Gyorgy Lukacs è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese.
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Vittoria
del capitalismo? - Hyman Minsky
Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
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1. Come ogni scritto di Lenin, anche questo nuovo opuscolo1 merita lo studio più attento da parte di tutti i comunisti. Esso dimostra, ancora una volta, la straordinaria capacità di Lenin di comprendere gli elementi decisamente nuovi che esistono in un nuovo fenomeno nell’evoluzione del proletariato, di capire e di far capire in maniera essenziale l’essenza di quegli elementi. Mentre i suoi precedenti scritti erano dedicati più alla polemica, e cercavano di analizzare a fondo le organizzazioni di lotta del proletariato (in primo luogo lo Stato), quest’ultimo è invece dedicato ai germi della nuova società che stanno sbocciando. Come la forma di produzione capitalistica, con cui la disciplina del lavoro imposta dalla costrizione economica (la fame), era superiore alla nuda forma della servitù della gleba, così la libera collaborazione di uomini liberi nella nuova società supererà di gran lunga, anche in produttività, il sistema capitalistico. Appunto a questo riguardo i disfattisti socialdemocratici della rivoluzione mondiale sono estremamente scettici. Essi si richiamano all’allentamento della disciplina del lavoro, al calo della produttività, in una parola a fatti che sono i necessari fenomeni collaterali del dissolversi dell’ordinamento economico capitalistico: e con una impazienza e intolleranza paragonabili quanto a vigore solo alla loro pazienza e tolleranza nei confronti del capitalismo, essi ci dicono che questi fenomeni nella Russia sovietica non si sono modificati immediatamente. La scarsità di materie prime, le lotte intestine, le difficoltà organizzative valgono ai loro occhi come giustificazione solo per gli Stati capitalistici, mentre un ordinamento proletario della società dovrebbe secondo loro significare, nello stesso istante del suo nascere, un capovolgimento di tutti i rapporti tanto all’interno quanto all’esterno, il miglioramento della situazione in tutti i campi. I rivoluzionari autentici, e primo fra tutti Lenin, si distinguono da questo utopismo piccolo-borghese per l’assenza di illusioni. Essi sanno che cosa ci si può aspettare da un’economia distrutta dalla guerra, e soprattutto che cosa ci si può aspettare da uomini educati all’egoismo, spiritualmente depravati e corrotti dal capitalismo. Per il vero rivoluzionario una mancanza di illusioni non può mai significare avvilimento e disperazione, bensì fede, rinvigorita dalla conoscenza, nella missione storico-mondiale del proletariato; si tratta di una fede che non può mai essere scossa dalla lentezza e dalle circostanze spesso più che avverse della sua realizzazione, di una fede che mette in conto tutto ciò e che, nonostante tutti questi sconvolgimenti e ostacoli, non perde mai di vista il proprio obiettivo ed il processo di avvicinamento ad esso.
I sabati comunisti, la mobilitazione del lavoro che il partito comunista russo si è imposta, sono stati spesso commentati e considerati da punti di vista molto diversi. La maggiore attenzione, a questo proposito, è stata sempre dedicata, come è comprensibile, alle loro conseguenze economiche fattuali e possibili. Ma per quanto importanti possano essere i sabati comunisti, la possibilità e il modo del loro nascere significano qualcos’altro ancora che va ben al di là delle loro immediate conseguenze economiche. «I sabati comunisti – dice Lenin – hanno un’enorme importanza storica perché ci dimostrano la consapevole e spontanea iniziativa dei lavoratori nella crescita della produttività del lavoro, nel passaggio alla nuova disciplina di lavoro, nella creazione di condizioni di vita economiche socialiste».
Ai partiti comunisti di altri paesi viene frequentemente rimproverato di imitare troppo pedissequamente nella loro attività e nelle loro rivendicazioni il modello russo. A me sembra che in molti (e niente affatto trascurabili) punti è vero precisamente l’opposto: i partiti comunisti europei non hanno la capacità o la volontà di approfondire le vere sorgenti di forza del movimento russo, e anche quando si rendono conto di qualcosa in proposito, non trovano la forza di trasferire questi insegnamenti nella vita.
