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lunedì 22 giugno 2020

Come sta andando il salario negli ultimi anni? - Maurizio Donato

Da; Ariano In Movimento - Maurizio Donato insegna Economia politica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo. https://mrzodonato.wordpress.com
                       Salario minimo - Gianfranco Pala 
                       LA FORMA DI MERCE DELLA FORZA-LAVORO*- Gianfranco Pala
                       Salario sociale reale - Gianfranco Pala 

                                                                                
[...]
La nostra capacità di lavorare, la nostra forza-lavoro, si produce e riproduce grazie ad elementi materiali (cibo, acqua, riposo, cultura) che però a loro volta, in un ambiente dominato dalle forme capitalistiche, hanno bisogno di essere acquistati, dunque ci vuole denaro per sopravvivere e questo denaro i lavoratori se lo possono procurare legalmente solo vendendo a loro volta (a nostra volta se chi legge appartiene alla classe dei lavoratori) l’unica merce di solito in nostro possesso, la forza-lavoro.

Tale merce, specialissima, l’unica nel suo genere, non esaurisce la propria funzione con l’uso; anzi, usandola, cioè lavorando, è capace non solo di creare valore in generale, ma più valore di quanto non occorra a produrla a riprodurla. Questo, per Marx, l’elemento centrale della critica dell’economia politica, e – in quanto tale – un elemento che ha a che fare direttamente con la questione del cambiamento delle forme.

Per vivere o sopravvivere (elemento materiale) abbiamo bisogno del denaro (forma monetaria del valore) che ci procuriamo vendendo (scambiandola con denaro) la nostra forza-lavoro. Attraverso il lavoro cambiamo forma (fisica, materiale) al mondo, creando merci cha hanno un valore superiore a quello delle loro parti costitutive, forza-lavoro compresa. Tale valore comprensivo del plusvalore spetta al proprietario delle imprese; ai lavoratori spetta il corrispettivo in valore della forza-lavoro, il salario. Col salario (trasformazione monetaria del capitale variabile a disposizione del capitalista) i lavoratori possono acquistare merci (fisiche) che ci consentano di riprodurre la forza-lavoro e così di seguito.

Dal momento che la alieniamo, però, la forza-lavoro di cui siamo proprietari (è nostra, non vivendo in schiavitù) diventa – per alcune ore al giorno alcuni giorni la settimana per tot anni della nostra vita – di proprietà di chi ne acquista il diritto all’uso: il capitalista, che ne dispone a suo piacimento cercando di sfruttarla al massimo per poi, se riesce a vendere a prezzo pieno il prodotto del nostro lavoro (la merce), godere del plusvalore realizzato che a sua volta in parte trasforma in beni di lusso e in parte accumula come nuovo capitale, così che il ciclo continui all’infinito. O quasi...

sabato 5 dicembre 2020

La questione salariale in Italia - Fulvio Fammoni

 Da: https://www.fondazionedivittorio.it - Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio.

Vedi anche : Dinamica dei salari e immiserimento relativo - Maurizio Donato

Come sta andando il salario negli ultimi anni? - Maurizio Donato

Leggi anche: Miserabile accumulazione: Salari, produttività e impoverimento relativo dei lavoratori*- Maurizio Donato

Salario minimo - Gianfranco Pala 

LA FORMA DI MERCE DELLA FORZA-LAVORO*- Gianfranco Pala

Salario sociale reale - Gianfranco Pala 

Le classi nel mondo moderno III. Nuove frontiere della produzione e dello sfruttamento* - Alessandro Mazzone

Produttività e salari in Europa - Maurizio Donato 



Il report della Fondazione Di Vittorio, scritto da Nicolò Giangrande (https://www.fondazionedivittorio.), mette a confronto i salari del lavoro dipendente in Italia con quelli di cinque delle maggiori economie dell’eurozona (Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna).

Nel 2019, i salari medi italiani, nella statistica OCSE, sono pari a circa 30 mila euro lordi annui, in lieve crescita rispetto al 2000, ma addirittura in diminuzione rispetto al 2007. 

Il divario rispetto agli altri paesi non solo è molto ampio, ma si è andato ancora allargando tra il 2007 e il 2019, sia in cifra totale che come dinamica. 

I salari annui tedeschi sono infatti cresciuti in modo consistente negli anni più recenti (42.421 euro nel 2019), così come in Francia (39.099 euro) e nelle altre realtà prese in esame; simile a quello italiano si presenta invece il caso della Spagna. 

