Visualizzazione dei post in ordine di pertinenza per la query Stefano G. Azzarà. Ordina per data Mostra tutti i post
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sabato 23 dicembre 2023

La fine della democrazia moderna - Stefano G. Azzarà

Da: Stefano G. Azzarà - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.


Intervento al Workshop della Fondazione Feltrinelli su "La sinistra di fronte al cambiamento antropologico del XXI secolo", 19 ottobre 2023, tavola rotonda con Luigi Vergallo (Fondazione Feltrinelli), Marc Lazar (Sciences Po), Patrizia Dogliani (Università di Bologna), Stefano Azzarà (Università di Urbino), Simona Colarizi (Università degli Studi di Roma "La Sapienza"), Donald Sassoon (Queen Mary University of London).

                                                                             

giovedì 6 maggio 2021

Stefano G. Azzarà: "IL VIRUS DELL'OCCIDENTE" - a cura di Elena Fabrizio

Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.




                                                                                           

Leggi anche la recenzione al libro di Stefano Azzarà "Il virus dell’Occidente. Universalismo astratto e sovranismo particolarista di fronte allo stato d’eccezione" a cura di Elena Fabrizio (http://www.dialetticaefilosofia.it/public/pdf/71recensione_azzar_.pdf).

domenica 24 febbraio 2019

VIANDANTI ​NEL NULLA - Marco Paciotti





Da: http://www.palermo-grad.com - marcopaciotti è redattore di lacittafutura.it


Leggi anche:
https://www.lacittafutura.it/dibattito/crisi-della-sinistra-ruolo-dei-comunisti-e-restaurazione-neo-liberale-intervista-a-stefano-g-azzara

Questione nazionale e «fronte unico» Zetkin, Radek e la lotta d’egemonia contro il fascismo in Germania - Stefano G. Azzarà 


Sul libro di Stefano G. Azzarà: Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d’egemonia? [Mimesis, Milano-Udine, 2018]

Nell’attuale dibattito politico capita sovente di imbattersi nell’etichetta di “rossobrunismo”, per la quale si intende, tra chi vi aderisce entusiasticamente e chi invece vi si richiama con intenti più polemici (talvolta con toni crassamente scandalistici), un’alleanza transpolitica – oltre destra e sinistra – tra marxisti e nazionalisti contro il nemico comune costituito dal capitalismo globale transnazionale, stigmatizzato variamente quale “apolide”, “turbomondialista”, “sradicante”, “cosmopolita” etc., nel nome della difesa della “sovranità” e delle piccole patrie. 

In un testo pubblicato lo scorso autunno presso Mimesis Stefano Azzarà, con scrupolo critico, polemizza con tale posizione, mostrandone l’inconsistenza sul piano storico-filosofico a partire dall’analisi del dibattito avvenuto nell’estate del 1923 tra alcuni esponenti della Kommunistische Partei Deutschland (tra cui spiccano le figure di Karl Radek e Paul Fröhlich) e i teorici del movimento völkisch Arthur Moeller van der Bruck[1] e Ernst Reventlow. Lo scambio, descritto dall’autore come un “dialogo tra sordi”, viene presentato in una nuova traduzione di Azzarà nella seconda parte del libro. 

martedì 14 dicembre 2021

Il revival del pensiero magico nel dibattito pubblico: tra No Vax e Censis - Stefano G. Azzarà

Da: Stefano G. Azzarà - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.


Pensiero magico è quello degli sciroccati No Vax, pensiero magico - nel senso del culto del capitale - è quello del Censis che si fa prendere in giro dai terrapiattisti e che assimila al pensiero magico anche la critica dell'economia politica.

                                                                           

sabato 16 marzo 2019

Comunisti, fascisti e questione nazionale

Da: ThePetitePlaisance - https://materialismostorico.blogspot.com - 
Relatori: Stefano Azzarà (Università di Urbino), Alessandro Monchietto (ANPPIA), Bruno Segre (presidente ANPPIA) 
                          
       
                                                                            
                            Il revisionismo storico*- Luciano Canfora
                                       Internazionalismo e questione nazionale nel pensiero di Gramsci - Salvatore Tinè


Dopo decenni di entusiasmo per la globalizzazione e l’unificazione europea, l’emergere dei movimenti sovranisti e populisti sembra rendere di nuovo attuale la questione nazionale ed evoca la suggestione di un blocco trasversale di contestazione del capitalismo neoliberale che unisca tutti i “ribelli”, lasciandosi alle spalle l’alternativa tra destra e sinistra.

Anche nella Germania degli anni Venti, ai tempi delle riparazioni di guerra e dell’occupazione della Ruhr, questi temi erano all’ordine del giorno.
                                                                         
Il libro di Stefano G. Azzarà Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d’ egemonia? affronta il problema da un punto di vista storico, confrontandosi con una situazione che presenta forti parallelismi con l’attualità e che, più di altre, può dunque fornire chiavi di lettura per un’analisi consapevole della fase storica presente.
                           I Parte: 

                             II Parte: https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=TuRKJagR-l8

                               III Parte: https://www.youtube.com/watch?v=wmOs09peTfw

mercoledì 2 giugno 2021

Crisi storiche e naturalismo capitalistico - Stefano G. Azzarà


Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020 (vol. IX), a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) - Riproduciamo qui, con qualche lieve modifica, il primo capitolo del libro di Stefano G. Azzarà Pensare la pandemia. Universalismo astratto e sovranismo particolaristico di fronte allo stato d’eccezione, Mimesis, Milano 2020.
Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo. 



