Qui la registrazione audio dell'incontro: https://www.youtube.com/watch?v=Rja2jXmcPUs&list=PL921DB5CE566485CA&index=8
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Lenin
insiste molto nel sottolineare la centralità del settore teorico
come settore di lotta, e buona parte della polemica che fa contro
altre organizzazioni della sinistra russa, quelle che lui definisce
spontaneiste, è fortemente centrata proprio su questo tema del ruolo
della lotta teorica.
Senza dubbio questo che dice Lenin è legato a
una situazione specifica che lui ha di fronte in Russia; però
sicuramente ha un significato assai più generale, e noi possiamo
affrontare il tema sganciandolo dai riferimenti puntuali alla
situazione russa. Perché qui si tratta appunto di una presa di
posizione intorno al senso della lotta del proletariato
rivoluzionario, per l’organizzazione politica del proletariato
rivoluzionario.
E incontriamo subito una questione di notevole
rilievo che mi pare accennavamo al nostro primo incontro: Lenin
sottolinea come grandi marxisti come Kautsky, come Otto Bauer, come
Plechanov ecc.. - qui apro una parentesi: è estremamente importante
ricordare che tra fine ‘800 e inizio ‘900, c’è una serie di
personaggi di grandissimo rilievo culturale e politico, del movimento
operaio, che si richiamano direttamente al marxismo, che sono
insegnati nell’organizzazione politica del proletariato, di cui
onestamente, generalmente si ignora tutto. Voglio dire: personaggi
come Max Adler, come Otto Bauer, come lo stesso Kautsky, (che
ovviamente è persona nota come nome - però credo che a un’inchiesta
risulterebbe che difficilmente è stato letto un rigo di Kautsky) ,
Hilferding, la Luxemburg; rappresentano tutti un ambiente culturale e
politico di enorme statura. E se noi oggi rileggiamo le cose loro,
vediamo che loro hanno discusso i problemi di cui noi ora discutiamo.
Voglio dire che un obiettivo importante sarebbe proprio quello di
recuperare questa cultura del movimento operaio e marxista, e in
particolare quella prodotta dall’ambiente europeo, prevalentemente
si tratta di letteratura in lingua tedesca perché anche la Luxemburg
ovviamente non scriveva in polacco perché sennò non la leggeva
nessuno e scriveva in tedesco. Chiusa la parentesi -. Lenin
sottolinea come questi grandi marxisti, tuttavia, a un certo punto
non si erano più riusciti a dare un’indicazione politica adeguata
perché non si sono resi conto del fatto che i problemi fondamentali
della lotta di classe avevano cambiato di forma, e che quindi era
necessario operare analoghe e corrispondenti mutamenti di forma
tattica per poter rispondere alla situazione data.
Io insisto su
questa questione del mutamento di forma, perché è un tema che noi
troviamo molto in Marx e in Engels, cioè il tema secondo cui il
marxismo è sottoposto a mutamenti di forma in corrispondenza di
mutamenti profondi al livello dell’organizzazione economica, della
situazione politica, degli sviluppi culturali, scientifici ecc. Il
che ci dice che: primo, è una contraddizione in termini
“dogmatismo marxista”, nel senso che il marxismo è
necessariamente sottoposto alla necessità di una modifica di forma
nel momento in cui avvengono mutamenti di rilievo a livello politico
economico scientifico ecc. Ma non dobbiamo cadere
nell’equivoco: “mutamenti di forma”, detta così sembra come se
tu cambiassi la carta, ma la caramella è sempre quella. No, qui
stiamo attenti, che si tratta di gente che usa il tedesco, e in
tedesco form, non è l’analogo
del superficiale, di ciò che appare. Voi sapete per es. che
esiste una psicologia che studia il modo di presentarsi delle cose e
delle esperienze e questa si chiama la psicologia gestaltica, perché
“forma” nel senso del modo di presentarsi; semplicemente
del modo di presentarsi empirico delle cose, in tedesco è “gestalt”,
non è “form”. Form indica invece le strutture
razionali di fondo. Per es. immaginate due espressioni matematiche,
due equazioni, una con un’incognita e un’altra con n. incognite.
Qui c’è un cambiamento di forma dei due tipi di espressione
e capite che non si tratta di una faccenda superficiale ma si tratta
di una modifica al livello delle strutture razionali profonde.
Questo vuol dire cambiamento di forma
a cui il marxismo deve andare incontro in relazione a mutamenti a
livello politico, sociale, culturale, scientifico ecc. Per questo il
senso che il marxismo è sottoposto alla necessità di modifiche di
forma, ha il ruolo di testimoniare la vocazione antidogmatica del
marxismo. Perché si tratta di mettere in questione le strutture
stesse della razionalità marxista. Detta in soldoni: se uno dice
“dialettica marxista” e ha intenzione di dire una certa forma
razionale che è quella, punto e basta, sbaglia. Perché questa forma
ha da adeguarsi a mutamenti sostanziali quando questi mutamenti
avvengono.
E
questo vale anche a livello politico. Si potrebbe fare questo
esempio: è chiaro che molte volte, anche nella storia del PC, nella
discussione concreta nel PC, molte volte i termini dei contrasti
erano questi: fare o non fare una politica di alleanze. Mai la
discussione di fatto è in questi termini. Generalmente chi accusa
gli altri di non voler una politica di alleanze è un’imbroglione.
Nel senso che il dibattito è sempre del TIPO di alleanze. Voglio
dire: in questione non è il punto generale “i comunisti hanno o
non hanno da fare una politica di alleanze”. Questa è aria fritta,
lo sanno tutti, è ovvio. Il problema è il tipo di alleanza,
cioè quale forma determinata la politica di alleanze deve assumere.
E’ li che nascono effettivamente i dissensi. Generalmente è
successo nella storia anche del partito comunista che quando il
dissenso era in realtà: “con chi ci alleiamo?”, veniva
presentato dalla maggioranza come “noi siamo per l’alleanza e voi
siete settari e non volete le alleanze”. No. Il problema è:
entriamo dentro, nel merito, allora andiamo a vedere che forma
precisa assume il problema delle alleanze.
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Per
questo dicevo “forma” è qualcosa che ha a che fare con la
struttura razionale. E’ chiaro che quando io entro nel merito della
politica di alleanze, e quindi dico: “Propongo questo tipo di
alleanza e non un altro”, allora debbo sostanziare la proposta da
un’analisi economica, sociale, devo dire i processi economici sono
questi, hanno queste ripercussioni sugli strati sociali, questi
strati possono avere questi interessi; cioè devo entrare nel merito.
E allora la forma che assume la politica delle alleanze è
strettamente legata al tipo di analisi che faccio della realtà
sociale, economica, politica. Per questo dico: è sempre un
imbroglione quello che dice “tu non vuoi le alleanze”, non è
così. Il problema è sempre che tipo di alleanze, con chi;
cioè quale analisi della realtà si fa.
