domenica 31 maggio 2020

LENIN - CENTRALITA' DELLA TEORIA (1996) - Stefano Garroni

Da: mirkobe79 - Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni.

Qui la registrazione audio dell'incontro: https://www.youtube.com/watch?v=Rja2jXmcPUs&list=PL921DB5CE566485CA&index=8                                                                            
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Lenin insiste molto nel sottolineare la centralità del settore teorico come settore di lotta, e buona parte della polemica che fa contro altre organizzazioni della sinistra russa, quelle che lui definisce spontaneiste, è fortemente centrata proprio su questo tema del ruolo della lotta teorica. 

Senza dubbio questo che dice Lenin è legato a una situazione specifica che lui ha di fronte in Russia; però sicuramente ha un significato assai più generale, e noi possiamo affrontare il tema sganciandolo dai riferimenti puntuali alla situazione russa. Perché qui si tratta appunto di una presa di posizione intorno al senso della lotta del proletariato rivoluzionario, per l’organizzazione politica del proletariato rivoluzionario. 

E incontriamo subito una questione di notevole rilievo che mi pare accennavamo al nostro primo incontro: Lenin sottolinea come grandi marxisti come Kautsky, come Otto Bauer, come Plechanov ecc.. - qui apro una parentesi: è estremamente importante ricordare che tra fine ‘800 e inizio ‘900, c’è una serie di personaggi di grandissimo rilievo culturale e politico, del movimento operaio, che si richiamano direttamente al marxismo, che sono insegnati nell’organizzazione politica del proletariato, di cui onestamente, generalmente si ignora tutto. Voglio dire: personaggi come Max Adler, come Otto Bauer, come lo stesso Kautsky, (che ovviamente è persona nota come nome - però credo che a un’inchiesta risulterebbe che difficilmente è stato letto un rigo di Kautsky) , Hilferding, la Luxemburg; rappresentano tutti un ambiente culturale e politico di enorme statura. E se noi oggi rileggiamo le cose loro, vediamo che loro hanno discusso i problemi di cui noi ora discutiamo. Voglio dire che un obiettivo importante sarebbe proprio quello di recuperare questa cultura del movimento operaio e marxista, e in particolare quella prodotta dall’ambiente europeo, prevalentemente si tratta di letteratura in lingua tedesca perché anche la Luxemburg ovviamente non scriveva in polacco perché sennò non la leggeva nessuno e scriveva in tedesco. Chiusa la parentesi -. Lenin sottolinea come questi grandi marxisti, tuttavia, a un certo punto non si erano più riusciti a dare un’indicazione politica adeguata perché non si sono resi conto del fatto che i problemi fondamentali della lotta di classe avevano cambiato di forma, e che quindi era necessario operare analoghe e corrispondenti mutamenti di forma tattica per poter rispondere alla situazione data. 

Io insisto su questa questione del mutamento di forma, perché è un tema che noi troviamo molto in Marx e in Engels, cioè il tema secondo cui il marxismo è sottoposto a mutamenti di forma in corrispondenza di mutamenti profondi al livello dell’organizzazione economica, della situazione politica, degli sviluppi culturali, scientifici ecc. Il che ci dice che: primo, è una contraddizione in termini “dogmatismo marxista”, nel senso che il marxismo è necessariamente sottoposto alla necessità di una modifica di forma nel momento in cui avvengono mutamenti di rilievo a livello politico economico scientifico ecc. Ma non dobbiamo cadere nell’equivoco: “mutamenti di forma”, detta così sembra come se tu cambiassi la carta, ma la caramella è sempre quella. No, qui stiamo attenti, che si tratta di gente che usa il tedesco, e in tedesco form, non è l’analogo del superficiale, di ciò che appare. Voi sapete per es. che esiste una psicologia che studia il modo di presentarsi delle cose e delle esperienze e questa si chiama la psicologia gestaltica, perché “forma” nel senso del modo di presentarsi; semplicemente del modo di presentarsi empirico delle cose, in tedesco è “gestalt”, non è “form”. Form indica invece le strutture razionali di fondo. Per es. immaginate due espressioni matematiche, due equazioni, una con un’incognita e un’altra con n. incognite. Qui c’è un cambiamento di forma dei due tipi di espressione e capite che non si tratta di una faccenda superficiale ma si tratta di una modifica al livello delle strutture razionali profonde.

Questo vuol dire cambiamento di forma a cui il marxismo deve andare incontro in relazione a mutamenti a livello politico, sociale, culturale, scientifico ecc. Per questo il senso che il marxismo è sottoposto alla necessità di modifiche di forma, ha il ruolo di testimoniare la vocazione antidogmatica del marxismo. Perché si tratta di mettere in questione le strutture stesse della razionalità marxista. Detta in soldoni: se uno dice “dialettica marxista” e ha intenzione di dire una certa forma razionale che è quella, punto e basta, sbaglia. Perché questa forma ha da adeguarsi a mutamenti sostanziali quando questi mutamenti avvengono. 

E questo vale anche a livello politico. Si potrebbe fare questo esempio: è chiaro che molte volte, anche nella storia del PC, nella discussione concreta nel PC, molte volte i termini dei contrasti erano questi: fare o non fare una politica di alleanze. Mai la discussione di fatto è in questi termini. Generalmente chi accusa gli altri di non voler una politica di alleanze è un’imbroglione. Nel senso che il dibattito è sempre del TIPO di alleanze. Voglio dire: in questione non è il punto generale “i comunisti hanno o non hanno da fare una politica di alleanze”. Questa è aria fritta, lo sanno tutti, è ovvio. Il problema è il tipo di alleanza, cioè quale forma determinata la politica di alleanze deve assumere. E’ li che nascono effettivamente i dissensi. Generalmente è successo nella storia anche del partito comunista che quando il dissenso era in realtà: “con chi ci alleiamo?”, veniva presentato dalla maggioranza come “noi siamo per l’alleanza e voi siete settari e non volete le alleanze”. No. Il problema è: entriamo dentro, nel merito, allora andiamo a vedere che forma precisa assume il problema delle alleanze.


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Per questo dicevo “forma” è qualcosa che ha a che fare con la struttura razionale. E’ chiaro che quando io entro nel merito della politica di alleanze, e quindi dico: “Propongo questo tipo di alleanza e non un altro”, allora debbo sostanziare la proposta da un’analisi economica, sociale, devo dire i processi economici sono questi, hanno queste ripercussioni sugli strati sociali, questi strati possono avere questi interessi; cioè devo entrare nel merito. E allora la forma che assume la politica delle alleanze è strettamente legata al tipo di analisi che faccio della realtà sociale, economica, politica. Per questo dico: è sempre un imbroglione quello che dice “tu non vuoi le alleanze”, non è così. Il problema è sempre che tipo di alleanze, con chi; cioè quale analisi della realtà si fa. 