Le crisi acute mettono in evidenza le contraddizioni, le fragilità e linee di faglia di ogni società storica come di ogni sistema politico  e economico. In tutte le epoche, guerre su vasta scala, cadute repentine della produzione, eruzioni rivoluzionarie, terremoti, carestie ma anche epidemie hanno interrotto il normale funzionamento della vita delle nazioni e hanno sottoposto a stress imprevisti i loro assetti, conducendole a volte anche al collasso quando queste tensioni superavano  il livello di soglia e in  particolare quando  potevano  far leva su fratture profonde pregresse che sino a quel momento erano rimaste più o meno celate o erano state in qualche modo suturate. Così che sarebbe interessante completare l’indagine di Walter Scheidel sull’impatto livellatore e redistributivo dei «Quattro Cavalieri» – «guerre di massa, rivoluzioni trasformative,  fallimenti  degli  Stati  e  pandemie  letali» – indagando  «se  e  come»  la presenza di gravi forme di disuguaglianza sociale o altre asimmetrie abbiano potuto «contribuire a generare questi shock violenti»1. 

Sotto questo aspetto, le società capitalistiche, e tanto più quelle avanzate come la maggior parte dei paesi appartenenti alla civiltà occidentale, dovrebbero  comunque  dimostrarsi  in  linea  di  principio  avvantaggiate rispetto  alle società tradizionali o a quelle improntate a una diversa organizzazione della produzione e della riproduzione. Per quanto certamente più complesse delle formazioni sociali precedenti o di quelle concorrenti, come già Gramsci aveva compreso nel cartografare la loro «robusta catena di fortezze e di casematte»2 – una  complessità  che  per  il  suo  pluralismo,  oltretutto, viene  di  solito  fatta valere anche come una caratteristica positiva di fronte a possibili configura-zioni alternative e più centralizzate del legame sociale –, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra queste società hanno in gran parte superato il problema della sussistenza e dei bisogni primari su scala di massa. Inoltre, la razionalità tecnica e scientifica che presiede alla loro organizzazione, progettata vieppiù per adattarsi alle fluttuazioni improvvise dei mercati, dovrebbe essere in grado in linea di principio di reagire in maniera adattiva e persino proattiva ad ogni contingenza: in questo modo quantomeno, come ha fatto notare Richard  Sennet3, è stato con  insistenza promosso  nel corso di troppi  decenni alle nostre spalle il processo di «specializzazione flessibile» del lavoro sociale complessivo, al fine di sconfiggere tramite le «reti  aperte» i «mali della routine». E di rispondere, abituandosi a «cambiamenti improvvisi e decisi», alle esigenze di un’epoca che, si diceva, con la sua continua accelerazione dei ritmi di vita e di consumo e con i suoi problemi ogni giorno più globali imponeva una  sempre  nuova  ridefinizione just  in  time di  tutte  le  funzioni  sociali  man mano che le esigenze della società stessa mutavano, in risposta alla sua prepotente evoluzione interna come agli stimoli esterni (in realtà, per «ridurre il costo diretto e indiretto del lavoro»4 e per «ridurre il rischio d’impresa», avvertiva più prosaicamente Luciano Gallino). 

sabato 6 agosto 2022

Democrazia, bonapartismo, populismo - Michele Prospero

Da: Materialismo Storico, n°  1/2022(vol. XII)–E-ISSN 2531-9582 - https://journals.uniurb.it/index.php/materialismostorico - 
Michele Prospero  (Università di Roma “la Sapienza”) è un filosofo italiano. 


C’e un tema molto importante (quello della torsione autoritaria dei regimi politici nelle crisi di sistema) che attraversa la ricerca di Losurdo e costituisce un nucleo analitico rilevante del suo studio: dal libro della Bollati Boringhieri, Democrazia o bonapartismo, ritorna anche nell’opera postuma su La questione comunista, soprattutto nel capitolo riguardante il neopopulismo. 

Nel libro su Democrazia o bonapartismo il merito di Losurdo è quello di intrecciare la storiografia filosofica delle idee con l’analisi delle dinamiche politiche istituzionali. In particolare, Losurdo raccoglie il nucleo analitico più profondo del 18 brumaio di Marx e ne assume le categorie essenziali come fondamento possibile di un’interpretazione dei momenti critici delle democrazie occidentali. L’assunto che Losurdo sviluppa è che il bonapartismo e il populismo costituiscano fenomeni ricorrenti strutturali. Rappresentano cioè l’ombra delle democrazie di massa nelle giunture problematiche. 

