venerdì 9 giugno 2017

IDEOLOGIA E DIALETTICA*- Stefano Garroni

*Da:   https://www.youtube.com/user/mirkobe79/playlists?flow=grid&view=1&sort=lad



[…] il proletariato, la lotta di classe: c’è questa tragedia incombente. E peggio, questa tragedia incombente può anche essere addirittura segno dell’ira di dio contro l’uomo peccatore: tutti siamo assassini, tutti abbiamo ucciso nella guerra – i nazisti, gli antinazisti -, siamo tutti sporchi di sangue, dunque è possibile addirittura che dio consenta la guerra atomica per punirci.

Althusser, che in questo periodo è cattolico, dice ai cattolici per esempio a Malraux e Marcel: “Ma con quale arroganza voi pretendete di interpretare dio? Noi uomini possiamo capire le cose del mondo e allora cominciamo a dire chi sono i responsabili e a chiamare le persone con il loro nome. E chi è questo ‘tutti’? Guarda un po’, tutte queste persone che favoriscono l’ideologia del proletariato del terrore, poi se andiamo a vedere politicamente ruotano intorno alla socialdemocrazia e sono anticomunisti”.

Allora comincia a delinearsi questa immagine ideologica di un pensiero che – prendendo spunto da effettivi drammi, da effettivi problemi – addirittura accentuando la drammaticità di questi problemi, arriva alla conclusione che è inutile la lotta di classe: è come se coloro che occupano il treno lanciato verso l’abisso, si mettono a litigare tra loro quando c’è questa tragedia, e sono socialdemocratici e anticomunisti.

A questo proletariato del terrore lui contrappone il proletariato quello proletario, e dice: “Questo è un proletariato che si definisce per la sua condizione sociale, politica, economica, che lotta per delle cose determinate, contro forze determinate, e lottando impara che può vincere, e quindi costruisce un’immagine della società, del mondo in cui sta, si pone obiettivi, opera, fa; invece questo proletariato del terrore disarma”.

Ed è interessante che nella misura in cui tutti rientriamo in questa sciagurata minaccia della guerra atomica e quindi tutti siamo uguali di fronte a questa sciagura, succede che, appunto, non valgono più le nostre differenze sociali, le nostre differenze culturali, economiche ecc., cioè non vale più la storia: siamo tutti, in quanto uomini, condannati, cioè in quanto esseri viventi noi siamo condannati: siamo colpevoli e dio forse ci vuol punire. La storia è stata messa tra parentesi, è emersa una condizione naturale dell’uomo la quale è essa la fonte della tragedia. Allora comincia anche un discorso che noi abbiamo scoperto in realtà solo recentemente, e cioè la negazione della storia: in realtà questo proletariato del terrore è possibile solo in quanto la storia viene negata, e quindi il proletario e il capitalista non contano più nelle loro differenze che ho nella storia, perché le differenze sono prodotte dalla storia. Non conta più questo, c’è un altro piano dove le differenze storiche scompaiono, ed è quest’altro piano che conta, non la storia.

E allora per esempio, la perdita della dimensione storica che oggi viene tanto denunciata, nel ’46 ad esempio Althusser l’ha vista, quindi è cosa vecchia, che non è però cosa generica, perché è legata a questa operazione di perdita della differenza, della costruzione di un’unità metafisica dell’uomo – la condizione umana, il rapporto con dio – ed è anticomunista, e nel concreto dei personaggi qua indicati, è favorevole alla section frances international socialist (la socialdemocrazia francese), oppure dei laburisti inglesi, quindi è socialdemocratica, e quindi ci sono degli accostamenti interessanti: perdita della storia, c’è una dimensione naturale in cui tutti ci ritroviamo, e c’è la socialdemocrazia: D’Alema è vecchio.

Nel contesto del discorso, Althusser trova il modo di dare una sorta di definizione dell’ideologia. Lui dice: “L’ideologia è un movimento di opinione incomprensibile senza il ricorso al contesto in cui nasce”. Mi pare che valga la pena di sottolinearlo in questo senso: esistono certe costruzioni di pensiero che appunto, per essere comprese e per avere un senso, debbono essere tutte immerse dentro il contesto da cui nascono e in cui operano, cioè fuori di quel contesto sono incomprensibili e non hanno senso. Questa è l’ideologia.