Questo divario non si riduce neanche nelle retribuzioni nette relative ad alcune tipologie familiari considerate dall’OCSE. 

La pressione fiscale sui salari e il cuneo fiscale sul costo del lavoro non producono alcun riequilibrio per l’Italia. 

sabato 12 gennaio 2019

Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  Maurizio Donato


Da: https://mrzodonato.wordpress.comhttps://pungolorosso.wordpress.comhttp://www.antiper.org -
maurizio donato è un economista italiano.

Trovate qui di seguito un articolo dell’economista Maurizio Donato dell’università di Teramo sull’impoverimento della popolazione lavoratrice e la questione dell’euro. Quest’articolo sferra un bel colpo alla tesi dei “sovranisti di sinistra” secondo cui è stato l’euro a far impoverire i lavoratori abbassando il potere d’acquisto dei salari. Dati alla mano, Donato mostra come il fatto dell’impoverimento relativo e assoluto di chi vive e lavora in Italia sia cominciato ben prima dell’introduzione dell’euro nel 1999. L’impoverimento è iniziato nella seconda metà degli anni Settanta ed è stato particolarmente forte proprio nel periodo che va dalla meta’ degli anni Settanta fino al 1999, con la lira come moneta. In altri termini, Donato mostra come additare l’euro come causa dell’impoverimento “serv[a] a nascondere l’aumento dello sfruttamento” da parte della classe capitalistica: questa è la causa del peggioramento delle condizioni di vita e lavoro,  non il cambio della moneta. Non all’euro bisogna guardare, ma alla necessità del capitale, italiano e globale, di contrastare la caduta tendenziale del saggio di profitto, e in particolare alla necessità dei capitalisti italiani di restare competitivi in un mercato mondiale in cui si è fatta insidiosa la concorrenza della Cina e altri colossi, puntando molto sulla riduzione dei salari. [Pungolorosso] 



L’impoverimento assoluto e relativo di chi vive e lavora in Italia è un fenomeno reale, evidenziabile da numerosi indicatori relativi alla dinamica del reddito pro-capite, dei salari nominali, dei salari reali in riferimento alla produttività del lavoro, della quota del lavoro sul PIL. Non emergono, al contrario, evidenze empiriche che possano mettere tali dinamiche in rapporto all’introduzione dell’euro, dal momento che la compressione dei redditi da lavoro è cominciata molto tempo prima del 1999. 

domenica 24 marzo 2013

Fatica sprecata. Produttività e salari in Europa. - Maurizio Donato -


"[...] prescindendo da un giudizio sulla possibilità e sulla desiderabilità di un ulteriore aumento della produttività, è possibile sostenere che:

1. La produttività del lavoro, e dunque il livello di sviluppo raggiunto dalle forze produttive, è storicamente alta, anzi altissima, in occidente e dunque nei paesi europei capitalisticamente sviluppati;

2.. La circostanza per cui in un determinato periodo la produttività sia cresciuta in un gruppo di paesi più che in un altro può dipendere dagli investimenti in innovazioni tecnologiche, da scelte (o non scelte) politiche e strategiche, dalla dimensione media o dalla specializzazione settoriale delle imprese che operano in un determinato paese;

3... Che una maggiore produttività si traduca in più alti salari è una evidenza che non esiste a livello empirico, mentre tipicamente accade il contrario: un maggiore valore aggiunto prodotto per lavoratore occupato, anche a voler prescindere dei suoi “sbocchi”, in particolare nelle fasi in cui la domanda internazionale è debole, corrisponde da molti anni a questa parte a una minore e più precaria occupazione che a sua volta si traduce in una maggiore competizione sul mercato del lavoro che indebolisce la lotta per aumenti salariali.

4. La crisi non colpisce tutte le classi sociali allo stesso modo: la quota di salari diminuisce e quella destinata ai profitti cresce"

Leggi tutto: http://www.sinistrainrete.info/teoria-economica/2656-maurizio-donato-fatica-sprecata-produttivita-e-salari-in-europa.html.

martedì 8 settembre 2015

Il valore della forza-lavoro - Maurizio Donato

Da: https://mrzodonato.wordpress.com - Maurizio Donato insegna Economia politica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo.


