martedì 17 settembre 2013

Teoria della crisi. 100 tesi - Vladimiro Giacché -

Marx definisce il capitale impiegato per comprare l'uso della forza lavoro capitale variabile e quello adoperato per acquistare macchinari e mezzi di lavoro capitale costante. Ora, il problema è che con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico aumenta la proporzione del capitale investito in macchinari rispetto a quello investito in forza-lavoro. Questo perché macchinari sempre più sofisticati e costosi aumentano la forza produttiva del lavoro e procurano al capitalista che li impiega per primo un vantaggio competitive sugli altri (vantaggio che poi viene perduto non appena l’uso delle nuove tecnologie si generalizza). In ogni caso, si verifica “una diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante e quindi in rapporto al capitale complessivo messo in movimento” (Marx 1863-5: 110). Marx definisce questo processo anche come una progressiva crescita della “composizione organica del capitale”. Si tratta di “un’altra espressione dello sviluppo progressivo della forza produttiva sociale del lavoro, che si manifesta proprio in ciò, che in generale, per mezzo del crescente uso di macchinari, capitale fisso, più materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotti nello stesso tempo, ossia con meno lavoro” (ibidem). La diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante fa sì che a parità di condizioni il saggio di profitto – ossia il rapporto tra il plusvalore e il capitale complessivo investito nella produzione (la somma di capitale variabile e capitale costante) – diminuisca. Questa, in sintesi, la legge della “caduta tendenziale del saggio di profitto”.                                                                                                     
                                           

La crisi che scoppia nel 2007 ha cause di breve, medio e lungo periodo, così sintetizzabili:
- nel breve è stata alimentata dal parossismo finanziario (e dal sovraindebitamento dei lavoratori, soprattutto dei paesi anglosassoni);
- nel medio periodo è originata da sovrainvestimenti (grande crescita degli investimenti nei paesi di nuova industrializzazione a cui non ha corrisposto una proporzionale diminuzione nei paesi industrialmente avanzati) e sovraconsumo pagati a debito.
- nel lungo periodo nasce dalla caduta del saggio di profitto cui si è reagito con la finanziarizzazione, resa possibile tra l’altro dallo status particolare del dollaro (valuta internazionale di riserva che però dal 1971non è legata ad alcun sottostante)

“Karl Marx aveva ragione. A un certo punto il capitalismo può autodistruggersi”  (Roubini2011a).                                                                                                                     “le imprese stanno tagliando posti di lavoro perché non c’è abbastanza domanda finale. Ma tagliare posti di lavoro riduce i redditi da lavoro, aumenta la disuguaglianza e riduce la domanda finale” (Roubini2011b).                                                                                                                                                                                                                                                     “Il pagamento dei prestiti esteri e il ritorno alla stabilità delle valute erano considerati (anni 30) il simbolo della razionalità politica e nessuna sofferenza dei singoli, nessuna violazione di sovranità erano considerati un sacrificio troppo grande per riacquistare l’integrità monetaria. Le privazioni di coloro che per la deflazione rimanevano disoccupati, la miseria di pubblici impiegati licenziati senza un soldo di liquidazione e anche l’abbandono di diritti nazionali e la perdita di libertà costituzionali, erano considerati un buon prezzo da pagare per soddisfare i requisiti di bilanci solidi e di valute altrettanto solide, questi apriori del liberalismo economico” (Polanyi 1944: 182).
Va riaffermata la liceità, e anzi la necessità, di riprendere i grandi temi della programmazione dello sviluppo e della pianificazione della produzione. Si tratta di un’esigenza che può essere variamente declinata. Il modo più garbato per farlo è proporre, secondo la formulazione di Nouriel Roubini citata più sopra, il ritorno «a un corretto bilanciamento tra mercati e fornitura di beni pubblici». Ipotesi che secondo lo stesso autore ha una sola alternativa: «come negli anni Trenta, sta­gnazione prolungata, depressione, guerre valutarie e commerciali, controlli sui capi­tali, crisi finanziaria, insolvenze dei debiti sovrani e grande instabilità sociale e poli­tica» (Roubini 2011 b). Se si eccettuano i controlli sui capitali, è il film che si sta svolgendo sotto i nostri occhi.


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