Emiliano Alessandroni Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Leggi anche: Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron
Nel corso degli anni ‘50 e ‘60 del Novecento, collocandosi lungo la
scia tracciata da Galvano Della Volpe, Lucio Colletti sviluppa in Italia
una requisitoria contro Hegel e segnatamente contro quegli elementi
della filosofia hegeliana che, in modo più o meno volontario, erano
penetrati all’interno del marxismo, inficiandone, a suo avviso, la
consistenza scientifica. Tre i vizi speculativi tramandati, secondo lo
studioso italiano, dalla Scienza della logica e dalla Fenomenologia dello
Spirito:
1) l’assorbimento del quadro storico nel quadro ontologico, vale
a dire il complessivo disinteresse verso la «molteplicità del reale»,
portata a vanificarsi entro «una genericità o un’idea che non rimanda né
si riferisce a questo o a quell’aspetto del reale, ma si presenta al
contrario essa stessa come la sola e intera realtà»1;
2) lo «scambio», per
usare la terminologia aristotelica, «del genere con la specie»2;
3) la
tendenza a cedere reiteratamente alle lusinghe delle «ipostasi»,
categorie incapaci «di servire come ipotesi e criteri per l’esperienza» in
quanto non desunte da scrupolose osservazioni dell’Oggetto, ma apparse come «un’introduzione surrettizia di contenuti immediati, non
controllati»3.
Sarebbe alquanto facile replicare a Colletti come simili forme di
dogmatismo, che costituiscono alcune delle configurazioni che assume il
concetto di ideologia in Marx4
, siano in ultima analisi anche alcune delle
configurazioni che assume il concetto di intelletto astratto in Hegel –
ripartito a sua volta tra l’astrattezza del particolare e l’astrattezza
dell’universale. Ma altri sono gli aspetti che qui preme evidenziare:
partendo dalle convinzioni di cui sopra, l’allievo di Della Volpe
rimprovera a Lenin la tendenza ad allinearsi «nella sostanza» sempre
più «alla logica hegeliana»5
. Si tratterebbe di un allineamento a
concezioni teologiche, coscienzialiste e mistiche, quali erano quelle che,
a suo avviso, la filosofia classica tedesca promuoveva, inclini a
contaminare la coscienza del dirigente russo verso forme di
speculazione deteriore. È un punto che viene ribadito con fermezza: la
«logica» e la «dialettica hegeliana» avevano posto tra gli occhi di Lenin
e il mondo un’insidiosa «lente deformante»6.
Come giudicare queste accuse? Lo studio della filosofia di Hegel
concorre realmente a indebolire la comprensione che Lenin maturerà
del mondo? Per rispondere a queste domande occorre tornare indietro
fino al 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale. Guerra che
vedrà un altissimo numero di vite falcidiate, in massima parte
appartenenti agli strati sociali meno abbienti. In quel mentre, nei
parlamenti inglese, francese, austriaco e tedesco, i deputati socialisti che
pur si ergevano a portavoci delle masse popolari, votavano
favorevolmente ai crediti di guerra. È una vicenda che suscita
l’indignazione di Rosa Luxemburg: «l’immortale appello del Manifesto
comunista» di Marx ed Engels (“proletari di tutti i paesi unitevi”)
«subisce» ora, «un completamento essenziale...secondo la correzione
apportatavi da Kautsky...: “Proletari di tutti i paesi unitevi in pace e
sgozzatevi in guerra!”»7.
