Il video che viene qui proposto è una risposta a questa intervista di Diego Fusaro: https://www.youtube.com/watch?v=EV_P_eybAe4&list=PLo-vwNjnLdbYeKAXeEYoXqFW5S7KNk0sY&index=9)
"...dobbiamo
sempre ricordare che la politica è l'arte del possibile. Cioè non
ha nessun senso lanciare la parola d'ordine dell'internazionale se
non esiste nel mondo obiettivamente qualcosa che spinge al
superamento dei confini nazionali. E il capitalismo ha anche questo
ruolo di favorire, di mettere in luce, questa spinta verso
l'internazionalismo, il superamento delle nazioni. Ovviamente con
tutte le contraddizioni, perché poi non esiste una mondializzazione
capitalistica -mondializzazione non è lo stesso di globalizzazione.
In realtà l'internazionalismo del padrone ha dato luogo a regioni
economiche diverse, e anche conflittuali -basti pensare alla faccenda
dollaro
euro
per esempio-. Se si vuole fare politica realmente bisogna avere un
fondamento alla radice di tutto [...] bisogna che la parola d'ordine
che io lancio, il movimento che metto in piedi, abbia un riferimento
obiettivo, abbia una radice nel movimento obiettivo delle cose. Ora
il movimento obiettivo delle cose è verso un'economia che supera il
confine nazionale."
Gli
imbrogli del post-modernismo, Stefano Garroni (22/01/2014) (a cura di Adriana Garroni)
Con questo breve intervento mi
propongo di rispondere ad alcune delle tesi formulate dal professore
americano R. Inglehart nel suo libro La
società
post-moderna (pubbl.
it. 1998) e dal giovane filosofo italiano Diego Fusaro in una recente
intervista. A
mio parere, sia questo libro sia le idee di Fusaro -seppur a diverso
livello e a diversa dignità culturale- sono due campioni del
carattere fondamentalmente anticomunista e antimarxista della cultura
post-moderna.
Nella sua intervista Diego Fusaro sostiene che Marx si sarebbe
sbagliato nel lanciare la parola d’ordine dell’internazionalismo
proletario, in quanto l'unico internazionalismo esistente ed operante
nella storia è quello del capitale: sbandierare tale parola d'ordine
coinciderebbe, paradossalmente, con l'esaltazione della
mondializzazione del capitalismo. A dimostrazione di ciò, secondo il
giovane filosofo, ci sarebbero gli errori che Marx avrebbe commesso
nella previsione dello sviluppo economico del capitalismo.
Secondo Fusaro, si deve sostenere il ritorno ad una dimensione
nazionale, che avrebbe maggiore vitalità democratica della
dimensione sovranazionale. La comunità nazionale garantirebbe
maggiormente la democrazia, perché consentirebbe al cittadino di
avere un peso effettivo nelle scelte politiche del proprio paese.
Invece, se il potere si centralizza sul piano internazionale il
singolo cittadino è assolutamente schiacciato da tale Moloch.
Il giovane filosofo commette il solito errore (o
mistificazione?) di chi esalta la nazione
e il popolo: all'interno
della comunità nazionale il popolo appare come una massa omogenea,
sorretta da uno stesso sistema di valori e accomunata dagli stessi
obiettivi politici. Ma, noi sappiamo, il popolo così concepito non
esiste: vi sono al contrario le classi sociali, che conducono, ancora
oggi, stili di vita differenti e godono di opportunità culturali,
economiche, ecc. assai diverse tra loro. Non possiamo ritenere che,
per esempio, il pensionato medio italiano con la sua pensione minima
abbia lo stesso ruolo, partecipi nello stesso modo alla vita della
comunità nazionale di miliardari come Berlusconi.
Ricordiamoci anche la riflessione che Lenin fa sulle elezioni: quando
il lavoratore è nella cabina di fronte alla scheda elettorale e deve
scegliere è un qualunque piccolo borghese posto di fronte a questo
ente misterioso che è il potere politico-economico. L’operaio
ritrova una forza solo quando, insieme ai suoi compagni, entra in
lotta, sciopera, promuove manifestazioni, cioè quando non è più un
individuo isolato ma è parte di un movimento visibile che si
contrappone al potere dell’avversario.
