domenica 23 agosto 2015

Le origini dell’ondata populista in Italia - Aldo Giannuli


   Il movimento di tipo populista cerca in primo luogo un capo carismatico capace di portarlo alla vittoria, un’incarnazione dello spirito di rivolta, sottratto alle alchimie partitiche. Nello stesso tempo, il leader carismatico agisce da “riduttore di complessità”, rispondendo anche all’ esigenza di forte semplificazione della politica. Il populismo aspira a portare i problemi “al livello del popolo” che ritiene educato quanto basta a capire l’essenza dei problemi, delegando il dettaglio tecnico a quanti il “Capo” designerà a questo scopo. In un certo senso, il “tecnico” (inteso come depositario di un sapere esclusivo che determina la scelta politica) è ancora più del “politico” il nemico da battere, per cui le questioni vanno spogliate dalla loro complessità, ridotte nei termini più “semplici” e decise, affidando al tecnico un ruolo meramente esecutivo terminale. E spesso questa avversione al tecnico si accompagna ad una istintiva diffidenza verso l’intellettuale in genere (l’anti intellettualismo è una componente estremamente ricorrente del populismo).  

   Se la protesta del 1992-93 faceva ancora uso delle categorie politiche di destra e sinistra, quella attuale le respinge per reclamare la soggettività del “popolo” in quanto tale, che si presenta nella sua “unità” contro divisioni viste come funzionali solo agli interessi della classe politica. Ed in questo senso, quella attuale è una forma di populismo radicale, estraneo alla classe politica, assai poco incline alla mediazione.

   La classe politica della Seconda Repubblica, ha usato il populismo come strumento di raccolta del consenso, vellicando spesso gli umori antipolitici della società, ha distrutto o ridotto all’impotenza i corpi intermedi fra Stato e società (partiti, sindacati, associazionismo ecc.) non ha prodotto alcun materiale di cultura politica (riviste, centri studi, inchieste, convegni, grandi dibattiti politici ecc. sono  un lontano ricordo del passato di cui non c’è traccia alcuna nello scorso ventennio).

Per cui, se la classe politica della Prima Repubblica aveva –nel bene e nel male- condotto un’opera di alfabetizzazione politica delle classi popolari, socializzandole alla democrazia, quella  della Seconda hanno fatto una sorta di sistematica “anti pedagogia politica” che ha prodotto una spoliticizzazione di massa. 

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