In un tale contesto, mentre operai e contadini seguitavano a perdere
la vita sui campi di battaglia e gli esponenti più illustri della Seconda
Internazionale reiteravano, anche sul piano teorico, la scelta di
legittimare il bagno di sangue, Lenin, al tempo in esilio, si rifugia in una
biblioteca svizzera a studiare la Scienza della logica di Hegel. Tale atto
non deve tuttavia essere recepito come una forma di indifferenza, da
parte del futuro dirigente bolscevico, per le sorti del mondo e del
proprio paese, e tanto meno come il desiderio di soddisfare un interesse
di semplice erudizione. Le ragioni, a ben vedere, erano altre: Lenin non
si limita a voler condannare la guerra, ne intende comprendere l’essenza
e con essa i centri nodali degli errori teorici commessi dai
socialdemocratici. Se infatti il marxismo della Seconda Internazionale
assemblava, all’interno del proprio orizzonte filosofico, elementi di
materialismo volgare, evoluzionismo, positivismo e neokantismo, nelle
elaborazioni del filosofo di Stoccarda Lenin poteva individuare l’argine
più resistente da opporre all’espansione di queste correnti. Tra le pagine
di Hegel egli cerca quindi i principi fondamentali di un marxismo
autentico da contrapporre a quello empirista e positivista della Seconda
Internazionale, e nelle critiche che l’autore della Fenomenologia rivolge
a Kant, intravede argomentazioni più ricche e preziose, rispetto a quelle
precedentemente rinvenute in Diderot, per combattere le idee di Mach
e degli empiriocriticisti. I Quaderni filosofici riportano fra le loro
pagine un brano della Logica:
«Il pensiero vale qui come un’attività puramente soggettiva e formale, e
l’oggettività, di contro al pensiero, come un che di stabile e di esistente per sé.
Però questo dualismo non è il vero, ed è un procedimento insensato prendere
le determinazioni della soggettività e dell’oggettività così semplicemente e non
porsi la questione della loro origine”...In effetti, la soggettività è soltanto uno
stadio si sviluppo dall’essere e dall’essenza, e, poi, questa soggettività, “in
quanto dialettica, spezza il suo limite” e, “attraverso il sillogismo, si apre
all’oggettività»
8.
Sotto questo passo, il seguente commento di Lenin: «molto
profondo e intelligente! Le leggi della logica sono il rispecchiamento
dell’oggettivo nella coscienza soggettiva dell’uomo»9.
Lungi da quanto sosteneva Colletti, la lettura della Logica, possiamo
osservare, si rivela per il dirigente russo una fonte inesauribile di
acquisizioni teoriche.
§ Salti e interruzioni di gradualità
In altri studi abbiamo avuto modo di valutare l’importanza che
svolge in Lenin il concetto di compenetrazione degli opposti
10,
corrispettivo filosofico di quanto con riferimenti di carattere più
contingente andrà esplicandosi ne La rivoluzione proletaria e il
rinnegato Kautsky del 1918 e ne La NEP e i compiti dei centri di
educazione politica del 1921. Ma la principale categoria che desterà
l’attenzione del futuro statista sarà quella di salto o interruzione di
gradualità
11
. Si tratta di un concetto che, com’è stato dimostrato, rinvia
alla frattura temporale originatasi con lo scoppio della Rivoluzione
francese e che, a ben vedere, era già apparso nella Prefazione alla
Fenomenologia dello Spirito del 1807:
«Come nella creatura, dopo un lungo e tranquillo nutrimento, il primo
respiro interrompe, con un salto qualitativo, quella gradualità del processo di
accrescimento unicamente quantitativo, e il bambino è nato; così lo Spirito che
va formandosi matura lentamente e silenziosamente verso la nuova
figura...questo graduale sgretolamento, che finora non alterava la fisionomia
della totalità, viene infine interrotto dal sorgere del sole che, come un lampo
improvviso, fa apparire, in un colpo solo, la struttura del nuovo mondo»
12.
La categoria di Salto qualitativo, se svolge un ruolo importante in
Hegel, aveva tutto fuorché centralità in quelle trame narrative tessute
dagli esponenti della Seconda Internazionale per illustrare le proprie
teorie della trasformazione.
In polemica con Rosa Luxemburg, ad esempio, Karl Kautsky
insisteva particolarmente sul fatto che, per dare vita a un nuovo assetto
storico, occorreva non già annientare, ma lentamente logorare
13 il
sistema in vigore. Così, ne I presupposti del socialismo del 1899,
Bernstein presenterà la fase di transizione dal vecchio al nuovo sistema
sociale come un lungo processo che si sarebbe dovuto svolgere
gradualmente e soprattutto attraverso l’intermediazione storica della
democrazia liberale. L’opera in questione si scaglia quindi con violenza
contro quelle che vengono definite le «insidie del metodo dialettico
hegeliano», colpevoli ai suoi occhi di aver condotto Marx alla teoria
della «lotta di classe» e della «rivoluzione»14.