Lo stesso ovviamente vale per il tema teoria. Perché appunto, siccome la questione non è mai “facciamo o non facciamo una politica di alleanze”, ma quali alleanze facciamo, allora il problema è sempre che analisi facciamo del momento politico dato. E qui scatta la teoria. Uno potrebbe dire, facciamo conto: “che ruolo ha nell’Italia e nell’Europa attuale la piccola e media impresa?” Sulla base di questa analisi, uno ha un tipo di atteggiamento o un altro tipo di atteggiamento non so, nei confronti della lega o di altre formazioni politiche. Però appunto, il problema è quello di analizzare i processi di fondo, e su questa base, indicare la linea delle alleanze. Ma allora è centrale il tema “teoria”. Ed è centrale – dice Lenin – anche per un altro motivo di fondo, e cioè: noi generalmente quando diciamo teoria, intendiamo una cosa abbastanza vaga e generica, cioè qualcosa che ha a che fare con l’astratto. Ovviamente questo è al livello del conversare comune, all’osteria insomma. Ma se si parla sul serio, allora bisogna cominciare a dire: esiste una cosa – l’ideologia – che è fatta da un insieme di credenze, di convinzioni, le quali non hanno neanche bisogno di giustificarsi, ma che vengono accolte come vere. Per es.: “il negro è inferiore”. Non si dimostra questo, ma è una credenza condivisa. Perché non ha bisogno, questo tipo di credenza, di essere giustificata criticamente? Perché non è una funzione conoscitiva, ma ha la funzione di stabilizzare un ordine sociale dato. Cioè esistono alcune credenze la cui funzione è quella di, come dire, rassicurare la gente dentro un ordine sociale dato. Mi pare un esempio clamoroso che qualche anno fa (esempi se ne possono fare a bizzeffe ma questo mi colpì molto) Israele aveva fatto una delle solite carneficine da qualche parte e in televisione il giornalista dice: “stupisce che un paese democratico come Israele faccia questo”. Ecco, questa è proprio la struttura dell’ideologico perché che Israele sia un paese democratico, questa è una credenza indiscussa. Di fronte alla smentita, meraviglia per la smentita, non per la messa in questione della credenza. Ecco, l’ideologia è un insieme di credenze che vengono ritenute vere senza bisogno di critica, senza che possano essere o si voglia difenderle di fronte a un tribunale critico, e la cui funzione è quella di stabilizzare lo stato di fatto. Questo è un tipo di costruzione ideale. 

Ce n’è un’altra, e qui bisogna stare molto attenti perché sennò si cade in fraintendimenti grandi: la teoria, in senso breve, è la riflessione scientifica, la riflessione filosofica legata alla scienza. Qui il problema è completamente diverso: qui si tratta di un complesso di proposizioni di tipo sistematico, nel senso che se uno scienziato mi dice: “X è una legge naturale”, non me lo dice da sola, ma la mette in connessione a un’altra serie di leggi naturali, da a questa connessione una certa forma logica, difende questa forma logica con criteri logici; cioè in sostanza propone un insieme di affermazioni, di proposizioni, che devono avere prima di tutto una certa forma logica precisa, chiara, esplicita; e secondo devono addirittura indicare i modi per poter essere confutate. Cioè, voglio dire, a livello teorico, l’affermazione che si fa, si presenta in maniera tale che se necessario può essere confutata. Non si sottrae alla critica, al contrario. Qui il problema è che questo insieme di proposizioni hanno come obiettivo non quello di stabilizzare uno stato di fatto, ma puramente e semplicemente di conoscerlo. Ha una funzione teoretica, conoscitiva. Ovviamente, questo insieme strutturato, ordinato, criticamente assunto di proposizioni, non è sganciato da una determinatezza storica. E’ chiaro che gli uomini di quella certa epoca pensano la scienza in quel certo modo perché vivono in quel certo mondo. Certo, una determinatezza storica c’è. Non è dello stesso tipo della determinatezza che ha invece l’ideologia, la quale non può essere consapevole del proprio legame subalterno rispetto all’ordine sociale, perché deve garantirlo, deve spacciarlo come vero, deve rassicurare, placare la critica; quindi non arriva mai a mettere in questione il proprio rapporto con la storia, con la società; a prenderne coscienza. Deve presentarsi invece come vera. 

La teoria no. Prende consapevolezza del proprio rapporto con la storia e quindi mette in questione anche sé stessa.
In mezzo, c’è, come dire, l’incontro di queste due componenti: la cultura. 

In concreto si potrebbe dire questo: sul Corriere della Sera, almeno qualche anno fa, apparivano articoli di Prigogine, il quale è un fisico e matematico di grandissimo rilievo, che scriveva per i quotidiani. Ora, voi capite che quando un grande matematico o un grande fisico scrive per un quotidiano, scrive per un pubblico generico, che non conosce né la fisica né la matematica. E voi capite che una proposizione che ha senso dentro l’universo matematico, dentro l’universo della scienza fisica, portata ad un pubblico che non ha dietro le spalle quell’universo, inevitabilmente diventa qualcosa di misero, di povero. Però ovviamente se io lettore so che Prigogine è un grande fisico e un grande matematico, leggo il suo articolo sul Corriere della Sera, ma lo so che io non posso capire veramente.


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Posso prendere qualche spunto, ricevere qualche sollecitazione, ma poi dovrò prendere in mano i libri di matematica e di fisica per capire che cosa veramente ha detto. Se io faccio così ho un buon rapporto con questo articolo. Che succede invece, generalmente? Succede che quell’articolo viene assunto ideologicamente. Faccio un esempio: su il manifesto, qualche tempo fa, quando ancora lo compravo insomma, appare un articolo che parlava di un libro americano. L’articolo dice che in questo libro è stata fatta una scoperta formidabile, e cioè finalmente si proponeva, per le scienze sociali, un modello biologico e non meccanicistico. Cioè si prendeva a modello la scienza biologica per studiare la società. La cosa divertente è che questo lo fece Aristotele. Ecco: assunto a livello ideologico, un tema non solo si immiserisce, ma viene stravolto. Viene decontestualizzato, viene assunto come verità assoluta e diventa un sistema di convalida di credenze acquisite, il cui risultato finale è di consolidare il regime sociale esistente. 

Allora, quando Lenin parla di centralità della teoria, intende una cosa molto netta e molto raffinata: intende proprio quello che io intendevo per teoria, cioè l’ambito scientifico e della filosofia legata alla scienza. Perché? Ma perché Lenin è del tutto consapevole che naturalmente, spontaneamente, le persone ragionano così come la società in cui vivono ragiona. 

