lunedì 16 settembre 2013

La forma/valore - Capitale, libro 1, capitolo 1, §. 3. - Stefano Garroni -


Il testo inizia riproponendo la ben nota tesi marxiana a proposito dell’essenziale ambiguità della merce, in quanto tale.

Essa ha un duplice carattere: è oggetto utile e, dunque, è dotata di valore d’uso (Gebrauchswert); ma, per esser merce appunto, è anche contemporaneamente portatrice di valore (Wert).

Detto in breve, ciò significa che la merce ha sia una Naturalform, che una Wertform. Qui va subito notata una puntualizzazione di Marx.

In pieno contrasto con la rude oggettività sensibile delle merci in quanto corpi materiali (Warenkörper), neanche un atomo della loro naturale materialità (Naturstoff) entra nella oggettività  delle merci in quanto portatrici di valore/Wert.[1]

Dunque, la merce in quanto tale ha, nello stesso tempo (ma ovviamente secondo prospettive diverse), caratteristiche opposte, che sotto lo stesso profilo sarebbero esclusive l’una rispetto all’altra: per poter essere mera portatrice di valore in generale, la merce deve –come conditio sine qua non- avere addirittura un tipo determinato di valore, ovvero il valore d’uso.

.Ciò che conta notare di nuovo è che questa contraddittorietà di predicati (o qualità) la merce deve possederla nello stesso tempo.

Ciò non impedisce, tuttavia, un’altra osservazione: almeno a questo livello dell’analisi marxiana, in tanto una merce può essere portatrice di valore/Wert, in quanto entri sul mercato già essendo un valore d’uso/Gabrauchswert.

Dunque, la merce è –contemporaneamente (sincronicamente)- valore d’uso e valore; ma in tanto può esibire questa contemporaneità, in quanto è un valore d’uso che –dapprima- entri nel mercato, per trasformarsi lì in valore. Dunque, sincronia, ma anche diacronia.

Abbiamo già visto che la merce, in quanto portatrice di valore d’uso- ha una forma naturale (Naturalform), dunque, è un comune oggetto dell’esperienza sensibile.

In quanto però <cosa dotata di valore> (Wertding), in nessun modo la merce è oggetto di percezione.

Qui si potrebbe tentare un’ipotesi suggestiva: nel linguaggio dell’hegeliana Fenomenologia, il dominio della percezione si estende fino a comprendere tutto l’insieme delle scienze particolari; ovvero, la percezione occupa uno spazio, che dal pensiero comune giunge fino a coprire l’intero ‘sano intelletto’ .

Se Marx ha qui presente quest’uso hegeliano del termine percezione, allora egli non sta semplicemente dicendo che le qualità (storico-sociali!) del valore in quanto tale non sono oggetto di esperienza direttamente sensibile (che sarebbe osservazione al limite dell’ovvio); piuttosto sta dicendo che le armi del <sano intelletto> non bastano in realtà ad afferrare l’ambigua essenza della merce in quanto tale. E questa sarebbe un’affermazione certamente meno ovvia e meritevole di chiarimento. Cerchiamo di approfondire .

In tanto le merci posseggono –osserva Marx- oggettività di valore (Wert), in quanto esprimono quell’unità sociale, che è il lavoro umano. Dunque, l’oggettività di valore (Wert) è qualcosa di puramente sociale che, di conseguenza, può mostrarsi solo nel rapporto sociale di una merce con l’altra.

In altre parole, sappiamo che una merce può essere portatrice di valore (Wert) solo a condizione, che nel mercato entri in quanto valore d’uso (Gebrauchswert).

Ma un oggetto è valore d’uso, anche fuori del quadro di un’economia commerciale: dunque, una volta chiarito che la merce in quanto Wertform presuppone la merce in quanto Naturalform, possiamo tralasciare l’analisi di questa precondizione e soffermarci, invece, sull’altro lato della medaglia, vale a dire sul fatto che è nello scambio con altre merci –in questo senso, nel rapporto sociale con altre merci-, che risalta la figura del Wertding.

Detta forse più semplicemente, l’oggettività di valore/Wert esiste, in quanto rappresenta o esprime l’unità sociale <astratto lavoro umano>; quindi, l’oggettività di valore/Wert è qualcosa di puramente sociale; se è puramente sociale e se riguarda le merci, allora quell’oggettività dovrà apparire nella socialità delle merci, ovvero, nel loro relazionarsi l’una all’altra, dunque, nello scambio.

