venerdì 16 novembre 2018

CONCETTI DI DIALETTICA (10/11/2011) - Stefano Garroni

Da: mirkobe79 Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 

                      

Il testo oggetto della discussione: J. Zimmer, Dialektik – Konzepte. Dialektik und Erfahrung.

Il problema della dialettica nasce anche della contraddittorietà e problematicità dell’esperienza del reale,  che nella mente non si  colloca in modo preciso, ma deve essere rielaborata appunto mentalmente, deve dunque esprimersi nella struttura della forma di pensiero. Il pensante, contemporaneamente, si scopre,  nella differenza e nell’unità con tutta la[-1]  realtà che lo circonda. In questo significato fondamentale non vi è ancor alcuna differenza tra la forma dialettica idealistica e  quella materialistica.

Hegel ha chiaramente elaborato la struttura speculativa fondamentale della dialettica –ovvero l’unità delle differenze. Il  suo idealismo non si basa su questa struttura speculativa, ma sul fatto che lui sviluppa, il rapporto centrale di pensiero ed essere per ogni dialettica; Hegel  ha chiaramente elaborato la struttura basilare della dialettica speculativa; il carattere speculativo del pensiero di Hegel sta nel fatto che la struttura speculativa vale per ogni tipo di dialettica. il carattere idealistico si estende ad ogni tipo di dialettica, perché questa implica sempre il primato del pensiero sull’essere. La dialettica va riconosciuta come essere, che è l’altro dallo spirito, in quanto realtà prodotta dallo spirito stesso. Se si separano i presupposti dai concetti di ragione, svolti da Hegel nella Fenomenologia dello spirito – la ragione è coscienza, che lo spirito ha di essere ogni realtà; è per questo che ogni problema immanente di questa costruzione dialettica giunge, alla fine, ad un felice compimento.

Lo spirito muta mano a mano l’altro di sé stesso nella realtà di se stesso. (11-2).

Ciò che, all’inizio della Fenomenogia è solo presupposto –lo spirito è la realtà-, alla fine del movimento del pensiero dialettico, si rivela come realtà pensata dello spirito, perché l’esistenza dell’uomo, interamente esteriore e sviluppatasi storicamente  nel pensiero, diviene la realtà autocosciente. In primo luogo dobbiamo comprendere (ripercorrere) l’ andamento del pensiero hegeliano a proposito della struttura logica dell’ esperienza,  che la coscienza fa di sé, allo scopo di poter indagare quale sia l’esperienza costitutiva sia della dialettica materialistica che di quella idealistica.

Una volta, a proposito di Eraclito, Hans Blumenberg ha detto che egli aveva descritto il pensare come fuoco. Perché il pensiero ha la proprietà di accogliere ciò che gli è estraneo e di trasformarlo in se stesso. In realtà questa metafora dice qualcosa di decisivo a proposito dell’essenza della dialettica. Anche l’hegeliana Fenomenlogia descrive il processo dell’esperienza, in cui il pensiero muta  la realtà estranea nella realtà propria, spirituale. Il suo scopo è rendere la realtà trasparente allo spirito.

In questo il pensiero materialistico non si differenzia in nulla rispetto a quello hegeliano: ogni pensiero è appropriarsi dell’esperienza di un altro; la differenza decisiva sta piuttosto nel fatto che un dialettico materialista deve pensare l’unità di pensiero ed essere dalla loro differenza, dall’altro, dall’estraneo, da ciò che resta non identico al pensiero e che anche nel pensiero resta come altro di se stesso. Qualcosa di non pienamente superabile nel pensiero, perchè i rapporti materiali sono presupposti come il fondamento della relazione di pensiero ed essere.

Come momento dei rapporti materiali il pensiero, anche nel pensiero dell’altro, va pensato come non appieno superabile dal rapporto tra pensiero ed essere. Il pensiero, in quanto resta non identico anche nel pensiero dell’altro. Il pensiero è –dunque- il riflettuto e cosciente di sé nella totalità del reale.

