lunedì 26 dicembre 2016

Per una rinascita del materialismo storico negli studi di filosofia, storia e scienze umane*- Stefano G. Azzarà**


Da diversi decenni, gli studi di orientamento storico-materialistico in ambito filosofico – ma considerazioni non molto diverse potrebbero essere fatte per l’ambito storico e più in generale per le scienze umane nel loro complesso – versano nelle università italiane in una situazione di grave difficoltà. Non ricostruisco qui nei dettagli il rilevante significato culturale che per una lunga stagione questa corrente ha avuto nel nostro paese. La linea di pensiero che da Labriola conduce a Gramsci e al gramscismo ha ripensato dalle fondamenta le categorie del marxismo, riconducendole al loro rapporto genetico con la dialettica hegeliana e dunque sia con l’esperienza della filosofia classica tedesca in senso stretto, sia con tutto il dibattito politico-culturale che dalla Rivoluzione francese ha attraversato il XIX secolo. Questa impostazione, che più volte si è misurata con le autonome prese di posizione di Croce e Gentile e che dunque ha saputo dialogare con i punti più alti della tradizione filosofica italiana, ha saputo proporre poi su queste basi una riflessione originale. Una riflessione che dopo la sconfitta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale, e da quel momento almeno fino agli anni Settanta del Novecento, non solo ha contribuito a modernizzare il dibattito culturale di un paese che risultava ancora per larghi tratti arretrato rispetto alle esperienze europee più avanzate ma ha anche posto le basi intellettuali per una sua rinascita civile e politica.

Ritengo sbagliata, largamente immaginaria e persino strumentale la tesi assai diffusa che parla di un interminabile inverno del pensiero all’insegna dell’egemonia culturale marxista in Italia, sia quando questa tesi assume il tono nostalgico del rimpianto di una nobiltà perduta, sia – come per lo più in verità accade – quando si presenta come il sospiro di sollievo caricaturale di chi ritiene di essersi liberato una volta per tutte da una dittatura ideologica soffocante e persino totalitaria. Tuttavia, è vero che, proprio prendendo sul serio la riflessione gramsciana sulla posizione decisiva della produzione culturale nel funzionamento della società, sul ruolo degli intellettuali e sull’importanza della dimensione del consenso nella politica, il marxismo italiano aveva saputo esercitare su molteplici piani un’influenza assai profonda, in grado di confrontarsi ad armi pari con altre e diverse tradizioni – dal liberalismo all’azionismo, dall’esistenzialismo al personalismo cattolico – che rendevano un tempo quanto mai ricco e pluralistico il panorama filosofico nazionale. E da qui aveva saputo proiettarsi all’avanguardia del dibattito internazionale, facendo conoscere e apprezzare in tutti i paesi l’afflato umanistico, storicistico e universalistico – e dunque profondamente democratico – della sua ispirazione.

Oggi la situazione appare molto diversa per questa impostazione e un patrimonio culturale di grande rilievo è andato in frantumi e sembra essersi del tutto disperso. Lasciato libero il campo dalle vecchie generazioni di studiosi, il materialismo storico non ha pressoché più cittadinanza nel mondo accademico in quanto tradizione di studi con una sua legittimità e autonomia. E se ancora persiste un certo rispetto “archeologico” nei suoi confronti quando si guarda alle acquisizioni del passato, la sua stessa dignità scientifica non viene più riconosciuta e viene semmai contestata quando si tratta invece di affrontare le grandi questioni del presente.