I sabati comunisti, come primi germi del trapasso dalla disciplina di lavoro dell’ordinamento economico capitalistico a quella dell’ordinamento socialista, come slancio per il «salto dal regno della necessità al regno della libertà» non rappresentano minimamente dei lati istituzionali del governo sovietico, bensì azioni morali del partito comunista. E proprio questo aspetto determinante e decisivo della realtà del Partito comunista russo viene pressoché ignorato dai partiti fratelli, solo rarissimamente se ne ricavano gli insegnamenti così necessari, e quasi mai questo esempio viene imitato.
2. Noi tutti sappiamo, e lo rileviamo continuamente, che il partito comunista è l’espressione organizzativa della volontà rivoluzionaria del proletariato. Pertanto esso non è affatto destinato ad abbracciare fin dall’inizio la totalità del proletariato. Come guida consapevole della rivoluzione, come incarnazione dell’idea della rivoluzione, esso deve piuttosto riunire i pionieri maggiormente consapevoli, cioè quei lavoratori che hanno effettivamente coscienza di classe rivoluzionaria. La rivoluzione in quanto tale viene necessariamente prodotta attraverso l’azione, esplicantesi secondo una legge naturale, delle forze economiche. Compito e missione dei partiti comunisti è di dare direzione e meta al movimento rivoluzionario che almeno in gran parte nasce indipendentemente da essi, e di fornire alle esplosioni elementari che scaturiscono dal crollo dell’ordinamento economico capitalistico una guida consapevole verso l’unica via di scampo, quella della dittatura del proletariato.
Mentre, dunque, i vecchi partiti erano coagulazioni compromissorie di masse eterogenee, che di conseguenza rapidamente si burocratizzavano e permettevano che nascessero aristocrazie di funzionari e di sottofunzionari distaccate dalle masse, i nuovi partiti comunisti devono rappresentare l’espressione genuina della lotta di classe e della rivoluzione, il superamento della società borghese. Ma il passaggio dalla vecchia alla nuova società non significa un mutamento soltanto economico e istituzionale, bensì in pari tempo anche morale. Non mi si fraintenda: nulla ci è più estraneo dell’utopismo piccolo-borghese di coloro che riescono a concepire un cambiamento della società solo in conseguenza del cambiamento interiore degli uomini. (Il carattere piccolo-borghese di questo modo di vedere è rappresentato in ultima analisi, dal fatto che i suoi rappresentanti rinviano in tal modo – consapevolmente o inconsapevolmente – il cambiamento della società a un lontanissimo futuro.) Noi sosteniamo al contrario che il passaggio dalla vecchia alla nuova società è la conseguenza necessaria di forze e di leggi economiche oggettive. Ma questo passaggio – con tutta la sua oggettiva necessità – è appunto il passaggio dall’asservimento e dalla reificazione alla libertà e alla vera condizione umana. E perciò la libertà non può essere solo un frutto o un risultato dell’evoluzione, ma è necessario che subentri un momento evolutivo in cui essa rappresenti una delle forze propulsive. La sua importanza come forza propulsiva deve anzi aumentare costantemente fino al momento in cui essa assumerà pienamente la guida del genere umano ormai assurto a piena dignità, in cui sarà cessata «la preistoria dell’uomo» e potrà avere inizio la sua vera storia. L’inizio di questa fase sembra coincidere, a nostro avviso, con la nascita della coscienza rivoluzionaria, con la fondazione dei partiti comunisti. Infatti ogni partito comunista – sempre che non si trovi in semplice opposizione alla società borghese ma incarni la sua negazione divenuta azione – non sta soltanto in contrapposizione ai vecchi partiti socialdemocratici, ma rappresenta piuttosto l’inizio del loro annientamento, della loro sparizione. Il fatto che il movimento operaio non abbia mai saputo svincolarsi totalmente – sul piano ideologico – dal terreno del capitalismo, ha costituito la sua maggiore tragedia. I vecchi partiti socialdemocratici non hanno neppure una volta tentato seriamente tale separazione: conformemente alla loro natura, sono sempre rimasti partiti meramente borghesi. Il compromesso, la caccia ai voti, la facile demagogia, gli intrighi, l’arrivismo e il burocratismo costituiscono le loro caratteristiche al pari dei partiti borghesi. Le coalizioni con i partiti borghesi sono pertanto la conseguenza non solo di obiettive esigenze politiche, ma anche della struttura interna, della reale natura dei partiti socialdemocratici. È quindi più che comprensibile che nelle correnti del movimento operaio autenticamente rivoluzionarie, ma non del tutto consapevoli, si sia manifestata una tendenza volta non solo contro la natura piccolo-borghese, corrotta e controrivoluzionaria dei vecchi partiti, ma contro l’essenza del partito in generale. Una delle cause della nascita e della forza di attrazione del sindacalismo risiede indubbiamente nel rifiuto etico dei vecchi partiti.