Lo
stesso ovviamente vale per il tema teoria. Perché appunto, siccome
la questione non è mai “facciamo o non facciamo una politica di
alleanze”, ma quali alleanze facciamo, allora il problema è
sempre che analisi facciamo del momento politico dato. E qui scatta
la teoria. Uno potrebbe dire, facciamo conto: “che ruolo ha
nell’Italia e nell’Europa attuale la piccola e media impresa?”
Sulla base di questa analisi, uno ha un tipo di atteggiamento
o un altro tipo di atteggiamento non so, nei confronti della lega o
di altre formazioni politiche. Però appunto, il problema è
quello di analizzare i processi di fondo, e su questa base, indicare
la linea delle alleanze. Ma allora è centrale il tema “teoria”.
Ed è centrale – dice Lenin – anche per un altro motivo di fondo,
e cioè: noi generalmente quando diciamo teoria, intendiamo una cosa
abbastanza vaga e generica, cioè qualcosa che ha a che fare con
l’astratto. Ovviamente questo è al livello del conversare comune,
all’osteria insomma. Ma se si parla sul serio, allora bisogna
cominciare a dire: esiste una cosa – l’ideologia – che è fatta
da un insieme di credenze, di convinzioni, le quali non hanno neanche
bisogno di giustificarsi, ma che vengono accolte come vere. Per es.:
“il negro è inferiore”. Non si dimostra questo, ma è una
credenza condivisa. Perché non ha bisogno, questo tipo di credenza,
di essere giustificata criticamente? Perché non è una funzione
conoscitiva, ma ha la funzione di stabilizzare un ordine sociale
dato. Cioè esistono alcune credenze la cui funzione è quella di,
come dire, rassicurare la gente dentro
un ordine sociale dato. Mi pare un esempio clamoroso che qualche anno
fa (esempi se ne possono fare a bizzeffe ma questo mi colpì molto)
Israele aveva fatto una delle solite carneficine da qualche parte e
in televisione il giornalista dice: “stupisce che un paese
democratico come Israele faccia questo”. Ecco, questa è proprio la
struttura dell’ideologico perché che Israele sia un paese
democratico, questa è una credenza indiscussa. Di fronte alla
smentita, meraviglia per la smentita, non per la messa in questione
della credenza. Ecco, l’ideologia è un insieme di credenze che
vengono ritenute vere senza bisogno di critica, senza che possano
essere o si voglia difenderle di fronte a un tribunale critico, e la
cui funzione è quella di stabilizzare lo stato di fatto. Questo è
un tipo di costruzione ideale.
Ce
n’è un’altra, e qui bisogna stare molto attenti perché sennò
si cade in fraintendimenti grandi: la teoria, in senso breve, è la
riflessione scientifica, la riflessione filosofica legata alla
scienza. Qui il problema è completamente diverso: qui si tratta di
un complesso di proposizioni di tipo sistematico, nel senso
che se uno scienziato mi dice: “X è una legge naturale”, non me
lo dice da sola, ma la mette in connessione a un’altra serie di
leggi naturali, da a questa connessione una certa forma logica,
difende questa forma logica con criteri logici; cioè in sostanza
propone un insieme di affermazioni, di proposizioni, che devono avere
prima di tutto una certa forma logica precisa, chiara, esplicita; e
secondo devono addirittura indicare i modi per poter essere
confutate. Cioè, voglio dire, a livello teorico, l’affermazione
che si fa, si presenta in maniera tale che se necessario può essere
confutata. Non si sottrae alla critica, al contrario. Qui il problema
è che questo insieme di proposizioni hanno come obiettivo non quello
di stabilizzare uno stato di fatto, ma puramente e semplicemente di
conoscerlo. Ha una funzione teoretica, conoscitiva. Ovviamente,
questo insieme strutturato, ordinato, criticamente assunto di
proposizioni, non è sganciato da una determinatezza storica. E’
chiaro che gli uomini di quella certa epoca pensano la scienza in
quel certo modo perché vivono in quel certo mondo. Certo, una
determinatezza storica c’è. Non è dello stesso tipo della
determinatezza che ha invece l’ideologia, la quale non può essere
consapevole del proprio legame subalterno rispetto all’ordine
sociale, perché deve garantirlo, deve spacciarlo come vero, deve
rassicurare, placare la critica; quindi non arriva mai a mettere in
questione il proprio rapporto con la storia, con la società; a
prenderne coscienza. Deve presentarsi invece come vera.
La
teoria no. Prende consapevolezza del proprio rapporto con la storia e
quindi mette in questione anche sé stessa.
In
mezzo, c’è, come dire, l’incontro di queste due componenti: la
cultura.
In
concreto si potrebbe dire questo: sul Corriere
della Sera, almeno qualche anno fa, apparivano
articoli di Prigogine, il quale è un fisico e matematico di
grandissimo rilievo, che scriveva per i quotidiani. Ora, voi capite
che quando un grande matematico o un grande fisico scrive per un
quotidiano, scrive per un pubblico generico, che non conosce né la
fisica né la matematica. E voi capite che una proposizione che ha
senso dentro l’universo matematico, dentro l’universo della
scienza fisica, portata ad un pubblico che non ha dietro le spalle
quell’universo, inevitabilmente diventa qualcosa di misero, di
povero. Però ovviamente se io lettore so che Prigogine è un grande
fisico e un grande matematico, leggo il suo articolo sul Corriere
della Sera, ma lo so che io non posso capire
veramente.
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Posso
prendere qualche spunto, ricevere qualche sollecitazione, ma poi
dovrò prendere in mano i libri di matematica e di fisica per capire
che cosa veramente ha detto. Se io faccio così ho un buon rapporto
con questo articolo. Che succede invece, generalmente? Succede che
quell’articolo viene assunto ideologicamente. Faccio un esempio: su
il manifesto, qualche tempo fa,
quando ancora lo compravo insomma, appare un articolo che parlava di
un libro americano. L’articolo dice che in questo libro è stata
fatta una scoperta formidabile, e cioè finalmente si proponeva, per
le scienze sociali, un modello biologico e non meccanicistico. Cioè
si prendeva a modello la scienza biologica per studiare la società.
La cosa divertente è che questo lo fece Aristotele. Ecco: assunto a
livello ideologico, un tema non solo si immiserisce, ma viene
stravolto. Viene decontestualizzato, viene assunto come verità
assoluta e diventa un sistema di convalida di credenze acquisite, il
cui risultato finale è di consolidare il regime sociale esistente.
Allora,
quando Lenin parla di centralità della teoria, intende una cosa
molto netta e molto raffinata: intende proprio quello che io
intendevo per teoria, cioè l’ambito scientifico e della filosofia
legata alla scienza. Perché? Ma perché Lenin è del tutto
consapevole che naturalmente, spontaneamente, le persone ragionano
così come la società in cui vivono ragiona.