Per esempio, quando Marx, facciamo conto, sviluppa le sue polemiche, qualche volta addirittura contrappone citazioni di Lucrezio contro un suo contemporaneo. Questo vuol dire che per Marx, poniamo, Lucrezio non è esaurito dal contesto in cui nasce, ma è un personaggio citabile fuori del contesto in cui è nato, fuori dal contesto in cui ha scritto, ha un messaggio che va oltre il contesto: non è ideologia, ma è un’altra cosa. È filosofia, è pensiero critico, ma non è ideologia. L’ideologia ha la caratteristica di essere tutta e solo dentro il contesto, cioè di nascere e morire in circostanze storiche nettamente definite. C’è una costruzione di pensiero che non va incontro a questo destino così breve. Per esempio Lucrezio può essere citato da Marx in modo significativo a metà dell’800, e possiamo citarlo anche noi oggi. Allora significa che esistono appunto costrutti di pensiero che hanno tempi di vita, e quindi anche tempi di efficacia che sono diversi, che hanno tempi storici diversi. Più il tempo storico è breve e più abbiamo a che fare con l’ideologia e non con la coscienza critica, non con la coscienza teorica.

Marx ricordate che si poneva il problema: “Perché ci piace la tragedia antica?” È facile vedere attraverso la tragedia greca, muoversi il mondo greco, però il testo del tragico greco non è esaurito da quella collocazione. Nell’800 il richiamo alla tragedia greca è un richiamo fondamentale a Shakespeare, a Dante, a Boccaccio: sono tutti quanti personaggi che funzionano al di là del contesto, e questo funzionare al di là del contesto significa che io ho a che fare non con l’ideologia ma con un altro tipo di prodotto culturale teorico.

Per chiudere su Althusser mi interessa sottolineare questo movimento: scompare la storia e allora noi tutti possiamo ritrovarci in una dimensione unitaria che vale per tutti, ma appunto per fare questo deve scomparire la storia e questo scomparire della storia significa che emerge in realtà l’anticomunismo, la socialdemocrazia, viene messa a tacere la lotta di classe, e cioè si fa politica.

Il problema però diventa questo: nel 1946, quella perdita della dimensione storica è più vecchia che a partire dal 1989. Esattamente la perdita della dimensione storica che significa? Voi lo sapete che molte volte, contro questa perdita della dimensione storica si fa appello alla memoria storica.

Naturalmente è una canagliata perché la memoria storica significa appunto che io debbo ricordare la storia. È come se dicessi: “Ricordati di tuo nonno, era così bravo, perché l’hai dimenticato?” Ma allora, se me lo devo ricordare, è morto, e quindi la storia è morta se è necessaria una memoria storica, e allora se la storia è morta, allora è vero che è cancellata, allora è vero che non c’è. Se la storia c’è, ci deve essere ora, qui. E infatti, ecco il nesso tra perdere la dimensione storica e la socialdemocrazia, perché se vedo nell’oggi operare la storia, allora scopro che questa persona, qua ed ora, ha delle radici, ha delle caratteristiche che vengono dall’esistenza di un mondo che si è mosso, che si è costruito: c’è, e io per esempio sono proletario, sono radicato in un terreno, oppure sono capitalista, o sono un’altra cosa. Perché? Ma perché c’è stata una certa storia, si sono svolte delle cose che sono arrivate fino a qui, cioè la storia ce l’ho dentro, e in quanto ce l’ho dentro quelle radici ho una personalità definita, sono socialmente identificabile: non scontare la mia dimensione sociale in una astratta uguaglianza naturale.

Però la sottolineatura a proposito dell’ideologia ci consente di capire anche che non solo è una canagliata la memoria storica in quanto in realtà dà per scontato che la storia è morta e non c’entra con il presente, cioè non coglie la storicità del presente, non coglie il presente come quel punto in cui la storia si sta svolgendo.

Voi lo sapete che la dimensione scientifica giustamente coglie la differenza tra spiegazione causale di un evento e previsione circa l’evento, perché in realtà il processo logico di costruzione della regolarità è esattamente lo stesso. È semplicemente un caso che quel processo logico serva a cogliere connessioni che si sono poste nel passato e che si porranno nell’avvenire. Il problema, scientificamente, è quello di collegare eventi. Che questi eventi siano già avvenuti o che debbano avvenire, dal punto di vista logico non fa differenza: la struttura logica della previsione o della spiegazione causale è esattamente la stessa. Questo significa appunto che è sbagliato identificare storia e passato. Primo perché è estremamente difficile definire cosa sia il passato: ricordate l’inizio della fenomenologia di Hegel? Io dico ‘questo’, o dico ‘ora’, ma è chiaro che quell’ ‘ora’ a cui mi riferisco, nel momento stesso in cui lo dico già è passato. Questo vuol dire che dal punto di vista dello svolgersi, dello scorrere sugli eventi, fissare il ‘qui’, ‘ora’, ‘prima’, ‘dopo’, è qualche cosa di arbitrario. E devo stare attento a non dimenticare che, appunto, ho stabilito io dei paletti, ho detto io, ho definito io che ‘questo e adesso’ è passato, perché in realtà essendo continuamente in movimento, è sempre continuamente passato e sta per nascere contemporaneamente.

