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Sulla stagnazione del marxismo - Stefano Garroni
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La comune umanità. Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo, di Stefano G. Azzarà, precedentemente edito dalle Editions Delga di Parigi nel 2012 ed ora pubblicato da La Scuola di Pitagora in edizione italiana riveduta, ampliata ed aggiornata dalle corpose integrazioni di Emiliano Alessandroni, costituisce una privilegiata chiave d’accesso all’itinerario di pensiero di Domenico Losurdo.
I tre capitoli di cui si compone il libro riguardano il confronto storico e filosofico di Losurdo
con la storia del liberalismo, con la filosofia classica tedesca e con il materialismo storico.
Secondo le narrazioni oggi in Occidente più gettonate, il liberalismo, nato tra Sei e Settecento
presso le più illuminate intellettualità europee, lottò e vinse contro l’assolutismo monarchico
facendo acquisire centralità al valore dell'individuo e realizzando lo stato di diritto.
Dopodiché, una volta conferita una più o meno solida struttura alla sua propensione
democratica, si trovò ad affrontare nemici ancora più temibili. Un parto gemellare di natura
totalitaria diede infatti vita a nazismo e comunismo che, affratellati dalla comune natura
dispotica, hanno tentato entrambi di contendere al mondo liberale la guida del Novecento.
Fortunatamente, tuttavia, il liberalismo vinse anche quest’ultima battaglia e a tutt'oggi si
candida a prosperare sull'intero globo, esportando il proprio modello sociale e politico,
garanzia di serenità e di pace.
Domenico Losurdo ha mostrato l’inconsistenza di una simile narrazione, opponendo a questa
storia sacra (la cui credibilità è stata favorita dalla sconfitta dei tentativi di costruzione del
socialismo in Europa orientale) una storia profana, finora abilmente schivata dalla luce dei
riflettori. La narrazione corrente sembra infatti ignorare come il liberalismo abbia costituito
non già un impulso ma un ostacolo alla realizzazione della democrazia moderna, essendo
stato soltanto il sopraggiunto confronto con la tradizione rivoluzionaria ad aver condotto al
superamento delle tre grandi discriminazioni che contraddistinguevano le società occidentali
ancora all'inizio del Novecento: la discriminazione di censo, quella di razza e quella di genere.
Non si trattava tuttavia, secondo Losurdo, di opporre al “Libro nero del comunismo” di
Courtois e colleghi, un “libro nero” del liberalismo, bensì di contestare al liberalismo stesso la
«sua autoidentificazione con la centralità dell’individuo e con la storia della libertà moderna».
Il liberalismo, che pure aveva formulato questi concetti, appariva contraddistinto da notevoli
clausole di esclusione che ne boicottavano la portata universale: la tradizione che aveva
innalzato la bandiera della libertà della società civile e su questa base aveva condotto la
battaglia contro il dispotismo delle monarchie assolute, venne ad imporre a sua volta, con la
propria ascesa, un potere assoluto nei confronti delle classi subalterne e dei popoli coloniali. Si
trattava di un processo di de-umanizzazione su scala globale: solo per la razza dei signori, sulla base delle severe discriminazioni di razza, di genere e di censo, veniva a costituirsi una
comunità di liberi e uguali.
Losurdo ha evidenziato come il superamento di questi limiti sia stato possibile soltanto
attraverso l'incontro/scontro con il movimento operaio e si sia verificato nonostante la struttura
portante del discorso liberale. Questo conflitto da un lato ha mostrato la “duttilità” e la
“modernità” del liberalismo, la sua capacità di adattamento e il suo realismo; dall’altro ha
generato una spaccatura nell’ambito del liberalismo stesso, tra una componente che è andata
saldandosi con le tendenze apertamente reazionarie e un’altra che, ripensandosi interamente a
partire dal compromesso antifascista, è divenuta parte del processo di costruzione della
democrazia moderna.
