lunedì 24 agosto 2015

Lavoro astratto e feticismo - Maurizio Donato


“Dapprima la merce ci si è manifestata come un qualcosa di duplice, valore d’uso e valore di scambio. Ci si è mostrato poi che anche il lavoro, nella misura in cui è espresso nel valore, non possiede più le stesse caratteristiche che gli competono come produttore di valori d’uso. Questa duplice natura del lavoro contenuto nella merce è stata da me per primo indicata in maniera critica. .. Questo è il punto cruciale attorno al quale ruota la comprensione dell’economia politica” (K. Marx)


 Ora, la domanda che ci stiamo ponendo è: può il lavoro astratto che diventa valore, pur essendo una categoria teorica, avere una determinazione direttamente quantitativa, cioè assumere una grandezza determinata? E, se sì, a che “prezzo”? La risposta di Marx appare positiva: il prodotto del lavoro, le merci, non solo acquisiscono la forma sociale di valore, ma valore di una determinata grandezza.

 E’ un passaggio che possiamo semplificare così: se sono in grado di pensare che il valore di una merce dipende dal tempo di lavoro, posso anche chiedermi: quanto valore?

 che significa – per il valore, ma non solo – essere una “grandezza sociale”?

 Supponiamo – con Isaak Rubin – che una comunità futura debba decidere come, e di conseguenza quanto, valutare il lavoro delle persone. Si potrebbe essere d’accordo nel valutare che una giornata lavorativa di un operaio non qualificato valga (ad es.) 1 e una giornata lavorativa di un operaio qualificato 3, una giornata lavorativa di un operaio esperto ne valga 2 di uno non esperto e così di seguito. Significherebbe questo che “realmente” un certo lavoratore, più qualificato o più esperto, lavora più ore di un altro meno qualificato o meno esperto? Evidentemente no. Dal punto di vista delle ore concrete di lavoro effettuate, è ben possibile che siano le stesse o che i lavoratori più esperti o più qualificati lavorino meno dei loro compagni. Il significato di una tale convenzione indica che la quantità di “lavoro sociale” A è maggiore, cioè è valutata più, della quantità di lavoro sociale di B.

 Si tratta di “contabilità sociale” che ha ad oggetto unità di massa omogenea di lavoro la cui metrica è ordinata con criteri politici da parte di un organismo sociale. Si tratta, in poche parole, di grandezze sociali nello stesso senso in cui il valore, lavoro “congelato”, “gelatina di lavoro umano omogeneo”, è espressione materiale, reale non meno che ideale, del lavoro sociale nella forma specifica che il lavoro possiede in una economia mercantile e capitalistica, cioè lavoro astratto.

 In questo senso lavoro astratto e valore non hanno solo una espressione qualitativa, ma anche quantitativa, una determinata grandezza, nello stesso senso in cui il lavoro sociale computato dagli organi di una comunità futura ha una grandezza determinata.

 Per Marx le relazioni sociali di produzione tra le persone sono espresse in forma materiale. Provate a scomporre e ricomporre questa frase così: la forma materiale nasconde rapporti sociali. In questo senso il salario, in qualsiasi forma appaia: monetaria o reale, è un rapporto sociale. Il capitale è un rapporto sociale, in qualsiasi forma si presenti. 

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