Da: https://www.facebook.com/Acerbo Maurizio - Maurizio Acerbo è un politico italiano, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista dal 2017.
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"31 luglio '92: la condanna a morte dei lavoratori italiani. La scala mobile fu uccisa, i salari massacrati. Fine degli aumenti automatici, fine della prima repubblica, quella socialista cristiana nata dalla Resistenza, fine del welfare italiano; nascita del maggioritario - le due facce del più marcio neoliberismo post-reaganiano/tatcheriano. Fine della parola speranza." (Dean Buletti)
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"Il 31 luglio 1992, i segretari generali di Cgil Cisl e Uil siglavano con il governo Amato e la Confindustria la cancellazione della scala mobile, condizione richiesta ai sindacati e imprescindibile per evitare le dimissioni del Governo.
Da quel giorno i salari dei lavoratori sono arretrati fino a divenire il fanalino di coda a livello europeo, con l'Italia unico Paese in cui si registra il segno meno nella crescita salariale.
Si aprì allora una straordinaria stagione di lotte operaie e sindacali, la “stagione dei bulloni” venne definita, per l'accoglienza che i lavoratori riservarono ai segretari confederali che andavano nelle piazze a cercare di spiegare l'inspiegabile, cioè che avevano accettato di tagliare per sempre i salari e gli stipendi per difendere il governo dei padroni.
Oggi, come mai prima, l'assenza di un meccanismo di adeguamento dei salari e degli stipendi all'inflazione sta producendo un vero e proprio collasso della capacità di acquisto delle famiglie." (Unione Sindacale Di base, 31/07/2022).
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Il #31luglio 1992 fu imposto alla Cgil il peggior accordo della sua storia, quello che cancellava la scala mobile. Da allora in Italia lavoratori e pensionati non sono più protetti da uno strumento di adeguamento automatico dei salari e delle pensioni all’inflazione.
E’ uno dei fattori che ha portato l’Italia a essere l’unico paese europeo e dell’Ocse ad aver visto diminuire i salari nell’ultimo trentennio.
Il meccanismo di rivalutazione automatica dei salari sulla base dell'inflazione era da tempo nel mirino del padronato. La difesa della scala mobile fu l’ultima battaglia di Enrico Berlinguer negli anni ’80, sostenuta da un economista autenticamente riformista e dunque antiliberista come Federico Caffè. Berlinguer, dopo mesi di scioperi e manifestazioni, decise di promuovere un referendum contro il taglio di 4 punti di contingenza deciso con un decreto nel giorno di san Valentino dal governo Craxi. Il referendum si tenne un anno dopo la morte di Berlinguer. Vinsero i no all'abolizione del decreto. Poi negli anni successivi proseguì l'offensiva contro la scala mobile da parte di Confindustria.
Nell’estate del 1992 l’Italia era precipitata in una crisi drammatica. Il 1992 è l'anno spartiacque tra la prima e la seconda Repubblica che con l'introduzione del maggioritario nel 1994 inaugurerà l'alternanza tra due poli che convergono sull'agenda neoliberista.
La sciagurata firma del Trattato di Maastricht (a cui solo Rifondazione Comunista si oppose) imponeva una politica di sacrifici per poter rientrare nei famigerati parametri di convergenza europei e il nuovo ordine ordoliberista aveva come bersaglio naturalmente le conquiste della classe lavoratrice e il settore pubblico da privatizzare.
Il sistema politico-istituzionale era in piena crisi a causa delle inchieste di Tangentopoli e le bombe mafiose che avevano ucciso Falcone e Borsellino. L'emergenza economica e politica e lo sfondamento del neoliberismo anche a sinistra dopo lo scioglimento del PCI si tradussero in un'enorme pressione sul sindacato con la retorica della responsabilità nazionale.
Il governo guidato dal "socialista" Giuliano Amato invitò le parti sociali ad aprire una trattativa a tutto campo “per la ristrutturazione del salario e del sistema contrattuale”.