Il Partito comunista russo non è mai soggiaciuto a questo pericolo. Ai dilemmi tra vecchio partito e sindacalismo, tra organizzazione burocratica e sfaldamento del partito, esso ha contrapposto un netto tertium datur, una terza possibilità. Questa terza possibilità è appunto l’elemento di cui passo passo esperiamo le conseguenze nella rivoluzione russa, ed i cui princìpi siamo stati finora troppo vili e troppo pigri ad individuare e ad accogliere, come forze motrici, nei nostri movimenti.
3. Le cause di questa forza del Partito comunista russo risiedono anzitutto nella sua organizzazione interna, in secondo luogo nel modo di concepire i suoi compiti e la sua missione, e in terzo luogo (come conseguenza delle due cause precedenti) nella sua capacità di influenza sugli iscritti. Il Partito comunista russo, contrariamente ai partiti socialdemocratici e alla maggior parte dei partiti comunisti degli altri paesi, è un partito chiuso, non aperto. Non solo non sollecita alcuno a diventare membro (una delle cause principali della corruzione e del compromesso), ma chi voglia iscrivervisi non ottiene tanto facilmente di esservi ammesso. Come vaglio per tale operazione, si ricorre alla categoria dei cosiddetti simpatizzanti («Amici dei Comunisti»), dalle cui file vengono scelti, per essere ammessi nel partito, coloro che soddisfano ai requisiti morali che sono richiesti a un comunista russo. Il partito non rivolge minimamente la propria attenzione al semplice aumento numerico dei suoi membri, ma al contrario alle qualità di coloro che restano nelle sue file. Perciò il partito sfrutta ogni occasione offertagli dai considerevoli impegni richiesti alle forze della rivoluzione per epurare il partito. «La mobilitazione di guerra dei comunisti – dice Lenin – ci è stata di aiuto in tale circostanza: i vili ed i mascalzoni hanno voltato le spalle al partito. Tale diminuzione numerica dei membri del partito significa un considerevole accrescimento della sua forza e del suo prestigio. Dovremmo proseguire l’epurazione, sfruttando l’iniziativa dei sabati comunisti». Quest’epurazione del partito poggia dunque su «un ininterrotto accrescimento di requisiti che si esigono per opere realmente comuniste».
Questa edificazione interna del Partito comunista russo si riferisce al secondo aspetto delle nostre considerazioni, alla missione del partito nella rivoluzione. Come avanguardia della rivoluzione il partito comunista deve sempre sopravanzare almeno di un passo l’evoluzione delle masse. Come la necessità della rivoluzione era già un fatto consapevole nel partito comunista quando le grandi masse sentivano tutt’al più un sordo scontento per la loro condizione, così la consapevolezza del regno della libertà dovrebbe ormai essere vivissima nei partiti comunisti e influenzare in maniera decisiva le loro azioni anche se le masse che seguono il partito non sono ancora in grado di staccarsi, sul piano ideologico, dal terreno corrotto del capitalismo. In realtà questo ruolo del partito comunista diventa attuale in tutta la sua ampiezza solo con la costituzione del governo dei Consigli. Infatti, se il proletariato ha costituito il suo potere in forma istituzionale, tutto dipende poi dal fatto che lo spirito che vive in esso sia effettivamente lo spirito del comunismo, della nuova umanità che ora sta nascendo, e non invece soltanto una ripetizione in una nuova forma della vecchia società. Il principio chiarificatore, purificatore e progressista può essere rappresentato unicamente dal partito comunista. Poiché il mutamento delle forme di governo non può contemporaneamente portare con sé anche il mutamento interiore degli individui, penetrano necessariamente nelle istituzioni sovietiche tutti i fenomeni deteriori della società capitalistica (burocrazia, corruzione ecc.); esiste il grave pericolo che queste istituzioni degenerino o si fossilizzino ancor prima che possano realmente costituirsi. È a questo punto che il partito comunista deve farsi avanti come elemento critico, come modello, come diga e ordinatore, come elemento di perfezionamento, ed esso soltanto è in grado di farlo2.