E quindi è all’interno di un certo sistema di organizzazione dell’esperienza che stabilisco che questo è passato, questo è attuale, questo è futuro. Se cambia il punto di riferimento, cioè il sistema di organizzazione, cambia anche il presente il passato e il futuro. Per esempio dal punto di vista della scienza non ha senso distinguere tra spiegazione e previsione. Dal punto di vista della vita quotidiana ha senso. In realtà se io colgo il presente come un processo, come un divenire, questo è terribile perché allora colgo che non c’è la stabilità. Non c’è la stabilità vuol dire in concreto che i rapporti sociali non sono stabili, che cambiano.

Sto leggendo un libro molto vecchio, delle edizioni Avanti, che è la documentazione di un processo che avviene alla fine dell’800 in Italia, nel mantovano. Sono dei contadini e degli intellettuali che hanno organizzato delle associazioni per riuscire ad imporre un aumento della paga oraria dei contadini. La situazione di partenza è che la domenica e i giorni di festa i contadini vanno in piazza a chiedere l’elemosina perché non hanno soldi, non mangiano. Il bambino a 8 anni va a lavorare perché la famiglia non ce la fa a mantenerlo, letteralmente. Allora si organizzano per riuscire a contrattare con il padrone un aumento. Vengono arrestati perché accusati di voler organizzare scioperi, perché lo sciopero è dannoso all’economia, e il danno all’economia colpisce padrone e lavoratore, quindi in realtà scioperando tu lavoratore danneggi te stesso. È interessante che alcuni degli organizzatori di queste associazioni contadine, fanno questo discorso al processo: “Io ho sempre sconsigliato lo sciopero perché mi rendo conto che lo sciopero, bloccando la produzione, danneggia anche i contadini”: il rapporto sociale è fisso, è rigido, il rapporto economico è quello, l’economia è quella. No! Se il presente è dinamico, non c’è nessun motivo per cui l’economia sia quella, il rapporto sociale sia quello: tutto è dinamico.

Ecco perché la dialettica spaventa ed è rivoluzionaria, nel senso che tutto scioglie e ricostruisce. La sua razionalità, paradossalmente – perché questa è la prima volta che avviene nella storia -, (il reale è razionale), sta nel mostrare la razionalità del movimento. Nella storia del pensiero la razionalità è stata sempre tematizzata come l’eterno, lo stabile, il fisso, di contro al divenire, al perire continuo, allo scorrere, e contro questo c’è l’unità del concetto. No! Arriva la dialettica che dice: “Il concetto è la regola del movimento”, cioè il concetto non c’è senza il movimento, ma ti rende comprensibile il movimento, quindi ti rende possibile capire che è razionale il movimento, non la stabilità.

Allora per esempio non si potrà più dire: “Facciamo gli investimenti tecnologici, aumentiamo la produzione e diminuiscono i prezzi, quindi tutti potranno comprare di più”. Non è vero perché non c’è una legge stabile. Secondo: non è vero che noi dobbiamo comportarci in previsione di certi andamenti economici, perché questi andamenti economici non sono rigidi. Quindi per esempio non è vero che se io sciopero danneggio la produzione. Danneggio una produzione, un tipo di produzione, un tipo di rapporto sociale, ed in generale le categorie economiche sono espressione del tipo di rapporto sociale. Non c’è l’inflazione, il denaro, la merce ecc. Esiste un mondo di rapporti sociali storicamente costruitosi, che si esprime in un tipo di economia e quindi in un tipo di categoria economica. E’ certo che scioperando io vado contro, ma a quelle categorie economiche. Non esistono le categorie economiche, ma queste, quelle altre, ecc.

Appunto, questo rende molto complicata la faccenda della memoria storica, perché poi ‘storia’ è una cosa che va detta al plurale: non c’è la storia, ma ci sono le storie, nel senso proprio che esistono tempi di movimento diversi. La faccenda è facilmente comprensibile: un articolo di fondo su un quotidiano, difficilmente uno o due anni dopo lo rileggo. Luckacs ha pubblicato questo libro 50 anni fa. Dicono che – io non lo so perché non guido – che posteggiando la macchina uno applica la geometria euclidea di fatto. Però esistono anche altre geometrie. Ma questo vuol dire che la geometria euclidea ha alcune migliaia di anni a suo sostegno.