1. La critica al concetto universale di uomo tra liberalismo e reazione
La critica alla Rivoluzione Francese segna il punto di partenza della convergenza tra
liberalismo e conservatorismo: da qui prende infatti le mosse la contestazione di ogni
universalismo e la messa in discussione della modernità in quanto tale. Si pensi, a questo
proposito, alla concezione nominalista con cui Edmund Burke contestava i diritti dell’uomo in
quanto diritti “astratti”, ascritti ad una natura umana indefinita e mai riscontrabile
nell’esperienza. Questa convergenza tra liberalismo e conservatorismo può essere osservata
anche in due autorevoli critici della modernità quali Nietzsche ed Heidegger; autori centrali,
ad avviso di Losurdo, per comprendere le risposte che il pensiero conservatore oppose al
movimento democratico e socialista.
Nel contrastare la lettura che insisteva sulla “inattualità” di Nietzsche attraverso la
depurazione del suo pensiero dagli elementi per così dire extrafilosofici, Losurdo ricollocò tale
pensiero all'interno del contesto in cui era sorto. Non proiettandola dunque 6000 piedi al di là
dell’uomo e del tempo, ma confrontandola sia con i problemi «posti dal sorgere della società di
massa e dall’avanzata delle classi subalterne organizzate», sia con le contraddizioni legate «alla
gestione del mondo colonizzato in via di sollevazione», era possibile per Losurdo comprendere
la filosofia nietzscheana. Ciò non implica affatto una sua relativizzazione storica, conservando
questa filosofia un’eccedenza rispetto alla sua genesi ed un qualche contenuto di verità, seppur
deformato. Nietzsche, attaccando il nucleo della modernità, ne colse infatti le tendenze di
fondo e, nella sua storia della decadenza della civiltà europea, riuscì a scorgere gli elementi
comuni del razionalismo socratico, del cristianesimo, dell’illuminismo, della democrazia e del
socialismo sul terreno fondativo della comune umanità, che, sia pur attraverso strappi e
fratture, si accingeva ad essere pensata in maniera sempre più concretamente universale. È da
qui che prendeva le mosse l'esplicita chiamata nietzscheana ad un «contromovimento» che
dichiarasse guerra aperta alle “razze decadenti” e a milioni di “malriusciti”(1 ). Si trattava non
già di una teoresi fuori dal tempo, ma di una ingegnosa traduzione in termini filosofici della
coscienza sviluppata dalla reazione più retriva. Si potevano ben contestare le ipocrisie
moralistiche della borghesia in ascesa che ammantava con la retorica del progresso e della civiltà il perseguimento dei suoi più materiali interessi, ma la critica non era finalizzata alla
ricerca di un universalismo più concreto, bensì alla «trasfigurazione filosofica della più brutale
parzialità insita nella legge del più forte».
Anche ad Heidegger è dedicato un contributo nel quale si mostra come Losurdo, ben prima
della discussione sui Quaderni Neri, indicasse, già in Essere e Tempo, la centralità delle idee di
«Gemeinschaft, di morte e di destino»; «cuore di una filosofia dell’esistenza che reagiva (…) ai
processi di emancipazione della società moderna e all’emergere di una dimensione sociale di
massa. Era un aperto rifiuto della modernità, dunque, che passava attraverso la distruzione
consapevole di ogni universalismo al fine di affermare la storicità e la differenza peculiare del
popolo tedesco».
La categoria di storicità, desunta da una lunga tradizione che riformulava in Germania la
critica di Edmund Burke alla Rivoluzione Francese e che era stata posta alla sommità
dell’analitica del Da-sein, costituiva così lo strumento concettuale per demolire il concetto
universale di uomo.
2. La Rivoluzione Francese e la filosofia classica tedesca
A questo complesso rapporto tra storia e categorie teoriche è dedicato anche il secondo
capitolo, che ha per oggetto il confronto di Losurdo con la filosofia classica tedesca. Abbiamo
già osservato come la Rivoluzione Francese abbia costituito l’evento attorno al quale si sono
decise le sorti del liberalismo e del suo superamento; la Rivoluzione Francese costituì infatti lo
spartiacque storico che impose alla filosofia classica tedesca di ripensare le categorie
concettuali della modernità e il ruolo della filosofia stessa.