La forma/valore (Wertform), che è comune a tutte le merci e che è in aperto contrasto con il loro valore d’uso è la Geldform o forma di denaro: di qui uno scopo fondamentale della scrittura di Marx, ovvero dissolvere il mistero della forma-denaro, appunto (si ricordi che il § sulla Wertform è immediatamente seguito dall’analisi del carattere feticistico della merce e il suo segreto). E’ così che Marx inizia l’analisi della forma di valore semplice o singola o casuale, la cui formula è[2]:

 

x merce A = y merce B, ovvero il valore (Wert) di x merce A è y merce B.

 

Il segreto di ogni ulteriore, più sviluppata Wertform –scrive Marx- sta in questa forma semplice di valore, la cui analisi permetterà di mettere in chiaro tutte le difficoltà della faccenda.[3]

Se esaminiamo la formula, vediamo che la merce A dichiara il suo valore nei termini della merce B, la quale offre la materia, attraverso cui quel valore assume una determinata rappresentazione; quindi, giusta la formula che analizziamo, il valore/Wert della merce A risulta espresso relativamente alla merce B: possiamo dire, dunque, che la forma semplice di valore ci dà il valore relativo della merce A o, in altre parole, che abbiamo a che fare con la forma relativa di valore (relative Wertform). Continuiamo nell’analisi  della struttura formale della nostra Wertform.

Rispetto alla merce A, abbiamo detto che la formula ce ne dà il valore relativo; a proposito, invece, della merce B, abbiamo già notato che essa offre la materia perché il valore di A possa rappresentarsi: in altre parole, l’ <y merce B>, che compare nella formula, è l’equivalente materiale del valore/Wert di A  (o, piuttosto di <x merce A>).

La conseguenza è che valore relativo ed equivalente son strettamente correlati: come scrive Marx, “… la forma relativa di valore (relative Wertform) e la forma di equivalente (Äquivalentform) rinviano l’una all’altra (sind zueinander gehõrige), si condizionano reciprocamente, son momenti inseparabili l’un dall’altro ma, nello stesso tempo, sono estremi che si escludono e si oppongono reciprocamente; in altri termini, sono i poli di una stessa espressione di valore.”

Forma relativa di valore e forma di equivalente si distribuiscono su differenti merci, purché ovviamente queste abbiano tra loro una relazione di scambio[4].

Se fermiamo a questo punto la nostra analisi e richiamiamo la questione, che ponevamo a proposito dell’uso che, in questo testo, Marx fa di percezione, non credo che incontriamo difficoltà a fornire una precisa risposta.

Con quell’uso del termine, Marx non vuol semplicemente affermare che le proprietà storico-sociali, che rendono possibile l’esistenza del valore/Wert, non sono oggetto diretto di esperienza sensibile. Piuttosto –e assai meno banalmente-, Marx vuol dire che 1) il valore/Wert non è propriamente una qualità della merce, ma sì piuttosto l’espressione di una relazione tra merci; 2) che la forma della relazione, che si instaura tra le merci (la forma della loro ‘socialità’, se si vuole) è dialettica e, dunque, che solo ricorrendo alla plasticità dell’esposizione dialettica, è possibile render conto delle tortuosità, attraverso cui si strutturano le relazioni tra categorie economiche (che, sappiamo, essere a loro volta non cose, ma manifestazioni reificate di relazioni sociali, storicamente determinate).

Come si vede, centrale è nel pensiero di Marx l‘atteggiamento –che sappiamo proprio del pensiero dialettico- di sciogliere la rigidità della Verdingluchung (della reificazione o cosalizzazione) nella plasticità di rapporti storicamente determinati. Un’ulteriore prova di ciò l’abbiamo nella polemica di Marx contro la concezione, che del valore/Wert aveva espresso l’inglese S. Bailey.

Quando si afferma che il  valore/Wert di x merce A è y merce B, s’intende dire –chiarisce Marx- che la relazione di valore esistente tra le due merci, materialmente, si rappresenta in quella certa quantità della seconda merce; ma certo non si intende identificare il valore/Wert di x merce A con quella certa quantità materiale della merce B. Infatti, si potrebbero stabilire rapporti diversi, ad es., tra x merce A e z merce C, o tra x merce A e w merce D, ecc.