Un’altra canagliata, per esempio, è quando si dà per ovvio che essendo stato scritto il Manifesto nel 1848, bisognerà cambiarlo. E no, un momento, bisogna vedere. Cioè esistono tempi storici diversi perché esistono livelli diversi della realtà. Il che è anche molto importante per esempio dal punto di vista morale dove si imbroglia, e oggi è abbastanza ovvio intendere il principio morale come regola morale, il che ovviamente è un errore nel senso che se io vado a giustificare una regola morale, per esempio parlando con una persona che ritenga una regola sbagliata, discuto con lui ecc., e nel processo argomentativo io cercherò di mostrare la validità di quella regola ad un certo punto appellandomi ad un principio morale. Questo vuol dire che il principio morale ha una dimensione che è diversa da quella della regola: la regola morale è soggetta ad un mutamento storico molto più rapido rispetto al principio morale, e ancora di più la norma pratica operativa. E allora né memoria, né storica, nel senso che bisogna rendersi conto delle diverse storie e del sistema complicato di relazioni tra queste diverse storie.

Io credo ad esempio che noi ci troviamo di fronte – politicamente - un problema che è di grande importanza, e ce l’abbiamo talmente di fronte agli occhi che poi non lo vediamo troppo, e cioè: non è dubbio che – molto banalmente – l’attività internazionalista vuol dire in sostanza che “facciamo una manifestazione in sostegno di …” Non è vero! Non è questo l’internazionalismo. L’internazionalismo è capire che non è possibile comprendere nulla dell’Italia se non comprendi il mondo, non è possibile organizzare nulla di serio in Italia se non in un contesto più ampio.

Non so se di questo avete fatto esperienza ma molte volte è successo che Marx, quando ha scritto Il capitale, teneva presente il capitalismo inglese, allora se ci sono delle cose ne Il capitale che tu non ritrovi a casa tua, è perché Marx teneva presente il capitalismo inglese, quindi il tuo non è inglese ma è diverso e va riadattato. Questa è una mostruosità perché ne Il capitale succede che viene analizzato il concetto di capitale, cioè il complesso di regole, di tensioni, di processi, che caratterizzano la produzione capitalistica in quanto tale. Quindi quel capitalismo lì, propriamente non sta da nessuna parte ma sta dovunque, rappresentato in maniera più o meno adeguata. Però bisogna capire che, certo, la modifica de Il capitale ovviamente sarà necessaria, ma sarà necessaria se è necessario modificare il concetto di capitale, cioè il concetto di modo di produzione capitalistico. Quindi in linea di principio, per carità, nulla è immodificabile, figuriamoci, ma la modifica a Il capitale di Marx vuol dire la modifica al concetto di modo di produzione capitalistico, e non può essere sostenuto dal fatto che noi qui in Italia oggi vediamo che qualche cosa, qualche fenomeno è diverso. Questo non significa nulla.

Se l’internazionalismo è qualche cosa che sta proprio dentro il cuore del marxismo, è costitutivo del suo stesso modo di guardare i fatti, il costituirsi come teoria, per esempio possiamo anche individuare un’altra curiosa dabbenaggine che spesso si sente dire, e che non è autorizzata dal testo di Marx. La dabbenaggine è questa: siccome in Germania non esisteva uno sviluppo capitalistico forte, allora i tedeschi hanno potuto sviluppare la coscienza della società moderna solo sul piano filosofico, mentre invece in Francia, dove c’era un’attività politica intensa, o in Inghilterra dove c’era un’economia sviluppata, allora si sono occupati di sindacato, o di partito, di lotta politica. La arrière pensèe è evidente: l’intellettuale è un perditempo, cioè non c’è da fare attività politica, non c’è da fare attività sindacale e allora uno studia. E no, un momento! Il mondo moderno, proprio in quanto non è l’Inghilterra, non è la Germania, non è gli Stati Uniti, ma è quel certo modo di produzione che sta costruendo nella storia, in luoghi, in momenti, in fasi e in aspetti diversi, è un complesso che prevede l’Inghilterra, la Francia, la Germania; e la civiltà moderna è l’insieme della lotta politica francese, della lotta sindacale inglese e della concezione teorica germanica. Questo nel suo insieme è la società moderna.

Il che è fondamentale perché allora si comprende anche che la società socialista non è un tipo di politica e un tipo di economia. No! ma è un tipo di politica, è un tipo di economia e un tipo di cultura. Così come è un insieme il modo di produzione capitalistico, anche il modo di produzione socialistico è un insieme, e la lotta avviene tra due insiemi. Questo è decisivo perché un errore forte, ovviamente dovuto a molti motivi: molte volte gli errori si fanno non perché uno sia distratto o un po’ stupido, ma perché è costretto a farli, quindi errori in un certo senso, errori oggettivamente. Un errore è quello che, fino a pochi anni fa si faceva, dicendo che c’è un mondo capitalista, un mondo socialista e un terzo mondo che è neutrale.

