Da diversi decenni, gli studi di orientamento
storico-materialistico in ambito filosofico – ma considerazioni non molto
diverse potrebbero essere fatte per l’ambito storico e più in generale per le
scienze umane nel loro complesso – versano nelle università italiane in una
situazione di grave difficoltà. Non ricostruisco qui nei dettagli il rilevante
significato culturale che per una lunga stagione questa corrente ha avuto nel
nostro paese. La linea di pensiero che da Labriola conduce a Gramsci e al
gramscismo ha ripensato dalle fondamenta le categorie del marxismo,
riconducendole al loro rapporto genetico con la dialettica hegeliana e dunque
sia con l’esperienza della filosofia classica tedesca in senso stretto, sia con
tutto il dibattito politico-culturale che dalla Rivoluzione francese ha
attraversato il XIX secolo. Questa impostazione, che più volte si è misurata
con le autonome prese di posizione di Croce e Gentile e che dunque ha saputo dialogare
con i punti più alti della tradizione filosofica italiana, ha saputo proporre
poi su queste basi una riflessione originale. Una riflessione che dopo la
sconfitta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale, e da quel
momento almeno fino agli anni Settanta del Novecento, non solo ha contribuito a
modernizzare il dibattito culturale di un paese che risultava ancora per larghi
tratti arretrato rispetto alle esperienze europee più avanzate ma ha anche
posto le basi intellettuali per una sua rinascita civile e politica.
Ritengo sbagliata, largamente immaginaria e persino
strumentale la tesi assai diffusa che parla di un interminabile inverno del
pensiero all’insegna dell’egemonia culturale marxista in Italia, sia quando
questa tesi assume il tono nostalgico del rimpianto di una nobiltà perduta, sia
– come per lo più in verità accade – quando si presenta come il sospiro di
sollievo caricaturale di chi ritiene di essersi liberato una volta per tutte da
una dittatura ideologica soffocante e persino totalitaria. Tuttavia, è vero
che, proprio prendendo sul serio la riflessione gramsciana sulla posizione
decisiva della produzione culturale nel funzionamento della società, sul ruolo
degli intellettuali e sull’importanza della dimensione del consenso nella
politica, il marxismo italiano aveva saputo esercitare su molteplici piani
un’influenza assai profonda, in grado di confrontarsi ad armi pari con altre e
diverse tradizioni – dal liberalismo all’azionismo, dall’esistenzialismo al
personalismo cattolico – che rendevano un tempo quanto mai ricco e pluralistico
il panorama filosofico nazionale. E da qui aveva saputo proiettarsi
all’avanguardia del dibattito internazionale, facendo conoscere e apprezzare in
tutti i paesi l’afflato umanistico, storicistico e universalistico – e dunque
profondamente democratico – della sua ispirazione.
Oggi la situazione appare molto diversa per questa
impostazione e un patrimonio culturale di grande rilievo è andato in frantumi e
sembra essersi del tutto disperso. Lasciato libero il campo dalle vecchie
generazioni di studiosi, il materialismo storico non ha pressoché più
cittadinanza nel mondo accademico in quanto tradizione di studi con una sua
legittimità e autonomia. E se ancora persiste un certo rispetto “archeologico”
nei suoi confronti quando si guarda alle acquisizioni del passato, la sua
stessa dignità scientifica non viene più riconosciuta e viene semmai contestata
quando si tratta invece di affrontare le grandi questioni del presente.