Nello studio dell’economia politica, sia che si faccia riferimento alla tradizione classica che ad altre prospettive teoriche, ci si imbatte in variabili che si presentano in  forma monetaria – pensiamo ai prezzi – assieme ad altre che assumono una dimensione non monetaria ma – per così dire – fisica, per  esempio la disoccupazione.
Questo non è difficile da comprendere. Le cose cambiano quando le due forme si presentano “assieme”. Cioè quasi sempre.
Se noi scriviamo
[2] v = L * w
stiamo esprimendo il capitale variabile come prodotto tra il numero dei lavoratori salariati e il salario unitario loro corrisposto. Essendo il prodotto tra una grandezza fisica (il numero dei lavoratori) e una monetaria (il salario) il risultato è una grandezza esprimibile in termini di valore che comprende in sé entrambe le categorie, nel nostro caso la massa salariale corrisposta al totale dei lavoratori. Così se si modifica v, per esempio se cresce, noi non possiamo sapere a priori se questo aumento è dovuto al numero dei lavoratori cresciuto a salario invariato, a un aumento di salario corrisposto allo stesso numero di lavoratori o a una qualche combinazione di questi fattori.
La questione si “complica” (ma solo un po’) se ammettiamo che le stesse forme di espressione delle categorie possano cambiare nel corso del tempo; per esempio il capitale variabile v, dopo essere transitato (di solito per poco tempo..) nelle tasche dei lavoratori, si trasforma in merci fisiche che, a loro volta, si trasformano nella materialissima  nostra esistenza o sopravvivenza.
E’ una trasformazione, questa ultima, in energia psico-fisica,  e questo è chiaro perché fa parte della nostra esperienza quotidiana: assumiamo cibo, acqua, aria, cultura e di questi elementi – trasformati – ci nutriamo. 

venerdì 12 settembre 2014

Produttività e salari in Europa - Maurizio Donato


1. La produttività del lavoro, e dunque il livello di sviluppo raggiunto dalle forze produttive, è storicamente alta, anzi altissima, in occidente e dunque nei paesi  europei capitalisticamente sviluppati;

2..  La circostanza per cui in un determinato periodo la produttività sia cresciuta in un gruppo di paesi più che in un altro può dipendere dagli investimenti in innovazioni tecnologiche, da scelte (o non scelte) politiche e strategiche, dalla dimensione media o dalla specializzazione settoriale delle imprese che operano in un determinato paese;

3... Che una maggiore produttività si traduca in più alti salari è una evidenza che non esiste a livello empirico, mentre tipicamente accade il contrario: un maggiore valore aggiunto prodotto per lavoratore occupato, anche a voler prescindere dei suoi “sbocchi”, in particolare nelle fasi in cui la domanda internazionale è debole, corrisponde da molti anni a questa parte a una minore e più precaria occupazione che a sua volta si traduce in una maggiore competizione sul mercato del lavoro che indebolisce la lotta per aumenti salariali.

4.... La crisi non colpisce tutte le classi sociali allo stesso modo: la quota di salari diminuisce e quella destinata ai profitti cresce.

 

Non c’è dubbio che le aree valutarie siano uno strumento ottimale per scaricare la crisi sul salario. In un sistema di cambi flessibili, se le imprese localizzate in un determinato paese sperimentano un deficit di competitività, possono tentare di riguadagnare quote di mercato (ovviamente a spese di imprese localizzate in un paese diverso, è da non dimenticare che si tratta in questo caso di un tipico gioco a somma zero) utilizzando la leva del cambio. Come è noto, una riduzione del valore della valuta nazionale – coeteris paribus – può aiutare le imprese esportatrici a vendere di più all’estero; si tratta di manovre che storicamente le autorità monetarie e i governi hanno attuato e che anche oggi rappresentano un’arma importante nella competizione tra aree valutarie transnazionali. Con una sola valuta continentale che sostituisce quelle nazionali, la manovra non è evidentemente utilizzabile per riaggiustare differenziali di competitività interni all’area stessa, obiettivo che in questo caso si può realizzare solo attraverso manovre di “deflazione interna”, ossia scaricando il costo della crisi su chi lavora nei paesi che stanno perdendo competitività.
 

sabato 22 maggio 2021

Marx: il capitale come feticcio automatico, e il capitale come rapporto sociale - Riccardo Bellofiore

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info)


IL LAVORO NELLA RIFLESSIONE ECONOMICO-POLITICA 
Ciclo di lezioni aperte al pubblico del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società. promosso da Casa della cultura e Università degli Studi Milano-Bicocca 


