*Bandiera
rossa, 49, Milano 1995 http://www.contraddizione.it/scritti.htm **gianfrancopala economista in pensione...
La capacità di lavoro, se non è venduta, non è niente.
(Jean-Charles-Léonard
Simonde de Sismondi)
la comprensione della sola “ricchezza” del proletariato
1.
“La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di
produzione capitalistico si presenta come una "immane raccolta
di merci" e la merce singola si presenta come sua forma
elementare. Perciò la
nostra indagine comincia con l’analisi della merce”.
2.
“All’inizio la merce
ci si è presentata come qualcosa di duplice, valore d’uso e valore
di scambio. In un secondo tempo s’è visto che anche il lavoro, in
quanto espresso nel valore, non possiede più le stesse
caratteristiche che gli sono proprie come generatore di valori d’uso.
Tale duplice natura del lavoro contenuto nella merce è stata
dimostrata criticamente da me per la prima volta. E poiché questo
punto è il perno intorno al quale ruota la comprensione
dell’economia politica, occorre esaminarlo più da vicino”.
3.
“Il cambiamento di valore del denaro che si deve trasformare in
capitale non può avvenire in questo stesso denaro, poiché esso,
come mezzo di acquisto e come mezzo di pagamento, non fa che
realizzare il prezzo della merce che compera o paga ... Il
cambiamento deve verificarsi nella merce che viene comprata ..., ma
non nel valore di essa, poiché vengono scambiati equivalenti, cioè
la merce vien pagata al suo valore. Il cambiamento può derivare
dunque soltanto dal valore d’uso della merce come tale, cioè dal
suo consumo. Per estrarre valore dal consumo d’una merce, il
possessore di denaro dovrebbe esser tanto fortunato da scoprire,
all’interno della sfera della circolazione, cioè sul mercato, una
merce il cui valore d’uso stesso possedesse la peculiare qualità
d’esser fonte di valore; tale dunque che il suo consumo reale
fosse, esso stesso, oggettivazione di lavoro, e quindi creazione di
valore. E il possessore di denaro trova sul mercato tale merce
specifica: è la capacità di lavoro, ossia la forza-lavoro”.
4.
“Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l’insieme
delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella
corporeità, ossia nella personalità vivente d’un uomo, e che egli
mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di
qualsiasi genere... La forza-lavoro come merce può apparire sul
mercato soltanto in quanto e perché viene offerta o venduta come
merce dal proprio possessore, dalla persona della quale essa è la
forza-lavoro. Affinché il possessore della forza-lavoro la venda
come merce, egli deve poterne disporre, quindi essere libero
proprietario della propria capacità di lavoro, della propria
persona. Egli si incontra sul mercato con il possessore di denaro
e i due entrano in rapporto reciproco come possessori di merci, di
pari diritti, distinti solo per essere l’uno compratore, l’altro
venditore, persone dunque giuridicamente eguali... Il proprietario di
forza-lavoro, quale persona, deve riferirsi costantemente alla
propria forza-lavoro come a sua proprietà, quindi come a sua propria
merce”.
5.
“Una cosa è evidente, però. La natura non produce da una parte
possessori di denaro o di merci e dall’altra puri e semplici
possessori della propria forza lavorativa. Questo rapporto non è un
rapporto risultante dalla storia naturale e neppure un rapporto
sociale che sia comune a tutti i periodi della storia. Esso stesso è
evidentemente il risultato d’uno svolgimento storico
precedente, il prodotto di molti rivolgimenti economici ... Esso
nasce soltanto dove il possessore di mezzi di produzione e di
sussistenza trova sul mercato il libero lavoratore come venditore
della sua forza-lavoro e questa sola condizione storica comprende
tutta una storia universale”.
6.