Il bonapartismo emerge nell’analisi di Marx proprio a ridosso della grande crisi di modernizzazione degli istituti politici francesi che introdussero il suffragio universale maschile. Il bonapartismo e il populismo, in questo senso, sono fenomeni che riguardano la difficoltà che i ceti politici e sociali dominanti incontrano nel gestire con le risorse procedurali dell’ordinamento i grandi conflitti della modernità. In tal senso il cesarismo con la personalizzazione del potere indica l’ombra che accompagna la democrazia moderna. Losurdo coglie nel 18 brumaio un tentativo nient’affatto occasionale, ma a suo modo sistematico malgrado il taglio polemico, di evidenziare l’intreccio delle molteplici crisi che coinvolsero le istituzioni politiche della seconda repubblica francese. Vi rintraccia cioè un’interpretazione a più strati della crisi di quella esperienza di democrazia che ricomprende istituti, economia, ideologie, relazioni internazionali. Al centro della riflessione di Marx compare l’incastro della crisi economico-finanziaria, che dà un’accelerazione alla dinamica delle psicologie collettive impaurite dinanzi alla perdita di referenti politici, e della crisi istituzionale che esplode nel contrasto presidente/assemblea dovuto all’ambigua ripartizione dei poteri connaturata all’ossatura del semipresidenzialismo. Si tratta di un contrasto che esplode in tempi critici che lasciano lo scioglimento della contraddizione dell’antinomia istituzionale alla risorsa di un colpo di mano. Sull’esito della crisi politica pesò la fragilità politica degli operai, che si fecero sorprendere dagli eventi per l’assenza di capi, di una leadership adeguata, e per l’incapacità di definire le politiche di alleanze indispensabili per gestire una situazione critica di alienazione di massa. 

sabato 19 dicembre 2020

IL VIRUS DELL'OCCIDENTE: la falsa alternativa tra democrazia liberale e sovranismo populistico, ovvero socialsciovinismo. - Stefano G. Azzarà

Da: https://www.facebook.com/stefano.azzara - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino e dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.

Alcuni brani su democrazie liberali, socialismo e Cina: bisogna guardare con attenzione alla Cina per il suo centralismo statalistico o perché, nello sviluppare le forze produttive, la Cina sta dando vita al contempo al più grandioso esperimento di democratizzazione della storia, implementa la Rule of law e favorisce la fioritura delle soggettività individuali e dei diritti?


"... nel momento in cui un evento eccezionale ha non solo messo in discussione in maniera drammatica l’ordine costituito ma, più in profondità, ha anche scosso la fede acritica nell’eternità inscalfibile dell’orizzonte di senso vigente – ‘nulla sarà più come prima’; ‘sopravviverà il capitalismo?’: sono, come vedremo in corso d’opera, i timori, o gli auspici, o gli esorcismi che sin dalle prime ore della pandemia da Sars-Cov-2 sono risuonati con forza da più fronti e che tutt’ora risuonano nella seconda ondata del virus –, sarebbe stato assai utile per l’Occidente, repentinamente costretto a un brusco risveglio dal proprio sogno di immortalità e autosufficienza, rompere il “muro” e aprire i “confini tra ‘noi’ e i ‘barbari’”, come scrive Rocco Ronchi, per “farsi carico… del destino della comunità mondiale” e per “pensare a soluzioni ‘comuni’”. Gli sarebbe stato utile, cioè, per fare i conti con la propria teologia implicita, con il proprio monoteismo dogmatico, e per potersi confrontare – finalmente – con l’altro. Con modelli di organizzazione sociale ma anche con visioni del mondo che a ben vedere già prima della crisi in corso avevano scalfito l’illusione gratificante che conduce la parte a considerare se stessa come il tutto [...]. 

L’emergenza che si è improvvisamente impossessata delle nazioni, insomma, ha fatto subito esplodere le incongruenze strutturali della società capitalistica e più in generale delle istituzioni capitalistiche, nella quale la dialettica tra Stato e società civile è fortemente condizionata dagli interessi economici prevalenti e dunque dagli interessi delle classi dominanti e dalla loro ricerca competitiva del profitto. Al tempo stesso, è emerso il vantaggio altrettanto strutturale di una società che sviluppa al proprio interno almeno alcuni elementi di socialismo e nella quale la programmazione politica coordina con piglio decisamente maggiore le forze del mercato, cercando di porle al servizio degli interessi della maggioranza [...] 

Non meno sbagliato, oltre che ennesimo segno di inconsapevole subalternità culturale, è però far propria l’immagine stereotipica che della democrazia viene fornita dal liberalismo – ovvero da quella fenomenologia del potere che contrappone in maniera manichea Stato e società civile, dispotismo e autonomia della sfera individuale, coercizione ed egemonia – per replicarla dopo averne invertito di segno i termini. E rivendicare reattivamente, contro l’involuzione proprietaria delle istituzioni e la loro subordinazione a quel capitale che spinge in avanti la globalizzazione, l’incubo distopico una dittatura statale al servizio del capitale più arretrato assieme all’idea di una morale comunitarista völkisch che annienta ogni differenza mediante la riproposizione in chiave postmoderna di valori arcaici che erano diventati inverosimili già negli anni Sessanta [...]. 