Basti
pensare quanti, anche di sinistra, con cui possiamo parlare oggi, e
che dicono, non so: “l’economia, il mercato”; senza rendersi
conto che l’economia, il mercato, non è scienza, è
ideologia. Ma perché queste sono modalità di pensiero che vengono
continuamente proposte, riproposte; e che poi corrispondono ai
meccanismi quotidiani della società in cui viviamo. E allora, ecco,
l’atteggiamento naturale, spontaneo - anche del lavoratore -, è
quello di pensare secondo i modelli che gli vengono proposti dalla
sua esperienza, che sono questi. Al più ovviamente succede che la
sua esperienza gli mostra che il suo padrone è un delinquente, che
il suo padrone ruba, ecc. ecc. Ma siccome l’obiettivo per Lenin
comunista è quello di operare un cambio di classe dirigente nella
società, cioè di operare un cambio di civiltà; allora è chiaro
che per Lenin comunista è fondamentale che il lavoratore abbia
un’autentica rivoluzione interna, interiore, per cui si libera
dell’ideologia e arriva alla teoria. Ovviamente questo non lo fa da
solo. Questo lo fa se ha un’organizzazione che spinge in
questo senso.
Allora
la lotta di Lenin contro lo spontaneismo ha questo senso
fondamentale. Siccome il compito del comunista non è semplicemente
quello appunto di correggere il padrone cattivo, ma quello di operare
un cambio di civiltà. Allora qui si tratta di portare il lavoratore
dal livello ideologico al livello della teoria, della presa di
coscienza critica, reale, di come stanno le cose, e qui è necessaria
l’organizzazione.
Siccome
questa teoria, come ricordavo, ha da essere consapevole che deve
sottoporsi a cambi di forma in relazione a cambiamenti profondi della
situazione, allora si tratta di uno strumento estremamente delicato,
ma ancora più delicato è lo strumento partito che deve riuscire a
svolgere questa funzione. Delicato vuol dire che ogni forma di
irrigidimento del partito, ogni chiusura del partito, ogni perdita di
quella elasticità mentale per cui il partito si confronta in
continuazione con problemi di fondo dell’epoca – e dico
con i problemi di fondo, non con la cronaca -; vuol dire perdita
della capacità del partito di promuovere questa rivoluzione anti
ideologica nella classe e quindi con un colpo molto forte alla sua
funzione.
Ora,
qui capiamo anche una funzione importantissima. L’altra volta io
ricordavo la polemica che con Lenin fa il compagno Herman
Gorter, e uno dei temi era questo: tu Lenin sottolinei troppo il
ruolo del capo, mentre noi qui in occidente dobbiamo avere diffidenza
verso i capi. Gorter ha l’esperienza della grande socialdemocrazia
- che è arrivata fino al tradimento di appoggiare la guerra
imperialista -, dei grandi sindacati burocratizzati (quindi si
comprende la posizione di Gorter). Però in realtà il problema è
molto più di fondo. Voglio dire: Gorter vede la questione nei
termini: “dobbiamo riuscire a stabilire un rapporto tra capo e
base, in maniera tale che la base possa essere garantita rispetto al
capo”. Il problema che pone Lenin invece è molto più radicale,
perché appunto è il problema della trasformazione del proletariato
in classe dirigente, cioè il problema dello strumento per superare
l’ideologia spontanea del lavoratore e portarlo a livello della
coscienza critica teoricamente fondata. E questa non è un’operazione
che può avvenire affidandosi alla spontaneità di tanti lavoratori.
Questa è una trasformazione che può avvenire solo in modo
organizzato. Allora il problema del capo, cioè del partito, per
Lenin acquista uno spessore molto maggiore che nell’ottica di
Gorter, proprio perché ha presente questa necessità di
trasformazione. E perché Gorter non l’ha presente? Qui c’è una
questione di enorme importanza, cioè la questione della barbarie.
Voi
sapete che quella grande cosa che è il processo di costruzione della
scienza sociale moderna, che in sostanza si svolge a partire dal
‘700, individua questa contrapposizione tra barbarico e non
barbarico, ed è interessante che nel corso dell’800 questa
contrapposizione ha spesso assunto la forma del “barbarico cioè
premoderno; civile cioè moderno”. Volgarmente l’operazione che
in continuazione la televisione nostra fa quando vuol mostrare come
la barbarie stia fuori di casa nostra, in un doppio senso: 1) perché
sta in zone geografiche diverse dall’Europa, cioè c’è il sud
del mondo che è barbarico. Alcuni piangono perché è barbarico,
altri dicono: “ma quello son barbari”, però il nord è civile.
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Qualcuno
più di sinistra e dice: “no, ma il sud sta anche nel nord, quindi
viva il volontariato”. Perché il sud sono, non so, i froci, quelli
con una gamba sola ecc. Un momento. Lenin dice: “no, la
barbarie è prodotta dalla società
moderna. E’ il sistema capitalistico che sviluppandosi produce
barbarie, è il moderno che produce barbarie. Noi in Russia siamo
barbari perché orientali, ma attenti, voi siete barbari perché
occidentali”. Perché c’è una barbarie prodotta proprio dal
capitalismo, e qual è? La proletarizzazione spinta, l’aumento del
sottoproletariato, la perdita di dimensione morale della società,
l’appiattimento dell’uomo a uomo della strada sempre di più
privato di spessore e sempre di più demagogicamente indicato come il
sovrano: la democrazia è il regno dell’uomo comune, ma l’uomo
comune è quello il cui stipendio dipende dal datore di lavoro, la
cui informazione dipende da un proprietario dei giornali, di
televisioni ecc. ecc.; cioè è l’uomo sempre di più svuotato, a
cui si dice: “tu sei sovrano”, perché ogni tanto vai a mettere
una croce. Questa è la barbarie.
Lenin
dice: “guardate, questa barbarie voi avete, questa caduta verticale
di spessore morale della società capitalistica, questa distruzione
della famiglia, dei valori, dell’effettiva capacità, possibilità,
degli uomini di incidere nel determinare la loro vita quotidiana”.
Questa è barbarie.
Questo
significa appunto che ci sono due barbarie: una che viene dal
premoderno, e un’altra che viene dal moderno, e quando si sposano
le due è l’ira di dio. Allora, il compito del partito,
dell’organizzazione, diventa veramente un compito fondamentale
perché si tratta non solo di individuare questa barbarie, ma di
mostrarla questa barbarie a quell’uomo comune che è talmente
dentro la barbarie che non la vede più.
In
concreto, voi lo sapete perfettamente: noi abbiamo assistito per es.
in campagna elettorale, a tutti,
dico tutti, i rappresentanti dei
partiti che hanno indicato il modello americano; in qualunque
occasione.
Voi
sapete perfettamente che nell’opinione comune l’America è sempre
quel grande paese.
Recentemente
– non so se vi è capitato -, ma mi pare assolutamente incantevole:
a New Yosk si sono rotte delle condutture dell’acqua per cui si
sono allagati. La giornalista ha detto: “Come si sa in America è
tutto grandioso e anche quest’allagamento è stato grandioso”.
Capite?
Ecco,
si tratta invece di mostrare a quell’uomo che è abituato ai
modelli ideologici barbarici della società capitalistica, che sono
ideologici e barbarici. Quindi non solo il partito deve riuscire ad
individuarli ma deve farli vedere. E ovviamente questo a livello
delle grandi masse. Certo che si fa con la propaganda – poi ci
torniamo su che vuol dire propaganda per Lenin -, ma si fa con le
azioni, mettendo in movimento la gente. Ecco perché per il comunista
è fondamentale non l’azione parlamentare ma l’azione delle
masse: perché il lavoratore comprende attraverso l’esperienza
che fa.
