giovedì 4 ottobre 2018

Marxismo e revisionismo - Vladimir Lenin (1908)


Da: https://www.marxists.org - Estratto da Opere Scelte - Editori Riuniti 1965 - pag. 443-451. - Scritto nell'aprile del 1908 e pubblicato nella raccolta Karl Marx (1818 - 1883), Pietroburgo, 1908. - Trascritto per Internet da Ivan A., Gennaio 1999 -
Le note indicate con l'asterisco sono di Lenin; le altre, contrassegnate da numeri, sono della redazione.


        Un noto adagio dice che se gli assiomi della geometria urtassero gli interessi degli uomini, si sarebbe probabilmente cercato di confutarli. Quelle dottrine delle scienze storiche e naturali che colpiscono i vecchi pregiudizi della teologia hanno provocato e provocano tuttora una delle lotte più accanite. Nulla di strano quindi che la dottrina di Marx, la quale serve in modo diretto a educare e organizzare la classe d'avanguardia della società moderna, indica i compiti di questa classe e dimostra che, grazie allo sviluppo economico, la sostituzione dell'attuale ordinamento sociale con un ordine nuovo è cosa ineluttabile nulla di strano che questa dottrina abbia dovuto farsi strada lottando ad ogni passo.

Non parliamo della scienza e della filosofia borghesi, insegnate ufficialmente da professori ufficiali allo scopo di istupidire la giovane generazione delle classi possidenti e di "aizzarla" contro i nemici interni ed esterni. Questa scienza non vuol nemmeno sentir parlare del marxismo, dichiarandolo confutato e distrutto; e i giovani scienziati che fanno carriera confutando il socialismo, e le vecchie cariatidi che fanno la guardia a tutti i possibili e immaginabili comandamenti di "sistemi" vetusti, tutti con lo stesso zelo attaccano Marx. I progressi del marxismo, la diffusione e l'affermarsi delle sue idee in seno alla classe operaia, accrescono inevitabilmente la frequenza e la violenza di questi attacchi borghesi contro il marxismo. Questo però, dopo ogni "colpo di grazia" infertogli dalla scienza ufficiale, diventa più forte, più temprato, più vitale di prima.

Ma anche fra le dottrine che hanno un legame con la lotta della classe operaia e sono diffuse particolarmente fra il proletariato, il marxismo è ben lungi dall'aver rafforzato di colpo le sue posizioni. Nei primi cinquanta anni della sua esistenza (a partire dal decennio 1840-1850) il marxismo combattè contro le teorie che gli erano radicalmente ostili. Nella prima metà del decennio 1840-1850 Marx ed Engels aggiustarono i conti con i giovani hegeliani radicali che in filosofia erano idealisti. Verso la fine di questo decennio la lotta si porta nel campo delle dottrine economiche, contro il proudhonismo. Negli anni 1850-1860 questa lotta viene coronata dalla critica dei partiti e delle dottrine che si erano manifestate durante il tempestoso 1848. Dal 1860 al 1870 la lotta passa dal campo della teoria generale a un campo più direttamente vicino al movimento operaio: cacciata del bakunismo dall'Internazionale. All'inizio del decennio 1870-1880 in Germania si fa avanti per un breve periodo di tempo il proudhoniano Mülberger; [1] alla fine di questo decennio, il positivista Dühring. Ma l'influenza esercitata sul proletariato tanto dall'uno che dall'altro è già insignificante. Il marxismo ha già trionfato in modo indiscusso di tutte le altre ideologie del movimento operaio.

Nell'ultimo decennio del secolo scorso questa vittoria era, nel complesso, un fatto compiuto. Persino nei paesi latini, dove le tradizioni del proudhonismo persistettero più a lungo, i partiti operai di fatto fondavano i loro programmi e la loro tattica su una base marxista. L'organizzazione internazionale del movimento operaio, ripresa sotto forma di congressi internazionali periodici, subito e quasi senza lotta si mise in tutte le questioni essenziali sul terreno del marxismo. Ma quando il marxismo ebbe soppiantato tutte le dottrine ad esso avverse e dotate di una qualche consistenza, le tendenze che trovavano un'espressione in queste dottrine si dettero a cercare altre vie. Le forme e i pretesti della lotta mutarono, ma la lotta continuò. E il secondo cinquantennio di esistenza del marxismo si iniziò (dal 1890) con la lotta di una corrente ostile al marxismo in seno al marxismo stesso.