... frange di quella sinistra confusa che, nell’impotenza generalizzata del suo campo, ha finito per inseguire il sovranismo sul suo terreno populista e per lasciarsi affascinare dalla prospettiva di un fronte trasversale che unisca gli ‘anticapitalismi’ di ogni orientamento. Frange che replicano a loro volta la teoria del totalitarismo a polarità invertite. E, nel nome di una sorta di fondamentalismo socialista – di un socialismo equivoco che pretende esso stesso di tornare a quell’originaria purezza popolare o popolaresca che precederebbe la degenerazione liberaldemocratica e elitaria delle sinistre del secondo dopoguerra –, invece di riconoscere e valorizzare ciò che fuori dall’Occidente ha assunto già le forme di una nuova tipologia di democrazia in via di modernizzazione, sebbene ancora imperfetta, equiparano anch’esse queste diverse esperienze. E le rivendicano in nome di un malinteso e indifferenziato primato dello Stato e del decisionismo, ma anche in nome del culto della forza, o delle tradizioni radicate, contrapponendole come esempi di riscossa della politica alle forme democratiche ‘decadenti’ e in putrefazione. Regalando in tal modo la parola democrazia ai liberali assieme al suo concetto, invece di contendergliela e di ridefinirla nel senso di una democrazia integrale che produce i propri nuovi standard, e rinnegando in un colpo solo il senso di tutta la storia del socialismo da Marx ai giorni nostri...". 

giovedì 13 dicembre 2018

Esistono ancora destra e sinistra? - Stefano G. Azzarà

DA: MATERIALISMOSTORICO - Stefano G. Azzarà  insegna Storia della filosofia politica presso il Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Urbino ed è direttore della rivista "Materialismo Storico".-  

Esistono ancora destra e sinistra? 
Il confronto tra Domenico Losurdo e Costanzo Preve:
                                                                                 

Intervento al convegno su Domenico Losurdo organizzato dal PCI a Roma, 1 dicembre 2018. L'intervento è solo una piccola parte di un più ampio saggio che verrà pubblicato negli atti del convegno.

sabato 12 giugno 2021

Lo Stato, il Pubblico, il Comune: tre concetti alla prova della crisi sanitaria - Etienne Balibar

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020 (vol. IX), a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) - Questo testo è stato pubblicato per la prima volta in francese con il titolo L’État, le Public, le Commun: trois notions à l’épreuve de la crise sanitairene l volume Dessine-moi  un pangolin, ouvrage coordonné par la revue Regards, Vauvert, Éditions Au diable vau-vert, 2020, pp. 107-29. Esso viene qui riprodotto per gentile concessione dell’editore. La traduzione italiana è di Francesca Borgarello. - 

Etienne Balibar è un filosofo francese. Allievo di Louis Althusser, ha contribuito a sviluppare una nuova interpretazione del pensiero di Karl Marx, con specifiche riflessioni sui concetti di razza, cultura e identità, in vista di una concezione più inclusiva della cittadinanza e della democrazia in Europa. 

Leggi anche: Crisi storiche e naturalismo capitalistico - Stefano G. Azzarà 

Epidemie, storia, capitalismo. Passi indietro e passi avanti. - Roberto Fineschi 

I fondamenti filosofici della società virale: Nietzsche e Hayek dal neoliberalismo al Covid-19 - Paolo Ercolani 


Lo scopo di questo breve scritto è abbozzare alcune riflessioni congiunturali, relative all’articolazione di tre concetti che occupano un posto centrale nel dibattito pubblico.  Riflessioni che, lungi dal distoglierci dalla situazione di crisi in cui siamo entrati,  dovrebbero  anzi  permetterci  di comprendere meglio le scelte che la crisi sta imponendo. È tuttavia necessaria qualche osservazione preliminare, affinché la discussione non assuma  un carattere eccessivamente accademico. 

1. Apprendere nella crisi 

Innanzi tutto, voglio sottolineare l’incertezza dei tempi. Sto scrivendo alla metà di maggio (2020), per una pubblicazione che sarà disponibile a luglio... È  molto  presto  per  sviluppare  una  riflessione  compiuta  sul  tema,  e  questo perché vi è l’intenzione di mettere in circolazione una pluralità di proposte nel momento  stesso in  cui  queste  si  rendono necessarie a causa dell’intensità della crisi. Eppure, sarà forse già troppo tardi... Non abbiamo alcuna certezza che ciò che pensiamo oggi potrà essere ancora sostenibile tra due mesi. Non sappiamo se e quando “finiranno” la pandemia e la crisi sanitaria che questa provoca. Non sappiamo quale sarà l’entità e quali gli effetti della crisi economica che ne consegue. Non sappiamo quali saranno le ripercussioni, in termini di sofferenza e distruzione, ma anche di proteste, rivolte, di movimenti sociali e politici. E tuttavia,  è  da  questo  insieme  di  cose  che  dipende  il  referente  di realtà  delle parole di cui ci serviamo e, conseguentemente, il loro senso. 