Non
so se qualcuno un po’ più anziano c’è. All’inizio del ’67-’68
gli studenti dicevano, in piazza: “noi siamo il nuovo
proletariato”. Poi a via Cavour la polizia ci dette talmente tante
botte che gli studenti capirono che il proletariato è quello
vecchio, quello cioè che se scende in piazza rovescia le jeep. E
allora da quel momento si andò verso le fabbriche, si capì che non
è vero che “noi siamo il nuovo proletariato”: il proletariato è
quello vecchio. E’ la forza sociale che colpisce, anche
fisicamente.
Certo,
c’è una difficoltà quando Lenin e Gorter discutono. Ovviamente
prendo Lenin e Gorter come due modelli. Cioè voglio dire: non è
dubbio che Lenin ha si presente il grande scenario internazionale, ma
è russo anche. Come dire: poi deve tornare a casa e organizzare il
partito in Russia, e quindi l’arretratezza specificamente asiatica,
lui se la ritrova addosso.
Gorter
quando torna a casa torna in Olanda, in Germania, tutto un altro
ambiente.
Questo
comporta però nei fatti, un enorme processo - che mi pare che
finalmente qualcuno comincia a dire che c’è stato -: la
strategia dei bolscevichi è chiarissima perché è stata espressa da
Lenin, da Trotskij, da Bucharin, mille volte (perché questi erano i
grandi dirigenti bolscevichi).
La
linea era: rompiamo nell’anello più debole, questo provoca una
reazione sull’anello forte in Germania, vinciamo li, lo scettro del
comando passa all’operaio tedesco, e noi ci accodiamo alla
locomotiva germanica.
Ma
“cominciamo in Russia” che vuol dire? Vuol dire una cosa che
giustamente Gorter individua: “in Russia voi avete pochi operai,
poche fabbriche poco sviluppate, e una gran massa di contadini
affamati. Noi abbiamo in occidente una grande massa operaia”.
Questa è una differenza fondamentale, anche per le questioni che
poneva il compagno l’altra volta. Se la strategia dei bolscevichi
fosse andata in porto, le cose sarebbero andate in un'altra maniera,
ma una volta bloccata la cosa, cioè non avendo vinto noi in
Germania, ma avendo vinto i nazisti; e quindi essendo stata la
rivoluzione socialista confinata nell’arretrata Russia; voi capite
perfettamente che cambia tutto, anche a livello teorico, a livello
del modo di capire il marxismo, ma anche a livello
dell’organizzazione concreta del paese. Voi avete in mente il
grande impero zarista. Voi capite perfettamente che non è vero, è
un falso che il partito comunista potesse – attraverso il suo
Comitato Centrale –, controllare il paese. Non è vero. Nelle
singole regioni, repubbliche ecc., quei gruppi mafiosi tra
virgolette, che tradizionalmente avevano il potere, si sono imbucati
nel partito e hanno fatto la carriera. E in un paese arretrato,
circondato, minacciato militarmente, che deve darsi come obiettivo
primario quello di costruire cannoni, carri armati, trattori,
macchinari per produrre, e quindi far lavorare la gente dandogli poco
da mangiare; in una situazione del genere è ovvio che tu fai appello
a tutte le forze più evolute, anche quelle dell’avversario in
realtà. Come successe nella guerra civile, quando spesso ufficiali
zaristi vennero presi per guidare l’esercito. Ma anche l’ingegnere,
l’architetto: non puoi stare a guardare per il sottile. E allora
rimbarchi tutta la vecchia merda – espressione di Lenin.
E
allora è chiaro che cambiano le cose.
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Questa
è la realtà. E voi lo sapete che c’è una lotta furiosa: il
partito cerca in mille occasioni, anche con Stalin, di fare la lotta
contro la burocratizzazione, contro i gruppi che si approfittano, che
mangiano; diciamo contro le mafie. Ma non passi, e non passi per una
ragione di fondo: tu puoi passare se
operi un grande e formidabile balzo tecnologico in avanti. Perché –
ovviamente – la nuova disponibilità di strumenti tecnologici in
una situazione di mancanza della proprietà privata, di proprietà
sociale ecc., incentiva l’attività delle masse, di uso collettivo
delle cose. Siccome contemporaneamente il partito sovietico ha fatto
un lavoro enorme di elevamento culturale, crei le possibilità per
una gestione effettivamente democratica, ma non lo puoi fare. Perché
devi costruire i carri armati, perché gli imperialisti – con la
complicità della chiesa (voi ricordate quando venne fuori la
faccenda di Gladio, fecero finta di scoprire Gladio), e una delle
cose che fecero finta di scoprire fu questa che in Polonia le
parrocchie erano deposito anche di armi per i gruppi
controrivoluzionari. In una situazione del genere è chiaro che il
processo di sviluppo non va avanti, e tutto
subisce una torsione in senso autoritario e burocratico, anche a
livello teorico, cioè della concezione del marxismo.
Questo
mi serve per arrivare a dire una cosa: è chiaro che se il partito –
come dice Lenin – ha quella funzione di organizzatore, anche nel
senso del cambiamento della coscienza del proletariato portandola dal
livello ideologico a livello della coscienza critica, e se è vero
che tutto questo è radicalmente antidogmatico perché deve sapere
che il marxismo stesso può modificare la propria forma in relazione
a cambiamenti importanti, allora voi capite che il tema
“interpretazione del marxismo” diventa un tema centrale.
Di
nuovo: quando uno dice “interpretazione del marxismo” può essere
equivocato. Uno si immagina che due persone si mettono a discutere:
“che vuol dire questa parola, che vuol dire quest’altra” ecc.,
che è un attività fondamentale, perché, compagni, noi dobbiamo
dire con molta franchezza: Lenin e Marx sono fra gli autori meno
letti. Sarebbe molto bello se si passasse un po’ di tempo a
leggerli e a capire che dicono.
Sempre
in televisione, qualche tempo fa un direttore, non mi ricordo di
quale rete, denunciava i crimini operati da Lenin negli anni ’30.
Lenin è morto negli anni ’20 come è noto.
Ora,
io non lo so bene però, se lui facesse un inchiesta tra i compagni,
che risultati ci sarebbero intorno a queste cose.
Comunque
l’interpretazione del marxismo è qualcosa di molto più di fondo.
Perché in realtà che vuol dire interpretare il marxismo? Vuol dire
mettere l’opera di Marx, di Engels, di Lenin, a confronto con la
problematica che noi viviamo. E’ chiaro?
Quindi
aiutarci con l’opera loro per capirla meglio, ma
contemporaneamente, sulla base dei nostri problemi porre domande a
loro, e vedere se rispondono. Allora, nell’interpretare, in realtà,
badate, non si interpreta solo il testo di Marx, ma si interpreta la
realtà contemporanea.