Di qui una seria inferenza: anche nel pensiero materialistico –in quanto  pensiero, cioè appunto un pensiero, un mutamento in sé di qualcosa che è altro da sé, poiché l’unità consiste appunto nel concreto rapporto di essere e pensiero, che si riflette nel pensiero e nel pensiero giunge alla coscienza. Anche i rapporti attuali e sociali consistono per noi ma non in sé, piuttosto essi sono determinati nel pensiero in relazione ai pensanti, vale a dire nell’esperienza. Dunque quando indaghiamo più d’appresso la dialettica di un problema di fondo – cioè il rapporto dl pensiero con

l’essere, si dà a noi un ingarbugliato momento del rapporto dialettico, che intreccia momenti ideali e materiali. La differenza specifica della dialettica in confronto ad altre teorie filosofiche consiste in questo, nel concepire tali contraddizioni come la vita immanente del processo conoscitivo[-2].

Nel movimento dialettico delle contraddizioni si  muta l’altro non solo nel pensiero, ma nel pensare: la nostra esperienza della realtà muta la relazione che abbiamo con essa.

Con ciò dovrebbe mostrarsi che l’inizio della dialettica, lo sprigionarsi dei suoi problemi è da ricercarsi nell’esperienza pensante  dei nostri rapporti con la realtà[-3].

L’hegeliana Fenomenologia dello spirito giunge a ricostruire questo inizio della dialettica nel processo dell’esperienza. In un concetto fenomenologico del sapere, quest’ultimo si dà nelle sviluppatesi relazioni di essere e pensiero, il cui processo è l’esperienza.

Hegel esprime questo punto di vista nella ben nota proposizione della Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, secondo cui “il vero non è da concepirsi e da esprimersi come  sostanza, ma sì altrettanto come soggetto.” (12). Tutta la complessità di questa proposizione può risultare con chiarezza solo a chi ricostruisca l’intera argomentazione, il complessivo movimento di pensiero della Fenomenologia.

Lasciamo da parte tutte le possibili implicazioni  di questa asserzione e chiediamoci solo:  Cosa significa tale principio per il nostro problema dell’esperienza[-4]? Esso dice della sostanza, dunque, dell’essere colto in quanto universale, non solo come reale. immediato essente per sé, ma anche come essere che deve esser colto come immediato nel pensiero del soggetto. L’essere sostanziale, poiché esiste come universale nel pensare del soggetto, per questo è essenzialmente rapporto sostanziale. Qui nasce il nuovo della hegeliana teoria dialettica della conoscenza, contro la metafisica sostanziale di una volta, la quale pretende pensare in sé il reale, per poter ragionare senza la mediazione dei presupposti del pensiero e contro la moderna filosofia della coscienza, che fa del soggetto in sé il fondamento universale e perde di vista la concreta realtà, in sé determinata, Hegel sviluppa la verità dal rapporto della realtà con la sua appropriazione pensante, che egli chiama esperienza e che si sviluppa storicamente e individualmente. (14).

La verità è, dunque, un in sé variamente differenziato e in sé differenziantesi, nella sua indifferenza per l’aperto processo dell’esperienza. La filosofia di Hegel prende l’avvio dall’ammonimento critico kantiano, per cui ogni pensiero deve relazionarsi all’esperienza possibile (14[-5] ).

Noi siamo come soggetti, che nella realtà, mediante il nostro pensare ed agire, sono sempre il suo medio infinito Poiché noi siamo teoricamente e praticamene momenti di questa realtà, essi sono per noi solo  in relazione a noi, cioè come rapporto dialettico. Hegel chiama esperienza appunto questo riflettuto essere in relazione in quanto riflettuto esser-nel-mondo.

Ascoltiamo cos’ha da dire in proposito l’Introduzione alla Fenomenologia dello spirito.

