lunedì 11 settembre 2017

Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923)

*Da:   https://www.marxists.org
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/07/quando-le-latrine-saranno-doro-luca.html
                       https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/comunismo-franco-fortini.html

Pubblicato nella Pravda, n. 117, 30 maggio 1923.
Trascritto dall'Organizzazione Comunista Internazionalista (Che fare) e da Pagine rosse, Gennaio 2003


  A proposito delle note di N. Sukhanov

I.

Ho sfogliato in questi giorni le note di Sukhanov sulla rivoluzione. Balza particolarmente agli occhi il pedantismo di tutti i nostri democratici piccolo-borghesi, come pure di tutti gli eroi della II Internazionale. Senza neppur parlare del fatto che essi sono straordinariamente vili, che perfino i migliori di essi fanno un mucchio di riserve quando si tratta di scostarsi anche minimamente dal modello tedesco, senza neppure parlare di questo tratto proprio a tutti i democratici piccolo-borghesi e che essi hanno sufficientemente rivelato durante tutta la rivoluzione, ciò che balza agli occhi è la loro servile imitazione del passato.

Essi si definiscono tutti marxisti, ma intendono il marxismo con incredibile pedanteria. Essi non hanno affatto compreso ciò che vi è di decisivo nel marxismo, e cioè la sua dialettica rivoluzionaria. Nemmeno la precisa affermazione di Marx, secondo cui nei momenti rivoluzionari occorre la massima duttilità [1], essi non l'hanno assolutamente compresa. Per esempio, non hanno neppure notato le indicazioni di Marx nel suo carteggio, se ben ricordo, del 1856 (Lettera di Marx a Engels del 16 aprile 1856, in Carteggio Marx-Engels, Roma, Edizioni Rinascita, vol. II, 1950, pp. 421-423) in cui egli esprimeva la speranza dell'unione di una guerra di contadini in Germania, capace di creare una situazione rivoluzionaria, con il movimento operaio [2]. Essi eludono persino                                                                                                                      questa indicazione diretta e vi girano intorno come un gatto intorno ad una pentola di latte bollente.

In tutta la loro condotta essi si dimostrano vili riformisti i quali temono di allontanarsi dalla borghesia, e tanto più di rompere con essa, e mascherano, nello stesso tempo, la loro viltà con la più sgangherata fraseologia e millanteria. Ma ciò che balza agli occhi anche da un punto di vista puramente teorico è la loro assoluta incapacità di comprendere le seguenti considerazioni del marxismo. Essi hanno visto sinora una certa via di sviluppo del capitalismo e della democrazia borghese nell'Europa occidentale, e non possono immaginarsi che questa via non possa esser presa come modello, se non, mutatis mutandis, con alcune correzioni (assolutamente insignificanti dal punto di vista della storia mondiale).

Primo. Una rivoluzione legata alla prima guerra imperialista mondiale. In una rivoluzione simile dovevano manifestarsi caratteri nuovi o modificazioni di forma appunto in dipendenza della guerra, perché non v'è mai stata al mondo una simile guerra, in una tale situazione. Noi vediamo che finora, dopo questa guerra, la borghesia dei paesi più ricchi non può stabilire rapporti borghesi "normali", ma i nostri riformisti - i piccoli borghesi che si dànno l'aria di rivoluzionari - consideravano e considerano ancora questi rapporti borghesi normali come un limite (che non si deve sorpassare), e intendono inoltre questa "normalità" in un modo estremamente banale e ristretto.

Secondo. E' loro completamente estranea l'idea che, nello sviluppo secondo le leggi generali di tutta la storia mondiale, non si escludono affatto, ma, al contrario, si suppongono singole fasi, le quali presentano delle particolarità sia nella forma che nell'ordine di questo sviluppo. Non passa loro neanche per la testa, per esempio, che la Russia - la quale sta alla frontiera tra i paesi civili e i paesi attratti definitivamente da questa guerra per la prima volta nell'orbita della civiltà, i paesi di tutto l'oriente, i paesi non europei - poteva e doveva manifestare alcuni caratteri peculiari, i quali naturalmente sono compresi nella linea generale dello sviluppo mondiale, ma distinguono tuttavia la sua rivoluzione da tutte le rivoluzioni precedenti dei paesi dell'Europa occidentale e determinano alcune innovazioni parziali quando si passa ai paesi orientali.

Per esempio, è infinitamente banale il loro argomento, studiato a memoria durante lo sviluppo della socialdemocrazia dell'Europa occidentale, secondo il quale noi non saremmo ancora maturi per il socialismo e secondo il quale da noi non esisterebbero, come dicono diversi signori "scienziati" che militano nelle loro file, le premesse economiche obiettive per il socialismo. E non viene in mente a nessuno di domandarsi: ma un popolo che era davanti a una situazione rivoluzionaria, quale si era creata nella prima guerra imperialista, sotto l'imminenza di questa situazione senza via di uscita, non poteva forse gettarsi in una lotta che gli apriva almeno qualche speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie per un ulteriore progresso della civiltà?