L'ex marxista ortodosso Bernstein ha dato il nome a questa corrente, poichè ha fatto maggior rumore e formulato nel modo più completo le correzioni da apportare a Marx, la revisione del marxismo, il revisionismo. Persino in Russia, dove naturalmente il socialismo non marxista si è mantenuto più a lungo - data l'arretratezza economica del paese e la predominanza nella popolazione dei contadini soffocati dalle vestigia del servaggio - persino in Russia, esso si trasforma sotto i nostri occhi in revisionismo. Tanto nella questione agraria (programma di municipalizzazione di tutte le terre) che nelle questioni generali di programma e di tattica, i nostri socialpopulisti sostituiscono sempre più con "correzioni" a Marx i resti morenti, in decomposizione, del loro vecchio sistema, a modo suo coerente e fondamentalmente ostile al marxismo.

Il socialismo premarxista è battuto. Esso continua la lotta non più sul suo proprio terreno, ma sul terreno generale del marxismo, come revisionismo. Vediamo dunque qual è il contenuto ideologico del revisionismo.

Nel campo della filosofia il revisionismo si è messo a rimorchio della "scienza" borghese professorale. I professori "ritornano a Kant", e il revisionismo si trascina dietro i neokantiani. I professori ripetono le banalità pretesche, mille volte rimasticate, contro il materialismo filosofico, e i revisionisti, sorridendo con condiscendenza, borbottano (parola per parola secondo l'ultimo Handbuch[2] che il materialismo è stato da un pezzo "confutato". I professori considerano Hegel come un "cane morto" [3] e predicando essi stessi l'idealismo, ma un idealismo mille volte più meschino e banale di quello hegeliano, alzano con sprezzo le spalle a proposito della dialettica, e i revisionisti si cacciano dietro a loro nel pantano dell'avvilimento filosofico della scienza, sostituendo alla dialettica "sottile" (e rivoluzionaria) la "semplice" (e pacifica) "evoluzione". I professori si guadagnano i loro stipendi adattando i loro sistemi idealistici e "critici" alla "filosofia" medioevale dominante (cioè alla teologia), e i revisionisti si schierano al loro fianco, cercando di fare della religione un "affare privato", non rispetto allo Stato moderno, ma rispetto al partito della classe d'avanguardia.

E' inutile parlare del vero significato di classe di tali "correzioni" a Marx: la cosa è evidente di per sé. Notiamo soltanto che l'unico marxista che, nella socialdemocrazia internazionale, abbia criticato le incredibili banalità spacciate dai revisionisti, mantenendosi sulle posizioni del materialismo dialettico conseguente, è stato Plekhanov. Ciò è tanto più necessario sottolineare energicamente oggi, quando si fanno dei tentativi profondamente errati di far passare il ciarpame filosofico reazionario per critica dell'opportunismo tattico di Plekhanov. [*]

Passando all'economia politica si deve notare innanzi tutto che in questo campo le "correzioni" dei revisionisti sono state molto più varie e circostanziate: si è cercato di agire sul pubblico coi "nuovi dati dello sviluppo economico". Si è preteso che la concentrazione della produzione e l'eliminazione della piccola produzione da parte della grande non si verificano affatto nell'agricoltura, e che nel commercio e nell'industria si verificano con estrema lentezza. Si è preteso che le crisi si farebbero oggi più rare, meno acute e che probabilmente i cartelli e i trust offriranno al capitale la possibilità di eliminarle del tutto. Si è preteso che la "teoria del crollo" verso il quale marcia il capitalismo sarebbe una teoria inconsistente, poichè le contraddizioni di classe tenderebbero ad attutirsi, ad attenuarsi. Si è preteso infine che non sarebbe male correggere la teoria del valore di Marx secondo gli insegnamenti di Böhm-Bawerk.

