia Shaked ha
affermato che l’uguaglianza è un pericolo per lo Stato ebraico. È
stato da più parti sostenuto che poiché Israele si definisce Stato
ebraico sono discriminati tutti i non ebrei, legittimando così la
definizione di Israele come stato razzista e praticante l’apartheid.
La critica colpisce lo Stato e una sua legge, non certo gli ebrei
tutti, né quelli di Israele né quelli del mondo. Peraltro forte è
stato il dissenso rispetto alla legge, sia nella Knesset sia nella
società israeliana; questo dissenso vanifica la pretesa di Israele
di essere lo Stato di tutti gli ebrei.
L’ottavo
esempio fa riferimento alla applicazione di una doppia misura,
“imponendo
a Israele un comportamento non previsto o non richiesto a qualsiasi
altro paese democratico”.
La sinistra si attende il rispetto della legalità internazionale da
parte di tutti gli Stati; una particolare attenzione nei confronti di
Israele non discende da un eccesso di critica e da un accanimento nei
suoi confronti ma da un eccesso di violazioni da parte di Israele
documentate in molteplici rapporti.
Il
nono esempio: “ usare
simboli e immagini associati con l’antisemitismo classico (ad
esempio gli ebrei uccisori di Gesù o praticanti rituali cruenti )
per caratterizzare Israele o gli israeliani” non
riguarda la sinistra.
Il
decimo: “paragonare
la politica odierna di Israele a quella dei nazisti”.
Zeev Sternhell, storico ebreo israeliano, ha affermato che “ In
Israele cresce non solo un fascismo locale ma anche un razzismo
vicino al nazismo ai suoi esordi”. L’affermazione di Sternhell
denuncia una situazione paradossale e pericolosa ma riguarda una
componente della società israeliana, non certo tutta la società e
men che meno gli ebrei nel mondo. Il movimento di solidarietà coi
palestinesi denuncia il progetto di espulsione dei palestinesi che è
cosa diversa da un progetto genocidiario. Ilan Pappe ha usato il
termine di “genocidio incrementale” che si riferisce al progetto
sionista e allo Stato che lo promuove ed incrementa ma non certo agli
ebrei nel mondo e neppure a parte della società israeliana.
Infine
l’ultimo: “ ritenere
gli ebrei collettivamente responsabili delle azioni dello Stato di
Israele”. Il
movimento di solidarietà coi palestinesi collabora regolarmente da
sempre con le realtà ebraiche antisioniste. Nei confronti della
definizione di antisemitismo dell’IHRA, ad esempio, si sono levate
molte voci critiche in ambito ebraico, oltre 40 gruppi hanno
denunciato l’uso strumentale della definizione tra cui Jewish for
Justice for Palestinians, Free speech on Israel, Jewish for labour,
Jewish for peace ed altre che si sono affiancate a Palestine
Solidarity Campaign.
Emerge
chiaro che nessuno degli 11 esempi è riferibile alla sinistra, al
movimento di solidarietà col popolo palestinese e al BDS. Per quanto
attiene a questo movimento è noto che nel suo atto costitutivo del
2005 si dichiara espressamente antirazzista e condanna
l’antisemitismo. Anche la pratica negli anni non ha mai visto il
BDS adottare forme di contrasto non pacifiche o esporre critiche che
investissero gli ebrei in generale; sotto accusa sono state sempre le
politiche e le prassi israeliane. Rivendicare il diritto al ritorno
dei palestinesi significa solo chiedere l’applicazione delle
risoluzioni ONU e l’affermazione del diritto internazionale, non
certo volere la cancellazione dello Stato israeliano, come spesso
affermato da fonti sioniste. Solo una visione avulsa dalla realtà
affiancata da una pervicace campagna diffamatoria e mistificatoria
può portare a conclusioni contrarie: si pensi al centro Wiesenthal
che nel 2015 ha elencato al terzo posto nella graduatoria delle
condotte antisemite la decisione dell’Unione europea di far
etichettare i prodotti delle colonie come tali e non come provenienti
da Israele.
Il
portale ufficiale dell’ebraismo italiano, Moked, sembra improntato
a posizioni e valutazioni più prudenti. Il giurista Emanuele
Calò, in un articolo del 13 novembre 2018, a commento della
definizione IHRA, afferma che “ le critiche rivolte ad Israele che
siano simili a quelle mosse a qualsiasi altro Paese non possono
essere considerate antisemite…. Gli atti antisemiti sono criminali
quando sono così definiti dalla legge…. I crimini sono antisemiti
quando l’oggetto degli attacchi è scelto perché sono ebraici o
collegati agli ebrei”.
