L’analisi non può che partire dal dato di fatto, dall’evidenza di ciò che si
mostra al nostro sguardo, in un caotico e disordinato flusso di percezioni
apparentemente casuale. Lo sguardo dialettico, l’unico capace di penetrare
questo immediato intrigato e multiforme, si fa metodo scientifico per il
teorico che deve decifrare prima e costruire poi una teoria che possa render
conto, stavolta senza incertezze e incomprensioni, di quella stessa realtà
iniziale.
Questo è quanto Marx ci indica come l’unica strada possibile. Questo è il suo modo di affrontare la realtà della società borghese che lo circonda. E questo è il modus operandi che gli consente di scrivere Il Capitale, ancor oggi l’unica teoria che sia riuscita fino in fondo a dare conto della linea di movimento, dei passaggi specifici, dell’intreccio e perfino delle casualità, che hanno portato all’affermazione completa e totale del capitalismo.
Questo è quanto Marx ci indica come l’unica strada possibile. Questo è il suo modo di affrontare la realtà della società borghese che lo circonda. E questo è il modus operandi che gli consente di scrivere Il Capitale, ancor oggi l’unica teoria che sia riuscita fino in fondo a dare conto della linea di movimento, dei passaggi specifici, dell’intreccio e perfino delle casualità, che hanno portato all’affermazione completa e totale del capitalismo.
Ma cosa significa “sguardo dialettico”? In cosa esso differisce dal modo
“classico” d’approccio alla realtà degli economisti del suo tempo, e non solo?
La risposta non è semplice da dare. Marx ce ne indica la
via: bisogna – egli dice – ricercare, con estrema attenzione, tutte quelle
peculiarità che si mostrano comuni, nel corso della storia della società umana,
nelle varie e differenti forme sociali che via via si sono susseguite nel corso
storico del cammino umano fin da quando le prime comunità si sono andate
formando -la comunità primitiva prima e la tribù poi e ancora l’insieme di
queste- fino a risalire a quello che Marx indica come il vero inizio della
storia: cioè a dire la fine del nomadismo. E grazie a questa analisi affiorerà
tutta una serie di categorie semplici, di astrazioni comuni a tutte le epoche
che, con forma e importanza diversa, sono tuttavia presenti in ogni epoca e in
ogni forma d’economia.
Bellissimo l’esempio che fa Marx con il denaro e il lavoro:
“Il denaro può esistere ed è storicamente esistito prima che esistessero il
capitale, le banche, il lavoro salariato ecc. In questo senso si può quindi
dire che la categoria più semplice può esprimere i rapporti predominanti di un
insieme meno sviluppato oppure i rapporti subordinati di un insieme più
sviluppato; rapporti che storicamente esistevano già prima che l’insieme si
sviluppasse nella direzione che è espressa in una categoria più concreta. In
questo senso il cammino del pensiero astratto, che sale dal più semplice al
complesso, corrisponderebbe al processo storico reale. […] Benché il denaro
svolga una funzione importante molto presto e in tutti i sensi, tuttavia, come
elemento dominante, esso appartiene nell’antichità solo a nazioni
caratterizzatesi in modo unilaterale, a nazioni commerciali. E perfino presso i
popoli più evoluti dell’antichità, presso i greci e i romani, il suo completo
sviluppo – che nella moderna società borghese costituisce una premessa – si
manifesta solo nel periodo della dissoluzione. Questa categoria del tutto
semplice non compare, dunque, storicamente nella sua piena intensità se non
nelle condizioni più sviluppate della società. E mai permeando tutti i rapporti
economici. Per esempio nell’Impero Romano, nel momento del suo maggiore sviluppo,
la base rimase l’imposta e la prestazione in natura. Il sistema monetario, in
sostanza, era sviluppato completamente solo nell’esercito, e non investì
neppure tutta la sfera del lavoro. Quindi benché la categoria più semplice
possa essere esistita storicamente prima di quella più concreta, essa può
appartenere nel suo pieno sviluppo intensivo ed estensivo solo ad una forma
sociale complessa, mentre la categoria più concreta era già pienamente
sviluppata in una forma sociale meno evoluta.”
