domenica 10 maggio 2020

Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron

Da: http://www.rifondazione.it - Il testo è tratto da: https://www.elsiglo.cl/2020/04/23/atilio-boron-y-los-150-anos-de-lenin -
Atilio A. Boron è un intellettuale e sociologo argentino.
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                         La missione morale del Partito comunista - György Lukács 


22 Aprile 2020

Vladimir Illich Ulianov è nato in un giorno come oggi, del 1870, a Simbirsk, in Russia. Fu il fondatore del Partito Comunista Russo (bolscevico), il leader indiscusso della prima insurrezione operaia e contadina di successo a livello nazionale nella storia della umanità: la Rivoluzione d’ottobre in Russia (che portò a termine ciò che la eroica Comune di Parigi non potè fare) e architetto e costruttore dello Stato sovietico. Come se questo non fosse abbastanza, fu anche un notevole intellettuale, autore di numerosi scritti su argomenti diversi come filosofia, teoria economica, scienze politiche, sociologia e relazioni internazionali (1).

“Pratico della teoria e teorico della pratica” secondo la brillante definizione che György Lukács ha proposto, Lenin introdusse tre contributi decisivi al rinnovamento di una teoria vivente, il marxismo, che ha sempre inteso come una “guida all’azione” e non come un dogma o un insieme sclerotizzato di precetti astratti. 

Grazie a Lenin le basi teoriche stabilite da Karl Marx e Friedrich Engels furono arricchite con una teoria dell’imperialismo che fece luce sugli sviluppi più recenti del capitalismo nel primo decennio del ventesimo secolo; con una concezione della strategia e delle tattiche della conquista del potere o, in altre parole, con una rinnovata teoria della rivoluzione basata sull’alleanza “operaia-contadina” e sul ruolo degli intellettuali; e con le sue diverse teorie sul partito politico e i suoi compiti in diversi momenti della lotta sociale. Una straordinaria eredità teorica, come emerge dalla precedente enumerazione. 
 
In questo breve promemoria della nascita di una persona eccezionale come Lenin, vorrei attirare l’attenzione su uno di questi tre contributi: la “teoria” del partito in Lenin. 

In effetti, preoccupa la persistenza dannosa di un luogo comune – e profondamente errato – che consiste nel parlare della “teoria” del partito di Lenin come se ne avesse forgiata una, assolutamente imperturbabile dinanzi ai cambiamenti e alle sfide del processo storico. Come abbiamo dimostrato nel nostro studio introduttivo di una nuova edizione di Che fare? Lenin modificò la sua concezione del partito in corrispondenza alle variazioni nelle condizioni che caratterizzavano i diversi momenti dello sviluppo della lotta rivoluzionaria in Russia (2).

È ovvio sottolineare che la sua sensibilità storica e teorica era incompatibile con qualsiasi dogmatismo, il che gli fece rapidamente prendere atto degli insegnamenti lasciati dalla rivoluzione del 1905 e del ruolo marginale svolto dall’organizzazione politica a cui apparteneva, il Partito Operaio Socialdemocratico della Russia. 

La sua riflessione autocritica trasformò la prefazione di un libro frustrato – che avrebbe dovuto vedere la luce con il titolo di In dodici anni – mettendo insieme i libri e gli articoli che scrisse tra il 1895 e il 1907. Nonostante la modesta liberalizzazione che lo zarismo aveva concesso dopo la prova rivoluzionaria del 1905 e la sconfitta subita dalle truppe dello zar nella guerra russo-giapponese, la verità è che quei materiali furono confiscati dalla censura e non videro mai la luce. Tuttavia, il prologo era al sicuro e lascia chiavi importanti per comprendere l’evoluzione del pensiero di Lenin (3). In questa riflessione del 1907 Lenin spiega che il modello di partito proposto nel Che fare? è dovuto alle dure condizioni imposte dalla lotta clandestina contro lo zarismo e dal suo impressionante apparato repressivo.

Dopo che la rivoluzione del 1905 aveva trionfato, Lenin modifica la sua concezione del partito – che rimane rivoluzionario, ma non deve rimanere in clandestinità – e si avvicina a una posizione che è in qualche modo simile a quella della socialdemocrazia tedesca (ricordiamo che Lenin ripudia la teoria di Karl Kautsky solo nel 1909), organizzazione che a quel tempo era il “partito leader” della Seconda Internazionale. Dato che il partito non è un principio che sorvola le contingenze e i fattori imponderabili della storia, il cambiamento nei rapporti di forza tra lo zarismo e le forze sociali della rivoluzione, oltre alle mutazioni operate nel quadro istituzionale in cui si verificava la lotta politica – ha profondamente modificato la visione di Lenin sul carattere del partito, della sua struttura organizzativa, delle sue tattiche e della sua attività organizzativa nelle nuove circostanze storiche. La lotta per la rivoluzione, su cui Lenin non fece mai alcuna concessione, dovette fare appello a un nuova forma di partito. Cosa che ha fatto.