Per diradare la nebbia ideologica che tali convinzioni avevano
contribuito a diffondere, la categoria di Salto qualitativo appare a Lenin
particolarmente proficua. Essa gli consente di riformulare una filosofia
della storia entro la quale le rotture rivoluzionarie potevano vantare un
proprio legittimo statuto ontologico. La Logica gli insegna invero che
«la gradualità senza salti non spiega niente»15
. Il suddetto Salto, tuttavia,
suscettibile di produrre la rottura storica osservata, non viene inteso dal
dirigente russo come un espediente estemporaneo, ma come risultato di
un processo dialettico che si consuma per intero entro l’orizzonte della
necessità. L’opera in questione gli aveva d’altronde fatto comprendere –
a proposito del rapporto tra Freiheit e Notwendikeit – che nel fiume del
divenire «la necessità...diventa libertà non perché svanisca, ma soltanto
perché la sua identità ancora interna si manifesta»16. Vale a dire che la
libertà non comincia nel punto in cui la catena della necessità viene a
spezzarsi, ma in quello in cui questa comincia ad apparire, a vedere se
stessa, a transitare, direbbe Hegel, dalla condizione dell’An sich a quella
del Für sich. Si tratta, a ben vedere, di una prospettiva ereditata anche
da Marx: a suo avviso infatti l’autentico soggetto rivoluzionario non si incarna nel ceto lavoratore in quanto tale, ma in quel ceto lavoratore
che ha acquisito coscienza di classe, che ha dunque dimostrato la
capacità di compiere il passaggio dall’An sich sein al Für sich sein. È un
aspetto, quello della dimensione coscienziale, sul quale insisterà
particolarmente anche Gramsci nei Quaderni. Significative, a tal
proposito, alcune sue considerazioni intorno al fattore ultimo che ha
innescato l’89 francese:
«Nel suo compendio di storia della Rivoluzione Francese, il Mathiez,
opponendosi alla storia volgare tradizionale, afferma che verso il 1789 la
situazione economica era piuttosto buona immediatamente, per cui non si può
dire che la rottura dell’equilibrio esistente sia dovuta a una crisi di
immiserimento...la rottura dell’equilibrio non avvenne per causa di un
immiserimento del gruppo sociale che aveva interesse a rompere l’equilibrio e
di fatto lo ruppe, ma avvenne per un conflitto di carattere superiore, per
"prestigio" di gruppo, in un certo senso, per esasperazione del sentimento di
indipendenza del proprio gruppo ecc.».
Da quanto osservato possiamo ben comprendere come per Lenin i
concetti di Salto o Interruzione di gradualità costituissero
un’importante acquisizione teorica che, se da un lato rompeva con
l’evoluzionismo riformista caro ai teorici della Seconda Internazionale,
dall’altro si manteneva anche a debita distanza da quelle forme di
volontarismo e soggettivismo che contraddistinguevano, in ultima
analisi, il nucleo speculativo della tradizione anarchica.
§ Proporzionalità di cause ed effetti
Nei Quaderni filosofici Lenin riporta un passo – appartenente alla
sezione interna de La dottrina dell’Essenza (La realtà) – nel quale Hegel
fornisce una delucidazione teorica intorno al rapporto di causa ed
effetto:
«in quanto si ammetta il rapporto di causa ed effetto...l’effetto non può
essere più grande della causa...quegli arabeschi storici, in cui da un esile stelo si
vede plasmarsi una gran figura, sono quindi una trattazione ingegnosa, ma
sommamente superficiale».
Le riflessioni del filosofo tedesco sono qui esplicitamente rivolte agli
eventi storici e Lenin riassume il brano pressoché alla lettera: «nella
storia si è soliti addurre aneddoti come piccole “cause” di grandi eventi,
che nel fatto sono soltanto occasioni, soltanto äussere Erregung»17.
Hegel, che «accostò con passione Tucidide»18, ne tradusse «una
ragguardevole parte»19 e, come emerge dalla Lezioni sulla filosofia della
storia, lesse ampiamente Polibio, doveva aver ben presente la
distinzione che questi avevano tracciato tra causa occasionale e causa
profonda della guerra. Distinzione che trova una propria
corrispondenza semantica, e persino una certa affinità linguistica, in
quella tracciata nella Logica tra occasioni (ovvero sollecitazioni
esteriori) e grandi cause. È una lezione da cui Lenin trarrà enorme
giovamento allorché si troverà ad interrogarsi sui fattori scatenanti della
Prima guerra mondiale.