“Ormai dobbiamo considerare più da vicino quella merce peculiare
che è la forza-lavoro. Essa ha un valore, come tutte le altre
merci... determinato dal tempo di lavoro necessario alla produzione
e, quindi anche alla riproduzione, di questo articolo specifico
... ossia: il valore della forza-lavoro è il valore dei mezzi di
sussistenza necessari per la conservazione del possessore della
forza-lavoro ... la somma dei mezzi di sussistenza necessari alla
produzione della forza-lavoro include i mezzi di sussistenza delle
forze di ricambio, cioè dei figli dei lavoratori, in modo che questa
razza di peculiari possessori di merci si perpetui sul mercato... È
un sentimentalismo troppo a buon mercato il trovare brutale queste
determinazioni del valore della forza-lavoro, la quale deriva dalla
natura stessa della cosa”.
7.
“La natura peculiare di questa merce specifica, la forza-lavoro, ha
per conseguenza che, quando è concluso il contratto fra
compratore e venditore, il suo valore d’uso non è ancor passato
realmente nelle mani del compratore, ... ma il suo valore d’uso
consiste soltanto nella successiva estrinsecazione della sua forza...
Il valore d’uso che il possessore del denaro riceve, per parte sua,
nello scambio, si mostra soltanto nel consumo reale, nel processo di
consumo della forza-lavoro. Il processo di consumo della forza-lavoro
è allo stesso tempo processo di produzione di merce e di plusvalore.
Il consumo della forza-lavoro, come il consumo di ogni altra merce,
si compie fuori del mercato ossia della sfera della circolazione.
Quindi, assieme al possessore di denaro e al possessore di
forza-lavoro, lasciamo questa sfera rumorosa che sta alla superficie
ed è accessibile a tutti gli sguardi, per seguire l’uno e l’altro
nel segreto laboratorio della produzione sulla cui soglia sta
scritto: Vietato
l’ingresso agli estranei - No admittance except on business.
Qui si vedrà non solo come produce il capitale, ma anche come lo si
produce, il capitale. Finalmente ci si dovrà svelare l’arcano
della fattura del plusvalore”.
8.
“Tutti i termini del problema sono risolti e le leggi dello scambio
delle merci non sono state affatto violate. Si è scambiato
equivalente con equivalente ... La trasformazione del denaro in
capitale deve essere spiegata sulla base di leggi immanenti allo
scambio di merci, cosicché come punto di partenza valga lo scambio
di equivalenti ... deve avvenire entro la sfera della
circolazione e non deve avvenire entro la sfera della circolazione...
Tutto questo svolgimento, la trasformazione in capitale del denaro
... avviene e non avviene nella sfera della circolazione. Avviene
attraverso la mediazione della circolazione, perché ha la sua
condizione nella compera della forza-lavoro sul mercato delle merci;
non avviene nella circolazione, perché questa non fa altro che dare
inizio al processo di valorizzazione, il quale avviene nella
sfera della produzione. E così tout
est pour le mieux, dans le meilleur des mondes possibles”.
“Queste
sono le condizioni del problema. Hic
Rhodus, hic salta!”.
Così - è ben noto - Marx comincia e articola lo studio del capitale nel Capitale. Nell’apertura di un dibattito sulla (rinnovata) attualità di Marx nulla di maggiormente significativo può essere dell’invito a (ri)leggere con estrema attenzione le più importanti analisi di Marx stesso. Le otto proposizioni riportate in apertura rispondono a questo invito. E rispondono a esso in molteplici significati. Non sono mere “citazioni”, bensì riscrittura di un testo troppo spesso ignorato, dimenticato o frainteso. Vogliono essere proposizioni di concetti, categorie e determinazioni economiche delle quali è inutile tentare parafrasi o rielaborazioni artificiose, giacché non potrebbero essere scritte meglio. La “provocazione” - alla maniera brechtiana, di critica della falsa “originalità” di supponenti “nuovi” teoristi - consiste proprio nel mostrare che è l’autenticità marxiana (in accezione ortodossa e non in trasposizione dogmatica o, peggio, fideistica), anziché presunte e plurime interpretazioni marxiste, a dare ragione dell’attualità dell’analisi scientifica condotta da Marx stesso.
