domenica 23 agosto 2015

AUTONOMIA PROLETARIA, Critica della politica - Enzo Modugno

Insomma, democratici o no, al pensiero politico l'equazione «legge-volontà popolare» non riesce, proprio come non riesce a Smith l'equazione valore-lavoro: questi ne conclude che la legge del valore-lavoro contenuto non regola il modo di produzione di merci; quelli che il principio dell'autodeterminazione non si realizza nello Stato moderno rappresentativo.
Il che è certamente vero se si considera la classe operaia e il suo interesse ad abolire gli attuali rapporti di produzione.
Ma non è vero se si considerano operai e capitalisti come agenti dello scambio, il cui interesse consiste nel far rispettare la libertà e l'uguaglianza, ecc. È in questi rapporti che «cerca scampo» lo Stato moderno rappresentativo, che in questo senso è veramente lo Stato dell'autodeterminazione del popolo: solo che le difficoltà che contrastano l'autodeterminazione sono le difficoltà stesse della volontà; è l'esistenza stessa di questa «volontà» - che porta segnata in fronte la sua appartenenza ad individui isolati che scambiano le loro merci - ad indicare che la sua autodeterminazione non potrà realizzarsi che come volontà di garantire i rapporti di scambio.
Cioè come volontà di tenere in piedi uno Stato a garanzia delle leggi della circolazione. Il lavoratore può davvero esprimere la sua volontà: ma può essere solo la volontà di un individuo che scambia la sua merce sul mercato, e come tale il suo interesse è che venga venduta al suo valore, che venga rispettata l'uguaglianza e la libertà, ecc., ecc. Ciò che tiene unito lo Stato, scrive Hegel, non è la forza, ma «unicamente il sentimento fondamentale dell'ordine, che tutti hanno». Questa e solo questa è la volontà che può essere espressa: la volontà della persona isolata (abbiamo visto che il partito non modifica questo isolamento), dell'agente dello scambio.
Cioè una volontà uguagliata, astratta; quando comprano la stessa merce, operaio e capitalista sono uguali. Ed è questa volontà che può/deve diventare generale. E se è come agenti del mercato che possono essere uguali, è dunque solo in questa sfera che si possono equiparare le volontà. Se si presentassero come agenti dell'altra sfera, della produzione, l'uguaglianza verrebbe cancellata, non sarebbero più comparabili, non si arriverebbe mai a una legge. Dunque non la volontà di agente della produzione, ma solo quella di agente dello scambio può essere uguagliata.
 La possibilità di questo uguagliamento è la possibilità stessa dello Stato moderno.
 La legge dunque è l'espressione della volontà dei proprietari privati e indipendenti, condizionata dai loro interessi comuni.
[...]
E non si tratta della mancanza di una linea rivoluzionaria. «Il potere sopprime la libertà degli operai così come il capitale» afferma Marx nel 1871; a) movimento economico e b) azione politica, sono «indissolubilmente uniti » (IX risoluzione della Conferenza di Londra del 1871).
 a) Finché il lavoro si cristallizza nelle merci, è in questa forma che i proletari possono riappropriarsene; ma nello stesso tempo essi comprendono che fin quando il prodotto del lavoro si presenterà in forma di merce sarà impossibile una effettiva riappropriazione. Dunque lotta salariale ma nello stesso tempo lotta contro il lavoro salariato, contro il rapporto di produzione capitalistico, contro la produzione di merci.
 b) finché la società esprimerà un potere politico, i proletari dovranno lottare per riappropriarsene, ma nello stesso tempo essi comprendono che fin quando «la forza sociale si separa nella figura della forza politica, non sarà possibile nessuna emancipazione umana»(Marx, Questione ebraica).
Queste cose erano già chiare cento anni fa. Il problema che si pone dunque non è quello della linea rivoluzionaria, bensì quello di capire perché per esempio la socialdemocrazia tedesca, che al tempo della sua fondazione queste cose le sapeva benissimo, ha seguito poi un'altra strada. La sua storia non può essere spiegata con i «tradimenti» e gli «errori» (Questo modo di procedere somiglia alla pretesa di spiegare la storia dei rapporti di produzione come «una falsificazione malignamente organizzata dai governi»). Né la si può spiegare mettendola sul conto della «burocrazia»: bisognerebbe spiegare il perché della burocrazia.
D'altra parte ad impedirne il destino non basta la buona volontà dei dirigenti, per quanto essi soggettivamente possano elevarsi al di sopra dei rapporti che li determinano.

È a questi rapporti che bisogna guardare, alla «struttura istituzionale» di questi partiti.

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