Io
devo avere chiaro che problema ho per poter andare a interrogare
Marx. Allora vedete che l’interpretazione del marxismo implica, di
nuovo, un soggetto collettivo, perché è ovvio che non è
un’operazione che può fare un singolo. Ogni singolo da il suo
contributo, ma un soggetto collettivo, il partito, che deve avere
questa doppia agilità, questo continuo ancoraggio alla conoscenza
della realtà presente nei livelli di fondo, non in superficie.
Voi
avete visto che Veltroni sa tutto dei film, dei fumetti. Giusto. Lui
deve sapere tutto dei film e dei fumetti. Casomai di fisica no, però
lui dei film e dei fumetti deve sapere tutto, è chiaro. Questa è la
vecchia merda.
Il
Partito Comunista è un’altra cosa da un lato, e dall’altro lato
deve conoscerlo il marxismo; perché allora si scopre che Marx
non ha finito nessun lavoro, che Marx non ha mai terminato un lavoro.
Ha avviato una ricerca. Appunto,
marxismo dogmatico è una contraddizione nei termini. Leninismo
dogmatico è una contraddizione nei termini, perché si tratta di
spinte forti verso la ricerca in un certo modo che vengono date da
Marx e da Engels; ma sono spinte verso la ricerca. E allora ci vuole
un partito, voi capite bene che il partito diventa una cosa
estremamente importante, perché è il luogo in cui le competenze di
ogni singolo si confrontano con le competenze degli altri e insieme,
si arriva.
Però
bisogna sapere che, appunto, c’è una barbarie promossa dalla
società moderna. […]
6/10
[…]Il
telegiornale sceglie non solo le notizie, ma il modo di darle per i
quotidiani. Tutti. Allora il sospetto: ma vuoi vedere che molte volte
noi finiamo per considerare come problema attuale quello che la
televisione ha deciso che sia attuale?
Qualche
mese fa ci fu a Ginevra una conferenza internazionale, anche con i
compagni cubani, organizzata dall’ONU, sulla situazione delle
telecomunicazioni nel mondo. La stragrande maggioranza, oltre il 90%
delle notizie sono proprietà monopolistica degli Stati Uniti.
Cioè
in realtà, attenti: non è che per caso noi prendiamo per attualità
quello che gli Stati Uniti attraverso la televisione e i vari
giornali stabiliscono che sia l’attualità? Siamo proprio convinti
che quei problemi che ognuno di noi, se venisse interrogato,
indicherebbe come i problemi tipici dell’oggi, invece sono
messaggio ideologico trasmessogli? Mi fermo qui sennò faccio il
provocatore.
La
coscienza critica vuol dire questo: non prendiamo per buono nulla,
andiamo a controllare.
Per
es. questo mi pare un tema importante, anzi, due temi importanti.
Lenin
dice (allora i partiti si chiamavano socialdemocratico): “La
socialdemocrazia non si lega le mani, non restringe la propria
attività con un piano o procedimento di lotta politica prefissato,
essa ammette tutti i tipi di lotta purché corrispondano alle forze
reali del partito. Se non c’è una salda organizzazione esperta
nella lotta politica in ogni momento e circostanza, non si può
neppure parlare di quel piano sistematico di azione, illuminato da
principi fermi e rigorosamente applicati, che è l’unico a meritare
il nome di tattica”.
Allora
la tattica per Lenin è un piano sistematico di azione,
illuminato da principi fermi e rigorosamente applicati.
Cos’è
che mi interessa qua? Il problema non è mai: “dobbiamo o non
dobbiamo fare una politica di alleanze?”. E’ ovvio che la
dobbiamo fare. Oppure “dobbiamo o non dobbiamo articolare
tatticamente l’obiettivo strategico?” E’ ovvio che lo dobbiamo
fare. Unità, forme di alleanze, chiaramente con quello più vicino a
te, ma anche con quello che è più lontano da te se c’è un
motivo. Ma – dice Lenin – tutto questo deve chiaramente
corrispondere a due preoccupazioni:
1)
quali sono le forze effettive del partito (non posso pormi obiettivi
superiori a quelli che posso gestire)
2)
la tattica deve essere orientata verso l’obiettivo strategico.
Voi
capite allora che un partito comunista non può essere vago sugli
obiettivi strategici perché sennò non può fare tattica. Il
comunista deve sapere dove vuole andare a parare, allora può
fare tattica. L’esigenza sulla chiarezza dei principi non è in
contrapposizione alla tattica, ma è la garanzia per poter fare la
tattica.
La
tattica senza principi? Non è un comunista che ha un’altra
opinione intorno alla tattica, è un socialdemocratico nel senso
volgare, non nel senso in cui il partito di Lenin è un partito
socialdemocratico.
Secondo, questo mi pare assolutamente formidabile: in sostanza, contro
l’orientamento marxista che diceva: “si la tattica, ma se sono
chiari i principi” oppure: “si al movimento di massa, ma
orientato alla trasformazione della massa in classe dirigente; si le
riforme, ma in funzione del progetto rivoluzionario”. Questo
dicevano i comunisti. Gli spontaneisti, scrivevano cose di questo
genere: è auspicabile la lotta che è possibile, è possibile è la
lotta che si svolge nel momento dato. Ecco, questa è una pennellata
perché per es. nel ’68 noi queste cose ce le siamo sentite dire
mille volte dentro il movimento. Cioè, quelli che si presentano come
persone non astratte, non dottrinari ma uomini pratici, che dicono:
“i comunisti sono stati dentro le lotte”. Tu chiedi: “quali
lotte?”. “Ma, quelle che ci sono”. E no. Perché no? Perché
noi dobbiamo sempre capire che c’è una differenza tra ideologia e
coscienza critica. Non è vero che una lotta, per il fatto che c’è,
vada appoggiata. Non è vero che una lotta, per il fatto che c’è,
è positiva. Voi sapete che grandi manifestazioni di massa hanno
fatto cadere regimi socialisti. Grandi manifestazioni di massa hanno
appoggiato Hitler. Grandi manifestazioni di massa, pressoché ogni
settimana, avvengono intorno al Papa.
Allora
il problema è un altro. Il problema è quello – torniamo alla
teoria – di capire dove sono i nodi della società contemporanea,
dove sono i punti su cui attaccare e e su cui provocare i movimenti
di massa. E quando un movimento di massa nasce, la funzione dei
comunisti è cercare di ricondurla a quei punti nodali che
l’analisi critica ha mostrato. Sennò c’è un atteggiamento di
sudditanza verso gli umori delle masse. Ma le masse non sono la
classe, ma sono prodotto della manipolazione borghese.
Questa
linea che descrivevo, Lenin la commenta in questo modo: questa è
appunto la tendenza del più illimitato opportunismo che si adatta
passivamente alla spontaneità.
Ora
è interessante che questi altri marxisti, all’interno del partito
socialdemocratico, del movimento operaio, rivendicavano la libertà
di critica.