La lettura di quelle otto proposizioni conduce a spiegare come Marx denoti quale sia il carattere dominante della merce nella “forma di società che noi dobbiamo considerare”: poiché sapere per prima cosa con quale oggetto reale si ha a che fare è il solo modo scientificamente corretto di procedere nell’analisi e nella comprensione di ciò che si vuole spiegare, ed eventualmente trasformare. Altrimenti ci si rifugia nel peggiore sentimentalismo romantico. È già un po’ di tempo che la cosiddett “sinistra” (non di classe) - più o meno avvitata nel “nuovismo”, ma altresì radicata in una fondamentale pregressa e datata ignoranza tradizionale del marxismo - si sta riproducendo in sortite vieppiù preoccupanti, ancorché vecchie e stantìe. Le categorie elementari semplici, sopra ricordate, che Marx espresse intorno alla forma di merce, sono assolutamente ignorate e unilateralmente rimosse.
Nei vari sogni di fuoriuscire-dal-mercato, di produrre valori-d’uso-immediati, magari pel tramite di lavori-socialmente-utili (o necessari o dilettevoli), in una sorta di “riserva indiana” autoghettizzante, semmai presumendo che il capitale ormai produce merce-senza-valore-d’uso - c’è chi giunge a proclamare che questo o quell’altro non è merce. Dunque, sulla base di codesta ignoranza dei caratteri fondamentali semplici della merce, è dato leggere che “l’istruzione non è una merce”, “la salute non è una merce”, “la casa non è una merce”. Non si può discutere qui l’inesattezza di tali affermazioni relative a quelle merci. Che tutte codeste componenti basilari della ricchezza sociale non nascano come merce - nulla nasce come merce, neppure il pane - è fin troppo ovvio. Ma che esse - e tendenzialmente tutte le cose fruibili, pure coscienza e onore - in epoca moderna, nelle società in cui predomina il modo di produzione capitalistico, non lo siano diventate o non lo diventino crescentemente è molto meno ovvio. E non solo di ovvietà si tratta, poiché siffatto convincimento è anche profondamente errato.
Il massimo di confusione, su cui conviene qui brevemente concentrarsi, è raggiunta dall’errata convinzione, che tutte le riassume e le supera, secondo la quale “il lavoro non è una merce”. Con la pretesa negazione del lavoro (ossia, per essere precisi della forza-lavoro) come merce - per essere meno “brutali” e sembrare più “umani”, a buon mercato - si nega ai lavoratori l’unico valore di loro proprietà, la sola fonte della loro ricchezza.
Considerando le proposizioni marxiane sopra riscritte emergono tutte le più gravi dimenticanze con cui il senso comune della sinistra - che non è propriamente il buon senso, né tantomeno il senso della ragione - oggi tratta i temi del lavoro. Basti una breve elencazione:
- la duplicità del lavoro (concreto e astratto) è il “perno” attorno al quale ruota la comprensione dell’economia politica; la pretesa separazione e autonomizzazione, adialettica, del lavoro “utile” dalla sua forma storica vòlta alla produzione di “merce” significa che non si è compresa l’economia politica;
- la forma di merce della forza-lavoro è tale proprio perché il suo valore d’uso, ossia il lavoro stesso, nella sua rammentata duplicità, è dialetticamente unito con la sua antitesi, il suo valore (di scambio) come contraddizione in divenire; la pretesa di trattare del valore della forza-lavoro (e del salario) staccandolo violentemente dal suo uso (estrinsecazione della forza fisica e psichica del lavoratore) è il vizio sindacal-riformistico prevalso dai tempi del socialismo borghese ricardiano a oggi;