È una situazione strana, che non presenta però solo inconvenienti. Poiché tale indeterminatezza è la condizione nella quale –purché se ne assumano la misura e i rischi –diventa possibile descrivere una crisi di dimensioni storiche, per ciò che essa è: non una semplice “interruzione” nella vita di una società, o l’occasione di un’inversione di potere, ma un cambiamento forse radicale del modo  di  cambiamento stesso,  che  costringe  dunque  a scommettere su mutamenti sconosciuti, mettendo insieme ciò di cui disponiamo in termini d’esperienza e  analisi,  per  immaginarne  le  possibilità. Tocca  ai  segni  che affiorano  nel tempo  presente suggerirci  a  poco  a  poco  le  buone  domande,  piuttosto  che alle  nostre  teorie  e  alle  nostre  previsioni precedenti la  crisi  proporne  già  la soluzione. 

giovedì 12 agosto 2021

Il filosofo democratico - José Luis Villacañas

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) - Questo testo è stato pubblicato in spagnolo sul quotidiano “Levante” il 23 marzo 2020. La traduzione italiana è di Alessandro Volpi. - José Luis Villacañas (Universidad Complutense de Madrid) è un professore, filosofo politico, storico della filosofia e storico delle idee politiche, concetti e mentalità spagnola.
Epidemie, storia, capitalismo. Passi indietro e passi avanti. - Roberto Fineschi
I fondamenti filosofici della società virale: Nietzsche e Hayek dal neoliberalismo al Covid-19 - Paolo Ercolani 
Lo Stato, il Pubblico, il Comune: tre concetti alla prova della crisi sanitaria - Etienne Balibar


Nella rete si rincorrono le critiche: dove sono i filosofi? I giornali titolano: “una crisi priva di bussola”, come se fossimo senza una rotta perché i filosofi non riescono a tracciarla. Questi ammonimenti devono aver infastidito qualcuno,  che  quindi  si è  lanciato in  diagnosi  e  pronostici.  Complessivamente, tanto gli uni come gli altri sono autoaffermativi. I filosofi sono troppo raffinati per assumere un atteggiamento paternalistico e proclamare “ve lo avevo detto”. Ma, anche se in una maniera più raffinata, ognuno ci vuole far pensare che la realtà gli dà ragione. È una forma speciale di godimento. Per molti anni, in solitudine, hanno assemblatole proprie costruzioni mentali. Ora si tratta di una cosa diversa. La realtà, finalmente, si piega davanti all’onnipotenza del loro pensiero. 

E qui prende avvio un moto circolare. Così come ciò che uno ha pensato lungo  quaranta  anni  deve  inevitabilmente  essere  eterodosso,  e  presumibilmente strampalato, ancor di più lo sarà questo momento glorioso, in cui qualcuno  crede che la realtà gli stia dando ragione. Così che i loro  interventi di fronte alla  crisi,  dettati  da  questa  attitudine,  non  possono  coincidere  con l’esperienza generale, né con il senso comune. Le loro dichiarazioni sono quindi necessariamente accolte dalla maggioranza dei lettori con un intenso scetticismo. E dato che, inoltre, saranno propensi ad approfittare della situazione per rinnovare antiche polemiche con altri colleghi, subito si invischieranno in dibattiti che saranno comprensibili solo ai più prossimi. 

Di solito, quando la situazione è normale, le loro trovate ci fanno evadere dalla noia e i loro complessi ragionamenti soddisfano la necessità del nostro permanente attivismo neuronale. Ma quando la realtà si impone, e reclama la nostra attenzione, cioè quando non ci stiamo annoiando, l’invito ad introdurci nell’intricato mondo dei loro giochi ingegnosi viene di solito ricevuto con un giustificato disprezzo che può arrivare fino alla noia e all’avversione. 

lunedì 4 gennaio 2021

Cosa significa socialismo nel XXI secolo e cos'è lo Stato socialista? - Stefano G. Azzarà

 Da: https://www.facebook.com/stefano.azzara - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino e dirige la rivista “Materialismo Storico(materialismostorico http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.

"... ritengo che il socialismo vada inteso, con le parole di Gramsci, come una “società regolata”, ovvero come una società organizzata in maniera razionale. “Razionale”, però, nel senso di una razionalità universale, e non meramente strumentale e tecnocratica. Una razionalità, cioè, per via della quale lo sviluppo delle forze produttive materiali e immateriali (la cultura, le idee) va a beneficio di tutti ed è assoggettato al controllo della società di cui è al servizio, in modo che esso diventa la premessa dello sviluppo integrale delle soggettività e dei gruppi umani e della conciliazione tra il mondo umano e quello naturale. Questa razionalità non può che essere assicurata in primo luogo dallo Stato, il quale ha la forma dell’universalità ed è dunque potenzialmente in grado di elevarsi al di sopra delle contraddizioni della società civile e di mediare tra esse fino a portarle a sintesi (Hegel). 

Poiché queste contraddizioni hanno a che fare con la riproduzione complessiva della società stessa e sono legate alle sue capacità produttive, la natura socialista di un paese è determinata dunque in primo luogo dalla capacità dello Stato e della politica di "comandare" ovvero coordinare l'“economia”, intesa – come abbiamo visto sopra – come l’insieme del lavoro sociale complessivo. 