Nel proseguo dell'intervista Fusaro attacca Toni Negri in quanto
veteromarxista, senza però spiegare cosa egli intenda con
tale definizione. Può voler dire seguace della Terza Internazionale
oppure, in senso opposto, stalinista? Non credo, però, che si possa
imputare a Toni Negri nessuna di queste posizioni.
Allora perché accusare il noto personaggio della storia recente
della sinistra italiana?
Perché, in questo modo, si orienta l’ascoltatore dell'intervista
nel senso di classificare Fusaro come un innovatore del
marxismo. Un innovatore che, partendo da Marx, propone una nuova
posizione politica, di cui cerco di sottolineare l'utopia: le singole
nazioni si organizzino in modo da essere rispettose di sé stesse,
delle proprie tradizioni ma anche delle altre nazioni e delle altre
tradizioni, e tutti pacificamente si confrontino, si uniscano,
collaborino... Purtroppo abbiamo una davvero ampia letteratura
storica che comprova che la nazione è, non solo un che di barbarico,
ma anche una delle fonti principali di guerre tra i popoli.
Partiamo, dunque, ancora una volta da Marx.
Marx ha messo in luce la tendenza interna al capitalismo stesso verso
la mondializzazione sociale ed economica e il superamento della
dimensione nazionale. Proprio per questo ha lanciato la parola
d’ordine dell’internazionale proletaria: se si vuol fare
politica, bisogna avere un fondamento reale, ossia bisogna che il
progetto politico proposto abbia una radice nel movimento obiettivo
delle cose.
Nella storia del capitalismo tale sollecitazione internazionalistica
è stata via via contrastata sia dall’interesse della piccola
proprietà privata sia dall’interesse delle singole multinazionali
che si combattono ancora oggi l’una con l’altra. E sono proprio
questi feroci contrasti a fare dell'internazionalismo proletario
l’unico possibile.
A ben vedere, quindi, la posizione di Fusaro non solo non ha aderenze
con l'effettiva realtà del processo socio-economico attuale; ma
addirittura riecheggia le ambiguità del pensiero di Preve e del
movimento comunitarista.
Nel suo libro Inglehart individua nella cultura moderna due
fondamentali spiegazioni del costituirsi e dell'evolversi delle
formazioni sociali, ossia quella di Marx e quella di Max Weber.
Secondo Inglehart, il punto di vista di Marx è quello per cui è il
livello economico che sollecita la produzione di strutture
ideologiche, politiche, morali, che danno vita alla formazione
sociale, e quindi è il livello economico a determinare lo sviluppo
della cultura. Invece, per Max Weber (sempre secondo Inglehart) è la
cultura a condizionare lo sviluppo economico.
Qui la mistificazione antimarxista e anticomunista si fa molto più
sottile.
Esistono numerose pagine, di Marx, di Engels e di Lenin contro quelle
posizioni che pretendono di dedurre il piano politico, culturale,
ideologico dalla base economica. Nella prospettiva marxista
-attenzione: non nella vulgata del marxismo!- le cose sono
estremamente più complicate.
Quando affronta il rapporto struttura-sovrastruttura, Marx scrive
chiaramente che la struttura agisce, opera, tende a plasmare la
sovrastruttura in ultima istanza e attraverso giri viziosi (in
tedesco, Umweg, passare per
vie traverse).
La categoria dell'Umweg è molto importante, perché
testimonia che, da buon hegeliano, Marx sa bene che, quando si
analizza una situazione storica determinata, lo schema generale del
rapporto base economica-sovrastruttura può saltare, può farsi più
complicato, contraddittorio.
Per esempio, riferendosi al comunismo di guerra, Trotskij sottolinea
come fu imposto non da necessità economiche ma politiche, indicando
proprio tale fenomeno come dimostrazione del fatto che il rapporto
tra base economica e sovrastruttura è, appunto, estremamente
complesso.