La arrière pensèe, è evidente: è possibile un mondo socialista che stia accanto ad un mondo capitalistico e accanto ad un mondo che è neutrale, cioè esistono tre mondi. No, un momento: esiste un mondo, un mondo interattivo, per cui alla fine, paradossalmente era Breznev che aveva ragione, quando parlava del socialismo realmente esistente, e cioè: non rompete le scatole. Il socialismo che c’è è quello possibile nel mondo dato, perché c’è un mondo che interagisce. E’ inutile andare a protestare se il materiale che c’è, cioè se il mondo che c’è è quello che è, e quel prodotto che vien fuori ha certe caratteristiche: cambiate il mondo, cambiate il materiale.

Cambiate il mondo e cambiate il materiale vuol dire che la lotta è internazionale, ma è internazionale nello stesso senso in cui è politico, è economico e culturale. Lenin diceva: “I fronti di lotta sono tre, non due: economico, politico e culturale”. E sono tre fronti di lotta non perché sono uno accanto all’altro, ma perché sono la stessa lotta nelle tre manifestazioni.

Recentemente in una riunione un compagno diceva: “Contro l’imperialismo noi italiani prima di tutto dobbiamo capire e dobbiamo combattere contro l’imperialismo italiano”. Questa è una castroneria perché non esiste un imperialismo italiano. Al più esiste un imperialismo europeo. Non stiamo nell’800: non c’è un imperialismo italiano, uno francese, uno belga. Allora casomai bisognerà dire: “Noi, dall’Italia dovremo combattere l’imperialismo”. Questa frantumazione continua, questa riduzione in spicchi della realtà, questo ripugna al modo di approccio nostro, oltre ad essere falso ovviamente. Voi ricordate che l’imperialismo italiano nell’800, venne fuori quando le altre potenze imperialistiche decisero di dare qualche cosa a questi pezzenti di italiani. Il che vuol dire che anche l’imperialismo italiano esisteva quando esisteva un imperialismo internazionale il quale ha deciso e ha consentito. Questa è la faccenda: no, non c’è un mondo socialista e un mondo capitalista e un terzo mondo neutrale.

È una cosa importante perché quando si pensava che esistesse un mondo socialista accanto a un mondo capitalistico, succedeva che le relazioni tra questi due mondi erano ovviamente pensate come relazioni nell’esteriorità, cioè ci sono questi due mondi che entrano in contatto, e il contatto può essere aggressivo, l’imperialismo minaccia la guerra, fa la guerra, organizza il sabotaggio, manda le spie ecc., ma è dall’esterno: “Se non ci rompessero le scatole il mondo socialista avrebbe le sue leggi, il mondo capitalistico le sue leggi e potremmo fare il raffronto su quale è meglio". Non è vero perché il mondo è uno: c’è un’interazione, e allora per esempio tu colonia hai bisogno di materie prime, di tecnologia e devi rivolgerti al mercato mondiale, devi fare i prestiti e ad un certo momento chiedono la restituzione e ti fregano, perché se ti troncano i rapporti tu sei morto. Ma non solo, succede anche questa cosa; è bizzarro ma succede così: l’ideologia è una cosa strana, non è il pensiero critico, ma è un’altra faccenda, e succede che ideologicamente ci si orienta secondo i modelli che appaiono più ricchi e più sviluppati. I compagni più anziani qui presenti hanno testimonianza del fatto che quando esisteva il mondo socialista, e per esempio contro la Germania Democratica si diceva: “Guardate la Repubblica Federale, guardate che belle macchine che hanno i tedeschi occidentali, mentre i tedeschi orientali non ce l’hanno! Non hanno la macchina!” Noi si! Rispondevamo: “Però hanno gli ospedali gratuiti, la scuola gratuita ecc.”, ma non eravamo convinti e ci sentivamo in difficoltà perché è una vecchia legge: qual è il modello di vita? Il modello di vita gli è dato dal paese più avanzato, più ricco e più evoluto: negli Stati Uniti hanno la macchina, quindi io in realtà mi ritengo ricco, libero, ecc., se ho la macchina. In Germania Democratica non ce l’hanno, e io devo difendere questi compagni però dentro di me, appena ho finito di difenderli vado a cercare di comprare la macchina. Ma questa non è stupidità, ma è l’ideologia.