Questa condizione non è però sufficiente, perché altrimenti tutti i paesi nei quali esiste un comando statale centralizzato o una prevalenza del controllo statale sarebbero socialisti. 

Non è così, invece, perché la natura socialista del comando statale dipende a sua volta dalla natura dello Stato stesso; dipende cioè da quale è l’obiettivo generale che questo Stato – il quale costituisce un vero e proprio campo di battaglia in cui si svolge una lotta di classe (Poulantzas) – si prefigge. 

C’è lo Stato che è espressione politica diretta o indiretta delle classi dominanti e del loro potere, ad esempio, il cui obiettivo generale è quello di garantire la riproduzione di questo dominio di classe e dunque di garantire la prevalenza degli interessi sociali particolari più potenti, oppure quello di favorire questa o quella tra le diverse frazioni delle classi dominanti, oppure ancora quello di garantire un equilibrio tra classi dominanti e ceti medi e piccola borghesia, così come c'è lo stato colonizzatore e quello della borghesia conoradora. 

Lo Stato socialista, al contrario, è quello Stato che si prefigge di manipolare i rapporti di forza tra le diverse classi al fine di far prevalere l’interesse generale sugli interessi particolari e sugli egoismi privati, trovando sempre l’equilibrio giusto nella situazione concreta. Socialisti sono perciò quei paesi nei quali la direzione statale non è mai fine a se stessa ma si inscrive in un progetto generale di emancipazione della società in tutte le sue parti. Un progetto il cui obiettivo “filosofico” è la costruzione del concetto universale di uomo, la realizzazione della comune umanità mediante il superamento delle discriminazioni di classe, di genere e di etnia; e dunque un progetto che è fondato sul principio di eguaglianza (inteso a sua volta non come distribuzione rigidamente egualitaria della ricchezza ma come reciproco riconoscimento della pari dignità umana tra tutti gli uomini e tutte le donne). 

Di conseguenza, sono socialisti quei paesi nei quali questa direzione statale viene esercitata da uno Stato il quale, a partire dalla sua genesi storica o comunque da un evento fondativo rivoluzionario che ha spezzato il potere delle classi dominanti, è o è diventato espressione di questa comune umanità e dunque espressione degli interessi della maggioranza: espressione, in primo luogo, delle classi lavoratrici e della loro capacità di organizzazione. 

Questo Stato rappresenta cioè l’atto di emancipazione di quelle classi che nella storia del genere umano e di tutti i paesi, e in particolare nella storia moderna, sono state subalterne; classi che vedono perciò nell’azione regolatrice dello Stato ­– la quale coincide con la loro presa di potere – esattamente la fuoriuscita da questa subalternità. 

In questo senso, è del tutto secondaria la questione della proprietà dei mezzi di produzione: certamente la presenza di una forte proprietà sociale dei mezzi di produzione che viene esercitata attraverso lo Stato è importante; e però non è necessario che questa proprietà pubblica sia esclusiva ed è perfettamente possibile la sua coesistenza con il mercato privato, perché la cosa più importante di tutte è il primato della politica e dello Stato secondo la definizione che abbiamo visto. 

In questa prospettiva, socialismo è l'appropriazione razionale e consapevole che gli uomini e le donne esercitano sulle proprie condizioni di riproduzione e la presenza dell’imprenditoria privata non rappresenta un problema, nella misura in cui la borghesia rimane classe in sé sul terreno economico e non si costituisce come classe per sé in grado di contendere il potere politico (Lukacs)...". 

martedì 18 agosto 2020

Domenico Losurdo e la comune umanità tra categorie del pensiero e conflitto sociale. - Salvatore Favenza

Da: http://www.dialetticaefilosofia.it - Recensione di Salvatore Favenza a: S. G. Azzarà, La comune umanità. Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo, La Scuola di Pitagora, Napoli 2019.
Vedi anche:   L'idea di socialismo: ritornare all'utopia o completare il percorso che conduce dall'utopia alla scienza? - Domenico Losurdo  
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                         Su Hegel politico. - Stefano Garroni -

La comune umanità. Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo, di Stefano G. Azzarà, precedentemente edito dalle Editions Delga di Parigi nel 2012 ed ora pubblicato da La Scuola di Pitagora in edizione italiana riveduta, ampliata ed aggiornata dalle corpose integrazioni di Emiliano Alessandroni, costituisce una privilegiata chiave d’accesso all’itinerario di pensiero di Domenico Losurdo. 

I tre capitoli di cui si compone il libro riguardano il confronto storico e filosofico di Losurdo con la storia del liberalismo, con la filosofia classica tedesca e con il materialismo storico. 

Secondo le narrazioni oggi in Occidente più gettonate, il liberalismo, nato tra Sei e Settecento presso le più illuminate intellettualità europee, lottò e vinse contro l’assolutismo monarchico facendo acquisire centralità al valore dell'individuo e realizzando lo stato di diritto. Dopodiché, una volta conferita una più o meno solida struttura alla sua propensione democratica, si trovò ad affrontare nemici ancora più temibili. Un parto gemellare di natura totalitaria diede infatti vita a nazismo e comunismo che, affratellati dalla comune natura dispotica, hanno tentato entrambi di contendere al mondo liberale la guida del Novecento. Fortunatamente, tuttavia, il liberalismo vinse anche quest’ultima battaglia e a tutt'oggi si candida a prosperare sull'intero globo, esportando il proprio modello sociale e politico, garanzia di serenità e di pace. 