Se essa era stata presentata dai teorici della Restaurazione come il frutto immediato delle idee
dei filosofi che s’erano inerpicati in idee astratte e sovversive, Hegel, ancora nelle Lezioni
berlinesi, la salutava come una «splendida aurora» e rispondeva ai suoi detrattori sforzandosi
di pensare i principi universali che l'avevano animata in tutta la loro concretezza. Come
rimarcato nel testo da Azzarà, «Hegel vedeva...nella filosofia – la cui furia razionalistica e
legislatrice veniva attaccata in quegli anni in particolare dalla “scuola storica” in nome del
“diritto consuetudinario vivente” e della peculiarità delle tradizioni feudali tedesche –
l’autocoscienza del proprio tempo e cioè la comprensione concettuale dello spirito del mondo
al livello al quale questo era giunto».
È questo il terreno mondano sul quale sorge la dialettica hegeliana ed è questo il luogo
strategico per pensare il complesso rapporto tra conflitti storici e categorie logiche tematizzato
da Domenico Losurdo. Come per Hegel, anche per Losurdo «la conoscenza scientifica però
esige piuttosto che ci si abbandoni alla vita dell’oggetto, o, in altri termini, che se ne abbia
presente e se ne enunci la necessità interiore»(2): ciò implica una visione della storia che
distingue nettamente la posizione hegeliana, non solo dalle interpretazioni demonologiche del
ciclo rivoluzionario, bensì anche dalle metafisiche del soggetto (si pensi alla posizione di
Fichte) che tendono a ricondurlo ad un atto di volontà dell'Io. Contro una lunga tradizione che
ha banalizzato la filosofia di Hegel, riducendo il suo idealismo a una forma di coscienzialismo,
Losurdo si è richiamato proprio alla lezione hegeliana per sottolineare come «il movimento
della realtà non [sia] dato semplicemente dall’urto del soggetto e del suo mondo ideale contro un’oggettività inerte che oppone resistenza ma [sia] anzitutto un movimento interno alle cose,
un movimento che lacera l’oggetto – il mondo, la realtà storico-sociale e politica – nella sua
intimità».
La dialettica, intesa come concettualizzazione del movimento interno alle cose, costituisce la
premessa per una presa sulla realtà che non si limiti a giustificarla, ma sviluppi i nessi che
conducono alla sua trasformazione. Si può osservare a questo proposito come da Hegel prenda
le mosse un confronto critico con la tradizione liberale proiettato al di là (e non al di qua) del
liberalismo stesso(3) . Un confronto critico di cui la storia del movimento operaio e socialista è
stata carne e membra e che Hegel per primo ha sviluppato nella sua forma logica. Forma che,
per l’appunto, non va collocata in un fantomatico regno dei cieli, bensì nell'inestricabile
rapporto con i suoi referenti reali: «il concetto è lo sforzo di elaborare una comprensione della
realtà tramite categorie universali che superino sempre di nuovo la particolarità del dato». Una
comprensione della realtà storica, quindi, e dei conflitti che l’attraversano, il cui sviluppo
tendenziale coincide con la costruzione del concetto universale di uomo:
le contraddizioni reali tra i diversi gruppi umani sono rielaborate nel loro collidere storico attraverso la forma logica del
concetto universale di uomo (…). Il concetto universale è realmente tale però, avvertiva Losurdo, soltanto se è universale e
concreto al tempo stesso. Soltanto, cioè, se pur dovendo scontare questo processo di determinazione-oggettivazione, essenziale
per non rimanere astratto, mantiene in sé l’infinità e non si erige come una nuova parzialità di fronte ad altre particolarità. (…)
L’universalità incapace di sussumere le particolarità si rovescia nel proprio contrario, in un universalismo falso,
nell’“empirismo volgare” dell’autocoscienza che “nella sua smania di purezza… non riesce a sfuggire al contenuto empirico,
che essa infine sussume nella sua immediatezza e trasfigura acriticamente”(4).
Nella lettura di Losurdo presentata da Azzarà, l'ontologia hegeliana, lungi dal collocarsi nel
regno del puro pensiero, costituisce la traduzione in termini speculativi del bilancio
dell’illuminismo e della Rivoluzione francese.