È la conseguenza delle immense trasformazioni storiche,
politiche ma anche culturali intervenute dopo la fine della Guerra Fredda in
tutto l’Occidente, ovviamente, trasformazioni che hanno tolto il terreno sotto
i piedi al marxismo nel momento in cui il rapporto organico tra questo
orientamento e un intero mondo politico è giunto al capolinea. E però queste
circostanze non sembrano sufficienti a spiegare per intero un fenomeno che ha
invece anche ulteriori e più prossime ragioni di ordine nazionale. Basta
infatti allargare lo sguardo ad altri paesi – o ad altri continenti – per
cogliere infatti un proliferare di studi, convegni e iniziative che continuano
esplicitamente a richiamarsi al marxismo senza che questo li obblighi ad un
vincolo di appartenenza che equivale all’autosegregazione culturale o
all’apartheid accademico. Riviste come “Rethinking Marxism” e “Jacobin
Magazine” negli Stati Uniti, “Historical Materialism” in Gran Bretagna, “Actuel
Marx” in Francia, “Critica Marxista” in Brasile, la più recente “International
Critical Thought” che l’Accademia delle Scienze Sociali di Pechino pubblica
presso Routledge e numerose altre – e le decine di convegni internazionali che
ogni anno nascono attorno a queste pubblicazioni, divenute ormai vere e proprie
istituzioni di natura culturale in un momento in cui nel campo progressista
sono sempre meno legittimate le istituzioni di natura politica – sono solo
alcuni degli esempi ai quali è possibile fare riferimento, per rimarcare per
contrasto quanto sia desolante il panorama italiano. Un contrasto che diventa
ancora più fosco se si guarda al ruolo di direzione culturale che intellettuali
come Badiou, Rancière, Balibar, Zizek, Jameson, Harvey e altri sanno svolgere
nei loro contesti nazionali e in tutta Europa, sul piano accademico come nel
più generale dibattito pubblico.
A parte singole personalità, il materialismo storico, ovvero
la versione peculiare del marxismo italiano, è invece escluso in Italia dai
grandi convegni e dai progetti di ricerca nazionale. Al tempo stesso, sono
pressoché inesistenti le riviste che si richiamano a questa tradizione e il cui
profilo sia riconosciuto in primo luogo sul piano accademico e scientifico: tra
le riviste riconosciute dall’Anvur troviamo infatti i soli “Quaderni
Materialisti” pubblicati dai colleghi della Bicocca di Milano mentre nessuna
rivista di orientamento marxista, né italiana né straniera, è stata ammessa in
fascia A. Non che in Italia manchino anche altre pubblicazioni, soprattutto non
accademiche, che evochino in qualche modo il pensiero di Marx. Tuttavia, non è
possibile in questi casi parlare di materialismo storico in senso stretto,
poiché prevale con nettezza un’ispirazione che si richiama in maniera
sistematica all’esperienza dell’operaismo e del post-operaismo italiano (e
delle sue molteplici frange) e soprattutto ad autori post-strutturalisti come
Foucault e Deleuze. E che semmai, perciò, si propongono anche esplicitamente
una sistematica decostruzione polemica della tradizione filosofica di
impostazione hegeliana e dialettica.
La rivista che qui appare nel suo primo numero – e che nasce
nell’ambito del Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Urbino–
intende lavorare per colmare questa lacuna, offrendo un possibile punto di
riferimento a un orientamento che nonostante tutto è ancora presente nelle
università del paese e cercando per quanto possibile di restituirgli dignità e
riconoscimento. È un obiettivo al quale questo Dipartimento è particolarmente
interessato, né potrebbe essere diversamente se teniamo conto dell’apporto
notevole che l’Università di Urbino ha dato in passato alla tradizione del
materialismo storico italiano e più in generale al marxismo di impronta
hegeliana, seguendo un percorso di pensiero che può fare riferimento ai nomi di
Arturo Massolo, Pasquale Salvucci, Livio Sichirollo e, più di recente, Domenico
Losurdo.
Non a caso, il Dottorato di ricerca “Dialettica e mondo
umano”, attivo prima della recente riforma presso l’Istituto di Studi
filosofici e pedagogici e poi presso il Dipartimento di Scienze dell’uomo che
ne ha raccolto l’eredità (e che precedeva a sua volta l’attuale Dipartimento di
studi umanistici), prevedeva il seguente curriculum: «Dialettica e metodologia
del sapere nella tradizione della filosofia classica tedesca e nel materialismo
storico».
Un curriculum attraverso il quale l’Istituto si proponeva di
rinnovare, attraverso il reclutamento di nuovi ricercatori, «… lo studio della
filosofia classica tedesca e della linea di pensiero che, sorta da essa, giunge
ad animare il dibattito del Novecento», individuando in tal modo «un ambito di
ricerca privilegiato».
«Si tratta di un lavoro», continuava lo Statuto di quel
Dottorato, «che negli anni precedenti ha raggiunto risultati originali e
ampiamente riconosciuti dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.
