Da: Nicolò Monti (https://www.facebook.com/nico12.666) - Nicolò Monti già segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI).
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In pochi, soprattutto oggi, si renderanno conto di avere con molta probabilità un pezzo di DDR nelle proprie case. Forse in quelle dei propri genitori o nonni. Se si cerca bene negli, armadi, negli scatoloni impolverati che non si aprono da decenni, oppure in bella vista e anche utilizzati nella vita di tutti i giorni, un oggetto che in angolo nascosto porta la scritta “made in East Germany”. I miei genitori ad esempio hanno una macchina fotografica Praktica, prodotta proprio nella DDR. Ha 35 anni e ancora funziona perfettamente. Oltre la martellante propaganda anticomunista esiste una verità storica per la quale la DDR era un paese moderno che esportava i propri beni in occidente e con un importante successo.
Eppure una delle formule più utilizzate tra il 1989 e il 1991 per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica della DDR l’annessione alla Germania Ovest è stata questa: “la DDR era in bancarotta”. Una frase lapidaria, senza possibilità di rettifica. Un mantra che colpiva le teste dei cittadini come un martello sull’incudine. Alla fine è diventata verità ufficiale. Era davvero così? No. Partiamo dalle elezioni della Volkskammer del 1990, le prime “libere” della DDR. La CDU prende il 40% dei voti, a seguite l’SPD e terzo il PDS, il partito nato dallo scioglimento del SED che ne raccoglieva l’eredità politica e aveva al suo interno molti dei dirigenti e dei militanti che guidavano il governo della DDR.
Quasi due milioni di voti prese il PDS, un partito che voleva far evolvere il socialismo tedesco, non cancellarlo e buttarlo via. Ad Ovest erano sicuri che non avesse alcuna possibilità di avere nemmeno un briciolo di consenso, eppure elesse ben 66 deputati. Fu una grande sorpresa, per l’ovest. L’altra grande sorpresa fu il risultato a dir poco catastrofico degli “eroi della libertà” del 1989, i campioni della (cosiddetta) rivoluzione pacifica, che sprofondarono nell'insignificanza assoluta nelle elezioni del 18 marzo 1990. I gruppi per i diritti civili della DDR "Nuovo Forum " , "Iniziativa per la Pace e i Diritti Umani" e "Democrazia Ora" ottennero insieme solo il 2,9% dei voti in queste elezioni. Eppure erano stati coccolati da tutto l’occidente fino a spellarsi le mani dagli applausi.
I motivi sono molteplici, uno di essi è senza dubbio il tipo di campagna elettorale che venne fatta in quel 1990 che, senza timori di essere smentiti, possiamo definire quella con l’interferenza esterna più clamorosa e sfrontata della storia europea. Helmut Kohl, il cancelliere della Germania Ovest, non aveva alcuna intenzione di far votare liberamente il popolo della DDR. Aveva la necessità che i voti andassero alla sua CDU e per farlo non badò a spese. Il governo di Bonn aveva versato quasi 8 milioni di marchi nell'ultima campagna elettorale della DDR. Quasi 4 milioni di marchi provenivano direttamente dalle casse della CDU dell’ovest. A nessuno importava che la DDR era un paese sovrano, indipendente e regolarmente rappresentato all’ONU. Erano dettagli, minuzie. Anzi, per Kohl la DDR non era proprio nulla e nessuno era il suo popolo.
La fretta di Kohl e la sfacciataggine nell’interferire con le elezioni di un altro paese avevano uno scopo: cancellare la DDR e annetterne i Land il prima possibile. La CDU era il partito che più di tutti nel suo programma elettorale aveva inserito la “riunificazione” tra le proposte più urgenti. Per farlo usò anche lo slogan dei movimenti che nel 1989 protestarono contro la dirigenza del SED, ma con una piccola modifica. Se i movimenti gridavano “Noi siamo il Popolo” come atto di sfida ad un governo che sembrava non percepire l’urgenza di riforme, la CDU lo trasformò in “Siamo un solo popolo”, per preparare il terreno all’annessione. Perché in pochi sanno che i movimenti di piazza dell’89 tanto decantati non chiedevano affatto la riunificazione e non lo avrebbero fatto nemmeno in quel 1990 e anche per questo non ricevettero alcun aiuto alle elezioni da parte dell’ovest. Avevano esaurito il loro compito.