Il risultato fu l'accordo del 31 luglio 1992 che sanciva l’abbandono definitivo della scala mobile, già unilateralmente disdettata l’anno prima da Confindustria; non predispone un meccanismo sostitutivo, rinviandone la ricerca a un negoziato successivo; blocca la contrattazione articolata. Amato minaccia le dimissioni in caso di rottura. L'accordo viene raggiunto non a caso proprio mentre le fabbriche stanno chiudendo per la pausa estiva. Il segretario CGIL Bruno Trentin lo sigla pur non condividendolo nel merito e contravvenendo all’indirizzo espresso dal direttivo della sua organizzazione, che nella notte vota a maggioranza contro l’intesa ormai siglata. Trentin la definirà “la prova più terribile della mia vita”. Dopo la firma rassegna le dimissioni.
"Tutto si è compiuto in questo giorno e nella notte" - scriveva Trentin il 31 luglio 1992 sul suo diario - "Giovedì, per ventiquattro ore un negoziato estenuante e insidioso con il Governo che fa praticamente da portavoce e da mediatore della Confindustria. Assalito a colpi di insulti da Abete e dai suoi tirapiedi, Amato si aggrappa disperatamente a loro per trovare una via d’uscita che salvi la sua immagine e il negoziato nel quale si è avventurato, fidandosi dell’arrendevolezza del sindacato e del corrispondente bisogno d’immagine dei burocrati della Cisl e della Uil. Il fronte sindacale si sgretola rapidamente. (...) Mi sono trovato assediato: al di là delle intenzioni e del peso effettivo della minaccia di crisi di governo che Amato ha evocato, era certo che un fallimento del suo tentativo avrebbe avuto, a quel punto, degli effetti incalcolabili sulla situazione finanziaria del Paese e sul piano internazionale. La divisione fra i sindacati e nella Cgil avrebbe dato un colpo finale al potere contrattuale del sindacato come soggetto politico. Salvare la Cgil e le possibilità future di una iniziativa unitaria del sindacato; impedire che fosse imputata ad una parte della Cgil la responsabilità di un ulteriore aggravamento della crisi economica, per emarginarla sul piano politico mi imponevano di firmare l’accordo e di lasciare quindi libera la Cgil e i suoi organismi dirigenti di convalidare o meno quella decisione. E spero ancora, per le ragioni politiche che mi hanno indotto a quel gesto che lo faccia e tragga da questo la forza per ribaltare a settembre le regole del gioco fuori da ogni ricatto. Dall’altra parte, ero ben cosciente che, ciò facendo, disattendevo il mandato ricevuto dalla Direzione della Cgil, quel mandato che avevo sollecitato con tanta insistenza, contrapponendomi alla tesi dei soliti rentiers della politica del sempre peggio, che invocava l’abbandono del negoziato. Non potevo annunciare alla Segreteria della Cgil la mia intenzione di firmare, senza preannunciare le mie dimissioni. Ciò che ho fatto."
Fausto Bertinotti, che guidava la sinistra della Cgil definì l'accordo una "resa". Parole di dura critica giunsero da Pietro Ingrao, da Rifondazione Comunista, da il manifesto ma sulla stampa e nel paese ormai dopo il 1989 e lo scioglimento del PCI l'egemonia neoliberista si va affermando confusa con un'esigenza di modernizzazione e cambiamento. Il PDS di Occhetto accusò Amato di aver costretto Trentin a firmare, ma negli anni successivi anche il centrosinistra farà propria la rinuncia alla scala mobile man mano che assumeva l'agenda di Maastricht come riferimento.
GARAVINI CONTRO L'ACCORDO
Il 6 agosto interviene alla Camera dei deputati l'allora segretario nazionale di Rifondazione Comunista Sergio Garavini, già storico dirigente della Fiom e della CGIL.