È un vecchio fenomeno che già Leibniz descriveva nel ‘600: il paese tecnologicamente più evoluto dà i criteri per la forma di vita. Qui, come dire, non c’è nulla di razionale in un certo senso, ma è vero. Per questo è possibile dire: “Israele che è un paese democratico purtroppo a volte ammazza un po’ troppo, ma è un paese democratico non c’è dubbio su questo”. Avete letto in questi giorni la vicenda curiosa delle elezioni negli Stati Uniti all’inizio addirittura sono state fatte come prova della democrazia degli Stati Uniti: “Vedi come sono democratici, tutti a contare, loro si che sono democratici” Queste cose però passano. Ovviamente è una stupidaggine quello che noi dicevamo, che so: “Gli albanesi hanno creduto alla televisione italiana, hanno creduto che tutti stessero bene e allora sono venuti qui”. Non è vero, questa è una scusa per nascondere la nostra debolezza politica, per nascondere le contraddizioni interne all’Albania. Non è vero perché quello che va spiegato è: “Perché hanno creduto?” Perché non ritenevano di dover credere altre cose. Perché non lo ritenevano? Ma perché in realtà vige questa regola: il paese più evoluto economicamente, che dispone di più cose, questo impone le forme di vita. Non si scappa.

[...] Ora, questa faccenda dei tre mondi, il mondo socialista, il mondo capitalista che si sviluppano con le loro leggi avendo relazioni esteriori, esterne, che possono essere buone o cattive. E allora sarà possibile dire: “Vedete la scienza capitalistica, vedete che fa? Mentre invece nel socialismo …”. E già, ma se invece il mondo è uno, allora l’interconnessione entra dall’interno e non è solo un rapporto esteriore. E allora per esempio la scienza in URSS dovrà fare i conti per esempio con lo sviluppo effettivo dell’URSS, tecnologico, economico, culturale; il quale da parte sua è condizionato dall’evoluzione generale del mondo. E allora la presenza dell’altro non è esteriore, ma è dentro. E allora sarà necessario - per difendere questa falsa cosa della scienza socialista e della cultura socialista - fissare con nettezza e in maniera sicura, caratteristiche della cultura socialista di contro alla cultura capitalistica. Poi uno legge i manuali sovietici e vede che la dialettica lì è molto simile al pragmatismo, al funzionalismo, cioè tutte quelle cose che negli Stati Uniti giocavano il ruolo di ideologie dominanti.

C’è una differenza importante che Luckacs coglie: lui parla di apologia indiretta e apologia diretta dell’imperialismo. L’apologia indiretta è rappresentata dal nazifascismo (lui si occupa più di Hitler, più del nazismo che del fascismo), e l’apologia diretta è invece quella attuale. Questo è interessante perché Luckacs scrive la distruzione della ragione mentre ancora esiste il nazismo, sta per finire ma ancora esiste. Finalmente crolla, e il libro di Luckacs esce nei primi anni ’50 con un nuovo capitolo che ha questo senso: essendo crollata l’ideologia nazifascista, quale nuova ideologia l’imperialismo elaborerà per farle svolgere il ruolo che aveva l’ideologia nazista? Quindi il nazifascismo come apologia indiretta, è bizzarro, perché? Ma perché Luckacs sottolinea (do una prima formulazione ma poi bisogna approfondire) come il nazismo tenda a presentarsi come una forma di socialismo: socialismo alla tedesca, la democrazia germanica. Quindi non si presenta esplicitamente come regime imperialistico capitalistico, anzi al contrario, parla di nazioni proletarie, di nazioni burocratiche, quindi in qualche modo prende terminologie della lotta di classe in realtà per favorire l’imperialismo.

Quindi è indiretta in questo senso. Nell’epoca successiva, crollato il nazismo ci sarà apertamente e direttamente l’apologia dell’imperialismo. Ora andiamo un po’ più a fondo perché qui c’è un punto importante. Voi lo sapete che una delle ragioni fondamentali per cui una classe sfruttatrice ha il potere e lo mantiene, è perché la gente non pensa. Questa è una delle ragioni fondamentali. Il pensiero della vita quotidiana non è propriamente pensiero perché gli manca un elemento fondamentale: il mettere in connessione e ricavare conclusioni dalle connessioni, cioè accosta i fatti. In questo senso non ragiona, e non ragionando non vede, non capisce. Quand’è che anche il pensiero quotidiano in qualche modo ha un qualcosa di critico dentro di sé? Quando oggettivamente esiste un mondo in cui c’è una critica […] e valori che sono persino opposti. Nella vita quotidiana in qualche modo questa opposizione è presente, in maniera sgangherata ma è presente e ha un riflesso, e allora anche il pensiero comune in qualche modo ne risente.

Il nazismo, contro gli stati plutocratici, per la liberazione della nazione proletaria, la democrazia alla tedesca, il socialismo tedesco: i funzionari del partito nazista dirigono le fabbriche, e non i nobili come era nella tradizione, per cui per esempio ci sarà un’opposizione al nazismo fatta dall’aristocrazia tedesca, la quale accuserà il nazismo di essere vicino al bolscevismo, e la ragione è molto chiara: questi declassano i nobili. Prima era automatico che per esempio un generale fosse un nobile, ma ora no: può essere uno che il partito nazista ha messo lì. Ma il nazismo si presenta appunto con questo anticapitalismo e con un’idea di Europa che si libera dagli Stati Uniti.