“Dunque l’oggetto appare per la coscienza essere solo così, come essa lo conosce; in certo qual modo sembra non poter venire da sotto (dahinter ?), come esso non  è per la coscienza, ma in sé e dunque anche il suo sapere non può essere provato in sé. Appunto solo in questo, che in generale sa di un oggetto, la differenza è già presente, in sé, un altro momento, ma il sapere, ovvero  l’essere dell’oggetto è per la coscienza. Su questa differenza che è presente, si basa la prova. Ma in questa comparazione non si esprimono entrambi, così sembra che deve mutare il proprio sapere, per farsi adeguato all’oggetto, ma nel mutamento del sapere, in realtà, cambi anche lo stesso oggetto …”

L’esperienza, che costituisce la conoscenza con la realtà, è un movimento dialettico, sia sul piano di un processo individuale sia anche di un processo storico, in cui la verità si sviluppa in realtà nella diverse prospettive del pensare. Il sapere muta e si corregge, perché il reale – lo abbiamo già citato come l’estraneo, il non identico al pensiero- gli oppone resistenza, poiché si mostra più complesso di quanto non appaia nel sapere. Il pensiero deve contrapporsi ad una realtà, che rispetto ad esso continuamente si muta e si ampia, mutano i rapporti e le prospettive del pensiero nei suoi confronti, allo scopo  di giungere ad una prospettiva adeguata rispetto al reale.

A questo punto nasce un problema dell’esperienza, che è eminentemente dialettico, poiché la realtà si modifica non solo in se stessa, ma prima di tutto anche nel sapere. Una coscienza diversa e più ampia conduce necessariamente ad un mutevole rapporto con la realtà. Già il nostro rapporto con la realtà cambia la stessa realtà. Ognuno ha già fatto in proprio questa esperienza. Nel corso della nostra vita è già presente il movimento dialettico, cambia la nostra prospettiva sulla realtà e mutano anche prospettive e orientamenti e spesso non si sa bene chi sia responsabile di ciò, la nostra mutata coscienza o la mutata realtà. Hegel avrebbe detto entrambe, poiché entrambe si sviluppano e si modificano come rapporto.

Conseguentemente non vi son dubbi  che l’indipendente essere sostanziale, al quale è sistematicamente interessato anche il materialismo dialettico, già nel pensiero di Hegel ha una forte presenza e, riferendoci ancora una volta a Blumenberg, è assunto nel pensiero come estraneo nell’esperienza e trasformato in esso. Vi è nel frattempo un aspetto del testo citato, che relativizza la differenza tradizionale tra dialettica idealistica e materialistica: Hegel dice che la differenza tra essere e pensiero si crea prima di tutto nel pensiero e per il pensiero. Egli dice: non possiamo scoprire come si tratti in sé di un complesso intreccio di rapporti e mediazioni, perché questo intreccio è infinito, mentre noi siamo parte finita delle relazioni. Poiché il reale si scopre dal pensiero, ll reale non può rappresentare il criterio della prova di sé, ovvero, la prova della relazione, poiché nel suo essere in sé della  nostra esperienza resta in primo luogo inesaurito[-6].

E’ tesi fondamentale quella che Hegel formula. Anche per la dialettica materialistica esiste questo problema: il pensiero può mettersi alla prova e correggersi solo rimandando alla riflessione sulla sua esperienza della realtà. Il pensiero, conseguentemente, è l’universale, che abbraccia e supera la differenza di essere e pensiero, è l’unità di se stesso e del proprio altro[-7]; nello stesso pensiero si sviluppano le contraddizioni come relazioni tra soggetto e sostanza.

Possiamo esprimere la relazione del pensiero con la realtà, servendoci di una espressione hegeliana: <si tratta="" dunque="" dell="" con=""></si> essa>. Si tratta di una memorabile formulazione di Hegel, che si approssima al punto di partenza del materialismo dialettico: l’autocoscienza è, dunque, la realtà tutta, ma è tutta la realtà (Realität), in quanto si rapporta sia praticamente che teoricamente alla realtà (Wirklichkeit) –ovvero, è con essa in una relazione attiva. Tutta la realtà (Realität),  deve idealmente ritornare nel pensiero, per poter essere realtà (Wirklichkeit) conosciuta. (p.16).