La lotta contro i revisionisti a proposito di questi problemi ha dato al pensiero teorico del socialismo internazionale un impulso tanto fecondo quanto la polemica di Engels con Dühring venti anni prima. Gli argomenti dei revisionisti sono stati esaminati, fatti e cifre alla mano. E' stato dimostrato che i revisionisti idealizzano sistematicamente la piccola produzione moderna. Il fatto della superiorità tecnica e commerciale della grande produzione sulla piccola, non soltanto nell'industria, ma anche nell'agricoltura, è dimostrato da dati inconfutabili. Ma nell'agricoltura la produzione commerciale è molto più debolmente sviluppata; e i moderni economisti e studiosi di statistica non sanno, d'abitudine, mettere in rilievo quei rami speciali (talvolta persino quelle operazioni) dell'agricoltura che attestano che l'agricoltura viene attratta sempre più nell'orbita degli scambi economici mondiali. La piccola produzione si mantiene sulle rovine dell'economia naturale, grazie a un peggioramento sempre più accentuato dell'alimentazione, alla carestia cronica, al prolungamento della giornata di lavoro, al peggioramento della qualità del bestiame e delle cure che gli si danno, in una parola, grazie agli stessi mezzi coi quali la produzione artigiana ha resistito alla manifattura capitalistica. Ogni passo in avanti della scienza e della tecnica scalza inevitabilmente, inesorabilmente le basi della piccola produzione nella società capitalistica; e il compito dell'economia socialista è di analizzare questo processo in tutte le sue forme, spesso complesse e ingarbugliate, di dimostrare al piccolo produttore che gli è impossibile resistere in regime capitalista, che la situazione dell'economia contadina in regime capitalista non ha vie di uscita, che il contadino deve far proprio necessariamente il modo di vedere del proletariato. Dal punto di vista scientifico in questa questione i revisionisti peccavano per la loro superficiale generalizzazione di fatti presi isolatamente, staccandoli dall'assieme del regime capitalista; dal punto di vista politico peccavano perchè inevitabilmente, lo volessero o no, chiamavano il contadino o lo spingevano a far proprie le opinioni del proprietario (cioè della borghesia), invece di spingerlo a far proprie le opinioni del proletariato rivoluzionario.

Per quel che concerne la teoria delle crisi e la teoria del crollo, per i revisionisti le cose sono andate ancor peggio. Soltanto per un brevissimo periodo di tempo e solo persone di vista ben corta potevano pensare a rimaneggiare i princípi della dottrina di Marx sotto l'influenza di alcuni anni di slancio e di prosperità industriale. La realtà ha dimostrato ben presto ai revisionisti che le crisi non avevano fatto il loro tempo: alla prosperità ha tenuto dietro la crisi. Sono cambiate le forme, l'ordine, la fisionomia delle singole crisi, ma le crisi continuano a essere parte integrante del regime capitalista. I cartelli e i trust mentre hanno concentrato la produzione ne hanno aggravato nello stesso tempo, agli occhi di tutti, l'anarchia, hanno aumentato l'incertezza del domani per il proletariato e l'oppressione del capitale, inasprendo così in modo inaudito le contraddizioni di classe. Che il capitalismo vada verso il crollo - tanto nel senso delle singole crisi economiche e politiche, quanto della catastrofe completa di tutto il regime capitalista - lo hanno dimostrato in modo particolarmente evidente e in proporzioni particolarmente vaste i giganteschi trust contemporanei. La recente crisi finanziaria in America, la estensione terribile della disoccupazione in Europa, senza parlare poi della crisi industriale imminente, annunciata da sintomi numerosi - tutto questo ha fatto sí che le recenti "teorie" dei revisionisti sono state dimenticate da tutti e, a quanto pare, da molti revisionisti stessi. Occorre soltanto non dimenticare gli insegnamenti che la classe operaia ha ricevuto da questa instabilità da intellettuali.

Riguardo alla teoria del valore è sufficiente dire che, all'infuori delle allusioni e dei conati molto confusi alla Böhm-Bawerk i revisionisti non hanno dato qui assolutamente nulla e perciò non hanno lasciato traccia alcuna nello sviluppo del pensiero scientifico.

Nel campo della politica il revisionismo ha tentato di rivedere di fatto il principio fondamentale del marxismo, e cioè la dottrina della lotta di classe. La libertà politica, la democrazia, il suffragio universale distruggono le basi della lotta di classe - ci si è detto - e smentiscono il vecchio principio del Manifesto comunista: gli operai non hanno patria. In regime democratico poiché è la "volontà" della maggioranza che regna, non sarebbe più possibile vedere nello Stato un organo di dominio di classe ne sottrarsi ad alleanze con la borghesia progressiva socialriformatrice contro i reazionari.