Da ciò si ricava che la quantità dell’Equivalente è, appunto, non il Wert della merce, di cui calcoliamo il valore relativo, ma solo la sua rappresentazione materiale: il valore sta, propriamente,  non nella materialità ( nella ‘cosa’), ma nel rapporto, nella relazione tra le merci in questione.

Sottolineata di nuovo la dialetticità della trattazione marxiana, torniamo a seguire lo svolgimento delle pagine che ci interessano.

E’ facile comprendere come la dinamica intrinseca allo scambio mercantile superi rapidamente il limite della forma semplice di valore, esattamente perché lo scambio si generalizza ed emerge, dunque, la necessità di un equivalente, che funzioni come tale in qualunque scambio (ovvero, il denaro o equivalente generale). In questo nuovo contesto, il valore/Wert di ogni singola merce sarà materialmente rappresentato da una certa quantità di equivalente generale.

Ma perché ciò avvenga, è necessario un duplice processo di riduzione: 1) ogni merce, quali che siano le qualità caratterizzanti ognuna –nella realtà dello scambio, dunque, nella mera pratica di un processo che, nello stesso tempo, risulta solo obiettivamente dall’attività umana ma, anche, la produce, la determina-, deve essere parificata, in quanto ridotta a lavoro umano astrattamente generale; 2) questa riduzione o equivalenza deve, poi, assumere l’aspetto della riduzione del valore di tutte le merci a quantità determinate di equivalente generale o denaro.

A questo punto –cioè, quando nella oggettiva pratica dello scambio- il valore/Wert della merce si riduce alla sua Geldform e, dunque, essa viene a occupare tutto il davanti della scena, ecco che la prima riduzione, invece, vien ricacciata sullo sfondo, vien rimossa dallo sguardo, con la conseguenza che, effettivamente, nella quotidianità dello scambio mercantile, quella prima riduzione né appare né opera direttamente.

Questo occultarsi e ritrarsi sullo sfondo della prima riduzione, certamente, è un’apparenza, certamente appartiene al modo non di essere, ma sì di presentarsi del modo capitalistico di produzione. Ma proprio in quanto si muove nella prospettiva della dialettica, Marx non intende questa ‘illusione ottica’ come mero errore, come mero fraintendimento. Sì piuttosto lo valuta quale risultato di un processo storicamente determinato o, se si vuole, dell’effettiva maniera di funzionare del modo capitalistico di produzione.

Naturalmente, ciò non significa che la prima riduzione sia stata effettivamente tolta. Tutt’al contrario, essa continua ad operare: collocandosi, però, su un piano che non è quello della percezione; ponendosi ad un livello, che può essere colto solo alla condizione di sollevarsi al disopra del punto di vista della singola vicenda di scambio mercantile, per afferrare piuttosto l’intero scenario dello scambio generale tra le merci e la sua connessione con le condizioni fondamentali della produzione capitalistica.[5]

Per dirla in altre parole, nella spezzettata e casuale quotidianità dello scambio economico, ciò che effettivamente avviene è che questa determinata merce M ha questo determinato valore W, nel senso che è convertibile con questa determinata quota/parte di equivalente generale.[6]

Collocarsi, invece, al livello dell’intero scenario dello scambio mercantile e del suo relazionarsi al modo specificamente capitalistico della produzione, significa coglierne la reale dinamica e, dunque, portare alla luce quelle strutture, quelle dimensioni e quelle logiche, che al livello della semplice percezione (ovvero, del sano intelletto comune) non risultano. In altre parole, significa coglierne il concetto, esattamente nel senso dialettico del termine.

Già sappiamo che, dal punto di vista della dialettica, il concetto non è una sorta di paradigma o di esempio limite di una molteplicità di casi (detto in altri termini, il concetto dialettico non ha nulla a che fare con qualunque variante dell’empirismo). Piuttosto, ciò che Hegel e Marx indicano come Begriff/concetto è la regola interna di un processo oggettivo, che non si svolge mai linearmente, che non conosce gli automatismi della logica formale, ma che invece procede mediante vie indirette, torsioni, contraddizioni, scarti e opposizioni.