Allo scoppio del conflitto si moltiplicano le narrazioni a sostegno
dell’intervento. In Italia, Cesare Battisti, deputato socialista, presenta lo
scontro come una «quarta guerra d’indipendenza» inclinandone «a
sinistra la forza di coinvolgimento nazional-popolare»20. Parallelamente
le potenze dell’Intesa, fatta eccezione per la Russia, lo dipingono via via
come uno scontro per la salvezza dei «valori democratico-liberali»21
,
presi di mira dal dispotismo degli Imperi centrali, che, dal canto loro,
imputavano al nemico di veicolare l’instabilità governativa e «la
decadenza dei costumi sessuali»22. La corruzione dell’ethos e del pathos
era un tema da cui muoveva, sul fronte opposto, anche Giovanni
Gentile, per il quale la guerra costituiva «la soluzione di una profonda
crisi spirituale» nonché la grande opportunità di «cementare una volta
nel sangue [la] Nazione» producendo «un solo pensiero, un solo
sentire»23. La battaglia si ridefiniva in tal senso come uno scontro tra
forze morali e forze immorali. Non troppo diversa la posizione dei
Futuristi, per i quali la guerra, «sola igiene del mondo» veniva chiamata a svecchiare culture e società stantie. Pullulavano inoltre le ricostruzioni
che tendevano ad illustrare la rivalità bellica come un conflitto tra razze.
E non mancava chi si riservava di attribuire le responsabilità dello
scontro planetario, ora alla voracità austriaca ora al nazionalismo serbo,
in ogni caso alla volontà di un esiguo numero di dirigenti nazionali24.
Nel complesso, un tale spazio occupava all’interno del dibattito
pubblico la lunga serie di cause fittizie e cause occasionali, che gran
parte dell’intellighenzia europea si era convinta di discutere intorno agli
aspetti e alle ragioni di una “guerra lampo”. La durata del conflitto,
tuttavia, se smentì le previsioni temporali, non mutò la sostanza degli
orientamenti.
Sensibilmente diversa la prospettiva di Lenin. Questi comprese fin
da subito, dalla dimensione che il conflitto aveva assunto, come esso
dovesse nascondere cause ben più profonde e remote di quelle
prevalentemente diffuse. Si trattava, a ben vedere, di una guerra che
affondava le radici nel «quadro complessivo dell’economia capitalistica
mondiale, nelle sue relazioni internazionali ai primordi del secolo XX».
E questa causa profonda, ben diversa rispetto a quelle presentate dalla
narrazione liberale, getta nuova luce sul conflitto stesso, suscettibile di
apparire ora sotto tutt’altra veste: non, allora, uno scontro tra
democrazia e dispotismo, non una lotta tra consuetudini e trasgressioni,
non un conflitto tra moralità e immoralità, ma «una guerra imperialista
(cioè di usurpazione, di rapina, di brigantaggio) da ambo le parti...una
guerra per la spartizione del mondo, per una suddivisione e nuova
ripartizione delle colonie, delle sfere di influenza del capitale
finanziario»25.
Intento primario dell’opera in questione era pertanto quello di
smascherare «le contraddizioni» profonde dell’imperialismo, a partire
dall’analisi della sua «sostanza economica...senza la quale non» sarebbe
stato «possibile comprendere né la guerra...né la situazione politica»26
corrente. Dacché, in sostanza, gli approcci idealistici dominavano il
discorso pubblico, il lavoro di Lenin intendeva non soltanto rintracciare
le grandi cause, le cause profonde che si celavano dietro il conflitto, ma
anche smascherare l’insieme di cause fittizie e cause occasionali, vale a dire l’insieme di piccole cause la cui propaganda ostacolava una corretta
stima degli avvenimenti. Nei Quaderni filosofici il dirigente russo
trascrive ancora un altro passo della Logica hegeliana: «nel movimento,
nell’impulso e simili la contraddizione rimane nascosta alla
rappresentazione dietro la semplicità di queste determinazioni». A lato
il seguente commento: «occultata dalla semplicità»27. Quella della
“semplicità che occulta” costituisce senz’altro una dinamica ricorrente
nei processi storici, ma con lo scoppio della Prima guerra mondiale, il
proliferare delle cause semplici o delle piccole cause, l’aveva riportata
prepotentemente alla ribalta.