Se in luogo di una teoria del sapere assoluto –come nella critica di Marx ed Hegel abbiamo d’apprima esposto- appare il movimento progressivo della prassi -e questo significa il capitolo finale, che lo spirito si è sviluppato in una con il movimento della realtà formata dalla prassi. Significherebbe fraintendere fondamentalmente Hegel, se si accogliesse la tesi che i rapporti reali si dissolvono, per così dire,  nel sapere assoluto.

Nel sapere assoluto, lo spirito si volge –individualmente, nel concetto filosofico- storicamente, nella forma della moderna filosofia dell’autocoscienza, tornando a sé  dall’esperienza della coscienza che tutto lo circonda. Esso concepisce dunque l’esperienza non nello sperimentare, ma come esperienza autocoscienze, superata nel concetto filosofico, insomma come l’esperienza accumulata.

Un aspetto essenziale del capitolo finale della FdS è i superamento della relazione immediata del pensiero con la realtà sostanziale. Ma <superamento> significa per Hegel: conservazione (Aufbewahrung). (p. 16). Partendo di qui <superamento> –ed in particolare dal presupposto dell’unità sistematica della ‘propedeutica’ FdS e dalla costruzione del compiuto sistema filosofico- Hegel puo’ passare dalla logica speculativa alla determinazione del pensiero in sé: poiché il rapporto del pensiero con i reali rapporti nel pensiero stesso, il raggiunto pensiero  del sapere ecc. è fissato nella forma dl sapere  concettuale  e in tutti gli ulteriori movimenti del pensiero filosofico in relazione con l’esperienza, possono essere presupposti come presenti.

Prima che la dialettica possa passare alla costruzione del concetto di totalità del reale, essa deve

mostrare come per la prima volta fa Hegel nella FdS, che l’esperienza propria del pensiero  porta a questo concetto e si mantiene in esso attualmente. Una teoria dialettica dell’esperienza significa più che una teoria semplicemente del collegamento con l’esperienza, dacché significa che l’esperienza deve determinare la struttura della teoria e conseguentemente quest’ultima deve divenire, dunque, espressione riflessa dell’esperienza.

Coma Hegel afferma esplicitamente, nell’Introduzione alla Fenomenologia dello spirito, non si può applicare semplicemente la teoria all’esperienza. Quest’ultima resta sempre esteriore all’effettivo essere-in-relazione di ogni essere e naturalmente in particolare dell’essere autocoscente dell’uomo. Heidegger ha chiaramente elaborato questo essenziale pensiero della FdS nel suo studio sul concetto hegeliano di esperienza; precisamente, (Heidegger[-8]  sottolinea) che Hegel rifiuta la moderna concezione della conoscenza come pura conoscenza intellettuale ed al suo posto pone una teoria dl sapere come presenza (parossia) dell’assoluto nel pensiero.

L’assoluto è il tutto dell’essere mondano, in cui sta l’esistente come essere finito sta nel mondo e al quale esso si rapporta come pensante. E’ detto parossia dell’assoluto: il tutto del mondo è presente nella nostra esistenza determinata. Nel senso del pensare hegeliano, aggiungiamo: non in quanto contenuto, non in quanto tutto che è  in sé, ma sì in quanto nostra relazione pensante con questo tutto, in quanto rapporto di riflessione.

Per questo può essere che Heidegger intenda il concetto hegeliano di esperienza in senso esistenzial-ontologico e, dunque, lo interpreti secondo la sua propria filosofia. Ma ciò non modifica in  nulla la sua corretta osservazione: il pensare (Denken) non va pensato al di fuori del pensato (Gedachte), di conseguenza non può essere semplicemente applicato all’oggetto dell’esperienza e non si limita a rendersi la realtà presente. …

