Antonio Moscato Ha insegnato Storia del Movimento operaio e Storia contemporanea presso l’università di Lecce (per alcuni anni anche Storia e istituzioni dei paesi afroasiatici) (https://antoniomoscato.altervista.org/index.php).
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Il X Congresso del Partito comunista (bolscevico) di Russia, tenutosi tra 18 e il 16 marzo del 1921, segna una svolta radicale, che avrà ripercussioni di grande rilievo nel futuro assetto dello Stato sovietico. Svoltosi sotto l’impressione della rivolta di Kronštadt, che impone una sospensione dei lavori per consentire ai delegati di partecipare all’offensiva per piegare la fortezza ribelle (partecipazione non puramente simbolica: parecchi delegati cadono nella difficile battaglia sui ghiacci della Neva), il congresso decide di sopprimere il cosiddetto «comunismo di guerra»; la «Nuova politica economica» (NEP) permette il rilancio dell’iniziativa privata nelle campagne, nel commercio e nella piccola industria, consentendo l’arricchimento dei più intraprendenti. Per sbloccare il malcontento nelle campagne (di cui era un riflesso indiretto la stessa rivolta di Kronštadt ma che si manifestava anche con sommosse nel governatorato di Tambov e in altre importanti zone agricole), viene abolito il sistema delle requisizioni di prodotti agricoli, sostituito da un’imposta fissa in natura.
Tuttavia, se in questo modo si cerca di tenere conto sul terreno dell’economia dei problemi sottesi al malcontento popolare rivelatosi a Kronštadt, non si risponde alle ansie di ritorno a una piena democrazia sovietica basata sul pluripartitismo, sulla libertà di stampa per tutte le tendenze del movimento operaio, sulla fine delle misure poliziesche, che si erano andate infittendo per iniziativa della Čeka, sempre meno controllata dal partito. Al contrario, mentre la repressione a Kronštadt è sproporzionata alla reale portata dell’episodio e conosce nuovi eccessi cekisti anche dopo il ristabilimento dell’ordine, lo stesso Partito comunista bolscevico di Russia modifica le sue norme interne di funzionamento, irrigidendole gravemente con decisioni che dovrebbero avere una durata provvisoria, ma che non verranno mai eliminate e, al contrario, saranno in epoca staliniana rafforzate e codificate. In particolare, di fronte al rischio che i nemici del potere sovietico possano inserirsi nelle contraddizioni interne al partito, il X Congresso limita drasticamente il diritto di organizzare frazioni che nella consuetudine dei bolscevichi, come di tutto il movimento operaio europeo, comportavano anche la pubblicità del dissenso attraverso la stampa. Il pericolo, in quel momento, è rappresentato dall’ «Opposizione operaia» di Šljapnikov, S. Medvedev e Aleksandra Kollontaj che vengono criticati per l’irresponsabilità con cui si sono mossi, ma a cui viene comunque assicurata una rappresentanza nel Comitato centrale.
Il settimo punto della risoluzione, che prevedeva «persino, come misura estrema, l’espulsione dal partito» dei membri del Comitato centrale che avessero continuato a violare la disciplina (ad esempio, attraverso discussioni preventive in strutture diverse da quelle normali del partito), fu mantenuto segreto, tanto più in quanto si riteneva di fatto non applicabile se non in casi veramente eccezionali. Tuttavia, rispondendo a Rjazanov che proponeva di vietare esplicitamente che si votasse su «piattaforme», cioè su documenti politici contrapposti, Lenin precisava: «Non possiamo privare il partito e i membri del CC del diritto di rivolgersi al partito se un problema fondamentale suscita divergenze. Non riesco a immaginare come potremmo farlo». Dopo avere ricordato le differenziazioni sulla pace di Brest Litovsk, Lenin concludeva che «se le circostanze susciteranno divergenze radicali», il desiderio di «proibire di sottoporle al giudizio di tutto il partito» gli appariva «eccessivo, irrealizzabile», sicché proponeva di respingerlo.