Ideologia mistificatrice, non vi è dubbio, però che raccoglie qualche elemento obiettivo: c’è effettivamente un astio verso gli Stati Uniti, c’è effettivamente l’astio del proletario contro il plutocrate. Il plutocrate lo rappresentano come lo stato francese, l’Inghilterra, l’ebreo; in tutti i modi purché non sia il capitalista ovviamente. Quindi c’è un fondamento, anche se è stravolto ma c’è: quest’ideologia ha la possibilità di radicarsi su spinte obiettive. Di nuovo: c’è nella realtà quotidiana un elemento di criticità, e allora il pensiero quotidiano può ospitare elementi di criticità; poi dopo ci sarà l’Unione Sovietica, il campo socialista, e allora si vive nel quotidiano. [...]

Crollato il nazismo Luckacs si chiede qual è la nuova ideologia dell’imperialismo. Apro una parentesi: crollato il nazismo, ma poi crollata anche l’Unione Sovietica, questa ideologia che Luckacs analizza non ha più ostacoli: è l’unica ideologia.

Altra parentesi: attenti compagni, che un altro imbroglio clamoroso è quello comunissimo a sinistra: la polemica contro il così detto pensiero unico. Questa è un’autentica canagliata, perché in realtà noi viviamo, specialmente oggi, una realtà che è completamente diversa, cioè la realtà di una scissione radicale tra livello ideologico e livello teorico. Detto in soldoni: lo sviluppo delle scienze e del pensiero critico ad alto livello, ha caratteristiche totalmente sconosciute al pensiero comune, e la barriera tra questi due livelli è stata consolidata. È a livello ideologico che c’è questa uniformazione, che serve esattamente ad impedire qualunque approccio all’altro pensiero, quindi in realtà abbiamo più pensieri, ma siamo destinati a morire dentro il limite di un pensiero, e una sinistra cretina polemizza contro il pensiero unico: no! Devi polemizzare contro la barriera artificiosa che viene costruita e far vedere invece che il pensiero non è unico: ora, adesso. È una mistificazione quella del pensiero unico. Diventa una scusa il pensiero unico, perché poi voi lo sapete che il compagno – per così dire – di sinistra che polemizza contro il pensiero unico, poi condivide tutti gli slogan del pensiero unico: è d’accordo con le femministe, con gli ecologisti, con gli animalisti; ce le ha tutte, ma non si accorge che per esempio sul Corriere della Sera si dice che oggi le donne nell’esercito si preparano a far parte anche dei gruppi di combattimento. Sarebbe interessante vedere un gruppo femminista che protesta su questo.

Dice Luckacs che questo pensiero nuovo, questa nuova ideologia dell’imperialismo, appunto l’apologia diretta dell’imperialismo, ha una caratteristica fondamentale, e cioè quella di presentarsi con il massimo del rigore scientifico e insistere proprio sul rigore scientifico che però, non mettendo in discussione i fondamenti dell’esperienza, diventa non solo un modo per accettare il mondo così com’è, ma proprio perché accetta il mondo così com’è e non lo mette in discussione, questo mondo viene sacralizzato. Questo mondo è indiscutibile, è unico, cioè è inspiegato: c’è, e questo è il miracolo, questo è l’irrazionalismo. Quando oggi, nel postmoderno per esempio, si polemizza contro l’intelletto in nome della differenza – lo dico in termini di antropologia, per esempio: una teoria antropologica è sempre un sovrapporre a quello che l’attore (cioè quello che compie un rito), sente, pensa, trova, è un sovrapporgli la teoria dell’antropologo; mentre invece bisogna prendere atto di come il mondo si dà, di quello che dice, pensa e fa quell’attore, quella gente, senza pretendere di capire, perché capire che vuol dire? Vuol dire appunto sostituire alla realtà così come si dà, una realtà mediata ecc ecc.

Questa esigenza di rigore scientifico dell’ideologia proposta dagli imperialisti, appunto, è tanto scientifica da non discutere il dato di fatto, da accogliere il dato di fatto così come è, e quindi ecco che introduce il contrario di sé stessa. L’esperienza non è motivata, non è spiegata, non se ne mostra la storia, e quindi la relatività - di nuovo la storia scompare – ma è un dato. E allora questo rigore scientifico si accompagna e si rovescia immediatamente nel proprio contrario, nel misticismo e nell’irrazionalismo, per cui capita che questa ideologia nuova è un prodotto paradossale, è il prodotto di una scienza che porta il proprio nemico al proprio interno, e di un’irrazionalità che si sostiene su un tipo di scienza. Noi oggi questo lo vediamo con estrema chiarezza quando vediamo ridotto il pensiero scientifico a pensiero pragmatico, funzionale ed unitario, e quindi ovviamente come pensiero che si esplica in un mondo i cui fondamenti non sono sottoponibili a conoscenza scientifica, ma sono quelli che sono (sono dati), appunto sono miracolosamente là: c’è un’inflazione, tu puoi vedere come curarla, però c’è, non vi è dubbio.