E' fuori discussione che queste obiezioni dei revisionisti formavano un sistema abbastanza armonico, il sistema delle concezioni liberali borghesi da tempo conosciute. I liberali hanno sempre affermato che il parlamentarismo borghese distrugge le classi e la divisione in classi, dal momento che il diritto di voto, il diritto di partecipare agli affari dello Stato appartengono a tutti i cittadini senza distinzione. Tutta la storia dell'Europa nella seconda metà del secolo XIX, tutta la storia della rivoluzione russa all'inizio del secolo XX dimostrano all'evidenza quanto sono assurde queste concezioni. Con la libertà del capitalismo "democratico" la differenziazione economica non si attenua, ma si accentua e si aggrava. Il parlamentarismo non elimina, ma mette a nudo l'essenza delle repubbliche borghesi più democratiche come organi di oppressione di classe. Aiutando a illuminare e a organizzare masse popolari infinitamente più grandi di quelle che partecipavano prima attivamente agli avvenimenti politici, il parlamentarismo non prepara in questo modo l'eliminazione delle crisi e delle rivoluzioni politiche, ma il massimo di acutezza della guerra civile durante queste rivoluzioni. Gli avvenimenti di Parigi nella primavera del 1871 e quelli della Russia nell'inverno del 1905 hanno dimostrato chiaro come la luce del sole che è inevitabile si giunga a una tale acutezza. La borghesia francese per soffocare il movimento proletario non esitò un istante a mettersi d'accordo col nemico nazionale e coll'esercito straniero, che aveva saccheggiato la patria. Chi non comprende l'inevitabile dialettica interna del parlamentarismo e della democrazia borghese, che porta a risolvere i conflitti ricorrendo a forme sempre più aspre di violenza di massa, non saprà mai condurre nemmeno sul terreno del parlamentarismo una propaganda e un'agitazione che siano conformi ai princípi e preparino veramente le masse operaie a partecipare vittoriosamente a questi "conflitti". L'esperienza delle alleanze, degli accordi e dei blocchi col liberalismo socialriformista in occidente e col riformismo liberale (cadetti) nella rivoluzione russa ha dimostrano in modo convincente che questi accordi non fanno che annebbiare la coscienza delle masse, non accentuano ma attenuano l'importanza effettiva della loro lotta, legando i combattenti agli elementi più inetti alla lotta, più instabili e inclini al tradimento. Il millerandismo francese, che è l'esperienza più notevole di applicazione della tattica politica revisionista su grande scala, su una scala veramente nazionale, ha dato del revisionismo un giudizio pratico che il proletariato di tutto il mondo non dimenticherà mai.

Il complemento naturale delle tendenze economiche e politiche del revisionismo è stato il suo atteggiamento verso l'obiettivo finale del movimento socialista. "Il fine non è nulla, il movimento è tutto", queste parole alate di Bernstein esprimono meglio di lunghe dissertazioni l'essenza del revisionismo. Determinare la propria condotta caso per caso: adattarsi agli avvenimenti del giorno, alle svolte provocate da piccoli fatti politici; dimenticare gli interessi vitali del proletariato e i tratti fondamentali di tutto il regime capitalista, di tutta l'evoluzione del capitalismo; sacrificare questi interessi vitali a un vantaggio reale o supposto del momento, tale è la politica revisionista. Dall'essenza stessa di questa politica risulta chiaramente che essa può assumere forme infinitamente varie e che ogni problema più o meno "nuovo", ogni svolta più o meno inattesa e imprevista - anche se mutano il corso essenziale degli avvenimenti in una misura infima per un brevissimo periodo di tempo - devono portare inevitabilmente all'una o all'altra varietà di revisionismo.

Ciò che rende inevitabile il revisionismo sono le sue radici di classe nella società moderna. Il revisionismo è fenomeno internazionale. Per ogni socialista più o meno accorto e pensante non può esistere il minimo dubbio che i rapporti fra gli ortodossi e i seguaci di Bernstein in Germania, fra i seguaci di Guesde e di Jaurès (ora, in particolar modo, i seguaci di Brousse) in Francia, fra la Federazione socialdemocratica e il Partito operaio indipendente in Inghilterra, fra de Brouckère e Vandervelde nel Belgio, fra integralisti e riformisti in Italia, fra bolscevichi e menscevichi in Russia, sono, dappertutto, nella loro essenza, omogenei, malgrado l'enorme differenza delle condizioni nazionali e della situazione storica di questi paesi nel momento presente. La "differenziazione" in seno al socialismo internazionale contemporaneo si produce di fatto già ora secondo una linea unica nei diversi paesi del mondo, attestando con ciò l'immenso progresso compiuto in confronto a 30-40 anni fa, quando nei differenti paesi lottavano fra di loro in seno al socialismo internazionale unico tendenze eterogenee. E quel "revisionismo di sinistra" che è apparso ora nei paesi latini sotto forma di "sindacalismo rivoluzionario" si adatta esso pure al marxismo "correggendolo". Labriola in Italia, Lagardelle in Francia fanno appello ad ogni passo a un Marx ben compreso contro un Marx mal compreso.

