Il testo inizia riproponendo la ben nota tesi
marxiana a proposito dell’essenziale ambiguità della merce, in quanto tale.
Essa ha un duplice carattere: è oggetto utile
e, dunque, è dotata di valore d’uso (Gebrauchswert); ma, per esser merce
appunto, è anche contemporaneamente portatrice di valore (Wert).
Detto in breve, ciò significa che la merce ha sia
una Naturalform, che una Wertform. Qui va subito notata una
puntualizzazione di Marx.
In pieno contrasto con la rude oggettività
sensibile delle merci in quanto corpi materiali (Warenkörper), neanche
un atomo della loro naturale materialità (Naturstoff) entra nella
oggettività delle merci in quanto
portatrici di valore/Wert.[1]
Dunque, la merce in quanto tale ha, nello
stesso tempo (ma ovviamente secondo prospettive diverse), caratteristiche
opposte, che sotto lo stesso profilo sarebbero esclusive l’una rispetto all’altra:
per poter essere mera portatrice di valore in generale, la merce deve
–come conditio sine qua non- avere addirittura un tipo determinato di
valore, ovvero il valore d’uso.
.Ciò
che conta notare di nuovo è che questa contraddittorietà di predicati (o
qualità) la merce deve possederla nello stesso tempo.
Ciò non impedisce, tuttavia, un’altra
osservazione: almeno a questo livello dell’analisi marxiana, in tanto una merce
può essere portatrice di valore/Wert, in quanto entri sul mercato già
essendo un valore d’uso/Gabrauchswert.
Dunque, la merce è –contemporaneamente (sincronicamente)-
valore d’uso e valore; ma in tanto può esibire questa contemporaneità, in
quanto è un valore d’uso che –dapprima- entri nel mercato, per
trasformarsi lì in valore. Dunque, sincronia, ma anche diacronia.
Abbiamo già visto che la merce, in quanto
portatrice di valore d’uso- ha una forma naturale (Naturalform), dunque,
è un comune oggetto dell’esperienza sensibile.
In quanto però <cosa dotata di valore> (Wertding),
in nessun modo la merce è oggetto di percezione.
Qui si potrebbe tentare un’ipotesi suggestiva: nel
linguaggio dell’hegeliana Fenomenologia, il dominio della percezione si
estende fino a comprendere tutto l’insieme delle scienze particolari; ovvero,
la percezione occupa uno spazio, che dal pensiero comune giunge fino a coprire
l’intero ‘sano intelletto’ .
Se Marx ha qui presente quest’uso hegeliano del termine
percezione, allora egli non sta semplicemente dicendo che le qualità (storico-sociali!)
del valore in quanto tale non sono oggetto di esperienza direttamente
sensibile (che sarebbe osservazione al limite dell’ovvio); piuttosto sta
dicendo che le armi del <sano intelletto> non bastano in realtà ad
afferrare l’ambigua essenza della merce in quanto tale. E questa sarebbe
un’affermazione certamente meno ovvia e meritevole di chiarimento. Cerchiamo di
approfondire .
In tanto le merci posseggono –osserva Marx- oggettività di
valore (Wert), in quanto esprimono quell’unità sociale, che è il
lavoro umano. Dunque, l’oggettività di valore (Wert) è qualcosa di
puramente sociale che, di conseguenza, può mostrarsi solo nel rapporto sociale
di una merce con l’altra.
In altre parole, sappiamo che una merce può essere portatrice
di valore (Wert) solo a condizione, che nel mercato entri in quanto
valore d’uso (Gebrauchswert).
Ma un oggetto è valore d’uso, anche fuori del quadro di
un’economia commerciale: dunque, una volta chiarito che la merce in quanto Wertform
presuppone la merce in quanto Naturalform, possiamo tralasciare
l’analisi di questa precondizione e soffermarci, invece, sull’altro lato della
medaglia, vale a dire sul fatto che è nello scambio con altre merci –in questo
senso, nel rapporto sociale con altre merci-, che risalta la
figura del Wertding.
Detta forse più semplicemente, l’oggettività di valore/Wert
esiste, in quanto rappresenta o esprime l’unità sociale <astratto lavoro
umano>; quindi, l’oggettività di valore/Wert è qualcosa di puramente
sociale; se è puramente sociale e se riguarda le merci, allora
quell’oggettività dovrà apparire nella socialità delle merci, ovvero,
nel loro relazionarsi l’una all’altra, dunque, nello scambio.