Purtroppo, quel desiderio non era «irrealizzabile» e, per giunta, dopo la morte di Lenin, non solo divenne pratica corrente, ma fu inserito tra i sacri «principi del leninismo» e consolidato al punto che rimane un dogma ancora oggi per tutti i partiti comunisti, compresi quelli che hanno cominciato a prendere le distanze, almeno per quanto riguarda gli aspetti più respingenti, dallo stalinismo e dall’attuale società sovietica.
I compiti che si pongono davanti al Partito comunista in quel cruciale 1921 sono così complessi, che le implicazioni di quella svolta non vengono percepite subito. In primo luogo, l’attenzione si concentra sulla realizzazione della NEP, che richiede misure delicate e comporta pericoli di restaurazione strisciante del capitalismo, attraverso una nuova accumulazione di capitali, consentita soprattutto dall’affitto a privati di piccole e medie imprese nazionalizzate. Una grave carestia colpisce molti governatorati e impone misure drastiche, compresa la creazione di un Comitato panrusso per gli aiuti alle vittime della carestia, affidato a personalità non comuniste e, a volte, anticomuniste, che vengono autorizzate a stabilire rapporti con società filantropiche americane (ma pagheranno poi con il carcere questi contatti, che cominciano a diventare sospetti anche quando sono inizialmente autorizzati).
Le dimensioni della penuria sono fornite dai dati ufficiali della Direzione centrale di statistica: nella carestia del 1921-1922 morirono 5.053.000 persone.
La «ritirata» della NEP (rispetto alle improvvisazioni estremiste che avevano tentato di costruire il «comunismo di guerra» attraverso la sistematizzazione del caos imposto dalla guerra civile) era dunque più che necessaria e semmai tardiva. D’altra parte, le misure di nazionalizzazioni generalizzate non erano nel programma iniziale dei bolscevichi e tanto meno lo era la loro assurda estensione fino alle più piccole impresa di commercio al minuto, realizzata nel 1919-1920 (la nazionalizzazione delle banche era avvenuta il 27 dicembre 1917, quella dei settori decisivi del l’industria e dei trasporti il 28 giugno 1918 lasciando comunque ancora alcuni spazi per un settore privato). Una certa cautela era stata adottata nei confronti di imprese straniere, alle quali ancora prima della NEP, nel 1920, erano stati aperti spiragli per accordi di sfruttamento di risorse minerarie siberiane. Ma il contesto internazionale era tale, che tutte le trattative in tale senso non arrivarono in quel periodo a conclusioni concrete.
Tuttavia, il consolidamento dello Stato sovietico in seguito alla sconfitta di tutti i principali capi «bianchi» e alcune interessanti iniziative diplomatiche in Asia (trattati con la Turchia, l’Afghanistan, e la Persia, stati questi ultimi dei quali veniva riconosciuta pienamente l’indipendenza, minacciata da mire britanniche, e a cui si assicurava appoggio per i tentativi di rinnovamento avviati da Riza Khan in Iran, Amanullah in Afghanistan e da Kemal in Turchia), facilitavano un ammorbidimento del governo britannico, che cessava il boicottaggio della Russia sovietica, riconoscendone il governo de facto, con un importante trattato commerciale siglato il 16 marzo 1921. Il retroscena di questo accordo era un impegno sovietico ad astenersi da propaganda o iniziative ostili agli interessi britannici tra i popoli dell’Asia, con particolare ed esplicito riferimento all’India e all’Afghanistan. Era un impegno assunto dal governo sovietico ma, di fatto, avrebbe condizionato anche il Comintern (analogamente, gli accordi russo-turchi e russo-persiani dello stesso periodo inflissero un duro colpo alle giovani ma vigorose forze comuniste presenti in quei due paesi asiatici, che furono isolate e poi brutalmente represse dai governi nazionalisti proprio nel momento dell’accordo con Mosca).