                                               Seconda lezione:
                                                                           

Per una lettura di Marx - Stefano Garroni 


lunedì 24 agosto 2015

Lavoro astratto e feticismo - Maurizio Donato


“Dapprima la merce ci si è manifestata come un qualcosa di duplice, valore d’uso e valore di scambio. Ci si è mostrato poi che anche il lavoro, nella misura in cui è espresso nel valore, non possiede più le stesse caratteristiche che gli competono come produttore di valori d’uso. Questa duplice natura del lavoro contenuto nella merce è stata da me per primo indicata in maniera critica. .. Questo è il punto cruciale attorno al quale ruota la comprensione dell’economia politica” (K. Marx)


 Ora, la domanda che ci stiamo ponendo è: può il lavoro astratto che diventa valore, pur essendo una categoria teorica, avere una determinazione direttamente quantitativa, cioè assumere una grandezza determinata? E, se sì, a che “prezzo”? La risposta di Marx appare positiva: il prodotto del lavoro, le merci, non solo acquisiscono la forma sociale di valore, ma valore di una determinata grandezza.

 E’ un passaggio che possiamo semplificare così: se sono in grado di pensare che il valore di una merce dipende dal tempo di lavoro, posso anche chiedermi: quanto valore?

 che significa – per il valore, ma non solo – essere una “grandezza sociale”?

 Supponiamo – con Isaak Rubin – che una comunità futura debba decidere come, e di conseguenza quanto, valutare il lavoro delle persone. Si potrebbe essere d’accordo nel valutare che una giornata lavorativa di un operaio non qualificato valga (ad es.) 1 e una giornata lavorativa di un operaio qualificato 3, una giornata lavorativa di un operaio esperto ne valga 2 di uno non esperto e così di seguito. Significherebbe questo che “realmente” un certo lavoratore, più qualificato o più esperto, lavora più ore di un altro meno qualificato o meno esperto? Evidentemente no. Dal punto di vista delle ore concrete di lavoro effettuate, è ben possibile che siano le stesse o che i lavoratori più esperti o più qualificati lavorino meno dei loro compagni. Il significato di una tale convenzione indica che la quantità di “lavoro sociale” A è maggiore, cioè è valutata più, della quantità di lavoro sociale di B.

 Si tratta di “contabilità sociale” che ha ad oggetto unità di massa omogenea di lavoro la cui metrica è ordinata con criteri politici da parte di un organismo sociale. Si tratta, in poche parole, di grandezze sociali nello stesso senso in cui il valore, lavoro “congelato”, “gelatina di lavoro umano omogeneo”, è espressione materiale, reale non meno che ideale, del lavoro sociale nella forma specifica che il lavoro possiede in una economia mercantile e capitalistica, cioè lavoro astratto.

 In questo senso lavoro astratto e valore non hanno solo una espressione qualitativa, ma anche quantitativa, una determinata grandezza, nello stesso senso in cui il lavoro sociale computato dagli organi di una comunità futura ha una grandezza determinata.

 Per Marx le relazioni sociali di produzione tra le persone sono espresse in forma materiale. Provate a scomporre e ricomporre questa frase così: la forma materiale nasconde rapporti sociali. In questo senso il salario, in qualsiasi forma appaia: monetaria o reale, è un rapporto sociale. Il capitale è un rapporto sociale, in qualsiasi forma si presenti. 

sabato 16 agosto 2014

La relazione nascosta - Maurizio Donato - Sulla natura materiale del salario e dello sfruttamento


“La maggiore divisione del lavoro rende capace un operaio di fare il lavoro di cinque, di dieci, di venti; essa aumenta quindi di cinque, di dieci, di venti volte la concorrenza fra gli operai. Gli operai si fanno concorrenza non soltanto vedendosi più a buon mercato l’uno dell’altro; essi si fanno concorrenza nella misura in cui uno fa il lavoro di cinque, di dieci, di venti, e la divisione del lavoro, introdotta dal capitale e sempre accresciuta, costringe gli operai a farsi questo genere di concorrenza. [..] Noi vediamo dunque che, se il capitale cresce rapidamente, cresce in modo incomparabilmente più rapido la concorrenza fra gli operai, cioè sempre più diminuiscono proporzionalmente i mezzi di occupazione, i mezzi di sussistenza per la classe operaia e ad onta di ciò il rapido aumento del capitale è la condizione più favorevole per il lavoro salariato.” (K. Marx - Lavoro salariato e capitale)