La forma/valore (Wertform), che è comune a tutte le
merci e che è in aperto contrasto con il loro valore d’uso è la Geldform o forma
di denaro: di qui uno scopo fondamentale della scrittura di Marx, ovvero
dissolvere il mistero della forma-denaro, appunto (si ricordi che il §
sulla Wertform è immediatamente seguito dall’analisi del carattere
feticistico della merce e il suo segreto). E’ così che Marx inizia
l’analisi della forma di valore semplice o singola o casuale, la cui
formula è[2]:
x merce A = y merce B, ovvero
il valore (Wert) di x merce A è y merce B.
Il segreto di ogni ulteriore, più sviluppata Wertform
–scrive Marx- sta in questa forma semplice di valore, la cui analisi
permetterà di mettere in chiaro tutte le difficoltà della faccenda.[3]
Se esaminiamo la formula, vediamo
che la merce A dichiara il suo valore nei termini della merce B, la quale offre
la materia, attraverso cui quel valore assume una determinata
rappresentazione; quindi, giusta la formula che analizziamo, il valore/Wert
della merce A risulta espresso relativamente alla merce B: possiamo
dire, dunque, che la forma semplice di valore ci dà il valore relativo
della merce A o, in altre parole, che abbiamo a che fare con la forma
relativa di valore (relative Wertform). Continuiamo
nell’analisi della struttura formale
della nostra Wertform.
Rispetto alla merce A, abbiamo
detto che la formula ce ne dà il valore relativo; a proposito, invece,
della merce B, abbiamo già notato che essa offre la materia perché il valore di
A possa rappresentarsi: in altre parole, l’ <y merce B>, che compare
nella formula, è l’equivalente materiale del valore/Wert
di A (o, piuttosto di <x merce
A>).
La conseguenza è che valore relativo
ed equivalente son strettamente correlati: come scrive Marx, “… la forma
relativa di valore (relative Wertform) e la forma di equivalente (Äquivalentform)
rinviano l’una all’altra (sind zueinander gehõrige), si condizionano
reciprocamente, son momenti inseparabili l’un dall’altro ma, nello stesso
tempo, sono estremi che si escludono e si oppongono reciprocamente; in altri
termini, sono i poli di una stessa espressione di valore.”
Forma relativa di valore e forma di
equivalente si distribuiscono su differenti merci, purché ovviamente queste
abbiano tra loro una relazione di scambio[4].
Se fermiamo a questo punto la
nostra analisi e richiamiamo la questione, che ponevamo a proposito dell’uso
che, in questo testo, Marx fa di percezione, non credo che incontriamo
difficoltà a fornire una precisa risposta.
Con quell’uso del termine, Marx non
vuol semplicemente affermare che le proprietà storico-sociali, che
rendono possibile l’esistenza del valore/Wert, non sono oggetto diretto
di esperienza sensibile. Piuttosto –e assai meno banalmente-, Marx vuol dire
che 1) il valore/Wert non è propriamente una qualità della merce,
ma sì piuttosto l’espressione di una relazione tra merci; 2) che la
forma della relazione, che si instaura tra le merci (la forma della loro
‘socialità’, se si vuole) è dialettica e, dunque, che solo ricorrendo alla
plasticità dell’esposizione dialettica, è possibile render conto delle
tortuosità, attraverso cui si strutturano le relazioni tra categorie economiche
(che, sappiamo, essere a loro volta non cose, ma manifestazioni
reificate di relazioni sociali, storicamente determinate).
Come si vede, centrale è nel
pensiero di Marx l‘atteggiamento –che sappiamo proprio del pensiero dialettico-
di sciogliere la rigidità della Verdingluchung (della reificazione o
cosalizzazione) nella plasticità di rapporti storicamente determinati.
Un’ulteriore prova di ciò l’abbiamo nella polemica di Marx contro la
concezione, che del valore/Wert aveva espresso l’inglese S. Bailey.
Quando si afferma che il valore/Wert di x merce A è y merce B,
s’intende dire –chiarisce Marx- che la relazione di valore
esistente tra le due merci, materialmente, si rappresenta in
quella certa quantità della seconda merce; ma certo non si intende identificare
il valore/Wert di x merce A con quella certa quantità materiale della merce B.
Infatti, si potrebbero stabilire rapporti diversi, ad es., tra x merce A e z
merce C, o tra x merce A e w merce D, ecc.