§ Logica dialettica e intelletto astratto
Ancora nei Quaderni, Lenin trascrive un passo della Logica in cui
Hegel illustra il cosiddetto principio di azione reciproca: «L’interazione
si presenta, anzitutto, come una mutua causalità di sostanze
presupposte e condizionantesi; ciascuna è dinanzi all’altra, una sostanza
insieme attiva e passiva»28
. É un principio «acuto e giusto», ad avviso
del dirigente russo, quello secondo cui «ogni cosa concreta, ogni
qualcosa concreto sta in rapporti diversi e spesso contraddittori con
tutto il rimanente»29. In esso viene ritratto uno degli aspetti che
distingue la logica dialettica dalla logica dell’intelletto
30. Se la prima
pensa in termini di inestricabilità, la seconda è eclettismo, ovvero
ragiona in termini di giustapposizione.
Su questa differenza prospettica sembra fondarsi la polemica intorno
alla questione dei sindacati del ‘20-21 contro Trotsky e Bucharin.
Questi i termini della questione: il comandante dell’Armata Rossa
intendeva intensificare la militarizzazione della manodopera
procedendo ad una dissoluzione dei sindacati nello Stato, stimando
quest’ultimo quale reale incarnazione degli interessi degli operai. Lenin
replicherà chiarendo che lo Stato russo, in quel dato momento, non
costituiva affatto uno Stato operaio, bensì una struttura fondata su un
delicato equilibrio in cui venivano tenuti insieme interessi degli operai e interessi di altri strati sociali (contadini e piccola borghesia in primis).
Tanto più che ci si stava apprestando all’interruzione del comunismo di
guerra e all’introduzione della Nep. Il compito di vigilanza che in quella
fase veniva richiesto all’apparato statale, rendeva necessario lasciare
espletare le funzioni pedagogiche (e a ben vedere anche quelle
protettive) ad organizzazioni differenti. Queste ultime erano state
individuate da Lenin nei sindacati, i quali costituivano, spiega, «una
scuola sotto tutti gli aspetti: una scuola di unione, una scuola di
solidarietà, una scuola di difesa dei propri interessi, una scuola di
gestione economica, una scuola di amministrazione»31.
Due, secondo il dirigente russo, i principali «errori teorici»32 di
Trotsky:
1) egli incorre nella «più disperata confusione d’idee», in una
«“confusione ideologica” veramente illimitata»33 giacché «tutte le sue
tesi sono concepite dal punto di vista del “principio generale”»34, e
supportate «da discorsi intellettualistici o da ragionamenti astratti o da
ciò che talvolta sembra “teoria”, ma in realtà è errore, errata valutazione
delle particolarità del periodo di transizione»35. Sì, il ragionamento di
Trotsky procede per «tesi generali, astratte, “vuote di contenuto”,
teoricamente errate e formulate in modo intellettualistico, dimenticando
quanto vi è di più concreto e pratico»36. Per scongiurare i vizi di una
simile impostazione, afferma Lenin, bisogna al contrario proprio
«studiare l’esperienza pratica» in quanto «la pratica è cento volte più
importante di qualsiasi teoria», che nel suo astrattismo rischia di
aumentare la «fretta», il desiderio immediato di sorpassare «ogni limite»
creando «formule teoricamente errate»37. Oltre al sillogismo del fare,
concetto in cui Lenin si imbatte nella Scienza della logica, riecheggia
qui un principio appreso dall’Introduzione alle Lezioni sulla storia della
filosofia: «se il vero è astratto allora non è vero. La sana ragione umana
aspira al concreto […] La filosofia è massimamente ostile all’astratto e riconduce al concreto»38. È tale insegnamento che verrà impiegato
contro Trotsky e Bucharin: «la logica dialettica», rammenta nel corso
della polemica sui sindacati, «insegna che non esiste verità astratta, la
verità è sempre concreta»39.
2) Oltre a non riuscire a far propria la logica dialettica per quanto
essa impiega come piano di analisi il pratico e il concreto, Trotsky non
riesce a servirsene neppure per quanto concerne il modo di pensare la
differenza. Tutto il suo ragionamento costituisce una «messa in oblio
del marxismo» per mezzo di «una definizione teoricamente errata,
eclettica, del rapporto tra politica ed economia»40. Se già «la
sostituzione dell’eclettismo al rapporto dialettico tra politica ed
economia» rappresenta una caratteristica del pensiero di Bucharin, così
«tutto l’opuscolo di Trotski, Funzione e compiti dei sindacati, del 25
dicembre, è permeato da capo a fondo dello stesso modo di pensare»41
.