[...] Nella vita di Galileo di Brecht ad un certo momento Galilei dice una cosa: “Una scienza che non sia impegnata per un progresso morale dell’uomo, non è veramente scienza”. Ecco, tu oggi hai una scienza ridotta a produzione tecnologica, e la tecnologia ha proprio questo come caratteristica: tu gli dai un compito e la tecnologia lo risolve. Ma chi glielo dà quel compito? Allora succede che la scienza diventa subalterna rispetto ad un mondo già dato che non si discute, per cui più sottolinei l’importanza della scienza e più in realtà sottolinei la non discutibilità del mondo.

Se vuoi un personaggio tipico da questo punto di vista, scusate la caduta di tono, è Vattimo, il quale è un filosofo mi pare - come lo è Flores D’Arcais ecc. -, che sulla base di Nietzsche, di Heidegger ecc., scopre che è assurda quella ragione per esempio della dialettica che pretende di definire quali sono i fini: il mondo non è raccoglibile nelle secche formule dell’intelletto. L’intelletto è strumentale, cioè il mondo non si discute: il mondo si dà, c’è, e l’intelletto è solo strumentale, cioè i fini non si discutono, ma solamente i mezzi. Infatti la FIAT ti dà lo stipendio ma questo non si deve dire perché non conta.

Allora è bella questa accoppiata di una scienza strumentale da un lato e dall’altro lato una filosofia irrazionale, che si chiama filosofia della vita nel termine tecnico, Lebensphilosophie. Per cui ad esempio, la cosa ridicola del postmoderno che in nome del vissuto polemizza contro la scienza: non è vero, perché questo postmoderno che esalta il vissuto non discutibile e che lo ha accolto, è esattamente il presupposto di quella scienza, è il laziale rispetto al romanista: se non ci fosse l’uno non ci sarebbe l’altro, e questa è una tragedia.

È interessante che questa ideologia nuova dell’imperialismo – Luckacs ad un certo momento cita un libro di un generale della Repubblica Federale Tedesca il quale parla delle differenze tra l’esercito nazista e l’esercito attuale tedesco, e dice una cosa fondamentale: l’esercito nazista era un esercito dotato di pathos, l’esercito attuale no.

Ricordate quei film, per esempio sulla guerra del Vietnam – quelli seri, non quelli degli americani che poverini soffrono perché hanno dovuto fare la guerra nel Vietnam, ma quelli prima – in cui si intervistavano piloti americani che avevano bombardato ed erano stati fatti prigionieri, e il pilota americano che diceva: “This is my job” (questo è il mio lavoro), bombardare: questo è il mio lavoro. Ecco, questo è l’emblema della scienza meramente strumentale, il culto della professionalità che oggi è centrale. La professionalità cioè il Know how, cioè il ‘sapere come’, non ‘sapere cosa’, ma sapere come! Ovviamente il ‘sapere come’, il job del pilota americano vuol dire: il fine, lo scopo, questo non rientra nella scienza, questo è il vissuto, questa è l’esperienza, questo è il mondo che c’è e non si discute, cioè questo è il misticismo.

E allora è un’ideologia priva di pathos, perché appunto io vengo addestrato alla mia professionalità, ma questa professionalità è un ‘sapere come’, non ‘cosa’, quindi a differenza del soldato nazista io non mi batto per un ideale folle o quello che si vuole, l’ideale dell’Europa, no! Io mi batto semplicemente per schiacciare bene il bottone. Poi che escano dei missili questo non è importante: neanche li vedo no? Ecco la mancanza di pathos, e guardate che questa mancanza di pathos è decisiva. Andate a vedere il Galileo di Brecht, e guardate non tanto lo spettacolo che è un po’ noioso perché è fatto molto per il pubblico di oggi e quindi addirittura a volte è buffonesco, ma guardate il pubblico: non c’è reazione. Chi l’ha visto qualche anno fa, Brecht a Roma, voleva dire che in teatro avevi il compagno, avevi il comizio, avevi le bandiere rosse, avevi gli slogan, avevi l’entusiasmo. Oggi no. Non è neanche chiaro che chi va a vedere Brecht sappia che Brecht era tedesco. Che fosse comunista no, figuriamoci, ma che fosse tedesco …



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