Da ciò si ricava che la quantità
dell’Equivalente è, appunto, non il Wert della merce, di cui calcoliamo
il valore relativo, ma solo la sua rappresentazione materiale: il
valore sta, propriamente, non
nella materialità ( nella ‘cosa’), ma nel rapporto, nella relazione tra
le merci in questione.
Sottolineata di nuovo la
dialetticità della trattazione marxiana, torniamo a seguire lo svolgimento
delle pagine che ci interessano.
E’ facile comprendere come la
dinamica intrinseca allo scambio mercantile superi rapidamente il limite della
forma semplice di valore, esattamente perché lo scambio si generalizza ed
emerge, dunque, la necessità di un equivalente, che funzioni come tale
in qualunque scambio (ovvero, il denaro o equivalente generale).
In questo nuovo contesto, il valore/Wert di ogni singola merce sarà
materialmente rappresentato da una certa quantità di equivalente generale.
Ma perché ciò avvenga, è necessario
un duplice processo di riduzione: 1) ogni merce, quali che siano le qualità
caratterizzanti ognuna –nella realtà dello scambio, dunque, nella mera
pratica di un processo che, nello stesso tempo, risulta solo obiettivamente
dall’attività umana ma, anche, la produce, la determina-, deve
essere parificata, in quanto ridotta a lavoro umano astrattamente generale;
2) questa riduzione o equivalenza deve, poi, assumere l’aspetto della riduzione
del valore di tutte le merci a quantità determinate di equivalente generale o
denaro.
A questo punto –cioè, quando nella oggettiva
pratica dello scambio- il valore/Wert della merce si riduce alla
sua Geldform e, dunque, essa viene a occupare tutto il davanti della
scena, ecco che la prima riduzione, invece, vien ricacciata sullo sfondo, vien
rimossa dallo sguardo, con la conseguenza che, effettivamente, nella
quotidianità dello scambio mercantile, quella prima riduzione né appare né
opera direttamente.
Questo occultarsi e ritrarsi sullo
sfondo della prima riduzione, certamente, è un’apparenza, certamente
appartiene al modo non di essere, ma sì di presentarsi del modo
capitalistico di produzione. Ma proprio in quanto si muove nella prospettiva
della dialettica, Marx non intende questa ‘illusione ottica’ come mero errore,
come mero fraintendimento. Sì piuttosto lo valuta quale risultato di un
processo storicamente determinato o, se si vuole, dell’effettiva maniera
di funzionare del modo capitalistico di produzione.
Naturalmente, ciò non significa che
la prima riduzione sia stata effettivamente tolta. Tutt’al
contrario, essa continua ad operare: collocandosi, però, su un piano che non è
quello della percezione; ponendosi ad un livello, che può essere colto solo
alla condizione di sollevarsi al disopra del punto di vista della singola
vicenda di scambio mercantile, per afferrare piuttosto l’intero scenario
dello scambio generale tra le merci e la sua connessione con le condizioni
fondamentali della produzione capitalistica.[5]
Per dirla in altre parole, nella
spezzettata e casuale quotidianità dello scambio economico, ciò che
effettivamente avviene è che questa determinata merce M ha questo
determinato valore W, nel senso che è convertibile con questa
determinata quota/parte di equivalente generale.[6]
Collocarsi, invece, al livello
dell’intero scenario dello scambio mercantile e del suo relazionarsi al modo
specificamente capitalistico della produzione, significa coglierne la reale
dinamica e, dunque, portare alla luce quelle strutture, quelle dimensioni e
quelle logiche, che al livello della semplice percezione (ovvero, del sano
intelletto comune) non risultano. In altre parole, significa coglierne il concetto,
esattamente nel senso dialettico del termine.
Già sappiamo che, dal punto di
vista della dialettica, il concetto non è una sorta di paradigma o di esempio
limite di una molteplicità di casi (detto in altri termini, il concetto dialettico
non ha nulla a che fare con qualunque variante dell’empirismo). Piuttosto, ciò
che Hegel e Marx indicano come Begriff/concetto è la regola interna
di un processo oggettivo, che non si svolge mai linearmente, che non
conosce gli automatismi della logica formale, ma che invece procede mediante
vie indirette, torsioni, contraddizioni, scarti e opposizioni.