Domenico Losurdo ha mostrato l’inconsistenza di una simile narrazione, opponendo a questa storia sacra (la cui credibilità è stata favorita dalla sconfitta dei tentativi di costruzione del socialismo in Europa orientale) una storia profana, finora abilmente schivata dalla luce dei riflettori. La narrazione corrente sembra infatti ignorare come il liberalismo abbia costituito non già un impulso ma un ostacolo alla realizzazione della democrazia moderna, essendo stato soltanto il sopraggiunto confronto con la tradizione rivoluzionaria ad aver condotto al superamento delle tre grandi discriminazioni che contraddistinguevano le società occidentali ancora all'inizio del Novecento: la discriminazione di censo, quella di razza e quella di genere. Non si trattava tuttavia, secondo Losurdo, di opporre al “Libro nero del comunismo” di Courtois e colleghi, un “libro nero” del liberalismo, bensì di contestare al liberalismo stesso la «sua autoidentificazione con la centralità dell’individuo e con la storia della libertà moderna». 

Il liberalismo, che pure aveva formulato questi concetti, appariva contraddistinto da notevoli clausole di esclusione che ne boicottavano la portata universale: la tradizione che aveva innalzato la bandiera della libertà della società civile e su questa base aveva condotto la battaglia contro il dispotismo delle monarchie assolute, venne ad imporre a sua volta, con la propria ascesa, un potere assoluto nei confronti delle classi subalterne e dei popoli coloniali. Si trattava di un processo di de-umanizzazione su scala globale: solo per la razza dei signori, sulla base delle severe discriminazioni di razza, di genere e di censo, veniva a costituirsi una comunità di liberi e uguali. 

Losurdo ha evidenziato come il superamento di questi limiti sia stato possibile soltanto attraverso l'incontro/scontro con il movimento operaio e si sia verificato nonostante la struttura portante del discorso liberale. Questo conflitto da un lato ha mostrato la “duttilità” e la “modernità” del liberalismo, la sua capacità di adattamento e il suo realismo; dall’altro ha generato una spaccatura nell’ambito del liberalismo stesso, tra una componente che è andata saldandosi con le tendenze apertamente reazionarie e un’altra che, ripensandosi interamente a partire dal compromesso antifascista, è divenuta parte del processo di costruzione della democrazia moderna. 

giovedì 30 aprile 2020

Comanda il governo o comandano le classi dominanti? - Stefano G. Azzarà

Da: https://www.facebook.com/stefano.azzara - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica presso il Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Urbino ed è direttore della rivista "Materialismo Storico" (materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com).


È stupefacente come l'egemonia liberale abbia prodotto un senso comune indiscusso a proposito della fenomenologia del potere.

Anche a sinistra, persino tra chi si professa marxista, si ritiene che la linea del potere divida ciò che è in alto da ciò che sta in basso e che il potere costituito e materializzato nelle istituzioni sia il potere reale e che dunque il governo comandi.

Si incalza perciò il governo a fare questo o quello e lo si deplora o loda come se dal governo dipendesse ogni male e dunque anche ogni bene, come se tutto dipendesse dalla sua volontà o mancanza di volontà o cattiva volontà.

Ma nel vostro paese, - per indicare una scala di misura che rende più riconoscibili le cose - comanda il sindaco o le forze e gli interessi che lo hanno portato all'elezione, e solo in seconda battuta il sindaco in quanto tale? E quanto dura questo sindaco quando comincia a pestare i piedi a qualche pezzo grosso?

Un governo comanda finché lo lasciano comandare e finché ne ha la forza, che gli viene da qualche forma di legittimazione.

Un governo, tanto più in una società capitalistica, è sempre prevalentemente espressione dei rapporti di potere che nascono nell'articolazione disuguale della società civile ed è a questo livello che si genera il potere veramente efficiente.

Un governo comanda nella misura in cui e fino a quando è espressione di questo potere, o meglio del patto federato che le parti di questo potere riconosciutesi come pari contraggono mediante un contratto.

La democrazia moderna, in questo senso, è stata esattamente lo sforzo di sottrarre il governo a questo arbitrio delle particolarità, che ancora nel XIX secolo esprimevano quasi direttamente il proprio comitato d'affari, esaltando l'universalita della sua forma e facendo sì che questa forma avesse la meglio sugli interessi privati dei grandi conglomerati sociali.

La forma dell'universalita che è comunque propria delle istituzioni, infatti, obbliga queste ultime a tener conto dell'interesse generale.

Da quel momento, governo è ciò che risulta dall'equilibrio relativo tra quella forma e gli interessi particolari espressi dal patto, una continua ed estenuante prova di forze.

Quando però questo conflitto permanente supera il livello di guardia, essa entra in contraddizione con questo potere reale o con gli elementi prevalenti di questo potere reale, da quel momento ogni governo è un governo che alla lunga è morto.