Basti pensare quanti, anche di sinistra, con cui possiamo parlare oggi, e che dicono, non so: “l’economia, il mercato”; senza rendersi conto che l’economia, il mercato, non è scienza, è ideologia. Ma perché queste sono modalità di pensiero che vengono continuamente proposte, riproposte; e che poi corrispondono ai meccanismi quotidiani della società in cui viviamo. E allora, ecco, l’atteggiamento naturale, spontaneo - anche del lavoratore -, è quello di pensare secondo i modelli che gli vengono proposti dalla sua esperienza, che sono questi. Al più ovviamente succede che la sua esperienza gli mostra che il suo padrone è un delinquente, che il suo padrone ruba, ecc. ecc. Ma siccome l’obiettivo per Lenin comunista è quello di operare un cambio di classe dirigente nella società, cioè di operare un cambio di civiltà; allora è chiaro che per Lenin comunista è fondamentale che il lavoratore abbia un’autentica rivoluzione interna, interiore, per cui si libera dell’ideologia e arriva alla teoria. Ovviamente questo non lo fa da solo. Questo lo fa se ha un’organizzazione che spinge in questo senso. 

Allora la lotta di Lenin contro lo spontaneismo ha questo senso fondamentale. Siccome il compito del comunista non è semplicemente quello appunto di correggere il padrone cattivo, ma quello di operare un cambio di civiltà. Allora qui si tratta di portare il lavoratore dal livello ideologico al livello della teoria, della presa di coscienza critica, reale, di come stanno le cose, e qui è necessaria l’organizzazione.
Siccome questa teoria, come ricordavo, ha da essere consapevole che deve sottoporsi a cambi di forma in relazione a cambiamenti profondi della situazione, allora si tratta di uno strumento estremamente delicato, ma ancora più delicato è lo strumento partito che deve riuscire a svolgere questa funzione. Delicato vuol dire che ogni forma di irrigidimento del partito, ogni chiusura del partito, ogni perdita di quella elasticità mentale per cui il partito si confronta in continuazione con problemi di fondo dell’epoca – e dico con i problemi di fondo, non con la cronaca -; vuol dire perdita della capacità del partito di promuovere questa rivoluzione anti ideologica nella classe e quindi con un colpo molto forte alla sua funzione. 

Ora, qui capiamo anche una funzione importantissima. L’altra volta io ricordavo la polemica che con Lenin fa il compagno Herman Gorter, e uno dei temi era questo: tu Lenin sottolinei troppo il ruolo del capo, mentre noi qui in occidente dobbiamo avere diffidenza verso i capi. Gorter ha l’esperienza della grande socialdemocrazia - che è arrivata fino al tradimento di appoggiare la guerra imperialista -, dei grandi sindacati burocratizzati (quindi si comprende la posizione di Gorter). Però in realtà il problema è molto più di fondo. Voglio dire: Gorter vede la questione nei termini: “dobbiamo riuscire a stabilire un rapporto tra capo e base, in maniera tale che la base possa essere garantita rispetto al capo”. Il problema che pone Lenin invece è molto più radicale, perché appunto è il problema della trasformazione del proletariato in classe dirigente, cioè il problema dello strumento per superare l’ideologia spontanea del lavoratore e portarlo a livello della coscienza critica teoricamente fondata. E questa non è un’operazione che può avvenire affidandosi alla spontaneità di tanti lavoratori. Questa è una trasformazione che può avvenire solo in modo organizzato. Allora il problema del capo, cioè del partito, per Lenin acquista uno spessore molto maggiore che nell’ottica di Gorter, proprio perché ha presente questa necessità di trasformazione. E perché Gorter non l’ha presente? Qui c’è una questione di enorme importanza, cioè la questione della barbarie. 

Voi sapete che quella grande cosa che è il processo di costruzione della scienza sociale moderna, che in sostanza si svolge a partire dal ‘700, individua questa contrapposizione tra barbarico e non barbarico, ed è interessante che nel corso dell’800 questa contrapposizione ha spesso assunto la forma del “barbarico cioè premoderno; civile cioè moderno”. Volgarmente l’operazione che in continuazione la televisione nostra fa quando vuol mostrare come la barbarie stia fuori di casa nostra, in un doppio senso: 1) perché sta in zone geografiche diverse dall’Europa, cioè c’è il sud del mondo che è barbarico. Alcuni piangono perché è barbarico, altri dicono: “ma quello son barbari”, però il nord è civile.


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Qualcuno più di sinistra e dice: “no, ma il sud sta anche nel nord, quindi viva il volontariato”. Perché il sud sono, non so, i froci, quelli con una gamba sola ecc. Un momento. Lenin dice: “no, la barbarie è prodotta dalla società moderna. E’ il sistema capitalistico che sviluppandosi produce barbarie, è il moderno che produce barbarie. Noi in Russia siamo barbari perché orientali, ma attenti, voi siete barbari perché occidentali”. Perché c’è una barbarie prodotta proprio dal capitalismo, e qual è? La proletarizzazione spinta, l’aumento del sottoproletariato, la perdita di dimensione morale della società, l’appiattimento dell’uomo a uomo della strada sempre di più privato di spessore e sempre di più demagogicamente indicato come il sovrano: la democrazia è il regno dell’uomo comune, ma l’uomo comune è quello il cui stipendio dipende dal datore di lavoro, la cui informazione dipende da un proprietario dei giornali, di televisioni ecc. ecc.; cioè è l’uomo sempre di più svuotato, a cui si dice: “tu sei sovrano”, perché ogni tanto vai a mettere una croce. Questa è la barbarie. 

Lenin dice: “guardate, questa barbarie voi avete, questa caduta verticale di spessore morale della società capitalistica, questa distruzione della famiglia, dei valori, dell’effettiva capacità, possibilità, degli uomini di incidere nel determinare la loro vita quotidiana”. Questa è barbarie. 

Questo significa appunto che ci sono due barbarie: una che viene dal premoderno, e un’altra che viene dal moderno, e quando si sposano le due è l’ira di dio. Allora, il compito del partito, dell’organizzazione, diventa veramente un compito fondamentale perché si tratta non solo di individuare questa barbarie, ma di mostrarla questa barbarie a quell’uomo comune che è talmente dentro la barbarie che non la vede più. 

In concreto, voi lo sapete perfettamente: noi abbiamo assistito per es. in campagna elettorale, a tutti, dico tutti, i rappresentanti dei partiti che hanno indicato il modello americano; in qualunque occasione. 

Voi sapete perfettamente che nell’opinione comune l’America è sempre quel grande paese. 

Recentemente – non so se vi è capitato -, ma mi pare assolutamente incantevole: a New Yosk si sono rotte delle condutture dell’acqua per cui si sono allagati. La giornalista ha detto: “Come si sa in America è tutto grandioso e anche quest’allagamento è stato grandioso”. Capite? 

Ecco, si tratta invece di mostrare a quell’uomo che è abituato ai modelli ideologici barbarici della società capitalistica, che sono ideologici e barbarici. Quindi non solo il partito deve riuscire ad individuarli ma deve farli vedere. E ovviamente questo a livello delle grandi masse. Certo che si fa con la propaganda – poi ci torniamo su che vuol dire propaganda per Lenin -, ma si fa con le azioni, mettendo in movimento la gente. Ecco perché per il comunista è fondamentale non l’azione parlamentare ma l’azione delle masse: perché il lavoratore comprende attraverso l’esperienza che fa. 