Nel pensiero marxiano il livello causante fondamentale non è affatto
quello economico; bensì quello socio-economico. E' quello della
relazione tra gli uomini a scopo della produzione, ossia è
immediatamente società ed economia insieme. Per questo Marx non è
iscrivibile tra gli economisti puri e semplici; ma sì nella
tradizione dell’economia politica, cioè di quella visione per cui
l’economia fa parte di un complesso di comportamenti in cui non
agiscono solamente meri meccanismi naturali e imperativi; ma sono
presenti le scelte umane, le possibilità che l’uomo riesce ad
intravedere o non intravedere, gli errori che commette.
Allora, quando Marx scrive che la base economica - cioè il rapporto
socio-economico per la produzione - in ultima istanza e in via
indiretta determina, cioè spinge in una certa direzione anche la
sovrastruttura culturale, religiosa, ideologica vuole intendere,
innanzitutto, che è necessario analizzare il rapporto
struttura-sovrastruttura all'interno e in relazione allo specifico
contesto storico in cui quel determinato rapporto si è andato
formando. È proprio tale prospettiva dialettica, la base hegeliana,
del pensiero marxiano a garantirne la vitalità.
Il
post-moderno è al contrario un pensiero rigido e schematico, come
dimostra anche il suo “scientismo”.
La
cultura post-moderna tende, infatti, a concepire l’indagine sui
fenomeni sociali secondo il modello della scienza della natura,
ponendo all’ordine del giorno il problema della previsione. Quando
elabora una certa legge del comportamento dei fenomeni, il fisico
pretende anche in questo modo di prevedere che cosa accadrà.
Ma
è possibile applicare tale modello alle scienze sociali?
Da
un punto di vista marxiano, no. Il comportamento sociale è legato al
livello della coscienza dei soggetti che operano (al contrario degli
atomi che operano senza coscienza). La coscienza può determinare
slittamenti, movimenti devianti, può alterare e di fatto altera i
rapporti schematici tra struttura e sovrastruttura.
E
allora, quando lo scienziato morale contemporaneo, che in realtà è
nato in funzione antimarxista, insiste sul momento della previsione,
così come fa Fusaro, per dimostrare che le previsioni di Marx non si
sono verificate, sta proiettando nell’ambito morale, un processo,
un fenomeno, un criterio che ha senso, invece, esclusivamente e
pienamente in ambito naturale.
È
chiaro, dunque, che lo scientismo comporta un impoverimento dello
stesso concetto di storia degli uomini e del rapporto
struttura-sovrastruttura, una sua riduzione ad unum; così come il
marxismo della vulgata ha irrigidito e impoverito il pensiero di Marx
perdendone la dimensione dialettica.
Concludendo,
a mio modo di vedere, tra le tante cose che dobbiamo fare c’è
anche questa: prendere sul serio la cultura postmoderna come uno dei
punti fondamentali dell’ideologia dell’avversario di classe, che
purtroppo è penetrata largamente a sinistra e che, per questo,
impedisce lo sviluppo effettivo del movimento comunista.
Aggiungo
un’osservazione, mi pare, di stampo leninista: necessario è il
lavoro di formazione di elementi di avanguardia, che si mettano in
relazione con le masse popolari, con cui sappiano discutere e mettere
in dubbio le certezze acquisite. Sarebbe uno dei ruoli fondamentali
del partito no? Di un partito comunista che fosse effettivamente
tale.
Io
credo – e insisto su questo – che ciò che pubblichiamo dobbiamo
sforzarci di farlo circolare, perché, forse è vero, abbiamo una
certa capacità di provocare discussioni, di proporre temi diversi da
quelli che ci vengono ammanniti dalla cultura ufficiale. Non credo,
infatti, che il nostro bilancio sotto questo punto di vista sia del
tutto negativo: qualche piccolo risultato lo abbiamo.
Se
insistiamo su questa strada, forse possiamo riuscire ad allargare il
numero delle persone coinvolte in un'azione, come dire, di
avanguardia, di diffusione, di sollecitazione del dibattito e della
critica.
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