 La concorrenza tra i lavoratori, funzione crescente del tasso di disoccupazione e di precarietà, influenza negativamente il livello del salario favorendo comportamenti e dispositivi istituzionali che, nell’illusione di creare situazioni più favorevoli a un ampliamento dell’occupazione, finiscono inevitabilmente per ampliare la contraddizione per cui lo stesso elemento che da un lato costituisce un costo da ridurre è contemporaneamente domanda da ampliare. Questa contraddizione, tipica del modo capitalistico di produzione, rivela i suoi effetti in maniera più eclatante nei periodi di crisi.


giovedì 7 febbraio 2019

Per una sovranità democratica e popolare. Cioè costituzionale. L’ultimo libro di Alessandro Somma: “Sovranismi” - Vladimiro Giacché -

Da: http://www.marx21.it - Vladimiro Giacché è un economista italiano. - alessandro-somma è professore ordinario di diritto comparato nell’Università di Ferrara.
Vedi anche: La Costituzione italiana e i trattati europei: convivenza possibile?*- Vladimiro Giacché 
Leggi anche: L'Europa e le false credenze della Sinistra - Alessandro Somma
     "       "    : Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  Maurizio Donato
 

"Quando un regno è condotto verso l'abisso da bande di briganti che si sono impadronite del governo, coloro che predicono la fine trovano scarso credito per le seguenti ragioni: i grandi regni hanno in sé qualcosa di durevole già per la loro stessa grandezza. La vita in piccolo continua al solito modo, i panettieri vendono il pane, si stampano libri, escono i giornali, si celebrano matrimoni, si seppelliscono i morti, si costruiscono case. In tutto ciò è ancora all'opera la ragione. L'osservatore spera quindi, senza cercare di rendersi esattamente conto della questione, che questa grande riserva di ragione, questa collaudatissima attività quotidiana, debba pure rimediare ai tratti demenziali dei reggitori. Questi tratti demenziali desumono da ciò una parvenza di plausibilità, di ragione addirittura." (B. Brecht, Me-ti libro delle svolte)

E già... Ma questo potrebbe valere in grande per l'UE e in piccolo per ogni singolo Stato... 
(il collettivo)



Poche parole hanno conosciuto un improvviso boom negli ultimi anni come i termini “sovranismo” e “sovranisti”. Di queste parole, ormai onnipresenti nel nostro dibattito politico, chi compulsasse i quotidiani anche solo di due-tre anni non troverebbe quasi traccia. E francamente di un’altra parola-contenitore di incerto significato, oltretutto in genere adoperata come etichetta denigratoria e dispregiativa, proprio non si sentiva la mancanza.

Un motivo in più per apprezzare l’ultimo libro di Alessandro Somma, “Sovranismi. Stato, popolo e conflitto sociale” (Roma, Derive/Approdi, 2018), dedicato precisamente al compito di risalire ai diversi significati che oggi assume il concetto di “sovranità”, al quale quello di “sovranismo” confusamente allude, e i limiti ai quali è sottoposto nel contesto dell’Unione Europea. Al termine di questa disamina, l’autore descrive nell’ultimo capitolo i compiti e gli obiettivi di un “sovranismo democratico” che voglia porsi all’altezza delle sfide del presente.

Prima di procedere a un esame sommario dei contenuti di questo testo, la cui facilità di lettura - un pregio ben noto ai lettori dei libri di Alessandro Somma - non deve trarre in inganno (i temi trattati infatti sono molti, importanti e molto ben approfonditi), devo premettere che mi occuperò qui della linea argomentativa che mi pare centrale, mentre per motivi di spazio dovrò lasciare ai lettori del libro il piacere di scoprire numerosi altri temi importanti. 

Il testo parte da un assunto forte sulla fase che stiamo vivendo: “L’epoca attuale è indubbiamente caratterizzata dal rigetto del mercato autoregolato e del processo di denazionalizzazione che ha accompagnato la sua affermazione”. Un rigetto che non si verifica oggi per la prima volta: il rifiuto del mercato autoregolato quale fondamento della società si ebbe tra la prima e la seconda guerra mondiale, e diede luogo a esperienze sociali e politiche radicalmente diverse tra loro quali l’Unione Sovietica e i fascismi. Dopo la seconda guerra mondiale, l’esigenza di una regolamentazione del mercato si tradusse in una rottura con la tradizione liberista che si realizzò da un lato nella drastica limitazione dei movimenti di capitale conseguente agli accordi di Bretton Woods, dall’altro nella costruzione - anche all’interno del mondo capitalista - di strutture sociali e politiche di redistribuzione della ricchezza che facessero da contrappeso al naturale squilibrio a favore del capitale dei rapporti capitale/lavoro ove lasciati a meri meccanismi di mercato (il cosiddetto “compromesso keynesiano” tra capitale e lavoro). 