Dalla critica ai limiti che questo processo di sviluppo storico e culturale manifestava si apre
uno spazio, in Hegel, per la pensabilità di un universalismo concreto che, rispetto al
liberalismo, si pone su un livello ben più progressivo e avanzato: non solo è infatti presente il
rifiuto della schiavitù, ma lo stesso diritto di proprietà che il filosofo tedesco difende non
appare fondativo e risulta subordinato al Notrecht, al diritto del bisogno estremo, sottomettendo
così una sfera singola della libertà (la proprietà) alla vita in quanto tale come totalità dei fini. È
un progresso scientifico senza precedenti: si tratta di vagliare le condizioni materiali in cui lo
sviluppo della libertà risulta possibile e di esaminare i conflitti tra le libertà che via via si
manifestano. Con la filosofia di Hegel ci troviamo, in sostanza, al cospetto non già di una fumosa elucubrazione su uno spirito astratto o di una semplice logica del pensiero, ma, a tutti
gli effetti, di una teoria generale del conflitto sociale.
3. Il rigore dell’oggettività e l’universale concreto: da Hegel al marxismo
Azzarà e Alessandroni, iscrivendosi nel solco della tradizione hegelo-marxiana, tendono a
valorizzare soprattutto gli elementi di continuità tra Hegel e il marxismo, sottolineando, tra le
altre cose, come Hegel fungesse per Losurdo da «antidoto contro quei cedimenti “speculativi”
che hanno contraddistinto una larga parte del marxismo occidentale (…) nei suoi momenti più
critici». D'altronde era il rigore dell’oggettività (ma non l’empirismo) a caratterizzare
l’atteggiamento teorico di Hegel nei confronti della realtà, alieno com'era a tutte le fughe
intimistiche, da egli stesso stigmatizzate nella figura dell’anima bella.
Ebbene, nei passaggi più critici della storia del Novecento (la complicata costruzione delle
società post-rivoluzionarie, l’ascesa dei fascismi, la crisi e la sconfitta dei tentativi di
transizione al socialismo in Europa orientale), l’orrore per la contaminazione con la realtà
politica caratterizzò una parte non indifferente di certo marxismo che godeva «della
lontananza dal potere come di una condizione della propria purezza»(5).
Nel terzo capitolo de La comune umanità, Azzarà e Alessandroni ricostruiscono il materialismo
storico di Losurdo riconducendolo a questo rigore dell’oggettività proprio della lezione
hegeliana e allontanandolo da quell'idealismo della prassi e da quelle metafisiche del dover essere che, muovendo più da Fichte che da Hegel, tendono a fondare la possibilità di una
pratica rivoluzionaria non già sui conflitti reali che lacerano la sostanza, bensì sulla «capacità
prometeica del soggetto – spesso una capacità soltanto utopicamente sognata – di imporsi su
un’oggettività pensata a sua volta come inerte». Fu d'altro canto sulla scia di Hegel, che Marx
ed Engels rivolsero uno sguardo storico alla realtà, considerandola nel dinamismo delle sue
contraddizioni, e muovendo più dalla sua comprensione razionale che dall’indignazione
morale. Qui risiede, secondo Losurdo, il significato della scientificità del marxismo –
scientificità, naturalmente, non nel senso della scienza naturale positivistica, bensì della
scienza filosofica, della Wissenschaft hegeliana.
5. La comune umanità. Dialettica del riconoscimento e critica del Moderno
La comune umanità, tuttavia, ci permette anche di sgombrare il campo da un pericoloso
equivoco: da una certa vulgata Losurdo viene presentato oggi come un critico “esterno” del
marxismo occidentale, che alle promesse palingenetiche di tale tendenza opponeva un
“marxismo orientale”, inteso volgarmente come una sorta di socialismo da caserma. Si tratta
evidentemente di una strumentale distorsione del suo pensiero. Il confronto di Losurdo con la
tradizione liberale mostra infatti come il liberalismo e il fondamentalismo occidentalista, ben
lungi dall’essere i campioni delle libertà dell’individuo, dell’universalismo e della limitazione
del potere, costituiscano il terreno sul quale hanno preso forma la de-umanizzazione su base
razziale, l’imperialismo e il dispotismo della società civile; ma, per dirla con Marx, attraverso
questa operazione Losurdo «ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi»(10).