A meno che non riesca a mobilitare in chiave giacobina quell'interesse generale o quella alleanza di interessi che più gli si avvicina, cosa che non è facile e avviene raramente. Molto più facile è che questa alleanza venga mobilitata in chiave populistica, contro i propri stessi interessi, da quei poteri reali che voglio riprendersi la loro libertà d'azione e condizionamento ponendo limiti all'universalità.

È anche in questo modo che la democrazia moderna è stata smantellata, ormai diversi anni fa.

Guardiamo alle classi sociali, guardiamo alle classi dominanti, guardiamo a chi realmente comanda.

domenica 24 aprile 2022

Il 25 aprile, la Resistenza italiana e la guerra in Ucraina. Antifascismo reale e antifascistismo liberale - Stefano G. Azzarà

Da: https://www.facebook.com/stefano.azzara - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.



Andiamo al cuore del problema.
 


L'equiparazione tra la guerra in Ucraina e la Resistenza, con la conseguente assimilazione dell'esercito e delle formazioni paramilitari ucraine (nazisti di Azov compresi) ai partigiani, è la narrazione che costituisce il nucleo dell'operazione ideologica con la quale soprattutto il Pd ma in generale tutte le forze liberali, con i loro apparati egemonici, intendono affrontare l'imminente 25 aprile, al fine di spazzare via definitivamente ogni lettura alternativa e ogni alternativa culturale. 


Questa assimilazione è sbagliata sul piano storico ed è pericolosa sul piano politico e va perciò respinta senza tentennamenti, respingendo al mittente al contempo il ricatto morale che le è sotteso. 

Sono decenni, ormai, che il paradigma politico antifascista classico, nato dall'alleanza tra paesi capitalistici e Urss e corroborato dalla teoria storiografica del cosiddetto "fascismo internazionale", è stato soppiantato dal paradigma del "totalitarismo": un dispositivo che serve ad affermare il primato ontologico della democrazia liberale occidentale, intesa come l'unica immanenza politica possibile ovvero come la realtà politica in quanto tale, e a delegittimare ogni forma politica diversa, in primo luogo quella socialista, assimilandola alla minaccia nazifascista. 

Tutto ciò che non è liberalismo, viene detto, è giocoforza totalitario e dunque è il male assoluto. Ragion per cui le differenze tra i diversi tipo di "totalitarismo" - nazismo, fascismo, comunismo, fondamentalismo islamico, per un certo periodo persino il populismo... -, pur se in apparenza macroscopiche, sono secondarie e irrilevanti rispetto al comune peccato mortale di sacrilegio verso il liberalismo. 

martedì 7 ottobre 2014

Postdemocrazia e responsabilità della sinistra italiana - Stefano G. Azzarà



"...abbiamo finito per pensare il mondo con i pensieri che le classi dominanti ci hanno messo in testa, e a nominarlo con le loro parole."

"...sembra che Bertinotti ignori completamente il dibattito tra Togliatti, Della Volpe e Bobbio, nel corso del quale il segretario comunista aveva ribadito come per i comunisti le libertà individuali fossero altrettanto importanti dei diritti economico-sociali. Aggiungerei che sembra ignorare lo stesso Marx, il quale considera le conquiste del liberalismo come un presupposto, come un punto di partenza del quale denunciare e oltrepassare i limiti, ovvero le clausole d'esclusione nei confronti dei lavoratori manuali o dei sottouomini delle colonie, in direzione di una universalizzazione della libertà. Infine, sembra ignorare anche Gramsci, il quale sosteneva che il programma liberale integrale è diventato il programma minimo dei socialisti."


"La mia impressione è che il ciclo 1968-77 abbia molto a che fare con tutto ciò. È in quegli anni che si diffonde l'atteggiamento postmoderno nei confronti della storia. Perché la catastrofe del Novecento? Non era forse il progetto emancipativo moderno, per via della sua presunzione universalistica, intrinsecamente sbagliato? Non è il primato della ragione inevitabilmente totalitario, visto che si tratta di mettere le braghe al mondo e di imporre alla realtà un decorso artificiale anche a costo di prenderla a martellate se si ribella? Non è meglio concentrarsi sulle libertà individuali, sganciando la libertà di ciascuno da quella di tutti e spostandola dal terreno politico a quello della vita privata? Da qui la denuncia dell'idea di progresso e del prometeismo moderno, del quale il marxismo e il capitalismo sono solo due varianti intercambiabili (un'idea del vecchio Heidegger, a guardar bene). Se questo o quello pari sono, però, in fondo meglio vivere sotto il capitalismo, perché almeno ci si diverte di più."

http://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/4130-stefano-g-azzara-postdemocrazia-e-responsabilita-della-sinistra-italiana.html

http://nblo.gs/10tviF
 

martedì 9 aprile 2024

Lenin, a cento anni dalla morte -


Jutta Scherrer m.13,47 - Luciano Canfora m.36,02 - Rita Di Leo m.50,57 - 
Etienne Balibar m.1,09,25 - Luciana Castellina m.1,34,13 - 
Giacomo Marramao m.2,03,41 - Stefano G. Azzarà m.2,24,51 -