giovedì 6 agosto 2015

L’astrazione - Maurizio Donato


   Partiamo dallo studio di alcune categorie molto generali, astratte, per capire meglio le relazioni economiche concrete, sapendo che tali categorie (la merce, il valore, il capitale, il denaro, lo sfruttamento) sono “relazioni astratte di una totalità vivente e concreta già data“.
E’ un metodo logico, e noi adotteremo il metodo logico e il metodo storico. Andremo continuamente “avanti e indietro”. A quale scopo? Proviamo a porci una domanda: qual è il modo migliore per ricostruire lo sviluppo delle diverse forme economiche che ha assunto la società umana? Come possiamo capire meglio la natura del capitalismo?

   Marx, a un certo punto del suo discorso, tira fuori una delle sue frasi famose: “L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia”. Perché gli animali?  vi chiederete. E’ che mentre Marx scrive il Capitale, un altro scienziato, Charles Darwin, sta scrivendo la sua celeberrima opera sull’evoluzione. Darwin manda poi una copia del suo libro a Marx che lo stima e sa bene quanto la questione dell’evoluzione sia importante non solo per le scienze naturali, ma pure per le scienze sociali. Eppure – notate la differenza – Marx non crede che sia possibile dall’anatomia della scimmia ricavare insegnamenti utili a comprendere l’anatomia umana: pensa – in un certo senso  – al contrario.

   “Ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta. L’economia borghese fornisce quindi la chiave di quella antica ecc. In nessun caso però procedendo al modo degli economisti che cancellano tutte le differenze storiche e in tutte le forme della società vedono la società borghese“. 

sabato 16 gennaio 2016

Immigrati, diseguaglianza, istruzione* - Maurizio Donato

*Da:  https://mrzodonato.wordpress.com/

Come è noto agli economisti e agli statistici, ci sono diversi modi di intendere la diseguaglianza economica, e di conseguenza differenti indici per misurarla. Se prendiamo in considerazione le due definizioni più importanti, quella di diseguaglianza interna ai singoli paesi e quella tra i paesi, è la seconda quella che ci mostra gli indicatori più significativi. Nascere e crescere in un paese piuttosto che in un altro fa la differenza maggiore, più che nascere e crescere relativamente povero o ricco rispetto agli altri abitanti dello stesso paese. Fondamentalmente è per questa ragione che molte persone emigrano, a parte le guerre e le dittature che naturalmente contano, eccome.

Molte è un aggettivo poco qualificativo: diciamo che all’incirca il 97% degli abitanti del pianeta Terra rimane a vivere nel paese in cui è nato. In un suo recente lavoro di ricerca, Branko Milanovic1 propone di ordinare i redditi degli abitanti di un paese confrontandoli con quello degli abitanti del Congo, il paese statisticamente riconosciuto come il più povero del mondo; nascere, vivere e restare in Congo costituisce uno “svantaggio economico” rispetto al quale una persona che vive negli Stati Uniti di America gode di una sorta di “premio di cittadinanza” che vale in media il 355%, il 329% se vivi in Svezia, la metà – ma è ancora il 164% - se si tratta del Brasile, del 32% se stai nel relativamente povero Yemen.

Concentrarsi su questa misura è dunque molto utile nei confronti internazionali, anche se non andrebbe dimenticata l’altra dimensione della diseguaglianza economica, quella interna a ogni singolo paese. Se prendiamo in esame i redditi dell’ultimo decile della popolazione (i più poveri di ogni singolo paese) vediamo che il “premio” a cui si riferisce Milanovic conta di più in alcuni casi – come la Svezia in cui sale al 367% - e meno per altri: nei confronti del Brasile il premio si “riduce” al 133%. I valori si ribaltano se prendiamo in esame il novantesimo decile (i più ricchi): il vantaggio di essere ricchi in Svezia è “solo” del 286%, mentre essere ricco in Brasile vale il 188%.

