Qualche decennio
fa, mi fu chiesto di scrivere sulla stagnazione del marxismo: il mio scritto fu
pubblicato; penso si possa dire anche che fu letto e commentato da qualcuno.
Tuttavia, riconsiderandolo oggi, ci si rende conto che in quella mia
riflessione (che condivido ancora) mancava un punto essenziale.
Dal marxismo –
dunque, da un pensiero eminentemente dialettico -, di fatto, è scaturita una
tradizione radicalmente antidialettica: mentre Marx costruisce il suo pensiero
in una fitta ed insistente messa a confronto critica con altre correnti di
pensiero; mentre a leggerlo con attenzione non può sfuggire quanto egli debba a
quegli altri con cui polemizza e come esattamente questa aderenza ai suoi
obiettivi polemici si traduca in grande capacità analitica ed in duttilità,
plasticità di un pensiero, che mai produce dogmatismi e secchi riduzionismi
–ebbene, nonostante tutto ciò è proprio in nome di Marx, che la tradizione
comunista ufficiale si è variamente impegnata a definire le due liste (proprie
di ogni religione, si badi!) degli ortodossi e degli eterodossi, dei fedeli
continuatori e dei perfidi deviazionisti, insomma, dei santi e degli eretici.
La crisi del
campo socialista europeo, in realtà (lo si dica o non lo si dica), è anche la
crisi di questo stravolgimento scolatico-dogmatico di un pensiero che, per
parte sua, si iscrive, invece, e porta avanti una prospettiva dialettica di
ragionamento.
Una conseguenza
della sostituzione del marxismo con la sua smorfia dogmatico-positivistica è
che si è perso il senso di quanto il pensiero di Marx e l’orientamento
dialettico abbiano penetrato, influenzato, formato scuole di pensiero e
tentativi di rinnovamento storico-sociale, diversi l’un dall’altro, ma
salutarmene diversi –dacché è da questo tipo di diversità, che la riflessione
scientifica, morale, filosofica, politica, effettivamente, progrediscono.
Si pensi, per
citare un solo esempio, al ruolo giocato dal marxismo nel farsi di quella
grande, grandissima cosa, che fu la cultura mitteleuropea dei primi decenni del
Novecento (per fare un solo esempio, come sarebbe possibile L’uomo senza qualità di Robert Musil,
senza il marxismo?); ma anche a quel nucleo di scienziati, che costruirono il
Wienerkreis e dette luogo a modi di concepire e di fare scienza, che segnano ancora
la nostra realtà quotidiana.
Ebbene, tra quel
nucleo di scienziati e filosofi vi furono persone dichiaratamente socialiste e
che collaborarono ai primi numeri dell’Enciclopedia sovietica –ma che da essa
poi furono allontanati, mano a mano che si evidenziavano le tragiche
conseguenze della cosiddetta teoria del socialismo in un paese solo. Ed è così
che il neopositivismo divenne perfino la bandiera della cultura anti-comunista,
anti-operaia, favorendo un distacco, anche politicamente dannosissimo, tra
marxismo (irrigidito) e scienza moderna.
Sappiamo bene
come un risvolto della ‘teoria’ del socialismo in un paese solo fu la
trasformazione dei grandi partiti comunisti occidentali in formazioni, più o
meno duttilmente, socialdemocratiche con risvolti, però, di dogmatismo
staliniano.
Naturalmente a
tutto questo non poteva non accompagnarsi la messa a tacere, di fatto, del
Lenin che si interrogava sui pericoli di restaurazione capitalistica in Unione
Sovietica; ed al suo posto, invece, la costruzione di una mitica immagine
dell’Urss come dolce paese dei soviet,
del socialismo realizzato, e non per
quello che era –un paese, cioè, che cercava in tutti i modi di difendersi, in
quanto paese non capitalistico, anche a costo di compromessi con
l’imperialismo, durissimi da accettare e che si rovesciavano in danno per il
movimento rivoluzionario internazionale (come in particolare mondo arabo e
Latino-America ci apprendono)..
E’ così che si
giunse, anche in Italia, ad una separazione tra cultura d’avanguardia –nel senso
di moderna, innovatrice e non di bohéme- e forza comunista organizzata. Ed una
conseguenza fu che quando la nuova organizzazione capitalistica mise in
discussione professioni e ruoli codificati, da una parte si ebbe una spontanea
ribellione studentesca e di gioventù operaia e, dall’altro, l’incupirsi in un
senso sempre più socialdemocratico del Pci.
La protesta,
dunque, non potette dotarsi di una direzione teorico-politica adeguata e
fiorirono incredibili personaggi, oscillanti tra lotta armata e codismo
socialista.
E’ così che si
ebbe una seconda stagione dello stravolgimento del marxismo: in realtà,
infatti, la cultura della nuova sinistra andò sempre più caratterizzandosi per
l’accettazione di temi, che sono –da lunga tradizione (addirittura Hegel li criticava)-
i motivi salienti della disgregata coscienza della borghesia, ormai incapace di
far perfino la lode di sé.
E
paradossalmente, da parte ‘comunista’ (a dir così) si riscoprirono le
dogmatiche staliniste o un cultura cinese, di cui non abbiamo gli strumenti
effettivi per giudicare. Insomma, è così che rinacquero miti, dogmi,
scomuniche, ma non certo quello che è il succo dell’analisi dialettica e che
Lenin aveva saputo così profondamente far operare sul piano politico.
Che fare ora?
La domanda è troppo
grossa perché un singolo compagno possa rispondere. Certo, una cosa mi sento di
dirla: ma siamo sicuri di conoscere Marx? Siamo sicuri di aver capito il senso
della sua critica dell’economia politica e della prospettiva dialettica, entro
cui egli operò?
Abbiamo capito
che la chiusura del marxismo, in quanto ideologia dei paesi socialisti e dei
partiti comunisti e non, invece, in quanto fuoco dialettico continuo, che non
ha barriere e che tutto aggredisce, con tutto si confronta – che questa
chiusura, dicevo, va fatta saltare per riprendere, con Marx, quella strada che
porta oltre Marx? Siamo sicuri di aver capito tutto ciò? https://drive.google.com/folderview?id=0B-1egZyIWQXDMmFwZ1FDS05lX0U&usp=sharing
Nessun commento:
Posta un commento