La ricerca di una «nuova politica estera», analoga alla NEP in economia, era comunque imposta dalla necessità di riprendere scambi con l’estero, ma anche da una lunga serie di sconfitte, che avevano distrutto la maggior parte delle speranze riposte in una prossima fine dell’isolamento, attraverso la ripresa della rivoluzione in Europa, in particolare in quei paesi più sviluppati, che erano sempre stati considerati dai marxisti il punto più forte dello schieramento rivoluzionario.
Il III Congresso dell’internazionale comunista (giugno-luglio 1921) deve tracciare un bilancio estremamente negativo dell’azione svolta dai giovani partiti comunisti e tentarne un riorientamento ispirato a un maggiore realismo. In Germania, nel marzo, una sconsiderata iniziativa insurrezionale ha fatto perdere al Partito comunista molto di quanto aveva conquistato, in particolare da quando, un anno prima, si era posto alla testa delle mobilitazioni contro il putsch di Kapp, ripercorrendo l’esperienza bolscevica della lotta contro Kornilov, In Italia è nato da poco il Partito comunista; tardi rispetto alle grandi mobilitazioni operaie culminate nell’occupazione delle fabbriche del settembre 1920, rimaste senza una direzione centralizzata, ma forse troppo presto e male, rispetto ai ritmi di maturazione politica della massa dei militanti socialisti : così alla scissione, solo una parte esigua dei socialisti rivoluzionari e internazionalisti sono entrati nel nuovo partito, che rifiuta i consigli di Lenin sulla necessità di una tattica di «fronte unico» di partiti operai contro il fascismo in ascesa e s’illude di potere egemonizzare da solo le masse operaie. Un po’ in tutta l’Europa ingenuità e settarismi portano allo sperpero delle energie rivoluzionarie e aiutano le vecchie direzioni socialdemocratiche, uscite screditate dalla guerra, a recuperare forze e capacità di manovra. Il III Congresso dell’Internazionale e quello successivo, gli ultimi ai quali poté partecipare Lenin, sono ricchissimi di discussioni appassionate e aperte e di stimoli autocritici. La riflessione di Lenin e Trotskij sull’estremismo viene mal compresa e, purtroppo, sarà assimilata dalla maggior parte dei partiti comunisti solo nella seconda metà degli anni Venti, quando il metodo di conduzione dell’Internazionale stava cambiando, trasformando quest’ultima in una pura e semplice cinghia di trasmissione delle esigenze della burocrazia sovietica. Già nel 1923, in Germania, accanto agli errori delle direzioni comuniste locali, troviamo quelli degli inviati del Comintern, più preoccupati dei dibattiti di Mosca che della reale situazione tedesca. Negli anni successivi, soprattutto in Gran Bretagna e in Cina, le sconfitte del movimento rivoluzionario provocate dal Comintern saranno particolarmente gravi e chiuderanno per almeno un decennio qualsiasi possibilità di rompere l’isolamento dell’Urss. Così, la sorte del nuovo Stato sarà determinata esclusivamente dalle condizioni interne, con tutto quel che significa il peso dell’arretratezza culturale e politica delle grandi masse di quello sterminato paese.
La ripresa economica relativa, che (sia pure non immediatamente e con la già ricordata eccezione della carestia provocata dalla straordinaria siccità nel bacino del Volga) è una delle conseguenze della NEP, avviene in condizioni molto particolari e pericolose. La mancanza di incentivi per la produzione agricola aveva portato i bovini a due terzi di quelli del 1913, le pecore al 55%, i maiali al 40%, i cavalli al 71 % ( sempre rispetto all’ultimo anno prima della guerra) . Nell’industria tessile solo il 6 % dei fusi del periodo prebellico erano ancora in funzione, le acciaierie non superavano il 5% e l’insieme degli articoli industriali di consumo arrivava appena al 13% del livello dei 1913 ma, per assenza di trasporti, circolava solo in zone molto circoscritte. Le città maggiori, a fabbriche chiuse, avevano visto un esodo verso le campagne, dove qualcosa da mangiare si trovava sempre.
