*Da: Période https://traduzionimarxiste.wordpress.com/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/genere-e-famiglia-in-marx-una-rassegna.html
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Abbiamo difeso l’idea secondo la quale i rapporti di classe
nella produzione capitalistica, coniugati ai fattori biologici della
riproduzione, hanno innescato un potente processo che ha condotto al sistema
familiare-domestico, assicurando così la subordinazione costante delle donne e
la loro vulnerabilità eccessiva allo sfruttamento capitalista. Evidenziando
come l’oppressione femminile in regime capitalistico derivi dal confronto tra
imperativi dell’accumulazione capitalista, da una parte, e le strutture della
riproduzione umana, dall’altra, la nostra analisi si è concentrata
sull’organizzazione di un movimento per le donne della classe operaia. Perché
se lo sviluppo del capitalismo nel XIX secolo ha posto le basi per un
rovesciamento del sistema familiare-domestico aprendo la via verso altri
sistemi, l’implementazione di questi ultimi richiede una lotta politica. I
rapporti di classe capitalisti, motivati dalla ricerca del profitto,
continueranno ad esercitare pressioni per privatizzare la riproduzione ed imporre
alle famiglie della classe operaia il peso delle persone a carico. Questa
tendenza, e l’incapacità, fino ad oggi, della classe operaia a porvi freno,
sono sufficienti a spiegare la persistenza della divisione sessuale del lavoro
e l’ineguaglianza dei sessi.
Le divisioni sessuali non sono dunque del tutto integrate
alla divisione del lavoro capitalistica o ai rapporti di produzione, come
prodotti dall’equilibrio delle forze in un dato momento storico. La situazione
storica è essenzialmente definita dallo sviluppo delle forze produttive,
dall’organizzazione della classe operaia, l’organizzazione delle donne fra di
loro e lo stato dell’economia. Qualsiasi trasformazione nella condizione delle
donne della classe operaia, richiede una più ampia responsabilità collettiva
verso le persone dipendenti – sopratutto i bambini. Poiché il sistema attuale
va a beneficio degli uomini, quantomeno nel breve termine, il cambiamento
dipende dalla capacità da parte del movimento femminista di orientare la lotta
di classe operaia in tal senso. Ci sembra dunque che Marx ed Engels abbiano
correttamente identificato la tendenza del capitalismo all’equiparazione dei
sessi. Beninteso, l’uguaglianza dei sessi nel contesto del capitalismo non
equivale alla liberazione delle donne, la quale necessiterebbe di un
superamento del capitalismo. Piuttosto, lo intendiamo come un sistema dinamico,
che trasforma la vita quotidiana e crea le condizioni per nuove forme di lotta
e di coscienza. L’esito della vicenda storica del capitalismo, e della nostra,
sarà determinato da una lotta politica che dovrà comprendere queste tendenze
contraddittorie.
L’oppressione
femminile potrebbe non essere il risultato del «patriarcato», e
nemmeno degli interessi fondamentali del capitalismo. È questa il
presupposto da cui partono la Brenner e la Ramas, al pari dell’obiettivo della
loro potente critica, Michèle Barrett. Secondo quest’ultima, l’oppressione
femminile è il prodotto di un’ideologia borghese, la quale plasma la
soggettività delle classi popolari e favorisce la divisione salariale tra
uomini e donne. Per le autrici del testo che segue, una simile spiegazione non
regge. Ma è necessario compiere una deviazione al fine di spiegare
l’oppressione femminile: comprendere come la riproduzione biologica ed il
lavoro industriale hanno degradato i rapporti di forza tra uomini e donne a
beneficio dei primi. La sfida teorica rappresentata dal tema dell’oppressione
femminile richiede una risposta dialettica, una risposta che sia agli antipodi
rispetto al funzionalismo. Un tale approccio consente di identificare lo
Stato-provvidenza e la lotta per la socializzazione della cura delle persone a
carico come il nodo del problema e, pertanto, della battaglia femminista.
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