Lo
stesso Calò è tornato sul tema con Barbara Pontecorvo il 21 gennaio
2020 nell’inserto del Corriere della sera “Buone notizie”. Dice
che la definizione IHRA è “un prezioso strumento che può aiutare
a proteggere la società civile da messaggi di odio” ma afferma
anche che “la definizione, senza sfiorare la legittima libertà di
espressione o il diritto di critica, investe tutte le forme di
demonizzazione comprese quelle riguardanti lo Stato di Israele di cui
si mette in forse non la politica dei governi bensì il diritto
all’esistenza”. Purtroppo il solo diritto all’esistenza messo
in forse non è quello di Israele ma quello del popolo palestinese ad
opera dei governi israeliani.
Avviandoci
a conclusione si può quindi dire che la definizione IHRA non
legittima alcuna equiparazione tra antisionismo e antisemitismo;
autorizza le critiche di Israele nei termini e nei modi sempre
rispettati dal movimento di solidarietà con i palestinesi.
Perfino
il Movimento cinque stelle e il PD del Consiglio regionale della
Lombardia il 21 gennaio 2020 hanno dovuto riconoscere che alcune
importanti firme a sostegno del BDS non sono suscettibili di sospetto
di antisemitismo: partiti, sindacati, Un ponte per…, Servizio
civile internazionale e altre.
Insomma,
la spaccatura è evidente a tutti: la destra è pro Israele e la
sinistra (con i confini sopra delineati) per il suo boicottaggio
perché siano riconosciuti i diritti del popolo palestinese. La
sinistra ha sempre respinto con forza qualsiasi tentativo di
infiltrazioni ad opera della destra nelle manifestazioni a favore dei
diritti del popolo palestinese e ogni proposta di adesione. La
sinistra è a fianco di tanti ebrei antisionisti come Freud e
Einstein perché, per dirla con Tolstoi: “ Il sionismo è la
negazione di tutto quello di sacro che abbiamo nella vita” o anche
con il rabbino Leibele Weissfich: “ Il nazismo ha distrutto il
giudaismo fisicamente, il sionismo lo ha distrutto spiritualmente”.
Ma si sa, i sionisti hanno coniato per questi ebrei dissidenti un
termine: non sono antisemiti, sono “haters”, ebrei che odiano se
stessi.
Israele
nasce nel 1948: per ironia della sorte è coetaneo della
Dichiarazione universale dei diritti umani e della Costituzione
italiana che, all’art. 10 la prima e all’art. 21 la seconda,
annoverano tra i diritti fondamentali la libertà di espressione e il
diritto di critica. In nome di questi diritti è lecito criticare il
sionismo e lo Stato di Israele. Questa critica non ha nulla a che
vedere con l’antisemitismo. E’ particolarmente efficace un
esempio di Omar Barghouti: nessuno si sogna di accusare di
islamofobia chi critica l’Arabia Saudita per le sue leggi
discriminatorie nei confronti delle donne o per i suoi bombardamenti
in Yemen; perché, invece, scatta l’accusa di antisemitismo se
qualcuno critica Israele per le sue leggi discriminatorie nei
confronti dei non ebrei oppure per i suoi bombardamenti su Gaza?
La
definizione dell’ IHRA è “imprecisa, atta a creare confusione e
aperta a equivoci interpretativi e manipolazioni… Il governo
inglese ha sbagliato ad adottarla senza il “caveat” raccomandato
a ragione dalla Commissione degli affari interni per cui non è
antisemitismo criticare il governo di Israele senza una ulteriore
prova che dimostri l’intento antisemita… Le azioni politiche
contro Israele non sono classificabili come antisemite se non
intendono promuovere odio o ostilità contro gli ebrei in generale”.
Così si è espresso il 27 agosto 2018 l’avv. Geoffrey Robertson,
esperto di diritto costituzionale e internazionale. Analoghe le
conclusioni di altro illustre giurista anglosassone, Hugh Tomlinson,
in un parere dell’8/3/2017.
A
questi autorevoli pareri ci associamo, lasciando alla rozza
propaganda sionista le diverse valutazioni. [Ugo Giannangeli
per ecoinformazioni]
Fonti
IHRA
Toolkit di Palestine Solidarity Campaign
Hugh
Tomlinson, parere dell’8/3/2017
Geoffrey
Robinson, parere del 27/8/2018
Emanuele
Calò, Moked 13/11/2018
Articolo
di George Wilmers del 1°/8/2018 ( su Zeitun)
Lettera
della Società civile palestinese al Parlamento austriaco del
2/1/2020
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