Non so se qualcuno un po’ più anziano c’è. All’inizio del ’67-’68 gli studenti dicevano, in piazza: “noi siamo il nuovo proletariato”. Poi a via Cavour la polizia ci dette talmente tante botte che gli studenti capirono che il proletariato è quello vecchio, quello cioè che se scende in piazza rovescia le jeep. E allora da quel momento si andò verso le fabbriche, si capì che non è vero che “noi siamo il nuovo proletariato”: il proletariato è quello vecchio. E’ la forza sociale che colpisce, anche fisicamente. 

Certo, c’è una difficoltà quando Lenin e Gorter discutono. Ovviamente prendo Lenin e Gorter come due modelli. Cioè voglio dire: non è dubbio che Lenin ha si presente il grande scenario internazionale, ma è russo anche. Come dire: poi deve tornare a casa e organizzare il partito in Russia, e quindi l’arretratezza specificamente asiatica, lui se la ritrova addosso. 

Gorter quando torna a casa torna in Olanda, in Germania, tutto un altro ambiente. 

Questo comporta però nei fatti, un enorme processo - che mi pare che finalmente qualcuno comincia a dire che c’è stato -: la strategia dei bolscevichi è chiarissima perché è stata espressa da Lenin, da Trotskij, da Bucharin, mille volte (perché questi erano i grandi dirigenti bolscevichi).
La linea era: rompiamo nell’anello più debole, questo provoca una reazione sull’anello forte in Germania, vinciamo li, lo scettro del comando passa all’operaio tedesco, e noi ci accodiamo alla locomotiva germanica. 

Ma “cominciamo in Russia” che vuol dire? Vuol dire una cosa che giustamente Gorter individua: “in Russia voi avete pochi operai, poche fabbriche poco sviluppate, e una gran massa di contadini affamati. Noi abbiamo in occidente una grande massa operaia”. Questa è una differenza fondamentale, anche per le questioni che poneva il compagno l’altra volta. Se la strategia dei bolscevichi fosse andata in porto, le cose sarebbero andate in un'altra maniera, ma una volta bloccata la cosa, cioè non avendo vinto noi in Germania, ma avendo vinto i nazisti; e quindi essendo stata la rivoluzione socialista confinata nell’arretrata Russia; voi capite perfettamente che cambia tutto, anche a livello teorico, a livello del modo di capire il marxismo, ma anche a livello dell’organizzazione concreta del paese. Voi avete in mente il grande impero zarista. Voi capite perfettamente che non è vero, è un falso che il partito comunista potesse – attraverso il suo Comitato Centrale –, controllare il paese. Non è vero. Nelle singole regioni, repubbliche ecc., quei gruppi mafiosi tra virgolette, che tradizionalmente avevano il potere, si sono imbucati nel partito e hanno fatto la carriera. E in un paese arretrato, circondato, minacciato militarmente, che deve darsi come obiettivo primario quello di costruire cannoni, carri armati, trattori, macchinari per produrre, e quindi far lavorare la gente dandogli poco da mangiare; in una situazione del genere è ovvio che tu fai appello a tutte le forze più evolute, anche quelle dell’avversario in realtà. Come successe nella guerra civile, quando spesso ufficiali zaristi vennero presi per guidare l’esercito. Ma anche l’ingegnere, l’architetto: non puoi stare a guardare per il sottile. E allora rimbarchi tutta la vecchia merda – espressione di Lenin.
E allora è chiaro che cambiano le cose.


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Questa è la realtà. E voi lo sapete che c’è una lotta furiosa: il partito cerca in mille occasioni, anche con Stalin, di fare la lotta contro la burocratizzazione, contro i gruppi che si approfittano, che mangiano; diciamo contro le mafie. Ma non passi, e non passi per una ragione di fondo: tu puoi passare se operi un grande e formidabile balzo tecnologico in avanti. Perché – ovviamente – la nuova disponibilità di strumenti tecnologici in una situazione di mancanza della proprietà privata, di proprietà sociale ecc., incentiva l’attività delle masse, di uso collettivo delle cose. Siccome contemporaneamente il partito sovietico ha fatto un lavoro enorme di elevamento culturale, crei le possibilità per una gestione effettivamente democratica, ma non lo puoi fare. Perché devi costruire i carri armati, perché gli imperialisti – con la complicità della chiesa (voi ricordate quando venne fuori la faccenda di Gladio, fecero finta di scoprire Gladio), e una delle cose che fecero finta di scoprire fu questa che in Polonia le parrocchie erano deposito anche di armi per i gruppi controrivoluzionari. In una situazione del genere è chiaro che il processo di sviluppo non va avanti, e tutto subisce una torsione in senso autoritario e burocratico, anche a livello teorico, cioè della concezione del marxismo. 

Questo mi serve per arrivare a dire una cosa: è chiaro che se il partito – come dice Lenin – ha quella funzione di organizzatore, anche nel senso del cambiamento della coscienza del proletariato portandola dal livello ideologico a livello della coscienza critica, e se è vero che tutto questo è radicalmente antidogmatico perché deve sapere che il marxismo stesso può modificare la propria forma in relazione a cambiamenti importanti, allora voi capite che il tema “interpretazione del marxismo” diventa un tema centrale. 

Di nuovo: quando uno dice “interpretazione del marxismo” può essere equivocato. Uno si immagina che due persone si mettono a discutere: “che vuol dire questa parola, che vuol dire quest’altra” ecc., che è un attività fondamentale, perché, compagni, noi dobbiamo dire con molta franchezza: Lenin e Marx sono fra gli autori meno letti. Sarebbe molto bello se si passasse un po’ di tempo a leggerli e a capire che dicono. 

Sempre in televisione, qualche tempo fa un direttore, non mi ricordo di quale rete, denunciava i crimini operati da Lenin negli anni ’30. Lenin è morto negli anni ’20 come è noto. 

Ora, io non lo so bene però, se lui facesse un inchiesta tra i compagni, che risultati ci sarebbero intorno a queste cose.
Comunque l’interpretazione del marxismo è qualcosa di molto più di fondo. Perché in realtà che vuol dire interpretare il marxismo? Vuol dire mettere l’opera di Marx, di Engels, di Lenin, a confronto con la problematica che noi viviamo. E’ chiaro? 