domenica 9 agosto 2015

Le categorie fondamentali - Maurizio donato




   Prendiamo l’incipit del Capitale, le parole con cui si apre il primo capitolo: “La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una immane raccolta di merci e la merce singola si presenta come sua forma elementare.” Analizziamo il testo parola per parola... 




sabato 15 agosto 2015

Il valore delle merci - Maurizio Donato


    “La geometria euclidea ha svolto una funzione essenziale nell’insegnamento scientifico per il suo uso del metodo dimostrativo, cioè perché consiste in “teoremi”, ma anche e soprattutto per l’evidenza della sua natura di “modello” di situazioni concrete facilmente rappresentabili. È evidente infatti che i punti, i segmenti, i triangoli e gli altri enti di cui si occupa un manuale di geometria non sono oggetti concreti, ma è altrettanto evidente che la possibilità di disegnare delle figure concrete, che “approssimano” quelle ideali oggetto della matematica, fornisce un grande aiuto all’intuizione e una chiave essenziale per le applicazioni della teoria. Studiando la geometria euclidea ci si abitua quindi (è questo il punto essenziale!) a usare “enti teorici”, analizzabili con rigore, per descrivere utilmente oggetti concreti, senza confondere gli uni con gli altri.”  (Lucio Russo)

    Merce, valore, capitale, plusvalore: categorie, assieme ad altre che introdurremo più avanti, la cui comprensione chiara renderà agevole seguire la logica del modello. Ricordando che queste note non sostituiscono in alcun modo lo studio del testo, ma ne costituiscono solo una introduzione, una guida alla lettura, facciamo un passo avanti per quanto riguarda l’importanza dell’utilizzo del metodo astratto basato sulle categorie. 

domenica 30 agosto 2015

Il denaro è tempo. Trasformato. - Maurizio Donato


 "La natura stessa della circolazione delle merci genera un’apparenza opposta:
la metamorfosi è visibile solo come movimento del denaro.
La merce non percorre più nella sua pelle naturale
la seconda metà della circolazione, ma nella sua pelle d’oro." [Karl Marx, Il capitale]

Il denaro è pertanto una forma fenomenica che riflette le relazioni di tutte le altre merci, ma anche i “rapporti umani nascosti dietro di essa”. In tal senso, nella sua materialità incarnata in oro, argento o moneta si attua la sua “magia”: scompare il lavoro umano e le modalità storico-sociali della sua realizzazione, lasciando al suo posto il “feticcio che abbaglia l’occhio”. Solo l’occhio della mente riesce quindi a cogliere sempre la sua reale sostanza di lavoro sociale umano cristallizzato, a eliminare l’arcano dovuto all’atomizzazione dei rapporti di produzione, e ristabilire il libero dominio sulla storia.

 “.. il valore è sostanza di rapporti reali che si fa forma: ma per diventare forma – forma di valore – la sostanza appare come grandezza. Per Marx, dunque, partendo dalla sostanza di valore, la grandezza costituisce un primo passaggio, che è necessario in un ben determinato gruppo di problemi ma non in altri.. Deve poi “mutare forma” – cioè “trasfor­marsi” (letteralmente e semanticamente) – nelle varie e successive “forme di valore”: dalla forma “semplice” (“semplice” hegelianamente), alla forma “monetaria” che è poi il prezzo, in tutte le sue differenti accezioni."  (Gianfranco Pala, Il valore della teoria, Roma, 2003)

 “Il medesimo capitale appare in una duplice caratteristica. Ma esso non opera che una volta e ugualmente non produce il profitto che una vol­ta. Come poi le persone che hanno diritto a questo profitto se lo ripartisca­no, è una questione in sé e per sé puramente empirica, che appartiene al regno della casualità” [Capitale, III, cap.22].

nel primo stadio dell’analisi, quello – tipico del I libro del Capitale – cui ci riferiamo, non compaiono i prezzi perché – in un certo senso – non ce n’è bisogno. Il livello di astrazione è quello che si riferisce al capitale in generale; quando invece e se si volesse scendere al livello in cui studiare come i singoli capitali si fanno concorrenza tra loro, allora apparirebbe necessario introdurre la categoria dei prezzi. 

martedì 26 novembre 2019

Accumulazione di capitale e ruolo dell’innovazione - Maurizio Donato

Da: https://www.economiaepolitica.it - Maurizio DonatoUniversità di Teramo, è un economista italiano - https://mrzodonato.wordpress.com/



