Leggi anche: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-falsa-contrapposizione-tra-reddito-minimo-e-lavoro/
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
I giovani non devono chiedere reddito ma lavoro.
Partiamo da una premessa: se si sta pensando ad
un modello una tantum per venire incontro alle situazioni di sofferenza sociale
esistenti, ad esempio un assegno di 5-600 euro per 18 mesi, anche allo scopo di
riattivare il mercato interno e permettere a molte aziende di ripartire ed
assumere, non avremmo nulla da eccepire, salvo fare i conti per capire dove
prendiamo i soldi (ovviamente distraendoli da altre destinazioni attuali). Sin
qui tutto bene, ma questo non è il reddito di cittadinanza, reddito garantito o
comunque lo si voglia chiamare. Con questa espressione si intende un sussidio
stabilmente concesso a chi non raggiunga un certo livello ritenuto necessario
alla sopravvivenza. In alcuni casi il contributo è concesso per un certo
periodo di tempo (in genere uno o due anni), in altri non prevede particolari
limiti di tempo, ma il beneficiario deve accettare le offerte di lavoro che gli
vengono fatte (magari con la facoltà di rifiutare le prime due offerte). In
alcune situazione il reddito non è compatibile con altre forme di reddito,
lavoro incluso, in altre l’assegno statale è una integrazione del salario da un
lavoro precario o comunque sottopagato. Come si vede le forme sono diverse, e
quindi ma qui facciamo un discorso in generale su uno schema base che prevede
un reddito costante per un tempo prolungato.
Il primo problema che si pone è se l’assegno sia
compatibile o no con un altro reddito da lavoro ovviamente basso. Naturalmente
l’assegno statale si immagina sia piuttosto contenuto, diciamo 5 o 600 euro al
mese con i quali nessuno può vivere, per cui, proibire che contemporaneamente
si possa svolgere altro lavoro significa solo incrementare il lavoro nero e
spingere il lavoratore ad accettare lavori senza versamenti di sorta.
Immaginiamo invece che si conceda di affiancare un lavoro all’assegno statale.
Il risultato sarebbe solo quello di spingere i datori di lavoro a tenere bassi
i salari e l’assegno avrebbe solo una funzione adattativa del lavoratore alle
condizioni di sotto salario. Peggio ancora se il reddito statale fosse a tempo:
nessun datore di lavoro accetterebbe di assumere il lavoratore
integrandone il salario essendo molto più facile licenziarlo e trovare un
altro dipendente che goda di un periodo di reddito garantito.
In ogni caso, il risultato sarebbe una ulteriore spinta
al sotto salario, magari attraverso i voucher, spostando parte
dell’onere adattativo sulle casse pubbliche.
In secondo luogo, si pone il problema di chi avrebbe diritto
al reddito statale; andando subito al sodo: solo cittadini italiani o anche
immigrati regolari? Va da sé che se il contributo fosse dato agli immigrati,
questo scatenerebbe da un lato un’ ulteriore spinta ad immigrare nel nostro
paese, e dall’altro prevedibilmente rafforzerebbe le spinte xenofobe. Escludere
gli immigrati significherebbe creare una stratificazione sociale per cui ad una
massa di bianchi poveri ma assistiti, corrisponderebbe una sotto classe di
immigrati costretti a lavorare con un reddito ancora inferiore per
reggere la concorrenza degli italiani.
C’è poi il problema della fascia di età alla
quale corrispondere il reddito. In primo luogo dache età? Anche agli studenti?
Mi farebbe piacere ma non facciamo prima a ripristinare il presalario abolito
negli anni settanta su pressione del Pci? A tutti gli ultra diciottenni? Anche
a un figlio di papà che però risulti vivere da solo?
E’ ovvio che oltre i sessanta si tratterebbe semmai di
aumentare le pensioni sociali, ma che facciamo con il cinquantenne che ha perso
il lavoro e stenta a trovarne un altro? Magari in questo caso di potrebbe
procedere con una sorta di prepensionamento. Insomma, qui il problema è quello
dei trenta-quarantenni che non lavorano ed è da capire se questa sia la strada
giusta.
C’è poi un altro problema da risolvere: i contributi
pensionistici da chi sarebbero versati? Il datore di lavoro li verserebbe
sulla base del salario che versa e che, abbiamo detto essere tendenzialmente
basso, mentre appare poco immaginabile che lo stato, paghi gli oneri sul
reddito garantito perché si tratterebbe di una spesa aggiuntiva insostenibile e
poco giustificabile: ti do un reddito in cambio di nessun lavoro, poi ti metto
su anche i versamenti pensionistici, per cui, in teoria un cittadino che
nascondesse altri redditi, passerebbe dalla condizione di assistito in
servizio a quella assistito in pensione.
Insomma stiamo ponendo le premesse della sostanziale
abolizione del sistema pensionistico (salvo che per i pochi fortunati
che riusciranno ad avere un lavoro più o meno regolare) e per una generazione
per la quale si prepara una vecchiaia di stenti.
Ancora: gli assistiti che fossero richiesti di fare un
lavoro pubblico dovrebbero farlo senza compenso? Infatti, alcuni propongono il
reddito garantito in cambio di lavori di interesse sociale con questo pensano
di aver avuto una pensata geniale. Mi spiace deluderli: esperienza fatta e
fallita 40 anni fa con la legge 285/77 che fu un autentico disastro. Non è il
caso di ripetere.
Non mi sembra che quella del reddito garantito sia la scelta migliore e tutto sommato, pare che si tratti di una misura antipopolare, utile solo a far digerire il sistema di diseguaglianze che si è formato. Ma questo fa parte delle considerazioni politiche che rinviamo ad un prossimo pezzo.
Questo mondo sta diventando decisamente strano: pretendiamo
dai giovani lavoro senza retribuzione (fra stage, tempo di lavoro a scuola,
volontariato ecc) però pensa di dare un reddito in cambio di nessun
lavoro che è comunque una forma di marginalizzazione delle nuove generazioni.
I giovani non devono chiedere reddito ma lavoro.
Nessun commento:
Posta un commento