Richiamare Hegel e restituirlo alla tradizione rivoluzionaria significa non farne il teorico dello
stato di potenza, ma della libertà dei moderni, capace di pensare le sue contraddizioni fino in
fondo e oltre il liberalismo. Con Hegel e oltre Hegel, la tradizione che ha preso le mosse da
Marx ed Engels costituisce, nella lettura losurdiana, il luogo dell’universalismo concreto, cioè
di quell'universalità che diviene realmente tale soltanto quando risulta capace di valorizzare
dentro di sé la ricchezza delle sue componenti particolari. Losurdo non avrebbe mai accettato
nessuna declinazione “geopoliticista” o “sovranista” del marxismo (come è invece capitato di
leggere), avendo egli pensato, in ogni sua pagina, tutti i problemi sociali in termini di
universalismo e di comune umanità.
Il volume in questione indica quindi la strada che, in Oriente e in Occidente, la tradizione
politico-culturale scaturita dal pensiero di Marx ed Engels può percorrere per transitare
dall’utopia alla scienza: si tratta in primo luogo di sforzarsi a collocare ogni progetto di
emancipazione all'interno della realtà concreta, di comprendere la sua specificità storica e
geografica, di afferrare la complessità del conflitto sociale e l’irriducibilità l'una all'altra delle
sue molteplici espressioni. In sostanza, senza, dall’altro lato, cedere alle tentazioni agnostiche
o nichiliste, si tratta di volta in volta di sopportare la fatica del concetto, comprendendo
all'interno di ogni intreccio conflittuale quali siano gli aspetti determinanti rispetto ai quali
prendere posizione.
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1 «Conquistare quell’immane energia della grandezza per plasmare l’uomo futuro con la disciplina selettiva e, d’altra parte, annientando milioni di malriusciti, e non perire per la sofferenza che si arreca e che non ha mai avuto l’eguale!». (F. Nietzsche, Opere, VII, 2. Frammenti postumi 1884, Adelphi, Milano 1976 p. 86). «La maggior parte degli uomini sono senza diritto all’esistenza, anzi una disgrazia per gli uomini superiori: ai malriusciti io non riconosco ancora un tale diritto. Vi sono anche popoli malriusciti.» (Ivi, p. 89) Cfr. D. Losurdo, Nietzsche. Il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Bollati Boringhieri, Torino 2004 pp. 641-645.
2 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, Einaudi, Torino 2008 p. 40.
3 Si ricorderà, a questo proposito, anche la critica che Losurdo muoveva ne Il marxismo occidentale a Galvano della Volpe: se Della Volpe celebrava la libertas maior (lo sviluppo dell’individualità integrale nel socialismo) nella forma dell’opposizione, ovvero della giustapposizione, alla libertas minor (la libertà formale dei liberali) a un tempo lasciava che il liberalismo si presentasse come campione dei diritti civili, della libertà formale, facendo così astrazione dalle discriminazioni di genere, razza, censo, e d’altra parte non coglieva il significato della transizione come Aufhebung, come dialettica di riconoscimento e superamento critico, rinchiuso com’era nella sua impostazione empiristica e anti-dialettica, che leggeva in Hegel un filosofo mistico, espressione del romanticismo. Cfr. D. Losurdo, Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, Laterza, RomaBari 2017 pp. 56-57.
4 Ivi, pp. 157-159.
5 D. Losurdo, Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, Laterza, Roma-Bari 2020, p. 167.
6 D. Losurdo, Antonio Gramsci dal liberalismo al «comunismo critico», Gamberetti, Roma 1997 p. 143.
7 Ivi p. 104
8 Ivi, p. 106
9 A. Gramsci, Quaderni del carcere, II, Einaudi, Torino 2007 p. 1488
10 K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in Id., La questione ebraica, Editori Riuniti, Roma 1998 p. 50. A questo proposito cfr. Losurdo, Antonio Gramsci dal liberalismo al «comunismo critico», cit., pp. 209-210.
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