È la conseguenza delle immense trasformazioni storiche, politiche ma anche culturali intervenute dopo la fine della Guerra Fredda in tutto l’Occidente, ovviamente, trasformazioni che hanno tolto il terreno sotto i piedi al marxismo nel momento in cui il rapporto organico tra questo orientamento e un intero mondo politico è giunto al capolinea. E però queste circostanze non sembrano sufficienti a spiegare per intero un fenomeno che ha invece anche ulteriori e più prossime ragioni di ordine nazionale. Basta infatti allargare lo sguardo ad altri paesi – o ad altri continenti – per cogliere infatti un proliferare di studi, convegni e iniziative che continuano esplicitamente a richiamarsi al marxismo senza che questo li obblighi ad un vincolo di appartenenza che equivale all’autosegregazione culturale o all’apartheid accademico. Riviste come “Rethinking Marxism” e “Jacobin Magazine” negli Stati Uniti, “Historical Materialism” in Gran Bretagna, “Actuel Marx” in Francia, “Critica Marxista” in Brasile, la più recente “International Critical Thought” che l’Accademia delle Scienze Sociali di Pechino pubblica presso Routledge e numerose altre – e le decine di convegni internazionali che ogni anno nascono attorno a queste pubblicazioni, divenute ormai vere e proprie istituzioni di natura culturale in un momento in cui nel campo progressista sono sempre meno legittimate le istituzioni di natura politica – sono solo alcuni degli esempi ai quali è possibile fare riferimento, per rimarcare per contrasto quanto sia desolante il panorama italiano. Un contrasto che diventa ancora più fosco se si guarda al ruolo di direzione culturale che intellettuali come Badiou, Rancière, Balibar, Zizek, Jameson, Harvey e altri sanno svolgere nei loro contesti nazionali e in tutta Europa, sul piano accademico come nel più generale dibattito pubblico.

A parte singole personalità, il materialismo storico, ovvero la versione peculiare del marxismo italiano, è invece escluso in Italia dai grandi convegni e dai progetti di ricerca nazionale. Al tempo stesso, sono pressoché inesistenti le riviste che si richiamano a questa tradizione e il cui profilo sia riconosciuto in primo luogo sul piano accademico e scientifico: tra le riviste riconosciute dall’Anvur troviamo infatti i soli “Quaderni Materialisti” pubblicati dai colleghi della Bicocca di Milano mentre nessuna rivista di orientamento marxista, né italiana né straniera, è stata ammessa in fascia A. Non che in Italia manchino anche altre pubblicazioni, soprattutto non accademiche, che evochino in qualche modo il pensiero di Marx. Tuttavia, non è possibile in questi casi parlare di materialismo storico in senso stretto, poiché prevale con nettezza un’ispirazione che si richiama in maniera sistematica all’esperienza dell’operaismo e del post-operaismo italiano (e delle sue molteplici frange) e soprattutto ad autori post-strutturalisti come Foucault e Deleuze. E che semmai, perciò, si propongono anche esplicitamente una sistematica decostruzione polemica della tradizione filosofica di impostazione hegeliana e dialettica.

La rivista che qui appare nel suo primo numero – e che nasce nell’ambito del Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Urbino– intende lavorare per colmare questa lacuna, offrendo un possibile punto di riferimento a un orientamento che nonostante tutto è ancora presente nelle università del paese e cercando per quanto possibile di restituirgli dignità e riconoscimento. È un obiettivo al quale questo Dipartimento è particolarmente interessato, né potrebbe essere diversamente se teniamo conto dell’apporto notevole che l’Università di Urbino ha dato in passato alla tradizione del materialismo storico italiano e più in generale al marxismo di impronta hegeliana, seguendo un percorso di pensiero che può fare riferimento ai nomi di Arturo Massolo, Pasquale Salvucci, Livio Sichirollo e, più di recente, Domenico Losurdo.

Non a caso, il Dottorato di ricerca “Dialettica e mondo umano”, attivo prima della recente riforma presso l’Istituto di Studi filosofici e pedagogici e poi presso il Dipartimento di Scienze dell’uomo che ne ha raccolto l’eredità (e che precedeva a sua volta l’attuale Dipartimento di studi umanistici), prevedeva il seguente curriculum: «Dialettica e metodologia del sapere nella tradizione della filosofia classica tedesca e nel materialismo storico».
Un curriculum attraverso il quale l’Istituto si proponeva di rinnovare, attraverso il reclutamento di nuovi ricercatori, «… lo studio della filosofia classica tedesca e della linea di pensiero che, sorta da essa, giunge ad animare il dibattito del Novecento», individuando in tal modo «un ambito di ricerca privilegiato».