Tenendo presente ciò, si comprende
bene perché sia errata quell’interpretazione della marxiana teoria del valore,
secondo cui essa ha lo scopo di introdurre una regola nella disordinata
accidentalità del quotidiano scambio mercantile[7]. Come
ben chiarisce il sovietico I.I. Rubin[8], Marx
non ha bisogno di introdurre nessuna regola dello scambio mercantile, dacché
questa va costruendosi attraverso l’effettivo svolgersi multilaterale dello
stesso scambio: non si tratta, dunque, d’un arbitrario prodotto dell’intelletto
che, dall’esterno, intervenga sulle cose, sui processi reali, per
renderli compatibili con l’esigenza d’ordine della mente umana; ma sì piuttosto
del risultato di un complesso, contraddittorio processo, che si svolge
sull’ampia scala d’un’epoca storica, segnata dal dominio di un modo di
produzione.
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=HiK3A0vcoSU&hd=1
[1] - K. Marx, Das Kapital. Kritik der politischen
Ökonomie. Erster Band, Buch: 1: Der Produktionsprozeß des Kapitals, in K.
Marx – F. Engels, Werke. Band 23, Berlin Dietz Verlag 1970: 62 (d’ora in
avanti, Kapital I ...).
[2]
- Kapital 1: 63.
[3]
- Qualcosa di strettamente analogo Marx lo ha già detto, analizzando merce e
denaro come Elementarformen del capitale (per una trattazione del
concetto di Elementarform, rinvio al mio Tracciati dialettici,
Roma 1994: 19. Per il rapporto tra concetto di Elementarform e
svolgimento dialettico, cf. K. Marx, Scritti inediti di economia politica,
Editori riuniti 1963: 131.
[4]
- Kapital 1: 63.
[5]
- A proposito del lavoro astratto a cui vengono ridotte le merci, è
interessante quanto osserva la
M. Bianchi , introducendo F. Petry, Il contenuto sociale della teoria del valore in Marx, Bari Laterza 1973. Secondo la Bianchi quel lavoro è astratto,
non in quanto privato dalle determinatezze dei diversi lavori concreti,
sì piuttosto perché è un lavoro, che fa astrazione dagli individui
concreti, che lavorano. Dunque, il lavoro astratto va inteso come
una reificazione del lavoro: in altre parole, il lavoro come sostituto
e negazione dell’attività lavorativa o, detta con i termini di Marx, il lavoro
nella sachliche Form (nella forma di cosa). Se ha ragione la Bianchi , la questione
importante non è tanto soffermarsi sui meccanismi di riduzione dei diversi
lavori concreti nell’unico lavoro astratto, sì piuttosto
sottolineare come, posto il modo capitalistico di produzione, il lavoro umano
diviene schiavo del lavoro nella forma di cosa. (cf. M. Bianchi,
in F. Petry, op. cit.: XX).
[6]
- Ovvero, nella quotidianità dello scambio mercantile opera il cosiddetto feticismo
del denaro (I.I. Rubin, Studien zur Marxschen
Werttheorie , Europäische Verlag 1973: 11). Con ragione, dunque, F. Petry
sottolinea come, rispetto alla teoria marxiana del valore, non conta lo scambio
accidentale, ma sì “quell’anello di congiunzione, funzionale e ben determinato
(perché) connesso alle condizioni della produzione …” (F. Petry, op. cit. :
26s). Si noti, infine, che il processo di riduzione dei diversi lavori concreti
in quote/parti del lavoro sociale generale o lavoro astratto, in primo luogo,
avviene mediante la meccanicizzazione/razionalizzazione del lavoro, dunque,
riducendo quest’ultimo alla sua sachliche Form. A ciò si aggiunge, però,
l’azione politica e giuridica, volta ad impedire, in qualunque modo, le
coalizioni operaie, l’organizzazione sindacale della forza-lavoro. Il che
significa che la riduzione dei lavori concerti a lavoro astratto non è da
intendere quale un asettico processo, volto ad ottenere la possibilità di
misurare il lavoro, ma sì il risultato di un processo, che sottende la lotta di
classe. (Su questo cf. I.I. Rubin, op. cit.: 83).
[7]
- Chi interpreta così la teoria marxiana del valore scopre, poi, che quell’introduzione
non è possibile, ma invece che cambiare la propria interpretazione,
preferisce accusare di insufficienza la riflessione marxiana.
[8] - I.I. Rubin, op. cit.: 83s.
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