La frase “autodeterminazione dei popoli” la si sente spesso nei dibattiti politici, in tanti in occidente la gridano gonfiando il petto e viene sempre definito come “diritto inalienabile dei popoli”. Ecco, per il popolo della DDR l’autodeterminazione non era prevista, non era un diritto a loro consentito. Sebbene i pomposi politici dell’Ovest per mesi, durante la campagna elettorale dove facevano veri e propri comizi come se non fosse una gigantesca interferenza, avevano parlato di referendum per l’unità delle due Germanie, dopo le elezioni del 1990 nessuno si sentiva più in dovere di chiedere l’opinione del popolo della Germania Socialista. La scusa ufficiale fu che siccome la CDU aveva vinto e nel suo programma la “riunificazione” era al primo posto, non c’era più alcun bisogno di referendum. Sì, la motivazione è stata esattamente questa.
Ad elezioni vinte si passò immediatamente alla fase successiva che si concluse con la “riunificazione” avvenuta il 3 Ottobre 1990 tramite una banale modifica della costituzione che annetteva i cinque Land della DDR. Il paese degli operai e dei contadini cessava di esistere con una firma a penna. Nel 1989 l’economia della DDR aveva dinanzi a sé molte sfide. La pianificazione dell’economia non era efficiente in tutti i settori, alcuni impianti produttivi erano obsoleti e le riforme da apportare erano diventate imprescindibili. Nonostante ciò, la DDR nell’89 era la decima economia più grande al mondo. Non proprio un paese che oggi definiremmo “fallito”. Uno dei mantra più usati dai liberali era il presunto “debito pubblico insostenibile” della Germania Democratica. Ma liberalismo e verità sono due rette parallele e la storia, come al solito, smentisce ogni bugia.
Il debito pubblico della Germania Ovest nel 1989 stimato a circa 929 miliardi di marchi tedeschi. Ciò corrisponde a un rapporto debito/PIL di circa il 41,8% . Nella Repubblica Democratica Tedesca il debito pubblico, sempre nel 1989, era di 86,3 miliardi di marchi, che corrisponde a un rapporto debito/PIL di circa il 27,6%. È importante precisare, per avere tutti gli strumenti utili all’analisi, che nella DDR il 98% dell’economia era di proprietà pubblica. Ciò significava che il patrimonio statale comprendeva una serie di risorse e cosiddetti asset molto variegati ed estesi. Tra di essi si contano immobili, impianti industriali e infrastrutture, nonché depositi di risparmio della popolazione. Secondo le stime della Treuhandanstalt, la fiduciaria che privatizzò la DDR, esse avevano un valore totale tra i 1200 e i 1500 miliardi di marchi.
Parlando dell’opera della Treuhandanstalt, è necessario specificare alcuni aspetti che a distanza di anni ancora spiegano bene l’entità dell’inganno dell’annessione. Kohl promise, facendo evidentemente una fatica bestiale per rimanere serio, che la risorse della DDR sarebbero andate ai suoi cittadini, redistribuite con generosità dal magnanimo occidente. La verità della storia, certificata e immune da revisionismo, racconta qualcosa di diverso. L'85% delle imprese statali, delle loro strutture e dei loro immobili andarono agli investitori della Germania occidentale. Il restante 15% non andò al popolo della DDR, ma a investitori stranieri. Molte di queste imprese, in gran parte competitive, produttive e ben avviate, vennero vendute al prezzo simbolico di un solo marco dell’ovest. Non un solo granello finì nelle mani dei cittadini della DDR. Se non è una truffa questa...
Un altro dei mantra liberali sulla “bancarotta” della DDR riguardava il suo debito estero, a loro detta “insostenibile”. Questa affermazione deriva dal famoso “Documento Schürer”, una analisi non pubblica dell’economica della DDR redatta da Gerhard Schürer, capo della Commissione di Pianificazione del Territorio. Questo documento, richiesto da Egon Krenz, nuovo leader del paese che sostituì Honecker, elencava successi come la crescita costante del reddito nazionale e la costruzione di tre milioni di case e molto altro. Gli aspetti negativi rivelavano una bassa produttività del lavoro, strutture obsolete e soprattutto un crescente debito estero. Nel documento si legge infatti che tale debito ammontava a circa 49 miliardi di marchi. Un dato che pesò nei negoziati da Est e Ovest, tanto che Kohl stesso disse “non c’è nulla da negoziare” al governo della DDR.