- il salario, in quanto forma empirica di occultamento del valore della forza-lavoro (e forma di classe, peraltro, non già individuale), è dipendente (in quanto variabile), insieme all’occupazione, dall’andamento del ciclo di accumulazione del capitale, e dunque il capitale stesso tende a esprimere tutta la sua forza per raggiungere in ogni momento la loro massima compressione, al fine di ottenere la corrispondente massima estensione del pluslavoro non pagato (circostanza che oggi si rappresenta su scala mondiale); la pretesa secondo cui le rivendicazioni salariali possano, in determinate circostanze e senza considerare la durevole tenuta di rapporti di forza antagonistici favorevoli, ignorare o vietare tale “dipendenza”, insieme all’altra pretesa che sia lecita l’aspettativa di “piena occupazione”, sono entrambe opinioni false;
- l’uso della forza-lavoro, ceduta come merce dal suo possessore (il lavoratore), ossia le condizioni in cui il capitale ne organizza l’estrinsecazione (organizzazione capitalistica del lavoro), rappresenta la peculiarità distintiva del modo di produzione capitalistico, capace di spiegare come si produce il capitale stesso, una volta varcata la soglia dov’è “vietato l’ingresso agli estranei”; la pretesa di trascurare la conduzione della lotta di classe proprio sul controllo di codesto uso (controllo consistente, a es., nel connettere la riduzione della giornata lavorativa a una immutata intensità del lavoro, più che all’invarianza salariale, sia pure questa sociale) significa rinunciare alla specificità dell’antagonismo di classe in questa particolare forma storica della società;
- la forma di merce della forza-lavoro implica che essa sia di proprietà del suo possessore (il lavoratore) che, “libero” di venderla sul mercato, deve poter costantemente riferirsi a essa come sua proprietà e disporre della sua capacità lavorativa come della sua stessa persona; la pretesa di sottrarre tale libera disponibilità ai lavoratori loro proprietari, accampando una qualche giustificazione, in nome di una supposta “rappresentanza” (più o meno istituzionalizzata in organizzazioni sindacali ammesse dall’ordinamento statuale), vìola la condizione basilare della potenzialità antagonistica nelle società in cui predomina la produzione capitalistica, spingendo il sistema sociale stesso verso approdi neocorporativi (magari in simmetrica alternativa ad alcune derive provocate dalla degenerazione delle cosidddette economie di comando del realsocialismo, pure caratterizzate dallo svuotamento di tale “rappresentanza” e della libera disponibilità del possesso di forza-lavoro).
Ancora
molte altre considerazioni potrebbero essere tratte e sviluppate
dalla ripresa di un’osservazione seria che sapesse partire da
queste determinazioni “semplici” marxiane, fino a giungere
all’esame delle forme di sviluppo della crisi. Ma già quelle qui
appena accennate sono ricchissime di prospettive attuali. Del resto,
la riproposizione della categoria “forza-lavoro” come “merce
specifica” - quale punto di partenza di una rinnovata attualità
dell’analisi marxiana - risponde all’affermazione, di Marx
stesso, secondo cui l’individuazione delle leggi di
funzionamento di tale categoria rappresenta la sua vera scoperta
scientifica.
Si dice: «Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d’un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere... La forza-lavoro come merce può apparire sul mercato soltanto in quanto e perché viene offerta o venduta come merce dal proprio possessore, dalla persona della quale essa è la forza-lavoro». La corporeità dunque. Da un punto di vista materialistico, l'energia necessaria per lavorare proviene dalla "corporeità" dell'individuo. Dal suo essere organismo biologico, ovvero, in ultima istanza, organismo chimico-fisico. L'operaio alla catena di montaggio, che effettua una mansione semplice e ripetitiva, usa soltanto l'energia fisica che proviene dal proprio corpo. Le attitudini intellettuali sono qui ridotte alla fatica per rimanere concentrati, per rispettare il ritmo imposto dal sistema di macchine. Ora anche un robot ben fatto è un organismo chimico-fisico che eroga forza lavoro. O no? Mi chiedo quale difenda ci sia nel processo di valorizzazione della merce tra un operaio-automa e un automa-operaio.
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