Quindi aiutarci con l’opera loro per capirla meglio, ma contemporaneamente, sulla base dei nostri problemi porre domande a loro, e vedere se rispondono. Allora, nell’interpretare, in realtà, badate, non si interpreta solo il testo di Marx, ma si interpreta la realtà contemporanea.
Io devo avere chiaro che problema ho per poter andare a interrogare Marx. Allora vedete che l’interpretazione del marxismo implica, di nuovo, un soggetto collettivo, perché è ovvio che non è un’operazione che può fare un singolo. Ogni singolo da il suo contributo, ma un soggetto collettivo, il partito, che deve avere questa doppia agilità, questo continuo ancoraggio alla conoscenza della realtà presente nei livelli di fondo, non in superficie. 

Voi avete visto che Veltroni sa tutto dei film, dei fumetti. Giusto. Lui deve sapere tutto dei film e dei fumetti. Casomai di fisica no, però lui dei film e dei fumetti deve sapere tutto, è chiaro. Questa è la vecchia merda. 

Il Partito Comunista è un’altra cosa da un lato, e dall’altro lato deve conoscerlo il marxismo; perché allora si scopre che Marx non ha finito nessun lavoro, che Marx non ha mai terminato un lavoro. Ha avviato una ricerca. Appunto, marxismo dogmatico è una contraddizione nei termini. Leninismo dogmatico è una contraddizione nei termini, perché si tratta di spinte forti verso la ricerca in un certo modo che vengono date da Marx e da Engels; ma sono spinte verso la ricerca. E allora ci vuole un partito, voi capite bene che il partito diventa una cosa estremamente importante, perché è il luogo in cui le competenze di ogni singolo si confrontano con le competenze degli altri e insieme, si arriva. 

Però bisogna sapere che, appunto, c’è una barbarie promossa dalla società moderna. […]


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[…]Il telegiornale sceglie non solo le notizie, ma il modo di darle per i quotidiani. Tutti. Allora il sospetto: ma vuoi vedere che molte volte noi finiamo per considerare come problema attuale quello che la televisione ha deciso che sia attuale? 

Qualche mese fa ci fu a Ginevra una conferenza internazionale, anche con i compagni cubani, organizzata dall’ONU, sulla situazione delle telecomunicazioni nel mondo. La stragrande maggioranza, oltre il 90% delle notizie sono proprietà monopolistica degli Stati Uniti. 

Cioè in realtà, attenti: non è che per caso noi prendiamo per attualità quello che gli Stati Uniti attraverso la televisione e i vari giornali stabiliscono che sia l’attualità? Siamo proprio convinti che quei problemi che ognuno di noi, se venisse interrogato, indicherebbe come i problemi tipici dell’oggi, invece sono messaggio ideologico trasmessogli? Mi fermo qui sennò faccio il provocatore. 

La coscienza critica vuol dire questo: non prendiamo per buono nulla, andiamo a controllare. 

Per es. questo mi pare un tema importante, anzi, due temi importanti. 

Lenin dice (allora i partiti si chiamavano socialdemocratico): “La socialdemocrazia non si lega le mani, non restringe la propria attività con un piano o procedimento di lotta politica prefissato, essa ammette tutti i tipi di lotta purché corrispondano alle forze reali del partito. Se non c’è una salda organizzazione esperta nella lotta politica in ogni momento e circostanza, non si può neppure parlare di quel piano sistematico di azione, illuminato da principi fermi e rigorosamente applicati, che è l’unico a meritare il nome di tattica”. 

Allora la tattica per Lenin è un piano sistematico di azione, illuminato da principi fermi e rigorosamente applicati. 

Cos’è che mi interessa qua? Il problema non è mai: “dobbiamo o non dobbiamo fare una politica di alleanze?”. E’ ovvio che la dobbiamo fare. Oppure “dobbiamo o non dobbiamo articolare tatticamente l’obiettivo strategico?” E’ ovvio che lo dobbiamo fare. Unità, forme di alleanze, chiaramente con quello più vicino a te, ma anche con quello che è più lontano da te se c’è un motivo. Ma – dice Lenin – tutto questo deve chiaramente corrispondere a due preoccupazioni: 

1) quali sono le forze effettive del partito (non posso pormi obiettivi superiori a quelli che posso gestire)

2) la tattica deve essere orientata verso l’obiettivo strategico. 

Voi capite allora che un partito comunista non può essere vago sugli obiettivi strategici perché sennò non può fare tattica. Il comunista deve sapere dove vuole andare a parare, allora può fare tattica. L’esigenza sulla chiarezza dei principi non è in contrapposizione alla tattica, ma è la garanzia per poter fare la tattica. 

La tattica senza principi? Non è un comunista che ha un’altra opinione intorno alla tattica, è un socialdemocratico nel senso volgare, non nel senso in cui il partito di Lenin è un partito socialdemocratico. 

Secondo, questo mi pare assolutamente formidabile: in sostanza, contro l’orientamento marxista che diceva: “si la tattica, ma se sono chiari i principi” oppure: “si al movimento di massa, ma orientato alla trasformazione della massa in classe dirigente; si le riforme, ma in funzione del progetto rivoluzionario”. Questo dicevano i comunisti. Gli spontaneisti, scrivevano cose di questo genere: è auspicabile la lotta che è possibile, è possibile è la lotta che si svolge nel momento dato. Ecco, questa è una pennellata perché per es. nel ’68 noi queste cose ce le siamo sentite dire mille volte dentro il movimento. Cioè, quelli che si presentano come persone non astratte, non dottrinari ma uomini pratici, che dicono: “i comunisti sono stati dentro le lotte”. Tu chiedi: “quali lotte?”. “Ma, quelle che ci sono”. E no. Perché no? Perché noi dobbiamo sempre capire che c’è una differenza tra ideologia e coscienza critica. Non è vero che una lotta, per il fatto che c’è, vada appoggiata. Non è vero che una lotta, per il fatto che c’è, è positiva. Voi sapete che grandi manifestazioni di massa hanno fatto cadere regimi socialisti. Grandi manifestazioni di massa hanno appoggiato Hitler. Grandi manifestazioni di massa, pressoché ogni settimana, avvengono intorno al Papa. 

Allora il problema è un altro. Il problema è quello – torniamo alla teoria – di capire dove sono i nodi della società contemporanea, dove sono i punti su cui attaccare e e su cui provocare i movimenti di massa. E quando un movimento di massa nasce, la funzione dei comunisti è cercare di ricondurla a quei punti nodali che l’analisi critica ha mostrato. Sennò c’è un atteggiamento di sudditanza verso gli umori delle masse. Ma le masse non sono la classe, ma sono prodotto della manipolazione borghese. 

Questa linea che descrivevo, Lenin la commenta in questo modo: questa è appunto la tendenza del più illimitato opportunismo che si adatta passivamente alla spontaneità.
Ora è interessante che questi altri marxisti, all’interno del partito socialdemocratico, del movimento operaio, rivendicavano la libertà di critica. 