Accumulazione Capitale Marx | Nel primo trimestre del 2019 il ‘valore’ mondiale delle obbligazioni a tassi negativi è tornato ad avvicinarsi ai livelli massimi toccati nell’estate del 2016. Da allora, a riportare in alto i tassi nominali spingendo al rialzo anche i rendimenti delle obbligazioni è stata unicamente la ripresa nelle aspettative di inflazione. Questo obiettivo, una maggiore inflazione, è stato al centro dell’impegno delle banche centrali che dal 2009 hanno iniettato quasi 20mila miliardi di dollari attraverso numerose politiche espansive. Ma evidentemente una politica monetaria pure ultra-accomodante non serve o non basta: i problemi dell’economia sono ‘reali’

Fig. 1 Rendimento dei BUND tedeschi a 10 anni
Secondo gli economisti del periodo classico, affinché possa ripartire il meccanismo di accumulazione, una parte significativa del capitale in eccesso sulle possibilità medie di valorizzazione deve essere svalutato o distrutto, non solo capitale nella sua forma monetaria, ma capitale costante, merci nella loro duplice natura di valori d’uso e valore tout-court, e capitale variabile, la forza-lavoro pagata al suo valore, la cui svalutazione continua sta comportando conseguenze almeno altrettanto paradossali e ben più tragiche dei tassi di interesse negativi.

Non performing capital

martedì 7 febbraio 2017

Salario, concorrenza e mercato mondiale*- Maurizio Donato**

*Da:   https://mrzodonato.wordpress.com/ 
** Facoltà di Giurisprudenza, Università di Teramo, aprile 2015.



“Nel commercio mondiale le merci dispiegano universalmente il loro valore. Dunque, la loro forma autonoma di valore si presenta qui, di fronte ad esse, ovviamente come denaro mondiale. Solo sul mercato mondiale il denaro funziona in pieno come quella merce la cui forma naturale è allo stesso tempo forma immediatamente sociale di realizzazione del lavoro umano in abstracto. Il suo modo di esistenza diventa adeguato al suo concetto”. Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, terzo capitolo, pagg. 171-2 dell’edizione Einaudi, 1978.


Secondo la teoria marxiana del valore-lavoro, il valore di una merce dipende dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla; essendo la forza-lavoro una merce, anche il suo valore è determinato allo stesso modo. Se vogliamo esprimere lo stesso concetto facendo riferimento alla forma monetaria del valore, possiamo dire che il valore della forza-lavoro umana è determinato dal valore delle merci di sussistenza necessarie a produrla e riprodurla. L’aumento della forza produttiva del lavoro reso possibile dalle innovazioni tecnologiche riduce il tempo di lavoro necessario a produrre anche le merci di sussistenza, e dunque – per questa via – il valore della forza-lavoro tende necessariamente a ridursi.

Come è noto, non solo questo prezioso elemento di analisi, ma l’intera struttura logica del I libro del Capitale si situano a un livello di astrazione molto alto, nel senso che il metodo di Marx – nel complesso lavoro di scrittura del I volume – era rivolto a concentrarsi sugli elementi e sulle tendenze di fondo del processo di produzione del capitale, prescindendo completamente – e volutamente – dalle “perturbazioni” di un modello costruito sulle sue linee generali, riservando ad altre occasioni il compito di “ridurre” il livello di astrazione dell’analisi, per tener conto di elementi ugualmente importanti ma con un grado inferiore di generalizzazione.

Da questa prospettiva l’elemento del mercato mondiale è presente – come concetto – da subito nel modello marxiano che già nel terzo capitolo del I libro, dedicato al denaro come forma di valore delle merci, intitola un paragrafo “denaro mondiale”. Ma in che senso era da intendersi allora e oggi l’espressione “mercato mondiale”?

Se è senz’altro corretto assumere la categoria di “mercato mondiale” a un livello di astrazione alto, non si possono ignorare o sottovalutare le profonde differenze, le vere e proprie stratificazioni di cui il mercato mondiale è stato ed è ancora composto a partire dalle condizioni generali della produzione e dunque anche – necessariamente – in riferimento al salario. Senza cercare di ripercorrere la storia dei differenziali salariali mondiali, va almeno tenuto presente che attorno alla metà degli anni ’90 i lavoratori specializzati dei paesi più ricchi del mondo guadagnavano in media sessanta volte di più dei lavoratori appartenenti al gruppo più povero, i braccianti dell’Africa subsahariana.