Esso affronta in modo eclettico un numero considerevole di questioni,
non riuscendo a cogliere una lunga serie di rapporti. Tra questi: a) il
«rapporto tra politica ed economia»; b) «il rapporto tra “scuola” e
“apparato”»42 a proposito dei sindacati; c) il rapporto tra produzione e
consumo43
.
Verso il comandante dell’Armata Rossa, Lenin impiegherà epiteti
roventi e toni segnatamente accesi: «il servizievole Trotski» scriveva già
nel 1914, «è più pericoloso di un nemico...egli ha interesse a speculare
sul manifestarsi dei dissensi...non ha mai avuto opinioni ferme su
nessuna questione importante del marxismo»44. E nella polemica sui
sindacati dopo aver rubricato le tesi di Trotsky come «politicamente
dannose»45, invita il partito a temprarsi «nella lotta contro una nuova
malattia (nuova nel senso che dopo la Rivoluzione d’Ottobre l’avevamo
dimenticata): il frazionismo»46.
Le due critiche osservate sopra – la prima di astrattismo o
intellettualismo, la seconda di meccanicismo o eclettismo –
costituiscono a ben vedere le medesime che, per ragioni diverse,
verranno rivolte proprio a Trotsky anche da Antonio Gramsci. In uno
scritto del 1925 l’intellettuale sardo, parlando dell’ex Commissario del
popolo agli affari esteri, rammenta come «la lunga militanza tra i
menscevichi [avesse] lasciato in lui tracce profonde» offuscandogli la
vista sulla complessità degli scenari storici che erano venuti ad aprirsi.
Sì, scrive Gramsci, «la vecchia ideologia menscevica ha impedito a
Trotskij di applicare» alla nuova situazione politica «i criteri del
leninismo»47. E nei Quaderni del carcere «Bronstein» viene dapprima
accusato di essere «il teorico politico dell’attacco frontale in un periodo
in cui esso è solo causa di disfatta»48 e successivamente di dar seguito a
un semplice «temperamento giacobino senza un contenuto politico
adeguato... [cioè non] secondo i nuovi rapporti storici [ma] secondo
un’etichetta letteraria e intellettualistica»49.
Ma accanto a questa accusa di astrattismo e intellettualismo,
interviene anche quella di meccanicismo ed eclettismo. Così scriveva
nella seconda lettera a Togliatti del 1926:
«Le opposizioni rappresentano in Russia tutti i vecchi pregiudizi del
corporativismo di classe e del sindacalismo che pesano sulla tradizione del
proletariato occidentale e ne ritardano lo sviluppo ideologico e politico»
50.
Qualche anno più tardi, nei Quaderni del carcere, allorché infuriava
il dibattito sul “socialismo in un paese solo” e il “socialismo in tutto il
mondo”, Trotsky viene accusato di non aver compreso il nesso
nazionale/internazionale e la sua teoria della rivoluzione permanente
deprecata come «una forma di "napoleonismo" anacronistico e
antinaturale»51. L’errore proviene da un modo di pensare meccanicista
che Gramsci inscrive pienamente nell’alveo della II Internazionale. Così
egli commenta i giudizi formulati dal dirigente russo su Antonio Labriola: «È stupefacente che nelle sue Memorie Leone Bronstein
[Trotskij ndc] parli di "dilettantismo" del Labriola...Non si capisce
questo giudizio...se non come un riflesso inconsapevole della pedanteria
pseudoscientifica del gruppo intellettuale tedesco che ebbe tanta
influenza in Russia»52.