Riporto stralci dell'intervento che si può anche riascoltare su Radio Radicale (dal min. 33:47 https://www.radioradicale.it/scheda/48263/accordo-relativo-al-costo-del-lavoro?):
"L'assenza di Amato è una sottovalutazione politica grave. Devo dire che, purtroppo, non è la sola di questo tipo che avvenga. Infatti, le segreterie confederali che hanno sottoscritto l'accordo non hanno convocato in questi giorni alcun organo sindacale per valutare l'accordo stesso. Eppure, se non altro, le dimissioni del segretario generale della CGIL, il compagno Bruno Trentin, dovrebbero aver dimostrato a tutti la gravità dell'accordo e dell'attuale situazione del movimento sindacale, su cui un momento di discussione e di verifica nel sindacato e nel paese ci pare indispensabile. Direi che c'è anche di più: senza che l'opinione pubblica ne sia venuta a conoscenza, alla segreteria della CGIL in soli due giorni sono arrivati e continuano ad arrivare — centinaia e centinaia di messaggi di protesta di organismi sindacali e di consigli d'azienda. (...) Si tratta di una protesta che è tanto più significativa nella sua ampiezza in quanto ha luogo in un periodo in cui la grande maggioranza delle fabbriche, degli uffici e dei luoghi di lavoro sono chiusi. Il fatto è che c'è molta attenzione a quanto pensano e fanno intorno a questo cosiddetto accordo sindacale ministri e dirigenti sindacali, mentre si tace — purtroppo tace anche la CGIL — sul malessere e sulla protesta che sono vivi e generali fra i lavoratori e fra i militanti sindacali. Noi denunciamo un fatto che non riguarda solo il sindacato perché ha valenza politica e risvolti istituzionali: l'accordo ha lacerato in profondità il rapporto tra il sindacato e i lavoratori; un rapporto già segnato da una crescente crisi di sfiducia che ha lacerato quel tessuto democratico essenziale non per il sindacato soltanto, ma per lo stesso sistema democratico: mi riferisco ai rappresentanti sindacali sui luoghi di lavoro. È un aspetto cui bisogna guardare con la più grande attenzione e sulla gravità del quale noi lanciamo il più forte allarme. Il Governo ed anche — mi stupisce — certi dirigenti sindacali sembrano avere occhi soltanto per la Borsa o per il tasso di sconto. Se c'è una vera demagogia è proprio questa, non solo perché gli aumenti di Borsa non hanno compensato i ribassi precedenti e perché il tasso di sconto rimane aumentato di mezzo punto con la manovra economica del Governo: ma perché il senso di responsabilità del Governo, del Parlamento e, figuriamoci, dei dirigenti sindacali dovrebbe essere attentamente rivolto oggi a quella base della società e a quella parte determinante dell'economia rappresentate dai lavoratori. E che vi sia tra i lavoratori malcontento e anche disorientamento è solo logico.
È molto difficile definire quello siglato il 31 luglio, ancor più dopo la descrizione fornita dal ministro del lavoro, come un vero e proprio accordo sindacale. Sono state semplicemente sottoscritte drastiche e discutibili esigenze prospettate dal padronato e dal Governo. È stata cancellata la scala mobile, è stata impedita la contrattazione aziendale, mentre sono in enorme difficoltà le stipule dei contratti di categoria scaduti tutti da mesi ed in qualche caso da anni. Di questi tre capisaldi del potere contrattuale del sindacato, due sono stati distrutti e il terzo è minato. Aggiungete l'aumento dei contributi, le tasse sulle abitazioni, l'abolizione dell'equo canone, le misure restrittive in materia di pensioni e sanità; si valuti ancora la portata dei colpi dati e minacciati all'occupazione, per cui sono in discussione centinaia di migliaia di posti di lavoro. (...) Ciò significa che i lavoratori, a questo punto, sono premuti da ogni parte: nell'occupazione, nei salari, nel prelievo fiscale, nelle pensioni, nella sanità e nella casa.
Questi colpi vengono portati non solo quando già — come ho detto — sono diminuiti i salari reali, ma quando per l'autunno sono promessi altri colpi, per certi aspetti ancora più pesanti come quelli che ci attendiamo nei settori della sanità e delle pensioni. Mi perdoni il ministro del lavoro, ma negli ultimi 15-20 anni ho sentito decine di volte i discorsi sulla politica attiva del lavoro e ho contato soltanto centinaia di migliaia di licenziamenti, che stanno dietro tali affermazioni (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista)! E non ci potete prendere più in giro, né voi né i sindacati, con questi discorsi, anche perché oltre tutto, se c'è un punto di immoralità è che dentro molte di queste operazioni di cosiddetta formazione professionale vi sono tangenti che sono state denunciate e vi è gente che è andata in galera (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista).