Tenendo presente ciò, si comprende bene perché sia errata quell’interpretazione della marxiana teoria del valore, secondo cui essa ha lo scopo di introdurre una regola nella disordinata accidentalità del quotidiano scambio mercantile[7]. Come ben chiarisce il sovietico I.I. Rubin[8], Marx non ha bisogno di introdurre nessuna regola dello scambio mercantile, dacché questa va costruendosi attraverso l’effettivo svolgersi multilaterale dello stesso scambio: non si tratta, dunque, d’un arbitrario prodotto dell’intelletto che, dall’esterno, intervenga sulle cose, sui processi reali, per renderli compatibili con l’esigenza d’ordine della mente umana; ma sì piuttosto del risultato di un complesso, contraddittorio processo, che si svolge sull’ampia scala d’un’epoca storica, segnata dal dominio di un modo di produzione.


[1] - K. Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie. Erster Band, Buch: 1: Der Produktionsprozeß des Kapitals, in K. Marx – F. Engels, Werke. Band 23, Berlin Dietz Verlag 1970: 62 (d’ora in avanti, Kapital I ...).
[2] - Kapital 1: 63.
[3] - Qualcosa di strettamente analogo Marx lo ha già detto, analizzando merce e denaro come Elementarformen del capitale (per una trattazione del concetto di Elementarform, rinvio al mio Tracciati dialettici, Roma 1994: 19. Per il rapporto tra concetto di Elementarform e svolgimento dialettico, cf. K. Marx, Scritti inediti di economia politica, Editori riuniti 1963: 131.
 
 
 
[4] - Kapital 1: 63.
[5] - A proposito del lavoro astratto a cui vengono ridotte le merci, è interessante quanto osserva la M. Bianchi, introducendo F. Petry, Il contenuto sociale della teoria del valore in Marx, Bari Laterza 1973. Secondo la Bianchi quel lavoro è astratto, non in quanto privato dalle determinatezze dei diversi lavori concreti, sì piuttosto perché è un lavoro, che fa astrazione dagli individui concreti, che lavorano. Dunque, il lavoro astratto va inteso come una reificazione del lavoro: in altre parole, il lavoro come sostituto e negazione dell’attività lavorativa  o, detta con i termini di Marx, il lavoro nella sachliche Form (nella forma di cosa). Se ha ragione la Bianchi, la questione importante non è tanto soffermarsi sui meccanismi di riduzione dei diversi lavori concreti nell’unico lavoro astratto, sì piuttosto sottolineare come, posto il modo capitalistico di produzione, il lavoro umano diviene schiavo del lavoro nella forma di cosa. (cf. M. Bianchi, in F. Petry, op. cit.: XX).
[6] - Ovvero, nella quotidianità dello scambio mercantile opera il cosiddetto feticismo del denaro (I.I. Rubin, Studien zur Marxschen Werttheorie , Europäische Verlag 1973: 11). Con ragione, dunque, F. Petry sottolinea come, rispetto alla teoria marxiana del valore, non conta lo scambio accidentale, ma sì “quell’anello di congiunzione, funzionale e ben determinato (perché) connesso alle condizioni della produzione …” (F. Petry, op. cit. : 26s). Si noti, infine, che il processo di riduzione dei diversi lavori concreti in quote/parti del lavoro sociale generale o lavoro astratto, in primo luogo, avviene mediante la meccanicizzazione/razionalizzazione del lavoro, dunque, riducendo quest’ultimo alla sua sachliche Form. A ciò si aggiunge, però, l’azione politica e giuridica, volta ad impedire, in qualunque modo, le coalizioni operaie, l’organizzazione sindacale della forza-lavoro. Il che significa che la riduzione dei lavori concerti a lavoro astratto non è da intendere quale un asettico processo, volto ad ottenere la possibilità di misurare il lavoro, ma sì il risultato di un processo, che sottende la lotta di classe. (Su questo cf. I.I. Rubin, op. cit.: 83).
 
[7] - Chi interpreta così la teoria marxiana del valore scopre, poi, che quell’introduzione non è possibile, ma invece che cambiare la propria interpretazione, preferisce accusare di insufficienza la riflessione marxiana.
[8] - I.I. Rubin, op. cit.: 83s.
                                                                                                                 https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=HiK3A0vcoSU&hd=1

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