Cioè, il discorso era questo: Lenin e gli altri dottrinari sono come Che Guevara, sono intolleranti e autoritari e non accettano la libertà di critica. Qui tenete presente alcune cose divertenti: nel 1899, il marxismo è in crisi, quindi libertà di critica, contro questi marxisti dogmatici che continuano a rompere le scatole con il marxismo, quando, nel 1899, ormai è da tempo in crisi. Quindi: libertà di critica. Dice Lenin: “la famigerata libertà di critica significa non la sostituzione di una teoria con un’altra”. Il discorso è questo, poniamo: io credo che lo spazio abbia tre dimensioni e che la geometria quindi debba essere fondata su questo postulato. Lobacevskij dice: “no, è pensabile uno spazio ad n. dimensioni e quindi è possibile un’altra geometria”. Quindi c’è una lotta tra noi. Lui non si limita a chiedere la libertà di critica, cioè alla possibilità di pubblicare il suo libro, ma vuole che la sua geometria ad n. dimensioni venga riconosciuta come scientificamente valida. 

Dice Lenin: “la famigerata libertà di critica significa non la sostituzione di una teoria con un’altra”, cioè, questi che chiedono la libertà di critica in realtà non hanno idee, perché se avessero idee farebbero come Lobacevskij.


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Direbbero che la vecchia geometria va sostituita con questa nuova geometria. Va sostituita, perché questa è scientificamente più valida. “La famigerata libertà di critica significa – continua Lenin – la libertà da ogni teoria totale e meditata, significa eclettismo e assenza di principi”. Gesù ma lui sta descrivendo la stampa di sinistra oggi compagni, è chiaro no? Che cos’è l’ideologia attuale della sinistra, se non mettere insieme pezzi di qua e di là? Un po’ di questo, un po’ di quello, anche un po’ di Marx qualche volta. Questa è la libertà di critica. E badate che questo noi lo registriamo molto bene, per es. in “basta componenti della cultura nord americana”. Quella che – in buona sostanza – sottolinea il carattere funzionale e strumentale della scienza, cioè la scienza come quella capacità di elaborare strumenti che si rivelano utili pragmaticamente. 

Questa concezione della scienza significa: la scienza non è vero che conosce, quindi non è vero che le cose stanno così e così come la scienza dice, ma la scienza produce semplicemente degli strumenti che si rivelano utili. Voi capite che se la scienza non conosce, allora rispunta la religione, non c’è dubbio. 

Se la scienza non conosce, se la ragione non conosce, allora il rapporto con la realtà io ce l’ho per via non razionale: per via della fede. 

E’ esattamente lo stesso discorso della tolleranza, del rispetto della diversità. Perché il rispetto della diversità? Ma perché nulla è vero, e non essendo nulla vero, allora tutto va rispettato. 

La scelta morale è un fatto individuale, il che significa: nessuna scelta morale è vera, perché se fosse vera dovrebbe combattere contro la scelta morale sbagliata. Siccome nessuna scelta morale è vera allora ognuno deve poter fare quello che vuole, il che significa: ho svilito la morale a scelta, a propensione individuale, ad arbitrio, a passione mia: mi piace questo. 

Quante volte si sente in televisione, sul manifesto: io faccio questa cosa perché mi diverto. Può essere l’azione politica, il fisico, l’architetto: lo faccio perché mi diverto. Un momento … voi vedete, la serietà dell’impegno di chi dice: “questa teoria è vera e mi batto per questa”, viene tolta e sostituita dalla concezione per cui le teorie sono solamente fatti astratti che in sostanza al massimo producono strumenti utili. Per il resto ci sono le scelte emozionali, le propensioni emozionali: tu ti droghi? Beh, è un tuo diritto.
E invece la logica è un’altra: l’impegno è a costruire quella teoria che dice come stanno le cose, per cui mi batto. Questa teoria non è un fatto individuale, è un fatto collettivo, di organizzazione, di processo storico; lo stesso comunismo è pensato come processo di costruzione di una cultura nuova, cioè qui si sceglie. 

Non si hanno coperte fatte da tanti pezzi, qui si ha un pezzo.

INTERVENTO...

Questo è un posacenere. Questo è verissimo no? Voglio dire – sto citando Lenin – c’è un sacco di gente che si riempie la bocca con il problema della verità, della verità assoluta. Questa è una verità assoluta: questo è un posacenere.


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Il compagno prima diceva una cosa assolutamente sacrosanta: la nuova sinistra è cresciuta su questa idea: non è possibile conoscere la verità. Discorso da prete. Non è possibile conoscere la verità dunque la via d’uscita è l’emozione, il vissuto, il sentimento, il credere, la droga, il papa, ecc. ecc. 

Noi diciamo semplicemente: è possibile conoscere la verità; questo è un posacenere. 

Il problema è capire una cosa molto semplice: che la verità è una cosa molto modesta. Cioè noi abbiamo i problemi, abbiamo la possibilità di capire come sono fatti questi problemi, e quali sono i modi per risolverli. Questa è la partita. Chi dice “non è possibile conoscere la verità”, vuol dire una sola cosa: “la disoccupazione non dipende dalla ricerca di profitto del capitalismo. Chi dice questo è dogmatico. Bisogna capire che la verità non può essere conosciuta”. E no qui la verità è molto semplice: la disoccupazione dipende dall’interesse del profitto. “No, perché non posso conoscere la verità, se tu dici questo sei dogmatico e riduttivo”. Questo è il senso della faccenda. Su questo è cresciuta la nuova sinistra. Quale verità gli è crollata? La verità lotta operaia per il socialismo. “Noi siamo il nuovo proletariato”. Non è vero. 

Ovviamente, se uno vuole imbrogliare e vuole parlare della verità come la risposta all’enigma di ogni tempo, di ogni luogo, di ogni problema; quella formula che mi spiega tutto e sempre, questa è una balla. Non esiste una verità del genere. La verità è una cosa molto semplice: questo è un posacenere. Oppure: la disoccupazione dipende dalla caduta del tasso medio del profitto. 

Una cosa molto semplice è questa per es. : il PDS è un partito della borghesia che riuscirà, o che tenterà, di portare ai danni del proletariato, una politica che se la faceva Berlusconi non passava. 

Quale politica? L’hanno detto. Lo dice La Stampa, lo dice Il Sole 24 Ore. Queste sono verità assolute. Semplice semplice. 

La nuova sinistra è nata sulla tesi “non è possibile conoscere la verità”. Quante componenti religiose, americane, ideologiche, sono confluite nella nuova sinistra. Easy Rider mica me lo sono inventato io. Kerouac non me lo sono inventato io. La nuova sinistra è riuscita in quell’operazione in cui la borghesia non era mai riuscita, cioè di distruggere il partito comunista. Vedete come la verità si conosce? L’obiettivo di fondo “distruggiamo il PC”, il padrone è riuscito a raggiungerlo. E come l’ha individuata bene la verità! E noi diciamo: “non è possibile conoscere la verità”, e intanto quelli mazzolano però. 