Cioè,
il discorso era questo: Lenin e gli altri dottrinari sono come Che
Guevara, sono intolleranti e autoritari e non accettano la libertà
di critica. Qui tenete presente alcune cose divertenti: nel 1899, il
marxismo è in crisi, quindi libertà di critica, contro questi
marxisti dogmatici che continuano a rompere le scatole con il
marxismo, quando, nel 1899, ormai è da tempo in crisi. Quindi:
libertà di critica. Dice Lenin: “la
famigerata libertà di critica significa non la sostituzione di una
teoria con un’altra”. Il discorso è questo,
poniamo: io credo che lo spazio abbia tre dimensioni e che la
geometria quindi debba essere fondata su questo postulato.
Lobacevskij dice: “no, è pensabile uno spazio ad n. dimensioni e
quindi è possibile un’altra geometria”. Quindi c’è una lotta
tra noi. Lui non si limita a chiedere la libertà di critica, cioè
alla possibilità di pubblicare il suo libro, ma vuole che la sua
geometria ad n. dimensioni venga riconosciuta come scientificamente
valida.
Dice
Lenin: “la famigerata libertà di critica
significa non la sostituzione di una teoria con un’altra”,
cioè, questi che chiedono la libertà di critica in realtà non
hanno idee, perché se avessero idee farebbero come Lobacevskij.
7/10
Direbbero
che la vecchia geometria va sostituita con questa nuova
geometria. Va sostituita, perché
questa è scientificamente più valida. “La
famigerata libertà di critica significa –
continua Lenin – la libertà da ogni teoria totale
e meditata, significa eclettismo e assenza di principi”.
Gesù ma lui sta descrivendo la stampa di sinistra oggi compagni, è
chiaro no? Che cos’è l’ideologia attuale della sinistra, se non
mettere insieme pezzi di qua e di là? Un po’ di questo, un po’
di quello, anche un po’ di Marx qualche volta. Questa è la libertà
di critica. E badate che questo noi lo registriamo molto bene, per
es. in “basta componenti della cultura nord americana”. Quella
che – in buona sostanza – sottolinea il carattere funzionale e
strumentale della scienza, cioè la scienza come quella capacità di
elaborare strumenti che si rivelano utili pragmaticamente.
Questa
concezione della scienza significa: la scienza non è vero che
conosce, quindi non è vero che le cose stanno così e così come la
scienza dice, ma la scienza produce semplicemente degli strumenti che
si rivelano utili. Voi capite che se la scienza non conosce, allora
rispunta la religione, non c’è dubbio.
Se
la scienza non conosce, se la ragione non conosce, allora il rapporto
con la realtà io ce l’ho per via non razionale: per via della
fede.
E’
esattamente lo stesso discorso della tolleranza, del rispetto della
diversità. Perché il rispetto della diversità? Ma perché nulla è
vero, e non essendo nulla vero, allora tutto va rispettato.
La
scelta morale è un fatto individuale, il che significa: nessuna
scelta morale è vera, perché se fosse vera dovrebbe combattere
contro la scelta morale sbagliata. Siccome nessuna scelta morale è
vera allora ognuno deve poter fare quello che vuole, il che
significa: ho svilito la morale a scelta, a propensione individuale,
ad arbitrio, a passione mia: mi piace questo.
Quante
volte si sente in televisione, sul manifesto: io faccio questa cosa
perché mi diverto. Può essere l’azione politica, il fisico,
l’architetto: lo faccio perché mi diverto. Un momento … voi
vedete, la serietà dell’impegno di chi dice: “questa teoria è
vera e mi batto per questa”, viene tolta e sostituita dalla
concezione per cui le teorie sono solamente fatti astratti che in
sostanza al massimo producono strumenti utili. Per il resto ci sono
le scelte emozionali, le propensioni emozionali: tu ti droghi? Beh, è
un tuo diritto.
E
invece la logica è un’altra: l’impegno è a costruire quella
teoria che dice come stanno le cose, per cui mi batto. Questa teoria
non è un fatto individuale, è un fatto collettivo, di
organizzazione, di processo storico; lo stesso comunismo è pensato
come processo di costruzione di una cultura nuova, cioè qui si
sceglie.
Non
si hanno coperte fatte da tanti pezzi, qui si ha un pezzo.
INTERVENTO...
Questo
è un posacenere. Questo è verissimo no? Voglio dire – sto citando
Lenin – c’è un sacco di gente che si riempie la bocca con il
problema della verità, della verità assoluta. Questa è una verità
assoluta: questo è un posacenere.
8/10
Il
compagno prima diceva una cosa assolutamente sacrosanta: la nuova
sinistra è cresciuta su questa idea: non è possibile conoscere la
verità. Discorso da prete. Non è possibile conoscere la verità
dunque la via d’uscita è
l’emozione, il vissuto, il sentimento, il credere, la droga, il
papa, ecc. ecc.
Noi
diciamo semplicemente: è possibile conoscere la verità; questo è
un posacenere.
Il
problema è capire una cosa molto semplice: che la verità è una
cosa molto modesta. Cioè noi abbiamo i problemi, abbiamo la
possibilità di capire come sono fatti questi problemi, e quali sono
i modi per risolverli. Questa è la partita. Chi dice “non è
possibile conoscere la verità”, vuol dire una sola cosa: “la
disoccupazione non dipende dalla ricerca di profitto del capitalismo.
Chi dice questo è dogmatico. Bisogna capire che la verità non può
essere conosciuta”. E no qui la verità è molto semplice: la
disoccupazione dipende dall’interesse del profitto. “No, perché
non posso conoscere la verità, se tu dici questo sei dogmatico e
riduttivo”. Questo è il senso della faccenda. Su questo è
cresciuta la nuova sinistra. Quale verità gli è crollata? La verità
lotta operaia per il socialismo. “Noi siamo il nuovo proletariato”.
Non è vero.
Ovviamente,
se uno vuole imbrogliare e vuole parlare della verità come la
risposta all’enigma di ogni tempo, di ogni luogo, di ogni problema;
quella formula che mi spiega tutto e sempre, questa è una balla. Non
esiste una verità del genere. La verità è una cosa molto semplice:
questo è un posacenere. Oppure: la disoccupazione dipende dalla
caduta del tasso medio del profitto.
Una
cosa molto semplice è questa per es. : il PDS è un partito della
borghesia che riuscirà, o che tenterà, di portare ai danni del
proletariato, una politica che se la faceva Berlusconi non passava.
Quale
politica? L’hanno detto. Lo dice La Stampa,
lo dice Il Sole 24 Ore. Queste
sono verità assolute. Semplice semplice.
La
nuova sinistra è nata sulla tesi “non è possibile conoscere la
verità”. Quante componenti religiose, americane, ideologiche, sono
confluite nella nuova sinistra. Easy Rider mica me lo sono inventato
io. Kerouac non me lo sono inventato io. La nuova sinistra è
riuscita in quell’operazione in cui la borghesia non era mai
riuscita, cioè di distruggere il partito comunista. Vedete come la
verità si conosce? L’obiettivo di fondo “distruggiamo il PC”,
il padrone è riuscito a raggiungerlo. E come l’ha individuata bene
la verità! E noi diciamo: “non è possibile conoscere la verità”,
e intanto quelli mazzolano però.