Quando avviene la ripresa dell’attività economica, le fabbriche hanno ormai una composizione operaia del tutto diversa da quella del periodo prerivoluzionario. Lo strato più politicizzato si è spostato nell’Armata rossa, nell’apparato di partito e dello Stato ed è stato duramente decimato durante la guerra civile (i «bianchi» non facevano prigionieri, ma fucilavano direttamente i comunisti che catturavano). Altri operai che, pure, formavano la base naturale dei quadri bolscevichi nel 1917, si sono dispersi nei villaggi dai quali provenivano. Alla riapertura delle fabbriche, assicurata dalla ripresa dei commerci con l’estero, dalla riorganizzazione dei trasporti, dal migliorato approvvigionamento di viveri, gran parte della nuova classe operaia non ha alcuna esperienza professionale e politica, sicché al nome di soviet non corrisponde più nulla di quell’eccezionale vivacità politica e culturale che aveva permesso l’ascesa bolscevica dai febbraio all’ottobre del 1917.
Per sopperire alla fuga di tanti tecnici e ingegneri, che hanno abbandonato la Russia durante la guerra civile, giungono ora molti esperti dalla Germania, dagli Stati Uniti, da altri paesi industriali. Sono spesso comunisti o, comunque, sostenitori della rivoluzione russa, ma sono abituati a un livello di vita talmente superiore a quello russo di quegli anni che è indispensabile assicurare loro un regime alimentare relativamente privilegiato. Ben presto i privilegi (assegnati loro come un indispensabile arretramento temporaneo rispetto ai principi egualitari che avevano caratterizzato la rivoluzione) vengono rivendicati anche dai direttori, dai segretari del partito e del sindacato, da tutti i «quadri» eminenti a livello di fabbrica, di distretto, di ministero, fino a reintrodurre criteri retributivi differenziati in tutta la società sovietica. Questo processo, difeso nella sua fase iniziale dallo stesso Lenin come un cosciente passo indietro, una deroga necessaria, anche se estremamente pericolosa, viene poi a mano a mano teorizzato dalla burocrazia, di cui Stalin, divenuto segretario generale nel 1922, si fa sempre più consapevolmente interprete. Si arriverà, in età staliniana, a condannare come «deviazione piccolo-borghese» l’egualitarismo, che era invece per Lenin un principio fondamentale, come ognuno poteva verificare rileggendo Stato e rivoluzione. (Qualcosa di simile ai medievali crocifissi rivestiti di panni sontuosi per combattere le «eresie» pauperistiche, che osavano ricordare che Cristo era nato e vissuto poveramente.)
Non si trattava, comunque, di una polemica bizantina e astratta: la preoccupazione dei marxisti classici, compreso Lenin, nei confronti dei privilegi materiali dei funzionari era basata su una considerazione concreta e realistica, che avrà purtroppo abbondanti verifiche nella storia sovietica successiva. Se i dirigenti politici e amministrativi vengono retribuiti molto più di quanto lo sarebbero rimanendo al loro posto in produzione (negli anni Venti non era ancora molto di più, ma era pur sempre un vantaggio rilevante rispetto alle privazioni del grosso della popolazione), diventa comprensibile che considerino una sciagura il ritorno alla posizione di partenza e che siano disposti ad attribuire i peggiori intenti a chi, criticandoli, minaccia di privarli dei privilegi di cui godono. Ciò è tanto più pericoloso quanto più una società, come quella sovietica, recluta i suoi quadri dirigenti tra operai e contadini (paradossalmente, i pochi dirigenti bolscevichi di origine borghese, nobiliare o provenienti da professioni ben retribuite, erano i meno sensibili a queste lusinghe, giacché avevano rinunciato da anni o decenni per ragioni ideali ai vantaggi offerti loro dalla posizione sociale, per affrontare una vita di privazioni, di esilio, di pericoli di ogni genere).