Questo tipo di osservazione, questa riduzione ad una forma
sempre più chiara ed evidente va sempre confrontata, passo passo, volta a
volta, con la totalità concreta iniziale di partenza e con la totalità
dell’insieme determinato dal periodo storico di riferimento che il pensiero
ricostruisce nell’analisi.
Questo per tre motivi in particolare: 1 per confermare
l’effettiva comprensione della realtà pensata nella ricerca; 2 per valutare
come e quanto effettivamente quella categoria specifica opera ed incide nel suo
contesto di riferimento, prima, e nella attualità dell’oggi poi. E 3 quali e
quante differenze e similitudini si mostrano allo sguardo: “Il lavoro sembra
categoria del tutto semplice. Anche la rappresentazione del lavoro nella sua
generalità – come lavoro in generale – è molto antica. E tuttavia considerato
in questa semplicità dal punto di vista economico, <lavoro> è una
categoria tanto moderna quanto lo sono i rapporti che producono questa semplice
astrazione. Il Bullionismo (1), per es, pone la ricchezza in modo ancora
completamente oggettivo, come cosa fuori di se, nel denaro. Rispetto a questo
punto di vista fu un grande progresso quando il sistema manufattoriero o
commerciale trasferì la fonte della ricchezza dall’oggetto alla attività
soggettiva, al lavoro commerciale o manifatturiero, ma anch’esso concepiva
ancora sempre questa attività nell’aspetto limitato di una attività produttrice
di denaro. A questo sistema si contrappose il sistema Fisiocratico che pone
come creatrice della ricchezza una determinata forma del lavoro – l’agricoltura
– e concepisce l’oggetto stesso non più sotto il travestimento del denaro, ma
come prodotto in generale, come risultato generale del lavoro. […] Un enorme
progresso compì Adam Smith, rigettando ogni carattere determinato dell’attività
produttrice di ricchezza e considerandola lavoro senz’altro: non lavoro
manifatturiero, ne commerciale, né agricolo, ma tanto l’uno quanto l’altro. Con
l’astratta generalità dell’attività produttrice di ricchezza, noi abbiamo ora
anche la generalità dell’oggetto definito come ricchezza, e cioè il prodotto in
generale, o ancora una volta, lavoro in generale, ma come lavoro passato,
oggettivato. […] L’indifferenza verso un genere determinato di lavoro
presuppone una totalità molto sviluppata di generi reali di lavoro, nessuno dei
quali domini più sull’insieme. […] Il lavoro qui è divenuto non solo nella
categoria, ma anche nella realtà, il mezzo per creare la ricchezza in generale,
e, come determinazione, esso ha cessato di concrescere con gli individui in una
dimensione particolare. […] Così l’astrazione più semplice che l’economia
moderna pone al vertice e che esprime una relazione antichissima e valida per
tutte le forme di società, si presenta tuttavia praticamente vera in questa
astrazione solo come categoria della società moderna.”
Questo salire dal concreto all’astratto, questa operazione di pulitura – di semplificazione ma anche di comparazione – e insieme di oggettivazione delle varie categorie tratte dall’osservazione e dalla ricerca, questo lavoro d’attenta analisi che parte dal dato di fatto dell’oggi fino risalire a ritroso nel corso della storia alle prime forme di comunità, non è che una parte del metodo dialettico, è soltanto il mezzo necessario al teorico dialettico per compiere l’altra, e più importante, fase della ricerca, quella della sintesi di queste astrazioni a sistema che possa dare conto, risalendo dalle generiche astrazioni al concreto dell’attualità, di tutti i passaggi storici, delle casualità, dei perché si sia giunti al nostro mondo attuale.
