“La maggiore divisione
del lavoro rende capace un operaio di fare il lavoro di cinque, di dieci, di
venti; essa aumenta quindi di cinque, di dieci, di venti volte la concorrenza
fra gli operai. Gli operai si fanno concorrenza non soltanto vedendosi più a
buon mercato l’uno dell’altro; essi si fanno concorrenza nella misura in cui
uno fa il lavoro di cinque, di dieci, di venti, e la divisione del lavoro,
introdotta dal capitale e sempre accresciuta, costringe gli operai a farsi
questo genere di concorrenza. [..] Noi vediamo dunque che, se il capitale
cresce rapidamente, cresce in modo incomparabilmente più rapido la concorrenza
fra gli operai, cioè sempre più diminuiscono proporzionalmente i mezzi di
occupazione, i mezzi di sussistenza per la classe operaia e ad onta di ciò il
rapido aumento del capitale è la condizione più favorevole per il lavoro
salariato.” (K. Marx - Lavoro salariato e capitale)
La concorrenza tra i
lavoratori, funzione crescente del tasso di disoccupazione e di precarietà, influenza
negativamente il livello del salario favorendo comportamenti e dispositivi
istituzionali che, nell’illusione di creare situazioni più favorevoli a un
ampliamento dell’occupazione, finiscono inevitabilmente per ampliare la
contraddizione per cui lo stesso elemento che da un lato costituisce un costo
da ridurre è contemporaneamente domanda da ampliare. Questa contraddizione,
tipica del modo capitalistico di produzione, rivela i suoi effetti in maniera
più eclatante nei periodi di crisi.
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