La verità è che nell'accordo e nelle indicazioni c'è solo un ulteriore peggioramento, con altre misure, delle condizioni dei lavoratori, che hanno anche un singolare segno ideologico (mi riferisco ai decreti e alle deleghe del Governo), che è quello delle privatizzazioni: queste sono, in realtà, un vero e proprio attacco alle partecipazioni statali con un orientamento che, in linea di principio, è ideologico (l'ideologia del privato), ma in concreto è demolitorio, rivolto a distruggere quanto vi è di vitale nel settore pubblico, oppure a trasferire ai privati le attività più significative e redditizie dello stesso settore, riducendo quest'ultimo a gestioni in perdita, con futura liquidazione di attività che oggi occupano almeno 200 mila lavoratori.
A questo punto, si dice che il Governo non aveva altra strada e che quindi, accettando queste misure distruttive del potere contrattuale del sindacato, laceranti il rapporto tra il sindacato e i lavoratori, le segreterie confederali hanno reso un servizio al paese. Noi diciamo, invece, che bisognava intraprendere un'altra strada e che l'atteggiamento dei dirigenti sindacali che hanno sottoscritto questa specie di accordo è in realtà non dettato da responsabilità, ma da irresponsabilità. In questa linea, che l'accordo contiene e che contengono le misure economiche del Governo, non vi è alcuna indicazione positiva a sostegno dell'occupazione e dell'attività Ebbene, che cosa pensi il Governo che possa avvenire in questo quadro è evidente. Pensano, il Governo e il padronato, che le imprese possano far lavorare più intensamente meno lavoratori con paghe più basse per riguadagnare così potere sul mercato; pensano che lo Stato possa alleggerire il deficit tagliando robustamente le spese sociali. Ma attenzione! Questa è una ricetta vecchia, reazionaria ed inefficace, perché in tal modo le imprese sono incoraggiate a sfruttare di più i lavoratori, ma non a sviluppare le tecnologie, ad innovare i prodotti e ad elevare la qualità. È da questo che dipende la loro forza sul mercato. In tal modo, lo Stato rimane prigioniero di interessi privilegiati (non a caso, le misure fiscali scansano qualsiasi riforma fiscale!) e degenera sempre più dal suo ruolo democratico di sollecitazione e realizzazione di parità di condizioni sociali e civili, e quindi di unità e non di discriminazione nella società. Attenzione a questa linea della discriminazione sociale!
In tal senso l'accordo del 31 luglio scorso e le misure del Governo si sommano in una svolta che, a nostro parere, è interamente da respingere. Bisogna che sia revocato l'accordo e che ne sia revocata la firma; bisogna che i lavoratori siano chiamati alla lotta per un'alternativa a questo accordo e alle misure economiche del Governo. (...) Se i lavoratori dovessero subire, vi sarà inevitabilmente un distacco dalla loro base sociale naturale di tutte le tendenze e le forze politiche che si sono mosse e si legittimano in una logica di solidarietà e di riforma sociale. Si dice che l'autunno sarà terribile, ma questo è anche un ricatto propriamente politico e un invito aperto ad abbandonare ogni lotta e ogni ricerca di un'alternativa di politica economica e sociale. Proprio la difesa di salari, di prestazioni sociali e della libertà di contrattazione possono essere invece la sponda più efficace (come è avvenuto in passato) per politiche che reagiscano alla crisi con riforme fiscali, con selezioni della spesa tendenti ad un rilancio economico, con programmi qualificati di sviluppo. Si dice che queste sono le speranze del passato, ma niente è più vecchio e davvero «vetero» del blocco dei salari e della contrattazione, del taglio delle pensioni e della sanità, della fiscalità sul lavoro, degli alti tassi di interesse, della liquidazione dell'intervento pubblico. Così vengono ripetute vecchie politiche che, essendo già state tentate e praticate nel passato, hanno prodotto solo fallimenti.