La dialettica dell’esperienza[-9]  si mostra nella maniera più chiara là, dove essa si costruisce e là dove diviene una esperienza della dialettica: nell’immediato rapporto del pensare e dell’esser, che Hegel concepisce come problema della certezza sensibile. Questo primo capitolo della FdS è, dunque, di particolare interesse per la comprensione della filosofia di Hegel, perché in esso il problema di un pensiero senza presupposti, i presupposti del pensare sono posti come da svilupparsi all’inizio della filosofia. In  nessun altro luogo, senza presupposti. Il problema che nel primo capitolo della FdS vogliamo porci è quello del primo presupposto di una filosofia priva di presupposti e, nello stesso tempo, della prima esperienza della filosofia, in cui si mostra già l’intera struttura portante della dialettica hegeliana o, meglio, si costituisce immediatamente. [...]

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 [-1]Il tono speculativo del peniero di Hegel; ma si po’ anche dire la versione speculativa della dialettica.
 [-2]In che senso nella dialettica la contraddizione è centrale.
 [-3]Dunque, se si prescinde all’uom non cè dialttica.
 [-4]Cf. il mio Vorrede.doc, che si può leggere nel Comunista.
 [-5]Ora, essendo la definizione una <regola>, conoscerla  non implica conoscerne le</regola>
determinazioni, vale a dire gli svolgimenti e determinazioni o applicazioni: per far ciò è
 necessaria l’esperienza. La quale, però, non di necessità è empirica, ché può essere anche
 pura ed a priori. Di qui la possibilità di giudizi che ricorrendo all’intuizione son
sintetici, ma che lo sono a priori, poiché, appunto, pura ed a priori è l’intuizione, a cui
 essi rimandano. E’questo uno sfondo del wittgensteiniano following a rule? In Kant,
1328: 741 hai la conferma che <determinare> la conoscenza implica, sempre, ricorrere</determinare>
all’intuizione -sia nel caso della matematica, dunque, dell’intuizione pura ed a priori;
sia nel caso della conoscenza empirica e, dunque, dell’intuizione empirica. (cf. 1kan.doc)
 [-6]Si pensi alla nozione di übergreifen, così presente nella lettura,  che H.H. Holz
propone di Hegel
 [-7]Übergreifen abbraccia gli opposti, ma anche supera questo abbracciare, dunque,
unificare, in quanto ritorna a porre l’opposizione tra i due.Così in Witt.doc: E’
importante la nota 197, in Q/XLIII ed anche Wittgenstein, 2767.1, §. 73 (“Avrei potuto
dire : <essenziale> non è una proprietà dell’ oggetto, ma un marchio del concetto”) : sia</essenziale>
il gioco linguistico che la forma di vita sono prospettazioni del mondo, sono angolazioni
 assunte verso il mondo (la difficoltà sta nel fatto che, usando questa terminologia,
faccio del ‘mondo’ il termine  esterno,  verso cui si orienta il linguaggio e la forma di
vita ; invece, bisogna dire che la ‘prospettazione’ ingloba il mondo in quanto lo organizza
 ma -forse!- lo ha fuori di sé, in quanto vale la distinzione tra significato e portatore.
Übergreifen
 [-8]Da Prini, 306: 58-9 si ricaverebbe una concezione heideggeriana della verità, che si
oppone al tema hegeliano della fatica del concetto (Arbeit/Mühe), con caratteristiche direi
 mistico-irrazionalistiche. In questo modo risulterebbe meglio il senso della tesi
hegeliana.
Heidegger... non cade nell’errore di Hegel, non conserva al non-essere un essere, neppure
un essere astratto: il nulla non è, si annulla.” (Sartre, 2259: 53b). - C’è da capire
quali conseguenze possa avere questo ‘eleatismo’ hegeliano (perché, appunto, “conserva al
non-essere un essere” e, dunque, ne fa un aspetto dell’essere) per la concezione della
storia e della società. Pensa a quanto dico a proposito di Valentini, circa il significato