Non possiamo qui soffermarci ad analizzare il contenuto ideologico di questo revisionismo, che è ancora ben lontano dall'essersi così sviluppato come il revisionismo opportunista, non è diventato internazionale e non ha sostenuto praticamente nessuna battaglia importante col partito socialista in nessun paese. Ci limiteremo perciò al "revisionismo di destra" che abbiamo descritto più sopra.

Che cosa rende inevitabile il revisionismo nella società capitalista? Perchè il revisionismo è più profondo delle particolarità nazionali e dei gradi di sviluppo del capitalismo? Perchè in ogni paese capitalista esistono sempre, accanto al proletariato, larghi strati di piccola borghesia, di piccoli proprietari. Il capitalismo è nato e nasce continuamente dalla piccola produzione. Nuovi numerosi "strati medi" vengono inevitabilmente creati dal capitalismo (appendici della fabbrica, lavoro a domicilio, piccoli laboratori che sorgono in tutto il paese per sovvenire alla necessità della grande industria, come quella delle biciclette e dell'automobile, per esempio). Questi nuovi piccoli produttori sono essi pure in modo inevitabile respinti nuovamente nelle file del proletariato. E' del tutto naturale quindi che le concezioni piccolo-borghesi penetrino nuovamente nelle file dei grandi partiti operai. E' del tutto naturale che debba essere così e sarà così sempre, sino allo sviluppo della rivoluzione proletaria, perchè sarebbe un grave errore pensare che per compiere questa rivoluzione sia necessaria la proletarizzazione "completa" della maggioranza della popolazione. Ciò che noi sperimentiamo ora spesso soltanto nel campo ideologico: le discussioni contro le correzioni teoriche di Marx; ciò che ora non si manifesta nella pratica che a proposito di certi problemi particolari del movimento operaio: le divergenze tattiche coi revisionisti e le scissioni che si producono su questo terreno tutto ciò la classe operaia dovrà inevitabilmente subirlo ancora in proporzioni incomparabilmente più grandi quando la rivoluzione proletaria avrà acutizzato tutti i problemi controversi, avrà concentrato tutte le divergenze sui punti che hanno l'importanza più diretta per determinare la condotta delle masse e ci avrà imposto, nel fuoco del combattimento, di discernere i nemici dagli amici e di respingere i cattivi alleati per infliggere al nemico colpi decisivi.

La lotta ideologica del marxismo rivoluzionario contro il revisionismo alla fine del secolo XIX non è che il preludio delle grandi battaglie rivoluzionarie del proletariato, che avanza verso la completa vittoria della sua causa, nonostante tutti i tentennamenti e le debolezze degli elementi piccolo-borghesi.

Note

1. August Mülberger (1847-1907), medico e pubblicista tedesco, nel 1872 scrisse per il Volksstaat (il giornale socialdemocratico diretto da W. Liebknecht) una serie di articoli sul problema delle abitazioni. Vedi su di lui F. Engels, La questione delle abitazioni, Roma, Edizioni Rinascita, 1950. Per Eugen Dühring: F. Engels. Antidühring, cit.
2. Manuale scolastico.
3. Lenin riecheggia qui il Poscritto alla seconda edizione del libro I del Capitale, dove Marx, in polemica con i "molesti, presuntuosi e mediocri epigoni" che trattavano Hegel come un "cane morto", dichiara di essersi "professato apertamente scolaro di quel grande pensatore".
*. Si vedano i Saggi di filosofia marxista di Bogdanov, Bazarov ed altri. Non qui il luogo di analizzare questo libro, e debbo limitarmi per ora a dichiarare che in un futuro prossimo dimostrerò in una serie di articoli o in un opuscolo speciale che tutto ciò che è detto nel testo sui revisionisti neokantiani è valevole, di fatto, anche per questi "nuovi" revisionisti neohumiani e neoberkeleyani. [4]
4. Poco tempo dopo (1909) Lenin pubblicò il suo libro Materialismo ed empiriocriticismo (Opere, cit., vol. XIV), nel quale critica Bogdanov e gli altri revisionisti insieme ai loro maestri Avenarius e Mach.

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