Secondo la dirigenza occidentale il debito era inequivocabilmente impossibile da ripagare per la DDR e questo la rendeva insolvente. I dati ufficiali raccontano una situazione diversa, difficile, ma di certo non da bancarotta. Nel 1989 le esportazioni della DDR ammontavano a 144,7 miliardi di marchi e le importazioni a 141,1 miliardi. Questo significa un surplus netto di 3,6 miliardi e quindi una capacità non imponente ma reale di avere una riserva di valuta estera capace di far fronte al debito. Inoltre la DDR vantava crediti per 23 miliardi di marchi dall’Unione Sovietica e 6 miliardi da Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia. Oltre ciò lo stato deteneva asset e proprietà all’estero che garantiva una certa base di valuta estera. La situazione non era florida e senza problemi, anzi, ma la DDR era ben lontana dallo stato di “bancarotta” urlato dai liberali. Servivano riforme e ampie, non la dissoluzione.
Quello che forse è stato il più grande shock che subirono la DDR e il suo popolo avvenne il primo Luglio 1990, quando venne introdotto il marco occidentale che andava a sostituire il marco dell’est. Il tasso di conversione venne imposto a 1:1, un marco ovest per un marco est. Una decisione che venne venduta come sussidio generoso ma che in realtà comportò un disastro per i lavoratori della DDR e un’occasione di giganteschi profitti per l’ovest. Fu la miccia che fece esplodere quella che divenne la deindustrializzazione più grande della storia recente d’Europa. Lo shock fu quasi immediato. I prezzi si quadruplicarono (il tasso ufficioso reale era di 1:4) e sia le aziende che i cittadini non riuscivano a mantenere il passo perdendo competitività le une e il potere d’acquisto gli altri. Le chiusure di massa delle imprese comportò una disoccupazione di massa devastante.
Una politica così aggressiva di terra bruciata fece strofinare le mani alla classe padronale della Germania Ovest. I cittadini della DDR erano costretti a comprare prodotti dell’ovest, in quanto quelli dell’est non venivano già quasi più prodotti a causa delle chiusure di massa. La Treuhandanstalt svendette in fretta e furia l’enorme patrimonio della DDR agli investitori occidentali stranieri e tedeschi, che chiusero le aziende dell’est dopo averle acquistate per un piatto di lenticchie, trasformandole in succursali delle loro aziende dell’ovest, il tutto condito da licenziamenti massivi. La stragrande maggioranza dei programmi di sovvenzioni per le infrastrutture e degli investimenti di “ricostruzione” andarono quasi esclusivamente alle aziende della Germania occidentale. Ancora oggi si vede l’effetto di tale deindustrializzazione dalla quale la oramai ex DDR non si è mai ripresa.
A 35 anni di distanza dalla cosiddetta “Wende”, la storia ci restituisce un quadro impietoso dell’opera occidentale nella DDR. L’annessione si rivela essere un piano di annichilimento del paese socialista, a puro vantaggio dell’ovest. Il prezzo carissimo di tale operazione lo pagò il popolo e ancora oggi continua a pagarlo con pesanti ripercussioni nella vita quotidiana. Il liberismo folle applicato alla DDR è lo stesso che, con gradualità e in maniera molto più lenta, è stato imposto all’Italia che ha visto privatizzato la maggior parte del settore pubblico guadagnandoci nulla e perdendo tutto. La Repubblica Democratica Tedesca non era il paradiso, aveva problemi interni molto gravi e la sua economia pianificata, nonostante vantasse numerosi successi e garantì un benessere e una sicurezza sociale imponente al suo popolo, necessitava di cambiamenti che purtroppo non furono mai applicati. Il ritardo fu fatale per il SED e i cittadini volevano un paese che si rinnovasse, che non fosse immobile.
Se l’Unione Sovietica ebbe con l’alcolizzato Eltsin un regresso sociale ed economico devastante, la DDR venne trattata quasi con sadismo da parte dell’occidente. L’esempio vivente di un paese socialista che con la sua economia pianificata riusciva a garantire benessere e allo stesso tempo a competere in molti settori con l’occidente, doveva essere la nuova Cartagine su cui spargere il sale. E così fecero. I cittadini della DDR, che volevano un paese diverso, non una umiliante annessione da sconfitti dileggiati e trattati con condiscendenza, vennero truffati e derubati della propria dignità, della propria storia ed identità. Le luci di Berlino Ovest erano finte, un inganno. Dalla Trabant si passò a BMW, Mercedes, Audi e una “scelta” apparentemente infinita rispetto a prima, con la sola differenza che quasi nessuno poteva permettersela quella scelta. Ad oggi rimane solo la rabbia, sotto un cumulo di macerie.
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