La disoccupazione cresce. L’Europa si avvia a una recessione. Dati ufficiali. E’ formidabile: “Anche l’Africa oggi ha i suoi paesi tigre”, nel senso di sviluppo economico. Sapete quali sono? Quelli che danno a prezzi stracciati le materie prime, per i paesi europei che producono perché possono esportare in altre zone. Questi sono i paesi marcianti dell’Africa. 

Però succede che il mercato non assorbe. Mano a mano assorbe di meno, anche perché per es. i coreani cominciano a vendere in Europa. Allora vedete, la verità non si può conoscere, però i padroni hanno capito che in questa situazione bisogna tagliare i salari, tagliare l’occupazione, dire “basta con questa rigidità dei contratti di lavoro”. Vedete come è facile capire la verità, se capiamo di che stiamo parlando? 

Certo, se per verità io intendo la chiave che risolve l’enigma universale in ogni tempo e in ogni luogo, quella è un’invenzione e nessuno mai la può conoscere ovviamente.
Per es.: “noi dobbiamo partire dalle vie nazionali” è sbagliato. Questo è facile capire che è sbagliato. E l’ha dimostrato il compagno stesso. Lui ricordava la tesi per cui lo sviluppo del capitalismo va avanti attraverso squilibri: tassi diversi, ritmi diversi di sviluppo, fasi diverse di sviluppo ecc. 

Il sistema mondiale avanza non omogeneo ma per contraddizioni interne. Il che significa semplicemente che la situazione nazionale è un fattore interno a quest’evoluzione contraddittoria del sistema, allora io devo partire dall’evoluzione contraddittoria del sistema, capendo come nel contesto in cui io mi muovo, si applica la linea comunista. Cioè non debbo partire dalle vie nazionali, ma debbo partire dal sistema; e allora la risposta alla domanda che faceva la compagna. 

Li Lenin dice una cosa che è questa: la tesi di Martynov e gli altri era, in buona sostanza: tu non puoi andare a porre agli operai obiettivi politici, democratici; perché questi capiscono solo la faccenda del mangiare. Lenin gli risponde: guarda che questa è la politica che fanno i sindacati burocratizzati nei paesi capitalisti. Siccome l’obiettivo nostro è quello di avere un cambio di classe dirigente, noi dobbiamo, come dire, aggredire la classe operaia, facendogli vedere in tutti gli aspetti lo sfruttamento capitalistico e le conseguenze. Certo, lo sfruttamento nel luogo di lavoro, ma anche le minacce di guerra, le forme di oppressione – ricordati – quale che sia la classe che viene minacciata. Cioè far capire all’operaio che la lotta contro il padrone fa tutt’uno con la lotta per la libertà, per la democrazia, perché il regime capitalistico non è quel padrone, ma quel padrone è un’articolazione di un sistema, il quale invade il piano economico, sociale, culturale ecc. 

Quello non riesce a trovare posto in ospedale e muore sull’autoambulanza. Noi oggi al massimo tiriamo fuori allora un incentivo al volontariato. E invece no, un partito comunista che cosa fa? Spiega: guardate che questo succede perché c’è il capitalismo. 

Voi avete visto questa vicenda incredibile degli Stati Uniti, cioè quest’aereo che è precipitato. La televisione è riuscita persino a dire questo: che la colpa dipende dal fatto che queste società aeree, per abbassare i costi, e quindi avere più gente, si servono di aerei fetenti. E’ quella stessa televisione che dice: “liberalizziamo, viva il mercato, privatizziamo”; cioè che non generalizza e non invita a generalizzare. 

Lenin dice: tu devi far generalizzare all’operaio, devi fargli capire, in essi, le connessioni tra vicenda economica, sociale, culturale ecc., e quindi aggredirlo in ogni modo per svegliare una coscienza complessiva. 

Il che non significa che non lo mobiliti con l’obiettivo economico, ma gli devi far vedere la concatenazione delle cose, perché appunto l’obiettivo è che divenga classe dirigente. 

Sulla faccenda del “più attaccati all’oggi”, io qui francamente ho delle esitazioni, voglio dire che io temo fortissimamente quel fenomeno che avviene molto spesso: un gruppo di compagni si riunisce e allora fa gruppo. No. Noi siamo alcuni compagni che insieme fanno un lavoro. La presenza politica, la coscienza politica, la consapevolezza politica, implica molto di più. Vedrei molto male se queste nostre riunioni diventassero un po’ il luogo in cui noi tiriamo fuori le nostre ricette. No. Cerchiamo di fare una cosa modesta, cioè cerchiamo di leggere questi testi e di ragionarci sopra. Poi ognuno di noi fa le sue esperienza politiche ecc.


9/10
A me sembrava importante quanto diceva il compagno l’altra volta, quando poneva questo problema – io l’ho capita così: data la situazione politica primordiale, in sostanza che senso ha fare un’iniziativa su testi di Lenin, cioè su testi di un autore chiaramente legato ad un mondo profondamente diverso da quello in cui ci troviamo noi oggi.
A me sembra che questo sia un tema gravissimo, però mi dovete consentire di fare alcune osservazioni, e cioè: 

1)attenti che Lenin non nasce in un clima rivoluzionario, e non è vero che in mancanza di un clima rivoluzionario allora … No, questo sarebbe spontaneismo. Sarebbe arrendersi a come stanno le cose. Le cose possono anche cambiare con l’azione organizzata e cosciente dei lavoratori. 

2) è verissimo: Lenin non ha dato la risposta ai problemi. Lenin ha fornito delle risposte a dei problemi che si ponevano a loro in quei tempi. 

Noi ci troviamo in un mondo diverso, per molti aspetti – che bisognerà una volta o l’altra riuscire a precisare però, perché poi è diverso ma non tanto, non del tutto – e abbiamo altri problemi a cui dobbiamo dare altre risposte. Questo è compito nostro non di Lenin. Qui ha ragione il compagno. Appunto, Lenin non è un pozzo da cui ricaviamo la verità, nel senso che la verità è una cosa semplicissima: questo è un posacenere. Però bisogna andarlo a vedere, e io devo pronunciarmi sull’oggetto che ho di fronte. Lenin ne aveva un altro per certi aspetti, io ho questo, e qui mi devo pronunciare. Qui sono io che mi devo pronunciare, non Lenin. Qui ovviamente Lenin non può essere in nessun modo una scusa per continuare a rinunciare all’uso del cervello. Questa non è un’osservazione banale perché voi sapete quanti sono, un numero incredibile esistono di gruppi leninisti, che tutto fanno tranne che ragionare. Non si capisce come si fa ad essere leninisti se uno non si applica a comprendere come stanno le cose oggi.

INTERVENTO...