 di reale = razionale. Sartre, 2259: 53s potrebbe mostrare, di fatto, che nella prospettiva
 di Heidegger cade ciò che è caratteristico di Hegel: intendo la radicale immanenza
dell’uomo nella (sua) storia e nel (suo) mondo. In altri termini l’heideggeriano
<essere-nel-mondo> significa esattamente l’opposto di quanto sembra: è un’affermazione di</essere-nel-mondo>
estraneità dell’uomo dal mondo? “Heidegger... non cade nell’errore di Hegel, non conserva
 al non-essere un essere, neppure un essere astratto: il nulla non è, si annulla.”
(Sartre, 2259: 53b). - C’è da capire quali conseguenze possa avere questo ‘eleatismo’
hegeliano (perché, appunto, “conserva al non-essere un essere” e, dunque, ne fa un aspetto
 dell’essere) per la concezione della storia e della società. Pensa a quanto dico a
proposito di Valentini, circa il significato di reale = razionale. Sartre, 2259: 53s
potrebbe mostrare, di fatto, che nella prospettiva di Heidegger cade ciò che è
caratteristico di Hegel: intendo la radicale immanenza dell’uomo nella (sua) storia e nel
 (suo) mondo. In altri termini l’heideggeriano <essere-nel-mondo> significa esattamente</essere-nel-mondo>
 l’opposto di quanto sembra: è un’affermazione di estraneità dell’uomo dal mondo?
Heidegger... non cade nell’errore di Hegel, non conserva al non-essere un essere, neppure
 un essere astratto: il nulla non è, si annulla.” (Sartre, 2259: 53b). - C’è da capire
quali conseguenze possa avere questo ‘eleatismo’ hegeliano (perché, appunto, “conserva al
non-essere un essere” e, dunque, ne fa un aspetto dell’essere) per la concezione della
storia e della società. Pensa a quanto dico a proposito di Valentini, circa il significato
 di reale = razionale. Sartre, 2259: 53s potrebbe mostrare, di fatto, che nella prospettiva
 di Heidegger cade ciò che è caratteristico di Hegel: intendo la radicale immanenza
dell’uomo nella (sua) storia e nel (suo) mondo. In altri termini l’heideggeriano
<essere-nel-mondo> significa esattamente l’opposto di quanto sembra: è un’affermazione di</essere-nel-mondo>
estraneità dell’uomo dal mondo?
 [-9][inizio/arrivo] - Come molti fanno, Althusser, 7737: 103 si chiede se Hegel non
finisca, al termine del processo mediatore, col restaurare il contenuto originario. A me
pare che sia necessario rispondere affermativamente e ricavare da ciò dubbi sulla lettura
idealistica di Hegel e conferme, invece, del fatto che il suo discorso ha un vincolo -che
 è, poi, l‘esperienza, la quale funziona come luogo d’inizio e punto d’arrivo del pensiero,
 della coscienza. Althusser, 7737: 103s torna sullo stesso problema, sospettando che anche
 Hegel abbia -nell’<inizio>- il momento in cui la verità si dà tutta intera, senza veli;</inizio>
 mi pare confermarsi il fatto che se intendo l’<inizio> come esperienza, la difficoltà</inizio>
 scompare. Il testo di Althusser, comunque, aiuta a comprendere come possa nascere una
lettura di Hegel, che lo approssima al platonismo. Cf. 6hegel.doc[n].
Riferendosi in particolare a M. Schlick,  così Barone:  “Ridotto l’apriori a quadro rigido
d’esperienza,  era facile mostarne l’ insostenibilità,  in quanto non solo l’ esperienza
futura può incaricarsi di confutarne l’ immutabilità ma,  di principio,  vi è
contraddizione fra l’ immutabilità della regola e il carattere non profetizzabile,  nella
sua particolarità specifica,  di ogni possibile esperienza futura. Senonché la sentenza di
 morte pendente sull’ apriorismo era facilmente eseguibile ad una condizione:  che si
riducesse l’apriori a regola fissa di giudizio,  escludendone così,  per definizione,  la
possibilità di adeguarsi,  permeandola,  all’ esperienza nella sua inviolabile novità.”
(Barone,  2702.1:  88)





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