*Vittorio_Cottafavi è stato un regista e sceneggiatore italiano.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/08/tragedia-come-paideia-eva-cantarella.html
Le parole sono armi - Luciano Canfora (Da: http://salvatoreloleggio.blogspot.it)
Diceva Aristofane, e forse ci credeva, che molte signore ateniesi si erano dapprima coperte di vergogna, quindi suicidate, per il coinvolgente influsso esercitato sulla loro mente delle figure femminili messe in scena da Euripide. Queste figure, per esempio Fedra innamorata del figliastro, o Stenebea, moglie di Preto, ma presa d’amore per Bellerofonte, vengono designate da Aristofane, nello stesso contesto delle Rane, con la cruda e iniqua parola cara ad ogni Tartufo: “sgualdrine”. L’idea che Aristofane esprime, e i suoi spettatori condividono, è che il teatro sia il veicolo di una ideologia: “Il poeta deve nascondere il male, non metterlo in mostra né insegnarlo. Ai bambini fa lezione il maestro, agli adulti i poeti”.
Questa è l’idea che gli ateniesi hanno del teatro e della sua implicazione politica ed esistenziale. Politica, anche: non a caso dalla più antica erudizione è stato usuale cercare di cogliere e spiegare i riferimenti molteplici, le allusioni, contenuti nelle tragedie e nelle commedie, in quanto appunto suprema forma di pedagogia collettiva. Non a caso su questo teatro veniva esercitata una censura, e talvolta una esplicita repressione politica. “Non daremo il coro a chiunque”, ammonisce l’interlocutore ateniese nelle Leggi di Platone.
Victor Ehrenberg in un saggio assai noto, Sofocle e Pericle, apparso nel 1954, sostenne che l’Antigone di Sofocle rappresenta la rivendicazione dei valori umani in antitesi con le leggi positive dello Stato (di ogni Stato, parrebbe di capire). Ehremberg si poneva criticamente di fronte a un grandissimo interprete ottocentesco dell’Antigone, Hegel, il quale nelle Lezioni di estetica aveva visto nello scontro tra Antigone e il tiranno Creonte l’espressione della polarità tra la famiglia e lo Stato.
Per chi lo ignori non è male ricordare che Antigone pullula di dibattiti politici: ad esempio quello tra Emone e Creonte, tutti centrati sui temi vitali della comunità (il potere personale, il controllo popolare, il consenso conformistico e coatto e così via). I cercatori della poesia “pura” hanno sempre arricciato il naso dinanzi a questo genere di interpretazioni. Ignari per lo più della natura intimamente e strutturalmente politica del teatro ateniese, fraintendono un teatro il cui strumento erano appunto le maschere prototipiche della tradizione mitologica.
Una messinscena dell’Antigone promossa da un gruppo femminista tedesco fu vietata subito dopo Stammhein (1977) [il riferimento è alla RAF e alla morte in carcere dei componenti del gruppo Baader Meinhof ]. Il divieto della sepoltura che è al centro della tragedia sofoclea si offriva spontaneamente come parallelo della più oscura e tragica vicenda degli “anni di piombo”. Il censore governativo ragionò alla stessa maniera del gruppo femminista, ma con intendimento opposto.
Non riesco perciò davvero a capire il chiasso ostile che si è voluto fare intorno all’Antigone di Rossana Rossanda. Forse è tutto dovuto a una scarsa cultura storico-letteraria. Ogni volta che questa moderna studiosa del moderno fenomeno eversivo ricorre alla figura di Antigone – anni fa con l’omonima rivista, ora con l’introduzione alla tragedia – si levano proteste a misurare il misfatto di lesa Antigone. Non sanno, come sapevano invece gli ateniesi, che le parole dette dalle scena erano “armi”.
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