"La Russia non ha raggiunto il livello di sviluppo delle forze produttive sulla base del quale è possibile il socialismo." Tutti gli eroi della II Internazionale, compreso naturalmente Sukhanov, presentano questa tesi come oro colato. Questa tesi indiscutibile, la rimasticano continuamente e la considerano come decisiva per l'apprezzamento della nostra rivoluzione.

Ma che cosa fare se l'originalità della situazione ha innanzi tutto condotto la Russia nella guerra imperialista mondiale, nella quale erano coinvolti tutti i paesi dell'Europa occidentale che avevano una qualche influenza, ha creato per il suo sviluppo - nei confini della rivoluzione iniziantesi e in parte già iniziata in oriente - condizioni in cui noi potevamo attuare precisamente quella unione della "guerra dei contadini" con il movimento operaio, di cui parlava, come di una prospettiva possibile, un "marxista" come Marx, nei 1856, a proposito della Prussia?

Che fare se la situazione, assolutamente senza vie d'uscita, decuplicava le forze degli operai e dei contadini e ci apriva più vaste possibilità di creare le premesse fondamentali della civiltà, su una via diversa da quella percorsa da tutti gli altri Stati dell'Europa occidentale? Forse che per questo la linea generale dello sviluppo della storia mondiale si è modificata? Si sono forse perciò cambiati i rapporti fondamentali tra le classi principali di ogni Stato che è già stato coinvolto. O che viene attratto nel corso generale della storia mondiale?

Se per creare il socialismo occorre un certo grado di cultura (quantunque nessuno possa dire quale sia di preciso questo certo "grado di cultura", dato che esso è diverso in ogni Stato dell'Europa occidentale), perché non dovremmo allora cominciare con la conquista, per via rivoluzionaria, delle premesse necessarie per questo certo grado, in modo da potere in seguito - sulla base del potere operaio e contadino e del regime sovietico - metterci in marcia per raggiungere gli altri popoli?
16 gennaio 1923


                                                                                                                                                            II
       Per creare il socialismo, voi dite, occorre la civiltà. Benissimo. Perché dunque da noi non avremmo potuto creare innanzi tutto quelle premesse della civiltà che sono la cacciata dei grandi proprietari fondiari e la cacciata dei capitalisti russi per poi cominciare la marcia verso li socialismo? In quali libri avete letto che simili modificazioni di forma nello svolgimento storico ordinario sono inammissibili o impossibili?

Napoleone, se ben ricordo, scrisse "On s'engage et puis... on voit". Liberamente tradotto, ciò significa: "Prima bisogna impegnarsi in un combattimento serio e poi si vedrà". Ed ecco che anche noi nell'ottobre 1917 ci siamo impegnati dapprima in un combattimento serio e soltanto dopo abbiamo visto taluni particolari dello sviluppo (dal punto di vista della storia mondiale, questi sono indubbiamente dei particolari), come la pace di Brest, o la Nuova politica economica, ecc. E oggi non v'è più alcun dubbio che, in linea generale, noi abbiamo ottenuto la vittoria.

I nostri Sukhanov, per non parlare dei socialdemocratici che si trovano più a destra di loro, non sognano nemmeno che, in generale, le rivoluzioni non si possono fare in un altro modo. I nostri piccoli borghesi europei non sognano nemmeno che le successive rivoluzioni nei paesi dell'oriente, paesi incomparabilmente più ricchi per popolazione e per l'infinita varietà di condizioni sociali, presenteranno senza dubbio un'originalità ancor maggiore di quella della rivoluzione russa.

Non c'è che dire, un manuale scritto alla maniera di Kautsky era molto utile ai suoi tempi. Ma è ormai venuto il momento di abbandonare una buona volta l'idea che questo manuale avrebbe previsto tutte le forme dell'ulteriore sviluppo della storia mondiale. Coloro che pensano in questo modo dovrebbero essere tempestivamente proclamati puri imbecilli.
17 gennaio 1923
Lenin

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Note

1. Lenin allude qui evidentemente a quanto detto da Marx nella sua opera La guerra civile in Francia e nella lettera a Kugelmann del 12 aprile 1871 (vedi K. Marx - F. Engels, Opere scelte, Roma, Editori Riuniti 1966, pp. 905-932; e K. Marx, Lettere a Kugelmann, Roma Edizioni Rinascita, 1950, pp. 139-140).

2. Vedi la lettera di K. Marx a F. Engels del 16 aprile 1856 (K. Marx e F. Engels, Ausgewählte Briefe in zwei Bander, vol. II, Berlin, 1961 pp. 495-426). 

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