Si spera, evidentemente, che realizzando tutto insieme quanto vi è di più grave in queste politiche vi sarà un progresso: no, vi sarà solo un fallimento, più drammatico e generale. Noi lanciamo questo allarme e da qui chiamiamo all'iniziativa e alla lotta. Vogliamo essere interpreti e sentiamo di parlare a nome di un'Italia che non si arrende" (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista).
Nel settembre 1992 esploderà la protesta degli "autoconvocati" sostenuta da Rifondazione Comunista anche in forme di contestazione durissima dei vertici di Cgil, Cisl e Uil nelle piazze. Volarono anche bulloni. Il 12 settembre Rifondazione fece una grande manifestazione nazionale. Il movimento di protesta non riuscirà a ottenere una retromarcia. L'anno successivo con il governo Ciampi un nuovo accordo chiuderà il cerchio definendo il quadro della cosiddetta "concertazione".
IL PECCATO ORIGINALE
Come ha scritto Giuliano Garavini, figlio di Sergio, in un articolo su Il Fatto Quotidiano cominciò allora la "deflazione salariale":
il “peccato originale” che fino a oggi pesa come un macigno sulle spalle dei lavoratori. Nel luglio del 1992, nel pieno dell’attacco alla lira, il governo presieduto da Giuliano Amato prese misure senza precedenti per tagliare la spesa pubblica, aumentare le entrate (incluso il celebre “prelievo forzoso” dai conti correnti) e avviare il processo di privatizzazione degli enti pubblici. La ciliegina sulla torta a garanzia del sostengo dei “mercati finanziari” – i quali già il 2 giugno al cospetto dell’allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, avevano espresso i loro desiderata sullo yacht reale Britannia – fu l’accordo sul “costo del lavoro” del 31 luglio.
Cosa firmò Trentin? In pratica firmò l’abolizione della “scala mobile”, la rinuncia alla contrattazione e l’impegno alla moderazione salariale a oltranza con riferimento alla “inflazione programmata”, come via maestra per abbattere l’inflazione, rafforzare la stabilità del cambio e rendere più competitive le imprese italiane. Cosa avrebbe ottenuto il sindacato in cambio del disarmo unilaterale su un pilastro della sua azione in difesa dei lavoratori: interventi sulle tariffe, lotta all’evasione, promozione dell’occupazione, investimenti pubblici. Trentin aveva siglato una cosa certa, la riduzione dei tenore di vita dei lavoratori, in favore di impegni generici nel migliore dei casi, in malafede nel peggiore. Nel luglio ’93 il nuovo protocollo sulla politica dei redditi firmato sotto l’auspicio del premier Carlo Azeglio Ciampi avrebbe dato impulso alla cosiddetta “concertazione”, sostanzialmente confermando l’impianto di moderazione salariale del 1992.
(...) La storia successiva avrebbe confermato la sostanza degli ammonimenti di Sergio Garavini. Lo spostamento della ricchezza verso rendite e profitti e la diseguaglianza dei redditi si impennò subito, gli investimenti furono negativi, le politiche sull’occupazione si sarebbero rivelate licenziamenti di massa, la decisione di privatizzare i servizi pubblici svelava quanto fossero in malafede le promesse del governo sulle tariffe – il libero mercato avrebbe significato l’aumento di quasi tutte le tariffe, con estremo godimento degli azionisti italiani ed esteri delle aziende privatizzate.
Conclusione
Possiamo rivendicare che Sergio Garavini e Rifondazione Comunista avevano ragione, su Maastricht come sugli accordi del 31 luglio, oggi a tanti anni di distanza e di fronte alla consapevolezza generale che in Italia è aperta una "questione salariale" e siamo l'unico paese dell'Ocse in cui i salari non sono aumentati nell'ultimo trentennio?
(Maurizio Acerbo)
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