Tuttavia, il trionfo della rivoluzione nel febbraio del 1917 scatenò la gestazione di una terza teorizzazione in cui la centralità del partito in prima linea nel processo rivoluzionario fu sostituita dal travolgente ruolo dei Soviet. Con la sua proverbiale sagacità, Lenin avvertì questo cambiamento, una sorte di rivoluzione copernicana nella sfera della politica, prima di qualsiasi altro dirigente del partito Bolscevico e la lascio’ impressa per la storia nella sua stupefacente parola d’ordine Tutto il potere ai Soviets!. Questo significò, nei fatti, una straordinaria rivalutazione del potere insurrezionale di questa inedita formazione politica e una certa – e transitorio- messa in disparte del partito nella fase più calda della conquista del potere, prima e poco dopo del trionfo di Ottobre. Come vedremo più avanti, in nessun modo si potra’ argomentare che Lenin abbia definitivamente sottovalutato la importanza del partito: ma da fine osservatore qual’era non potè non corroborare la sua transitoria eclissi nel forno incandescente della rivoluzione, dove erano incontestabili sia la travolgente potenza plebea dei Soviet, che la sua condizione di attore inprenscindibile nell’ora del trionfo definitivo della rivoluzione.

La storia si è incaricata di dimostare che questa sorprendente parola d’ordine, molto discussa a suo tempo dai suoi stessi compagni bolscevichi, si dimostrò certa, poiche’ nel complicatissimo transito tra la rivoluzione democratico-borghese di Febbraio e la consumazione della rivoluzione socialista di Ottobre, il protagonismo escludente ricadde sui Soviets e non sul partito. Lenin era uno dei pochissimi che seppero capire questo cambiamento, e si rese conto che questo spostamento era lungi dall’essere definitivo e che prima o poi il partito avrebbe nuovamente occupato un posto preponderante nelle lotte politiche. Cosa che in realtà è poi successa.

In effetti, la stabilizzazione del potere sovietico e le enormi sfide della costruzione del socialismo – in un Paese devastato dalla prima guerra mondiale e dalla guerra civile dichiarata dall’aristocrazia terriera, dai capitalisti e dai loro alleati nei governi europei – hanno dato origine alla nascita di una nuova teoria sul partito, la quarta.

In questa nuova concezione, il partito rivoluzionario viene ridefinito (e consentitemi di abusare di un anacronismo didattico) “in chiave gramsciana”; ovvero il partito come grande organizzatore della direzione intellettuale e morale della rivoluzione, come educatore e maestro delle coscienze delle masse, in special modo della gioventù. Come il forgiatore di una nuova coscienza civilizzatrice e strumento essenziale per garantire ed assicurare la durata del trionfo rivoluzionario.

Gli ultimi scritti della sua vita, una volta consolidata la vittoria delle masse operaie e contadine russe, segnano proprio questo ritorno del partito al centro della scena politica, sottolineandone la centralità strategica di fronte all’immenso compito di iniziare la costruzione della nuova società comunista e di un nuovo Stato rivoluzionario che, ispirato dagli insegnamenti della Comune di Parigi, non dovrebbe essere la caricatura dello Stato capitalista. E questo non solo a livello nazionale: la creazione dell’Internazionale comunista nel 1919 proiettò sulla scena mondiale il ruolo del partito, in un momento in cui sembrava che il capitalismo stesse davanti a un vicolo cieco e che il trionfo della rivoluzione proletaria mondiale fosse imminente.

Concludo questa breve riflessione dicendo che la caratterizzazione abituale del rivoluzionario russo come attento lettore e discepolo di Marx non rende giustizia alla vastità della sua eredità. Come costruttore del primo Stato operaio del mondo, uno dei cui risultati di civiltà più longevi fu il suo decisivo contributo alla sconfitta del nazismo, e come raffinato pensatore che contribuì con preziosi e necessari sviluppi al corpus teorico del marxismo, il lavoro di Lenin raggiunge una statura teorica che non passò inosservata ad un attento osservatore della destra. Parliamo, ovviamente, di Samuel P. Huntington, che in uno dei suoi libri più importanti afferma che “Lenin non era discepolo di Marx; piuttosto quest’ultimo era il precursore del primo. Lenin trasformò il marxismo in una teoria politica (4)”, una tesi che senza dubbio deve essere presa con le pinze e apre numerose e inquietanti domande, ma che contiene alcuni elementi di verità che non possono essere semplicemente trascurati.

E oggi, nel 150° anniversario della nascita di Lenin, la sfida posta dalla tesi eterodossa dello statunitense è una buona opportunità per invitare la militanza anticapitalista a riprendere lo studio della vasta produzione teorica del fondatore dell’Unione Sovietica.


Note

(1) Le opere complete di Lenin, che riuniscono libri, articoli, saggi, interventi giornalistici, discorsi e messaggi di vario genere, furono pubblicate per la prima volta in spagnolo dall’editoriale Cartago del Partito Comunista argentino tra il 1957 e il 1973. Consiste di 50 volumi e altri due contenenti gli indici dell’opera. Va ricordato che Lenin è morto all’età di 54 anni, il che evidenzia la straordinaria ricchezza del suo talento di scrittore, pubblicista e leader politico.

(2) Per un’analisi più dettagliata di queste domande vedere la nostra introduzione in: V. I. Lenin, ¿Qué Hacer? Problemas candentes de nuestro movimiento (Buenos Aires: Ediciones Luxemburg, 2004), pagg. 13-73.

(3) Lenin si riferisce a questo suo scritto in Che fare? (op. cit), pagg. 75-83.

(4) Vedi Political Order in Changing Societies (New Haven: Yale University Press, 1968), pag. 336. 

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