Così il partito comunista, dopo essere stato l’educatore del proletariato alla rivoluzione, deve ora diventare l’educatore dell’umanità alla libertà e all’autodisciplina. Ma questa missione potrà portarla a compimento solo se eserciterà, fin dall’inizio, un’opera educativa nei confronti dei suoi membri. Sarebbe però un modo di pensare niente affatto marxista e dialettico voler separare drasticamente una dall’altra le due suaccennate fasi di sviluppo. Esse, al contrario, confluiscono costantemente l’una nell’altra, e nessuno sarà mai in grado di stabilire quando comincia l’una e quando cessa l’altra. L’ideale umano del regno della libertà deve essere perciò operante nei partiti comunisti fin dal momento della loro fondazione, come principio cosciente della loro azione, come animatore della loro vita. Le forme organizzative, la presa di coscienza attraverso la chiarificazione e la propaganda sono a questo proposito mezzi decisivi ed essenziali. Non sono però affatto gli unici e soli mezzi. Moltissimo – e anzi in ultima analisi il passo decisivo – dev’essere compiuto dai comunisti stessi come uomini.
Il partito comunista dev’essere la prima personificazione del regno della libertà. È qui che deve immediatamente regnare lo spirito della fraternità, della vera solidarietà, dell’abnegazione e della dedizione al sacrificio. Se non è in grado di realizzare tutto ciò, o se non compie almeno seri sforzi per realizzarlo, il partito comunista si differenzierebbe allora dagli altri partiti soltanto per il suo programma. Anzi vi è il pericolo che l’abisso invalicabile che lo divide programmaticamente dagli opportunisti e dagli sbandati si restringa sempre più, ed esso ben presto diventi tra i «partiti operai» solo «l’ala più estrema». Allora si avvicina anche sempre più il pericolo – già aumentato grandemente col riconoscimento puramente verbale della III Internazionale da parte dei partiti del Centro – che la separazione qualitativa dei comunisti dagli altri diventi solo quantitativa e vada addirittura gradualmente sparendo. Quanto meno un partito comunista realizza il proprio ideale sia sul piano organizzativo che su quello morale, tanto meno sarà in grado di lavorare efficacemente contro la generale predisposizione al compromesso e di educare, trasformandoli in veri comunisti, gli elementi ancora privi di consapevolezza ma realmente rivoluzionari (sindacalisti, anarchici).
Il compromesso e il decadimento traggono alimento da una stessa sorgente, cioè dalla insufficiente trasformazione interiore degli stessi comunisti. Quanto più i comunisti (e con essi, e per loro tramite, il partito) si saranno purgati delle scorie della vita di partito capitalistico-socialdemocratico, del burocratismo, degli intrighi, dell’ambizione ecc., quanto più la loro consociazione in partito si trasformerà in autentico cameratismo e in comunanza spirituale, tanto più essi saranno in grado di adempiere alla loro missione, ossia di radunare le forze rivoluzionarie, di dare sicurezza agli incerti, di ridestare alla coscienza chi non è ancora cosciente, di respingere infine e annientare i mascalzoni e gli opportunisti. L’epoca rivoluzionaria che sta davanti a noi, ricca d’incessanti e dure battaglie, offre innumerevoli occasioni per quest’opera di autoeducazione. I compagni russi ci offrono sul piano sia organizzativo che umano il modello più ricco d’insegnamenti che ci si possa mai augurare. È già maturo il tempo che anche da noi si cominci ad eguagliare alacremente l’esempio russo.
1 V. I. Lenin, Die grosse Initiative [La grande iniziativa], Unionverlag, Bern 1920 [cfr. in trad. it., Opere complete, XXX, Roma 1967, pp. 255 sgg.].
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