Un lavoro che ha contribuito a far luce su rilevanti problematiche
storico-filosofiche e interpretative, superando vecchi luoghi comuni
storiografici e conducendo non poche volte a una lettura innovativa del
significato complessivo dell’opera dei filosofi compresi nella grande stagione
che va da Kant a Fichte, da Hegel a Marx.
In una temperie culturale in cui – nel nome della
dissoluzione postmodernista del fondamento, del soggetto e dell'idea di verità
– viene messa in dubbio la stessa legittimità della dialettica e della
filosofia della storia, appare necessario da un lato non disperdere la
tradizione di studi che tale lavoro ha accumulato e, dall’altro lato,
rinnovarla ed ampliarla, muovendo da una rigorosa consapevolezza metodologica e
scientifica che ne riaffermi la fecondità teorica e ideale…».
Proprio per le ragioni qui esposte, la rivista che con
questo numero vede la luce si chiama senza infingimenti “Materialismo Storico.
Rivista di filosofia, storia e scienze umane”.
La rivista avrà una cadenza semestrale. La pubblicazione
avverrà unicamente su web utilizzando il sistema Open Journal (il nuovo
standard informatico per le pubblicazioni accademiche, capace di gestire
l’intero processo editoriale e automaticamente collegato a Scopus e al
Philosophers Index) e sarà localizzata sui server dell’Università di Urbino.
Dopo questo primo numero, la rivista lavorerà secondo la procedura prevista per
le riviste scientifiche internazionali e cioè attraverso il metodo dei “calls
for papers”. Il valore delle pubblicazioni sarà di conseguenza stimato tramite
procedura di revisione anonima esercitata da peer reviewers.
Per garantire la dignità scientifica della rivista, il
Dipartimento di studi umanistici si è speso nella costruzione di un Comitato
scientifico ampio e prestigioso, i cui componenti ringrazio qui vivamente per
l’interesse e per l’aiuto decisivo che hanno voluto fornire. La rivista
lavorerà inoltre in sinergia con la Internationale Gesellschaft HegelMarx für
dialektisches Denken, che dalla metà degli anni Ottanta è attiva sulla scena
del dibattito filosofico internazionale, e in collaborazione con la
International Gramsci Society, la più importante associazione mondiale di studi
gramsciani.
Proponendo agli studiosi una riscoperta e un rinnovamento
del metodo storico-materialistico e aprendosi alle più ampie proposte di collaborazione
– e guardando in particolar modo a una nuova generazione di ricercatori che in
Italia come altrove si avvicina con interesse a queste problematiche –
“Materialismo Storico” vuole infine contribuire all’arricchimento del
patrimonio culturale e al prestigio scientifico dell’Università di Urbino e del
Dipartimento di studi umanistici.
Presentiamo in questo primo numero alcuni saggi che abbiamo
chiesto esplicitamente ai componenti del nostro Comitato scientifico e
affrontano o incrociano un argomento assai generale, “Questioni e metodo del
materialismo storico”. In particolare gli interventi di Giuseppe Cacciatore,
Claudio Tuozzolo, Guglielmo Forges Davanzati, Francesco Fistetti, Wolfgang
Fritz Haug e Domenico Losurdo riflettono da punti di vista anche assai
differenti sulle difficoltà e sulle condizioni di rinnovamento della
prospettiva storico-materialistica e più in generale del pensiero critico, nel
dibattito culturale e accademico italiano e non solo; mentre altri, come quello
di André Tosel, Francesco Fistetti, Tom Rockmore e Massimo Baldacci si occupano
di alcune questioni storiografiche assai rilevanti nel dibattito marxista
(rispettivamente a proposito di Althusser, il “convivialismo” nel suo nesso con
il concetto maussiano di “dono”, Marx nella sua lettura di Vico, Gramsci).
Federico Martino, Marina Montesano, Francesco Germinario e Vladimiro Giacchè
hanno fornito invece alcuni studi originali su argomenti affini, mentre Bernard
Taureck legge nella sua Nota una serie di testi al confine tra politica ed
economia, marxismo e post-marxismo. Dopo la Nota di Remo Bodei a proposito di
un interessante libro su Hegel e il postmoderno, chiudono questo primo numero
le recensioni di alcune recenti pubblicazioni.
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