La
disoccupazione cresce. L’Europa si avvia a una recessione. Dati
ufficiali. E’ formidabile: “Anche l’Africa oggi ha i suoi paesi
tigre”, nel senso di sviluppo economico. Sapete quali sono? Quelli
che danno a prezzi stracciati le materie prime, per i paesi europei
che producono perché possono esportare in altre zone. Questi sono i
paesi marcianti dell’Africa.
Però
succede che il mercato non assorbe. Mano a mano assorbe di meno,
anche perché per es. i coreani cominciano a vendere in Europa.
Allora vedete, la verità non si può conoscere, però i padroni
hanno capito che in questa situazione bisogna tagliare i salari,
tagliare l’occupazione, dire “basta con questa rigidità dei
contratti di lavoro”. Vedete come è facile capire la verità, se
capiamo di che stiamo parlando?
Certo,
se per verità io intendo la chiave che risolve l’enigma universale
in ogni tempo e in ogni luogo, quella è un’invenzione e nessuno
mai la può conoscere ovviamente.
Per
es.: “noi dobbiamo partire dalle vie nazionali” è sbagliato.
Questo è facile capire che è sbagliato. E l’ha dimostrato il
compagno stesso. Lui ricordava la tesi per cui lo sviluppo del
capitalismo va avanti attraverso squilibri: tassi diversi, ritmi
diversi di sviluppo, fasi diverse di sviluppo ecc.
Il
sistema mondiale avanza non omogeneo ma per contraddizioni interne.
Il che significa semplicemente che la situazione nazionale è un
fattore interno a quest’evoluzione contraddittoria del sistema,
allora io devo partire dall’evoluzione contraddittoria del sistema,
capendo come nel contesto in cui io mi muovo, si applica la linea
comunista. Cioè non debbo partire dalle vie nazionali, ma debbo
partire dal sistema; e allora la risposta alla domanda che faceva la
compagna.
Li
Lenin dice una cosa che è questa: la tesi di Martynov e gli
altri era, in buona sostanza: tu non puoi andare a porre agli operai
obiettivi politici, democratici; perché questi capiscono solo la
faccenda del mangiare. Lenin gli risponde: guarda che questa è la
politica che fanno i sindacati burocratizzati nei paesi capitalisti.
Siccome l’obiettivo nostro è quello di avere un cambio di classe
dirigente, noi dobbiamo, come dire, aggredire la classe operaia,
facendogli vedere in tutti gli aspetti lo sfruttamento capitalistico
e le conseguenze. Certo, lo sfruttamento nel luogo di lavoro, ma
anche le minacce di guerra, le forme di oppressione – ricordati –
quale che sia la classe che viene minacciata. Cioè far capire
all’operaio che la lotta contro il padrone fa tutt’uno con la
lotta per la libertà, per la democrazia, perché il regime
capitalistico non è quel padrone,
ma quel padrone è un’articolazione di un sistema, il quale invade
il piano economico, sociale, culturale ecc.
Quello
non riesce a trovare posto in ospedale e muore sull’autoambulanza.
Noi oggi al massimo tiriamo fuori allora un incentivo al
volontariato. E invece no, un partito comunista che cosa fa? Spiega:
guardate che questo succede perché c’è il capitalismo.
Voi
avete visto questa vicenda incredibile degli Stati Uniti, cioè
quest’aereo che è precipitato. La televisione è riuscita persino
a dire questo: che la colpa dipende dal fatto che queste società
aeree, per abbassare i costi, e quindi avere più gente, si servono
di aerei fetenti. E’ quella stessa televisione che dice:
“liberalizziamo, viva il mercato, privatizziamo”; cioè che non
generalizza e non invita a generalizzare.
Lenin
dice: tu devi far generalizzare all’operaio, devi fargli capire, in
essi, le connessioni tra vicenda economica, sociale, culturale ecc.,
e quindi aggredirlo in ogni modo per svegliare una coscienza
complessiva.
Il
che non significa che non lo mobiliti con l’obiettivo economico, ma
gli devi far vedere la concatenazione delle cose, perché appunto
l’obiettivo è che divenga classe
dirigente.
Sulla
faccenda del “più attaccati all’oggi”, io qui francamente ho
delle esitazioni, voglio dire che io temo fortissimamente quel
fenomeno che avviene molto spesso: un gruppo di compagni si riunisce
e allora fa gruppo. No. Noi siamo alcuni compagni che insieme fanno
un lavoro. La presenza politica, la coscienza politica, la
consapevolezza politica, implica molto di più. Vedrei molto male se
queste nostre riunioni diventassero un po’ il luogo in cui noi
tiriamo fuori le nostre ricette. No. Cerchiamo di fare una cosa
modesta, cioè cerchiamo di leggere questi testi e di ragionarci
sopra. Poi ognuno di noi fa le sue esperienza politiche ecc.
9/10
A me
sembrava importante quanto diceva il compagno l’altra volta, quando
poneva questo problema – io l’ho capita così: data la situazione
politica primordiale, in sostanza che senso ha fare un’iniziativa
su testi di Lenin, cioè su testi di un autore chiaramente legato ad
un mondo profondamente diverso da quello in cui ci troviamo noi oggi.
A me
sembra che questo sia un tema gravissimo, però mi dovete consentire
di fare alcune osservazioni, e cioè:
1)attenti che Lenin non nasce in un clima rivoluzionario, e non è
vero che in mancanza di un clima rivoluzionario allora … No, questo
sarebbe spontaneismo. Sarebbe arrendersi a come stanno le cose. Le
cose possono anche cambiare con l’azione organizzata e cosciente
dei lavoratori.
2) è
verissimo: Lenin non ha dato la risposta ai problemi. Lenin ha
fornito delle risposte a dei problemi che si ponevano a loro in quei
tempi.
Noi
ci troviamo in un mondo diverso, per molti aspetti – che bisognerà
una volta o l’altra riuscire a precisare però, perché poi è
diverso ma non tanto, non del tutto – e abbiamo altri problemi a
cui dobbiamo dare altre risposte. Questo è compito nostro non di
Lenin. Qui ha ragione il compagno. Appunto, Lenin non è un pozzo da
cui ricaviamo la verità, nel senso che la verità è una cosa
semplicissima: questo è un posacenere. Però bisogna andarlo a
vedere, e io devo pronunciarmi sull’oggetto che ho di fronte. Lenin
ne aveva un altro per certi aspetti, io ho questo, e qui mi devo
pronunciare. Qui sono io che mi devo pronunciare, non Lenin. Qui
ovviamente Lenin non può essere in nessun modo una scusa per
continuare a rinunciare all’uso del cervello. Questa non è
un’osservazione banale perché voi sapete quanti sono, un numero
incredibile esistono di gruppi leninisti, che tutto fanno tranne che
ragionare. Non si capisce come si fa ad essere leninisti se uno non
si applica a comprendere come stanno le cose oggi.
INTERVENTO...