L’elemento più conservatore e più interessato all’ampliamento dei privilegi (e all’inevitabile inasprimento della repressione preventiva, giacché ogni diseguaglianza deve essere difesa: se non c’è pane per tutti, diventa indispensabile un poliziotto che regoli la coda davanti al fornaio e, a maggior ragione, davanti al fornaio che rifornisce solo le mense dell’apparato...) sarà, dunque, quello arrivato nel Partito comunista dopo la fine della guerra civile, senza grandi esperienze politiche, senza grandi cariche ideali, senza interesse (o anzi con un notevole fastidio) per le vicende dei movimento operaio internazionale.
Gli ultimi anni di vita di Lenin lo vedono sempre più angosciato rispetto alle caratteristiche che la nuova società sta assumendo, per una dinamica che egli in parte intuisce e cerca di contrastare, ma che sembra ineluttabile. In particolare, Lenin è allarmato per l’immensa proliferazione della burocrazia sovietica, che si alimenta anche dei residui della burocrazia zarista (che rimane politicamente marginale, ma da cui vengono mutuati costumi e arroganza). Anziché combattere il fenomeno, il partito lo asseconda e lo guida: giacché il «partito» è diventato assai diverso da quello che aveva conquistato il potere. In parte, si tratta di un fenomeno inevitabile: i 24.000 militanti del febbraio 1917 erano diventati 732.000 nel marzo 1921. La crescita più impetuosa era avvenuta proprio quando era evidente che la vittoria era assicurata e un gran numero di ambiziosi, di carrieristi, aveva prese la tessera. Già nel 1919, all’VIII Congresso dei partito, un delegato osservava che, mentre scarseggiavano gli operai, ammessi nel partito con difficoltà, «funzionari dei soviet e ragazze d’ogni genere impiegate come dattilografe ottengono l’iscrizione con estrema facilità». Già a quell’epoca risalgono le prime preoccupazioni di Lenin per l’abbassamento del livello politico e della tensione morale nel partito. Tuttavia, una misura apparsa a tutti come tecnica e poco significativa, la nomina di Stalin a segretario generale. nell’aprile 1922, doveva determinare una trasformazione qualitativa nel funzionamento dell’apparato centrale. Tale carica, che non era mai esistita e che aveva allora solo il senso di un coordinamento centrale del lavoro di segreteria (cioè esecutivo e amministrativo, giacché tutte le decisioni politiche erano riservate ai congressi, al Comitato centrale e all’Ufficio politico), aumenta costantemente di peso; di fatto, Stalin comincia a rafforzare l’apparato centrale, che era stato minuscolo nella prima fase della rivoluzione (quando era affidato quasi esclusivamente alle eccezionali capacità organizzative di un solo uomo, Sverdlov, coadiuvato da un numero esiguo di collaboratori tecnici) e che era cresciuto già per necessità oggettive. Ma, sotto la guida di Stalin, quella che era stata in passato solo una funzione amministrativa (non a caso, Lenin non era mai stato «segretario» del partito) assume poteri sempre più vasti, soprattutto attraverso una rete fittissima di rapporti con gli uffici di segreteria periferici, che già nel 1927 cominciano in alcune zone, per ragioni «tecniche», a essere nominati dal centro del partito, facendo decadere di fatto il principio elettivo, che rimarrà una formalità rituale per sancire, nei congressi, decisioni prese da tempo dall’apparato.
Tra gli strumenti di cui Stalin si serve per consolidare un enorme potere dell’apparato rispetto alla massa degli iscritti c’è l’epurazione. L’idea era partita da Lenin, preoccupato dal carrierismo e dal basso livello di tanti nuovi iscritti : ma chi compie la periodica verifica e l’esclusione degli indegni sono i quadri dell’Ufficio di organizzazione, che fa capo a Stalin. Appena cominciano le prime polemiche interne, che vedono Lenin duramente impegnato, con le ultime energie concessegli dalla malattia incombente, contro l’arroganza burocratica, la soppressione progressiva dei diritti delle minoranze etniche, le ripresa dello sciovinismo panrusso, saranno i vecchi militanti critici a essere progressivamente emarginati e poi espulsi nei primi anni di lotta per la successione; Stalin elimina progressivamente tutta la vecchia guardia bolscevica, mentre si circonda di cinici arrivisti e di mediocri ripetitori di frasi fatte.
