Da: https://www.facebook.com/stefano.azzara - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.
L'equiparazione tra la guerra in Ucraina e la Resistenza, con la conseguente assimilazione dell'esercito e delle formazioni paramilitari ucraine (nazisti di Azov compresi) ai partigiani, è la narrazione che costituisce il nucleo dell'operazione ideologica con la quale soprattutto il Pd ma in generale tutte le forze liberali, con i loro apparati egemonici, intendono affrontare l'imminente 25 aprile, al fine di spazzare via definitivamente ogni lettura alternativa e ogni alternativa culturale.
Questa assimilazione è sbagliata sul piano storico ed è pericolosa sul piano politico e va perciò respinta senza tentennamenti, respingendo al mittente al contempo il ricatto morale che le è sotteso.
Sono decenni, ormai, che il paradigma politico antifascista classico, nato dall'alleanza tra paesi capitalistici e Urss e corroborato dalla teoria storiografica del cosiddetto "fascismo internazionale", è stato soppiantato dal paradigma del "totalitarismo": un dispositivo che serve ad affermare il primato ontologico della democrazia liberale occidentale, intesa come l'unica immanenza politica possibile ovvero come la realtà politica in quanto tale, e a delegittimare ogni forma politica diversa, in primo luogo quella socialista, assimilandola alla minaccia nazifascista.
Tutto ciò che non è liberalismo, viene detto, è giocoforza totalitario e dunque è il male assoluto. Ragion per cui le differenze tra i diversi tipo di "totalitarismo" - nazismo, fascismo, comunismo, fondamentalismo islamico, per un certo periodo persino il populismo... -, pur se in apparenza macroscopiche, sono secondarie e irrilevanti rispetto al comune peccato mortale di sacrilegio verso il liberalismo.
Dal momento in cui questo sofisma si afferma - e va detto che notevoli sono le responsabilità della sinistra storica e degli stessi comunisti nella moralizzazione della guerra -, il concetto di antifascismo non viene affatto contestato ma, anzi, viene inglobato nell'egemonia statunitense e perde così i suoi connotati essenziali e cioè il suo contenuto concettuale. Divenendo un artificio retorico che può essere chiamato "antifascistismo" e che serve a rendere ovvia e scontata la superiorità dei liberali, i quali identificano se stessi con i valori assoluti e con tutto ciò che è morale, così da poter despecificare l'avversario espellendolo dal genere umano.
Da quel momento, ogni paragone con la Seconda guerra mondiale serve principalmente ad ammantare di moralità le guerre degli USA e della Nato, con un procedimento che stronca ogni diritto di parola altrui gettandogli addosso questa accusa infamante, che di per sé pone fine ad ogni legittima discussione.
Per venire allo specifico e non farla lunga, però.
Antifascismo non significa bene contro male, libertà contro dittatura, magnanimità contro cattiveria, tolleranza contro censura e così via, come per lo più viene detto nel mercato delle idee.
La Resistenza italiana ed europea al nazifascismo, che culmina nel nostro Paese il 25 aprile del 1945, è stata essenzialmente una guerra anticoloniale. E in questo è stata una guerra rivoluzionaria perché la decolonizzazione è a tutti gli effetti una rivoluzione anticoloniale, una rivoluzione democratica internazionale.
L'obiettivo non era solo quello della sconfitta della dittatura, con l'abbattimento del fascismo strumento del capitale, e della liberazione nazionale dall'occupazione straniera, ma si trattava soprattutto di respingere il progetto imperialista nazista volto ad aprire una nuova fase del colonialismo europeo. Ossia il tentativo di porre fine alla decolonizzazione del globo e di avviare una nuova fase di riscossa del mondo bianco; una riscossa che doveva passare per la conquista di un impero coloniale germanico nell'Est dell'Europa stessa e in Asia. Sulla falsariga dell'espansione americana nel Far West e con il proposito generale di istituire un nuovo ordine mondiale Herrenvolk nel quale la razza ariana tedesca affiancasse quella anglosassone, già assai avanti nel progetto di dominio del mondo, con pari dignità e a spese del mondo slavo, considerato a sua volta mero serbatoio di schiavitù o di sottouomini da annientare.
A quella guerra anticoloniale i partigiani italiani hanno preso parte come comunisti ma anche come patrioti di un paese esso stesso divenuto colonia e di un popolo considerato inferiore.
Nella guerra in corso in queste settimane non c'è nulla che corrisponda minimamente a questa costellazione, che dell'antifascismo reale costituisce l'essenza.
La Russia non ha nessun progetto di espansione imperiale, al di là della retorica per i gonzi eurasiatisti, per quelli nostalgici dell URSS e per quelli del Gruppo GEDI. Ed è semmai un impero in declino e sulle difensive, costretto a prendere precauzioni anche estreme e autolesionistiche ai propri fianchi per non essere stritolato.
Non c'è dubbio che quella della Russia sia una violazione del diritto internazionale e della sovranità di un paese membro dell'ONU e che come tale sia una guerra di aggressione illegittima. Ma questa aggressione della quale la Russia è soggetto è solo una tappa di un conflitto iniziato molto prima e molto più vasto, nel quale la Russia è invece oggetto. È forse più legittimo questo conflitto originario, del quale quello in atto è conseguenza?
Se c'è, in realtà, l'unico progetto neocoloniale è oggi semmai proprio quello degli USA e della Nato. Che hanno scelto l'Ucraina - vittima due volte ma anche vittima cointeressata - come campo di battaglia di una guerra per procura il cui obiettivo è mettere la Russia in condizioni subalterne e ribadire l'ordine occidentocentrico e americano del mondo finché è possibile farlo. E cioè prima che il mondo stesso sfugga di mano alle potenze stabilite e assuma una forma policentrica, per via del compimento della decolonizzazione e del ripristino della millenaria centralità della Cina.
Ricolonizzazione americana contro decolonizzazione, dunque: è questa pretesa di dominio tutta occidentale ad assomigliare più di ogni altra cosa al progetto hitleriano, se proprio si vuol seguire Repubblica, Stampa e Corriere nel fare un parallelo. Ed è in questo progetto Herrenvolk che l'Ucraina ha chiesto di essere cooptata mediante la richiesta di adesione alla Nato, la messa a disposizione delle proprie forze armate e la disponibilità a farsi campo di battaglia di una lotta geopolitica il cui contenzioso materiale viene trasfigurato nella forma di un conflitto di civiltà huntingtoniano tra Occidente e Oriente. Un po' come a suo tempo accadde con i banderisti, i quali per essere riconosciuti come bianchi combattevano a fianco della Wehrmacht, per la quale facevano anche il lavoro più rischioso, per aiutare l'avanzata nazista e poi per fermare la controffensiva dell'Armata Rossa dopo che l'aggressione della croce uncinata era stata respinta.
Assimilare questa pretesa di distinzione e questa volontà di potenza alla lotta di liberazione dal nazifascismo significa umiliare ancor di più la memoria dell'antifascismo storico, già abbondantemente strumentalizzata, e rendere definitivamente inservibile questa parola.
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