Io
credo che nella riunione succede che uno dice “il ‘68”. Però
in realtà è un processo estremamente complesso, che si distingue
anche in fasi, e credo che un momento fondamentale ’67-’68 -
morte di Che Guevara, chiusura della guerra in Vietnam, prolungarsi
stanco della rivoluzione culturale che fa sempre la rivoluzione e non
arriva mai a nulla, ingresso dei sindacati che riescono a prendere la
parola del consiglio a diretto contatto con l’operaio, e cioè
trasformano i comitati unitari di base nel consiglio dei delegati -,
tutto questo segna un cambiamento, da un movimento che nasce sulla
base di una contraddizione profonda e radicale della società
capitalistica che si è evoluta più delle sue strutture sociali, e
che ha creato uno scontro radicale con settori larghi di piccola
borghesia. Concretamente: lo studente che non ha la prospettiva di
lavoro adeguato alla propria qualifica, lo studente che non ha
neanche ben chiara la prospettiva lavorativa, di una massa di
intellettuali sottoimpiegati rispetto alle grandi conquiste operate
dalla scienza; e dall’altro lato dei sindacati che sono indietro
rispetto all’evoluzione tecnologica e di organizzazione del lavoro;
tutto questo ha creato un clima internazionale in cui c’è la lotta
armata in latinoamerica, in cui c’è il Vietnam. Tutto questo ha
creato un grande movimento di lotta, a cui mi piace dire che ho
partecipato, e ha creato una grande realtà di lotta estremamente
importante. Dentro, già all’inizio però, era chiaro che c’erano
delle componenti equivoche, sul piano ideologico, di origine
cristiana, di origine americana, i figli dei fiori, la droga comincia
a serpeggiare, e tutte queste cose qua.
Mano
a mano che si chiude il fronte rivoluzionario internazionale (muore
Che Guevara, si chiude la guerra in Vietnam ecc. ecc.), tu vedi che
questa ala piccolo borghese, radicale, stanca, irrazionalistica,
diventa il tono dominante. E allora succede che verifichi quel
fenomeno curioso, che quel ragazzotto che fino a ieri stava in piazza
nel movimento, poi te lo ritrovi giornalista del’Unità,
oppure te lo ritrovi nel PSI; allora si toglie quella contraddizione
che tu dicevi. In effetti, mano a mano che è andata perdendo la
collocazione di classe, è emersa la prospettiva piccolo borghese e
poi si è imbucata. Una delle esperienze più agghiaccianti è
questa: quei compagni che fino a ieri erano dirigenti del movimento
di lotta, una volta laureati e trovato lavoro, tu te li sei persi. Ma
proprio, dall’oggi al domani.
Ecco,
questo però, all’interno di una caduta del clima rivoluzionario
internazionale.
Io
non credo che il PDS oggi sia la continuazione del vecchio PC, anche
se il vecchio PC sicuramente aveva una politica di tipo
socialdemocratico. Però sai, una politica di tipo socialdemocratico
all’interno di un mondo caratterizzato dall’esistenza dei due
mondi ha un senso.
In
più tieni conto che il Pc operava in una situazione di crescita
economica. Voglio dire che il ricatto della disoccupazione sulla
classe operaia, non aveva quel ruolo massiccio che ha oggi. Oggi il
lavoratore è spaventato, ha paura. Sulla paura dell’operaio, il
crollo del mondo dell’est, il PDS fa una politica che è la
scimmiottatura della politica del PC. Infatti tu vedi che non riesce
ad esprimere grandi personaggi … Amendola, Berlinguer, erano
socialdemocratici è chiaro, però erano grossi personaggi. Alicata.
Erano grossi personaggi. Oggi hanno Veltroni. E non è un caso. Cioè
quest’immiserirsi, fa si che il rapporto con la storia del PC è
rotto. E’ restata la piccola furbizia di D’Alema che fa dire a
quell’altro imbroglione di Violante qualche cosa per cui i fascisti
se li tiene buoni perché così fa l’alleanza contro Bossi.
D’altra
parte questa storia non termina con il PDS. Certo, Rifondazione non è
chiarissima come forza politica. E forse qualche legame con quella
nuova sinistra ce l’ha.
10/10
Come
anche ha qualche legame con quel vecchio PC burocratico.
Su
una cosa tutte queste componenti erano d’accordo: il marxismo non
si studia.
INTERVENTO
Longo
a un certo momento scrisse un libretto, in cui dava come obiettivo ai
comunisti, quello di assicurare ai padroni l’equo profitto.
Ovviamente scandalizzando tutti a sinistra, però, che questo lo dica
Longo, segretario del PCI, esistendo l’Unione Sovietica, ecc. ecc.;
è la continuazione di una linea politica che cerca di disaggregare
l’avversario di classe, di stabilire un tipo di alleanza che
indebolisca l’avversario di classe, all’interno di un movimento
che cresce. Potrà essere una parola d’ordine sbagliata, quello che
ti pare, però questo è lo sfondo.
Quando
D’Alema dice: “vai Longo a prendere ordini dal capitale
finanziario, lui non ha un retroterra, obiettivamente. Cioè non c’è
un mondo socialista che contrasti il mondo capitalista, quindi lui è
consegnato mani e piedi legati.
Tu
sai che, appunto, noi dobbiamo scoprire dalla stampa borghese che
intanto hanno imbucato Spaventa, che è uno degli economisti più
infami, cioè questo dice “Uccidete gli operai e lo Stato”,
portato dal PDS.
Voglio
dire che loro si trovano mani e piedi legati di fronte al nemico
perché non c’è un movimento. Amendola poteva anche dire cose di
destra, ma dietro c’era un movimento. E quando si batteva per le
riforme di struttura, lui diceva: “Però otteniamole con il
movimento di massa”. Il che cambia perché il protagonismo operaio
non piace mai al padrone. Cambia qualcosa. Ed in più c’è l’Unione
Sovietica. Io credo che – allora non ero affatto d’accordo con
questa linea, quindi non la sto difendendo – un comunista di
destra, un socialdemocratico rigoroso, è un’altra cosa rispetto a
questi.
Qui
è la miseria. Per questo io dicevo “Attenti che tra fine ‘800 e
inizio ‘900 c’è una forte elaborazione marxista, spesso anche di
destra, socialdemocratica: Kautsky, Plechanov, Otto Bauer ecc.; ma
questa era gente solida, ed è fondamentale riprenderli in
mano per capire che i marxisti non sono questa pappetta che noi
abbiamo intorno capisci?
INTERVENTO:
SUI FALSI OBIETTIVI DATI DAI MASS-MEDIA
Questa
è un’operazione chiarissima che, quando da parte padronale e
sindacale si dice “centralità del problema del lavoro”, è un
modo per far passare il taglio degli orari, il taglio dello
stipendio, la flessibilità. Infatti tu hai visto che Bertinotti
cerca di dire: “Lavoro e salario insieme”. Se fosse possibile
intervenire su questioni politiche uno potrebbe anche osservare che
lavoro e salario assieme, se tu non ci metti il controllo operaio è
sempre una fregatura.
Perché
se tu non metti mano nei tempi e nei modi dell’introduzione
dell’innovazione tecnologica, tu hai un organizzazione del lavoro
che ti sfugge completamente dalle mani, e a parità di salario e
riduzione di lavoro tu fornisci più plusvalore e quindi di fatto
prendi di meno.
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