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1921 8-16 marzo: X Congresso del Partito comunista. Istituzione della NEP, limitazione del diritto di frazione nel partito.
16 marzo: trattato commerciale russo-britannico.
6 maggio: accordo commerciale con la Germania.
22 giugno-12 luglio: III Congresso del Comintern. Lotta contro l’estremismo nei partiti comunisti.
Autunno: primi contatti con esponenti politici e militari tedeschi per una cooperazione tra i due paesi : la Germania, che non può riprendere la produzione bellica, in base al trattato di Versailles, costruirà fabbriche di aerei, sottomarini e cannoni in territorio sovietico. Addestramento comune di ufficiali tedeschi e sovietici sul territorio russo. Tale collaborazione, che durerà fino all’avvento di Hitler al potere, sarà preziosa per lo Stato maggiore tedesco, mentre al momento della guerra l’Unione sovietica non avrà più nessuno degli ufficiali formatisi nella guerra civile e addestrati poi nelle manovre in comune con i tedeschi: saranno tutti uccisi nella grande purga del 1937-1938.
1922 3 aprile: Stalin nominato segretario generale del Comitato centrale del Partito Comunista.
26 maggio: inizio della malattia dì Lenin.
Giugno : processo ai socialisti rivoluzionari. Primo processo spettacolo organizzato dalla GPU (che da febbraio ha preso i posto della Čeca). Creazione del Glavlit (Dìrezione centrale per le questioni artistiche e letterarie) che unifica ogni forma di censura.
Ottobre: Lenin ritorna al lavoro Mosca, comincia a seguire con particolare ansietà il comportamento degli uomini di Stalin nelle repubbliche caucasiche e denuncia lo «sciovinismo di grande potenza » che riaffiora.
5 novembre-5 dicembre : IV Congresso del Comintern. Lenin interviene a diverse sedute e sviluppa un intenso lavoro di contatti con delegati di vari paesi.
16 dicembre: nuova ricaduta di Lenin, che comincia a dettare la lettera al partito che sarà conosciuta poi come Testamento. Propone l’allontanamento di Stalin dalla carica di segretario generale e varie misure per fare fronte alla crisi del partito.
30 dicembre: costituzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Oltre alla Repubblica russa. aderiscono Ucraina, Bielorussia e Federazione transcaucasica (Georgia, Armenia, Azerbajgian). Le altre repubbliche asiatiche (Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Kazachstan, Tadžikistan) verranno costituite tra il 1925 e il 1936, quando sarà sciolta la Federazione transcaucasica, portando a undici le repubbliche federate.
1923 Gennaio-febbraio: Ultimi scritti di Lenin, tutti rivolti a comprendere e fronteggiare l’involuzione della società sovietica. Il 9 marzo, nuova crisi di Lenin (perde l’uso della parola). Non si riprenderà più.
8 ottobre: lettera di Trotskij al Comitato centrale sulla vita interna del partito.
15 ottobre: Piattaforma dei 46, firmata da molti autorevoli dirigenti del partito. Riprende e sviluppa le denunce di Trotskij sul deterioramento del regime interno e fa appello a una reale unità politica, basata sulla discussione aperta, anziché sulle trame di una frazione segreta che, dall’interno dell’apparato, gestisce tutta la politica del partito.
1924 16-18 gennaio: XIII Conferenza del Partito comunista. Stalin, sostenuto da Zinov’ev e Kamenev, ottiene la condanna di Trotskij e dei «quarantasei». Si tratta, ancora, di una condanna politica, senza sanzioni disciplinari.
21 gennaio: morte di Lenin.
26 gennaio: San Pietrogrado diventa Leningrado e viene decisa la costruzione di un mausoleo, contro l’esplicita volontà del leader appena scomparso.
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