Ben si comprendono allora le ragioni per cui in un articolo
pubblicato su l’Unità il 27 luglio del 1926, dal titolo Provvedimenti del
CC del PC dell’URSS, l’intellettuale sardo invita i compagni a non far
mancare il proprio appoggio al governo sovietico, sollecitando «tutta la
Internazionale» a «stringersi solidamente intorno al Comitato centrale
del Partito comunista della URSS per approvarne l’energia, il rigore e lo
spirito di decisione nel colpire implacabilmente» quelle che definisce le
«correnti disgregatrici» (l’Opposizione Unificata messa in piedi da
Kamenev, Zinov’ev e Trotsky), le quali, attentando «all’unità del
partito», giungevano a mettere seriamente a repentaglio «non soltanto
l’avvenire della rivoluzione operaia russa, ma anche una delle più
importanti condizioni per il successo della rivoluzione proletaria negli
altri paesi»53.
La battaglia condotta da Gramsci e Lenin contro Trotsky e Bucharin
assume dunque la fisionomia di una lotta condotta contro l’intelletto
astratto (nelle sue due varianti di genericità ed eclettismo) e contro le
sue deleterie ripercussioni sul piano politico.
Vediamo, in sintesi, come la lettura approfondita di Hegel, la
comprensione della logica dialettica, la tendenza a tener conto
dell’Intero, dei suoi molteplici aspetti e delle sue relazioni concrete
senza cadere in balia di posizioni di principio, in modi di ragionare
unilaterali e astratti, tutto ciò (unito all’esperienza pratica) abbia
consentito a Lenin e Gramsci di sviluppare non soltanto una coscienza
filosofica ma anche una coscienza politica di gran lunga superiore a
quella di Trotsky e Bucharin. Quanto a Lucio Colletti, non è difficile
constatare oggi come sia distante rispetto al pensiero del filosofo di
Treviri l’esito politico a cui l’ha condotto il marxismo antihegeliano
della fase giovanile.
Note
1 COLLETTI 1976, p. 154.
2
Ivi, p. 152.
3
Ivi, p. 154.
4 Cfr. ALESSANDRONI 2014, il cap. su Marx, Engels e l’ideologia come falsa
coscienza.
5 COLLETTI 1976, p. 167.
6
Ibidem.
7 LUXEMBURG 1970, p. 449.
8 LENIN 1973, pp. 447-48.
9
Ivi, p. 448. Poco prima (cfr. p. 444) Lenin aveva peraltro riportato «due
aforismi» nei quali veniva sollevato il «problema della critica del kantismo
contemporaneo, del machismo, ecc.» polemizzando contro il procedimento
meccanicista di Plekhanov e di quei «marxisti» che «hanno criticato (all’inizio
del secolo XX) i kantiani e gli humiani più alla maniera di Feuerbach (e di
Büchner) che non alla maniera di Hegel».
10 Cfr. ALESSANDRONI 2014a
11 Cfr. LENIN 1973, pp. 396-400.
12 HEGEL 2001, p. 61.
13 Cfr. SALVADORI 1976.
14 BERNSTEIN 1974, p. 265.
15 LENIN 1973, p. 398.
16 Ivi, p. 430.
17 Ivi, p. 428.
18 ROSENKRANZ 1974, p. 79.
19
Ivi, p. 33.
20 LUCCINI–SANTAGATA 2015, p. 22.
21 Ivi, p. 56.
22 Ivi, p. 57.
23 GENTILE 1934, p. 8.
24 Cfr. ALBERTINI 2010a, 2010b, 2011; SMITH 2014.
25 LENIN 1968.
26 Ivi, p. 570.
27 LENIN 1973, p. 412.
28 Ivi, p. 430.
29 Ivi, p. 409.
30 Cfr. Ivi, pp. 460-61.
31 LENIN 1975, p. 349.
32 Ivi, p. 297.
33 Ivi, p. 340.
34 Ivi, p. 299.
35 Ivi, p. 302.
36 Ivi, p. 339.
37 Ivi, p. 309.
38 LENIN 1973, p. 512.
39 LENIN 1975, p. 347.
40 Ivi, p. 339.
41 Ivi, p. 345.
42 Cfr. Ivi, p. 349-50.
43 Cfr. Ivi, p. 356.
44 LENIN 1968, pp. 533-34.
45 Ivi, p. 316.
46 Ivi, p. 35
47 GRAMSCI 1974, p. 308.
48 Gramsci 2001, Q 6, 138.
49 Ivi, Q 19, 24.
50 GRAMSCI 1973, p. 155.
51 GRAMSCI 2001, Q 14, 68.
52 Ivi, Q 11, 70.
53 GRAMSCI 1974, p. 401.
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