Io credo che nella riunione succede che uno dice “il ‘68”. Però in realtà è un processo estremamente complesso, che si distingue anche in fasi, e credo che un momento fondamentale ’67-’68 - morte di Che Guevara, chiusura della guerra in Vietnam, prolungarsi stanco della rivoluzione culturale che fa sempre la rivoluzione e non arriva mai a nulla, ingresso dei sindacati che riescono a prendere la parola del consiglio a diretto contatto con l’operaio, e cioè trasformano i comitati unitari di base nel consiglio dei delegati -, tutto questo segna un cambiamento, da un movimento che nasce sulla base di una contraddizione profonda e radicale della società capitalistica che si è evoluta più delle sue strutture sociali, e che ha creato uno scontro radicale con settori larghi di piccola borghesia. Concretamente: lo studente che non ha la prospettiva di lavoro adeguato alla propria qualifica, lo studente che non ha neanche ben chiara la prospettiva lavorativa, di una massa di intellettuali sottoimpiegati rispetto alle grandi conquiste operate dalla scienza; e dall’altro lato dei sindacati che sono indietro rispetto all’evoluzione tecnologica e di organizzazione del lavoro; tutto questo ha creato un clima internazionale in cui c’è la lotta armata in latinoamerica, in cui c’è il Vietnam. Tutto questo ha creato un grande movimento di lotta, a cui mi piace dire che ho partecipato, e ha creato una grande realtà di lotta estremamente importante. Dentro, già all’inizio però, era chiaro che c’erano delle componenti equivoche, sul piano ideologico, di origine cristiana, di origine americana, i figli dei fiori, la droga comincia a serpeggiare, e tutte queste cose qua. 

Mano a mano che si chiude il fronte rivoluzionario internazionale (muore Che Guevara, si chiude la guerra in Vietnam ecc. ecc.), tu vedi che questa ala piccolo borghese, radicale, stanca, irrazionalistica, diventa il tono dominante. E allora succede che verifichi quel fenomeno curioso, che quel ragazzotto che fino a ieri stava in piazza nel movimento, poi te lo ritrovi giornalista del’Unità, oppure te lo ritrovi nel PSI; allora si toglie quella contraddizione che tu dicevi. In effetti, mano a mano che è andata perdendo la collocazione di classe, è emersa la prospettiva piccolo borghese e poi si è imbucata. Una delle esperienze più agghiaccianti è questa: quei compagni che fino a ieri erano dirigenti del movimento di lotta, una volta laureati e trovato lavoro, tu te li sei persi. Ma proprio, dall’oggi al domani. 

Ecco, questo però, all’interno di una caduta del clima rivoluzionario internazionale.
Io non credo che il PDS oggi sia la continuazione del vecchio PC, anche se il vecchio PC sicuramente aveva una politica di tipo socialdemocratico. Però sai, una politica di tipo socialdemocratico all’interno di un mondo caratterizzato dall’esistenza dei due mondi ha un senso. 

In più tieni conto che il Pc operava in una situazione di crescita economica. Voglio dire che il ricatto della disoccupazione sulla classe operaia, non aveva quel ruolo massiccio che ha oggi. Oggi il lavoratore è spaventato, ha paura. Sulla paura dell’operaio, il crollo del mondo dell’est, il PDS fa una politica che è la scimmiottatura della politica del PC. Infatti tu vedi che non riesce ad esprimere grandi personaggi … Amendola, Berlinguer, erano socialdemocratici è chiaro, però erano grossi personaggi. Alicata. Erano grossi personaggi. Oggi hanno Veltroni. E non è un caso. Cioè quest’immiserirsi, fa si che il rapporto con la storia del PC è rotto. E’ restata la piccola furbizia di D’Alema che fa dire a quell’altro imbroglione di Violante qualche cosa per cui i fascisti se li tiene buoni perché così fa l’alleanza contro Bossi. 

D’altra parte questa storia non termina con il PDS. Certo, Rifondazione non è chiarissima come forza politica. E forse qualche legame con quella nuova sinistra ce l’ha.


10/10
Come anche ha qualche legame con quel vecchio PC burocratico.
Su una cosa tutte queste componenti erano d’accordo: il marxismo non si studia.

INTERVENTO

Longo a un certo momento scrisse un libretto, in cui dava come obiettivo ai comunisti, quello di assicurare ai padroni l’equo profitto. Ovviamente scandalizzando tutti a sinistra, però, che questo lo dica Longo, segretario del PCI, esistendo l’Unione Sovietica, ecc. ecc.; è la continuazione di una linea politica che cerca di disaggregare l’avversario di classe, di stabilire un tipo di alleanza che indebolisca l’avversario di classe, all’interno di un movimento che cresce. Potrà essere una parola d’ordine sbagliata, quello che ti pare, però questo è lo sfondo. 

Quando D’Alema dice: “vai Longo a prendere ordini dal capitale finanziario, lui non ha un retroterra, obiettivamente. Cioè non c’è un mondo socialista che contrasti il mondo capitalista, quindi lui è consegnato mani e piedi legati. 

Tu sai che, appunto, noi dobbiamo scoprire dalla stampa borghese che intanto hanno imbucato Spaventa, che è uno degli economisti più infami, cioè questo dice “Uccidete gli operai e lo Stato”, portato dal PDS. 

Voglio dire che loro si trovano mani e piedi legati di fronte al nemico perché non c’è un movimento. Amendola poteva anche dire cose di destra, ma dietro c’era un movimento. E quando si batteva per le riforme di struttura, lui diceva: “Però otteniamole con il movimento di massa”. Il che cambia perché il protagonismo operaio non piace mai al padrone. Cambia qualcosa. Ed in più c’è l’Unione Sovietica. Io credo che – allora non ero affatto d’accordo con questa linea, quindi non la sto difendendo – un comunista di destra, un socialdemocratico rigoroso, è un’altra cosa rispetto a questi. 

Qui è la miseria. Per questo io dicevo “Attenti che tra fine ‘800 e inizio ‘900 c’è una forte elaborazione marxista, spesso anche di destra, socialdemocratica: Kautsky, Plechanov, Otto Bauer ecc.; ma questa era gente solida, ed è fondamentale riprenderli in mano per capire che i marxisti non sono questa pappetta che noi abbiamo intorno capisci?

INTERVENTO: SUI FALSI OBIETTIVI DATI DAI MASS-MEDIA

Questa è un’operazione chiarissima che, quando da parte padronale e sindacale si dice “centralità del problema del lavoro”, è un modo per far passare il taglio degli orari, il taglio dello stipendio, la flessibilità. Infatti tu hai visto che Bertinotti cerca di dire: “Lavoro e salario insieme”. Se fosse possibile intervenire su questioni politiche uno potrebbe anche osservare che lavoro e salario assieme, se tu non ci metti il controllo operaio è sempre una fregatura. 

Perché se tu non metti mano nei tempi e nei modi dell’introduzione dell’innovazione tecnologica, tu hai un organizzazione del lavoro che ti sfugge completamente dalle mani, e a parità di salario e riduzione di lavoro tu fornisci più plusvalore e quindi di fatto prendi di meno. 



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