«Si tratta di un lavoro», continuava lo Statuto di quel Dottorato, «che negli anni precedenti ha raggiunto risultati originali e ampiamente riconosciuti dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Un lavoro che ha contribuito a far luce su rilevanti problematiche storico-filosofiche e interpretative, superando vecchi luoghi comuni storiografici e conducendo non poche volte a una lettura innovativa del significato complessivo dell’opera dei filosofi compresi nella grande stagione che va da Kant a Fichte, da Hegel a Marx.
In una temperie culturale in cui – nel nome della dissoluzione postmodernista del fondamento, del soggetto e dell'idea di verità – viene messa in dubbio la stessa legittimità della dialettica e della filosofia della storia, appare necessario da un lato non disperdere la tradizione di studi che tale lavoro ha accumulato e, dall’altro lato, rinnovarla ed ampliarla, muovendo da una rigorosa consapevolezza metodologica e scientifica che ne riaffermi la fecondità teorica e ideale…».

Proprio per le ragioni qui esposte, la rivista che con questo numero vede la luce si chiama senza infingimenti “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”.
La rivista avrà una cadenza semestrale. La pubblicazione avverrà unicamente su web utilizzando il sistema Open Journal (il nuovo standard informatico per le pubblicazioni accademiche, capace di gestire l’intero processo editoriale e automaticamente collegato a Scopus e al Philosophers Index) e sarà localizzata sui server dell’Università di Urbino. Dopo questo primo numero, la rivista lavorerà secondo la procedura prevista per le riviste scientifiche internazionali e cioè attraverso il metodo dei “calls for papers”. Il valore delle pubblicazioni sarà di conseguenza stimato tramite procedura di revisione anonima esercitata da peer reviewers.

Per garantire la dignità scientifica della rivista, il Dipartimento di studi umanistici si è speso nella costruzione di un Comitato scientifico ampio e prestigioso, i cui componenti ringrazio qui vivamente per l’interesse e per l’aiuto decisivo che hanno voluto fornire. La rivista lavorerà inoltre in sinergia con la Internationale Gesellschaft HegelMarx für dialektisches Denken, che dalla metà degli anni Ottanta è attiva sulla scena del dibattito filosofico internazionale, e in collaborazione con la International Gramsci Society, la più importante associazione mondiale di studi gramsciani.

Proponendo agli studiosi una riscoperta e un rinnovamento del metodo storico-materialistico e aprendosi alle più ampie proposte di collaborazione – e guardando in particolar modo a una nuova generazione di ricercatori che in Italia come altrove si avvicina con interesse a queste problematiche – “Materialismo Storico” vuole infine contribuire all’arricchimento del patrimonio culturale e al prestigio scientifico dell’Università di Urbino e del Dipartimento di studi umanistici.


Presentiamo in questo primo numero alcuni saggi che abbiamo chiesto esplicitamente ai componenti del nostro Comitato scientifico e affrontano o incrociano un argomento assai generale, “Questioni e metodo del materialismo storico”. In particolare gli interventi di Giuseppe Cacciatore, Claudio Tuozzolo, Guglielmo Forges Davanzati, Francesco Fistetti, Wolfgang Fritz Haug e Domenico Losurdo riflettono da punti di vista anche assai differenti sulle difficoltà e sulle condizioni di rinnovamento della prospettiva storico-materialistica e più in generale del pensiero critico, nel dibattito culturale e accademico italiano e non solo; mentre altri, come quello di André Tosel, Francesco Fistetti, Tom Rockmore e Massimo Baldacci si occupano di alcune questioni storiografiche assai rilevanti nel dibattito marxista (rispettivamente a proposito di Althusser, il “convivialismo” nel suo nesso con il concetto maussiano di “dono”, Marx nella sua lettura di Vico, Gramsci). Federico Martino, Marina Montesano, Francesco Germinario e Vladimiro Giacchè hanno fornito invece alcuni studi originali su argomenti affini, mentre Bernard Taureck legge nella sua Nota una serie di testi al confine tra politica ed economia, marxismo e post-marxismo. Dopo la Nota di Remo Bodei a proposito di un interessante libro su Hegel e il postmoderno, chiudono questo primo numero le recensioni di alcune recenti pubblicazioni. 


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