“Da qui si tratterebbe poi di intraprendere di nuovo il
viaggio all’indietro, fino ad arrivare finalmente di nuovo alla popolazione, ma
questa volta non come a una caotica rappresentazione di un insieme, bensì come
a una totalità ricca, fatta di molte determinazioni e relazioni. […] Il
concreto è concreto perché sintesi di molte determinazioni, quindi unità del
molteplice. Per questo nel pensiero esso si presenta come processo di sintesi,
come risultato e non come punto di partenza, sebbene esso sia il punto di
partenza effettivo e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della
rappresentazione. Per la prima via la rappresentazione concreta si è
volatilizzata in una astratta determinazione; per la seconda, le determinazioni
astratte conducono alla riproduzione del concreto nel cammino del pensiero. […]
La totalità come essa si presenta nella mente quale totalità del pensiero, è un
prodotto della mente che pensa, la quale si appropria il mondo nella sola
maniera che gli è possibile, maniera che è diversa dalla maniera artistica,
religiosa e pratico-spirituale di appropriarsi il mondo. Il soggetto reale
rimane, sia prima che dopo, saldo nella sua autonomia fuori della mente; fino a
che, almeno, la mente si comporta solo speculativamente, solo teoricamente.
Anche nel metodo teorico, perciò, la società deve essere sempre presente alla
rappresentazione come presupposto.”
Nel §.4 delle sue Lezioni sul diritto naturale e la scienza
dello Stato -conosciute anche come la Filosofia del diritto di Heidelberg, dove
effettivamente furono tenute queste lezioni nel 1817/1818-, Hegel scrive: “Quando
penso un oggetto, lo rendo un pensato e gli tolgo ciò che ha di sensibile; lo
rendo così qualcosa che è immediatamente ed essenzialmente mio: infatti, nel
pensare sono presso di me. Elaborare il concetto significa penetrare l’oggetto,
che non è più qualcosa di contrapposto a me, perché gli ho tolto ciò che, per
sé, a me si oppone... dice lo spirito «questo è spirito del mio spirito» e
l’estraneità è dissolta. Ogni rappresentazione è una generalizzazione e
quest’ultima appartiene al pensare. Pensare qualcosa significa renderlo
generale [...] Questo è l’atteggiamento teoretico”.
Insieme dovrà dare conto della validità dell’ipotesi di
partenza e, confermare allo stesso tempo, la verità e la comprensione, stavolta
reale, fatta propria, sussunta nel pensiero, conosciuta, della realtà del
mondo.
Una realtà che è sempre la stessa dell’inizio della ricerca,
partenza e arrivo di un percorso lungo e difficile che è quello della
comprensione: “La società borghese è la più complessa e sviluppata
organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi
rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di
penetrare al tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte
le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è
costruita, e di cui si trascinano in essa ancora residui parzialmente non
superati, mentre ciò che in quelle era appena accennatosi è sviluppato in tutto
il suo significato ecc. […] L’economia borghese fornisce così la chiave per
l’economia antica ecc. […] La cosiddetta evoluzione storica si fonda in
generale sul fatto che l’ultima forma considera le precedenti come semplici
gradini che portano a se stessa […] l’economia borghese è giunta a intendere
quella feudale, antica e orientale, quando è cominciata l’autocritica della
società borghese".
Note:
(1) Al centro del pensiero bullionista (XVI
secolo) si pose la convinzione che la ricchezza fosse rappresentata dalla
moneta a disposizione delle casse statali, ossia dall'oro. L'afflusso di
metalli preziosi dalle Americhe conferiva una grande ricchezza agli Stati
europei che, mediante le casse del governo, potevano così permettersi opere
altrimenti impensabili. Agli occhi di un funzionario di governo la potenza di
uno Stato era misurata dal tesoro a disposizione per comprare navi da guerra o
mercantili, pagare soldati e finanziare opere pubbliche e monumenti, guerre.
Senza l'oro tutto questo non era possibile. L'ottica dei bullionisti era
pressocché simile a quella della precedente economia domestica, l'unica
differenza fu la scala con cui si osservavano i fenomeni economici, non più
della casa ma della nazione.
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