La mattina in cui è stato ucciso, Amr Abdallah si era svegliato prima dell’alba per recitare le preghiere del Ramadan insieme al padre, la madre, due fratelli più piccoli e una zia, in un campo nella zona meridionale di Gaza. «Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto», pregavano. «Guidaci sulla retta via – la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che sono incorsi nella Tua ira, né di quanti hanno abbandonato la retta via».
Era buio. Sono tornati nelle loro tende. La loro vecchia vita non c’era più: il paese, Al-Qarara, la casa costruita con il denaro messo da parte dal padre di Amr nei trent’anni di lavoro nel Golfo Persico, i frutteti, la scuola, la locale moschea e il museo culturale della cittadina con manufatti risalenti al 4000 avanti Cristo. Tutto ridotto in macerie.
Amr, che aveva diciassette anni, avrebbe preso il diploma di maturità nel 2024, ma le scuole sono state chiuse nel novembre 2023. Sarebbe andato all’università, forse sarebbe diventato un ingegnere come il padre, una figura di spicco nella sua comunità. Amr era uno studente dotato. Adesso viveva in una tenda in un’area indicata come “sicura” che Israele bombardava sporadicamente. Faceva freddo e pioveva. La famiglia si stringeva assieme per scaldarsi. La fame li avvolgeva come una serpentina. «Quando si fa il nome di Amr è come se stessi parlando della luna», mi dice lo zio Abdulbaset Abdallah, che vive nel New Jersey. «Era il tipo speciale: bello, brillante, gentile».
Gli attacchi israeliani sono cominciati nel nord di Gaza. Poi si sono estesi a sud. La mattina del 1° dicembre 2023 droni israeliani hanno sganciato volantini sopra il paese di Amr. Dicevano: Agli abitanti di Al-Qarara, Khirbet Khaza’a, Abasan e Bani Suheila. Devono evacuare immediatamente e recarsi nei rifugi nell’area di Rafah. La zona di Khan Yunis è una zona di combattimento pericolosa. Siete stati avvertiti. Firmato dalle Israel Defense Forces.
A Gaza le famiglie vivono assieme. Intere generazioni. Ecco perché decine di membri di una stessa famiglia rimangono uccise in un singolo attacco aereo. Amr è cresciuto circondato da zii, zie e cugini. Gli abitanti del paese sono stati presi dal panico. Alcuni hanno cominciato a fare i bagagli. Altri si sono rifiutati di andarsene. Uno degli zii di Amr è stato categorico. Sarebbe rimasto indietro mentre la famiglia si sarebbe spostata nell’“area sicura”. Suo figlio era un medico dell’ospedale Nasser. Il cugino di Amr ha lasciato l’ospedale per supplicare suo padre di andarsene. Pochi attimi dopo essere partiti la loro via è stata bombardata. Amr e la sua famiglia si sono trasferiti con i parenti a Khan Yunis. Pochi giorni dopo sono stati lanciati altri volantini. Dovevano andare tutti a Rafah. La famiglia di Amr, alla quale adesso si erano uniti i parenti di Khan Yunis, è fuggita a Rafah.
Rafah era un incubo. Palestinesi disperati vivevano all’aperto e nelle strade. Tanto il cibo quanto l’acqua scarseggiavano. La famiglia dormiva in macchina. Faceva freddo e pioveva. Non avevano coperte. Hanno cercato desesperatamente una tenda. Non ce n’erano. Hanno trovato un vecchio telo di plastica che hanno attaccato alla parte posteriore dell’auto per creare un’area protetta. Non c’erano bagni. La gente faceva i bisogni ai bordi della strada. Non si respirava per la puzza. Si erano dovuti spostare due volte nel giro di una settimana. Il padre di Amr, con il diabete e la pressione alta, si è ammalato. Lo hanno portato allo European Hospital vicino a Khan Yunis. Il medico gli ha detto che stava male perché non mangiava abbastanza. «Non possiamo gestire il suo caso», ha aggiunto. «Ce ne sono di più critici».
«Aveva una bella casa», dice Abdallah del fratello maggiore. «Adesso non ha un tetto. Al paese conosceva tutti. Adesso vive per strada con masse di estranei. Nessuno ha cibo a sufficienza. Non c’è acqua pulita. Non ci sono veri servizi igienici né bagni». La famiglia ha deciso di spostarsi di nuovo, questa volta ad Al-Mawasi, indicata da Israele come un’“area umanitaria”. Almeno sarebbero stati in una zona aperta, in parte di loro proprietà. L’area costiera, piena di dune, è diventata rifugio per centinaia di migliaia di palestinesi sfollati. Gli israeliani avevano promesso la consegna degli aiuti umanitari internazionali ad Al-Mawasi, ma ne sono arrivati ben pochi. L’acqua veniva portata con le autobotti. Non c’era elettricità.
Nel gennaio 2024 caccia israeliani hanno colpito un complesso residenziale di Al-Mawasi che ospitava équipe mediche di International Rescue Committee (IRC, Comitato Internazionale di Soccorso) e Medical Aid for Palestinians (MAP, Aiuto Medico per i Palestinesi), con le relative famiglie. Ci sono stati numerosi feriti. A febbraio un carro armato ha aperto il fuoco contro una casa di Al-Mawasi dove avevano trovato riparo alcuni operatori di Medici Senza Frontiere (MSF) e i loro familiari, uccidendo due persone e ferendone sei. La famiglia di Amr ha allestito due tende improvvisate con rami di palma e teli di plastica. Droni israeliani si libravano in aria ventiquattr’ore su ventiquattro.
Il giorno prima di essere ucciso, Amr è riuscito a fare una telefonata a sua sorella in Canada. «Per favore, facci uscire di qui», ha implorato.
Prima dell’offensiva di Israele, la società egiziana Hala – che in arabo significa ‘accoglienza’ – forniva ai gazawi permessi di ingresso in Egitto che costavano 350 dollari. Dall’inizio del genocidio il prezzo è schizzato a 5000 dollari per un adulto e 2500 per un minore. A volte, dopo il 7 Ottobre, un permesso di viaggio in Egitto è arrivato a costare anche 10.000 dollari. Hala ha uffici al Cairo e a Rafah. Dopo aver pagato – Hala accetta solo dollari statunitensi – il nome del richiedente viene trasmesso alle autorità egiziane. Possono occorrere settimane per ottenere un permesso. Ci sarebbero voluti circa 25.000 dollari per far uscire la famiglia di Amr da Gaza, il doppio se avessero incluso la zia vedova e tre cugini. Una somma che i parenti di Amr all’estero non erano in grado di raccogliere velocemente. Una volta che i palestinesi arrivano in Egitto, i permessi scadono entro quarantacinque giorni. La maggior parte dei rifugiati sopravvive con il denaro mandato loro dall’estero. Ci sono circa 100.000 gazawi in Egitto e la maggioranza vive in condizioni di indigenza.
Amr si è svegliato che era ancora buio. Era il primo venerdì del Ramadan. Si è unito alla famiglia in preghiera per il Fajr. Erano le cinque. Durante il mese di Ramadan i musulmani digiunano di giorno. Mangiano e bevono dopo il tramonto e poco prima dell’alba. Ma adesso di cibo ce n’era pochissimo. Un po’ di olio d’oliva. La miscela di spezie dello za’atar. Non era molto. Dopo le preghiere sono tornati alle loro tende. Amr era con sua zia e tre cugini. Lì vicino è esplosa una granata. I frammenti hanno lacerato una gamba della zia e ferito gravemente i cugini. Amr ha cercato in tutti i modi di aiutarli. È esplosa una seconda granata. Una scheggia ha attraversato l’addome di Amr ed è uscita dalla schiena. Amr si è alzato. È uscito dalla tenda. È collassato a terra. I cugini più grandi sono corsi verso di lui. Avevano sufficiente benzina nel serbatoio della macchina per portarlo all’ospedale Nasser, a cinque chilometri. «Amr, stai bene?», hanno domandato i cugini. «Sì», ha risposto con un gemito. «Amr, sei sveglio?», hanno domandato di nuovo dopo qualche minuto. «Sì», ha sussurrato. Lo hanno sollevato dall’auto. Lo hanno trasportato nei corridoi sovraffollati dell’ospedale. Lo hanno messo giù. Era morto. Hanno riportato il corpo di Amr in macchina. Sono tornati all’accampamento della famiglia.
Lo zio mi mostra un video della mamma di Amr che piange sopra il suo cadavere. «Figlio mio, figlio mio, figlio mio amatissimo», si lamenta nel video, mentre con la mano sinistra gli accarezza teneramente il viso. «Non so cosa farò senza di te». Hanno seppellito Amr in una tomba improvvisata. Più tardi quella notte gli israeliani hanno colpito di nuovo. Diversi palestinesi sono stati feriti e uccisi. La tenda vuota, occupata il giorno prima dalla famiglia di Amr, è stata distrutta".
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