giovedì 9 maggio 2019

“Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala

Da: http://www.gianfrancopala.tk/ - (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm) -  Gianfranco Pala è un economista italiano.
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole - 

                      Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1306/1206) 


  (valore, classi e pianificazione)

Si sa che Marx – fin dall’inizio dell’analisi del Capitale – ripete tante volte che “produzione delle merci e circolazione delle merci sono fenomeni che appartengono insieme a differentissimi modi di produzione, sia pure in mole e con portata differenti”. Sembra, dunque, inevitabile che una società di produttori associati, la quale voglia iniziare a porre sotto un controllo cosciente e pianificato la produzione stessa non possa fuoriuscire immediatamente da questa forma di merce. Deve, tuttavia, mutarne i caratteri sociali conservandone la base materiale “in quanto forma universalmente necessaria del prodotto” che “si esprime tangibilmente nella produzione su grande scala e nel carattere di massa del prodotto.

Tale carattere può essere conservato – mentre può essere soppressa, insieme alla soppressione della non proprietà del lavoro, l’unilateralità che il capitalismo gli impone – trascendendo così il modo capitalistico stesso di produrre, affinché esso non ripresenti anacronisticamente i caratteri privati (non socializzati) della merce semplice. Si ricordi fin d’ora che la forza-lavoro è l’unica merce che, già nel sistema capitalistico, appare nella sua forma semplice, ovvero non prodotta capitalisticamente, il che dimostra come praticamente possibile l’esistenza immediata di merce semplice con caratteri di massa in antitesi alla forma capitalistica. Dunque, tra i “differentissimi modi di produzione” che presuppongono la merce – ovverosia, lo scambio sul mercato di prodotti del lavoro e forza-lavoro medesima contro denaro – c’è anche, per definizione, la produzione non interamente pianificata della transizione socialista.

Ciò pone tre ordini di problemi: i. la tecnica e la scienza, riducendo il tempo di lavoro vivo socialmente necessario relativamente a quello morto, costituiscono l’oggettivazione che per­mane di contro alla soppressa alienazione delle condizioni materiali del lavoro; ii. la possibile negazione della forma capitalistica della merce ripropone, ma su basi nuove in quanto non solo mediatamente ma immediatamente sociali, quella figura del ciclo della circolazione – vendere per comprare anziché, capitalisticamente, comprare per vendere – che ha al suo inizio e alla sua fine la merce e non il denaro (riconsiderando così il lato “dimenticato” della duplicità della merce, il suo valore d’uso); iii. con il mutamento del carattere storico della merce emerge il mutamento della sua forma valore, fino al significato della sua forma denaro (e del corrispondente prezzo delle merci). 


 Le contraddizioni della forma storica capitalistica comportano la descritta socializzazione della produzione (lavoro combinato raggiunto sul fondamento oggettivo dei rapporti materiali di produzione maturati sulla base del capitale). Senonché, la potenziale abolizione “unicamente” della terza tra le condizioni marxiane, prima ricordate, che definiscono la produzione capitalistica – la contrapposizione tra la non proprietà delle condizioni autonomizzate del lavoro e il lavoro stesso – è capace di ridefinire completamente le altre due, sia il valore della merce (la produzione generalizzata di merce permane), sia la forza-lavoro come merce (lo scambio della capacità lavorativa contro denaro e il suo susseguente uso non è immediatamente soppresso). La permanenza di entrambe le prime condizioni, senza tuttavia il predominio “unico” su di esse della terza, è dunque tale da rivoluzionarne completamente il significato: in particolare, ne risulta sopratutto stravolta e negata la determinazione di plusvalore.

Il plusvalore in quanto tale deperisce. Dunque, rammentando la peculiarità della riproduzione della forza-lavoro, si dà la possibilità di una forma superiore di merce semplice e di massa e di una corrispondente forma di valore senza plusvalore, ossia senza la sua figura alienata di tipo capitalistico. Il lavoro, dunque, nella fase di transizione può tendere a configurarsi sempre più generalmente in quan­to salariato di se stesso, lavoro sempre in forma astratta ma solo “autoalienato”. Il plusvalore, come scopo ultimo soltanto della produzione capitalistica di merci sulla base del capitale, non è più in grado di autoriprodursi. La produzione non capitalistica di merci sulla base del capitale – è questa la nuova forma antitetica su cui riflettere – può rappresentare il primo passo verso l’emancipazione del lavoro sociale: appunto, l’epoca della transizione socialista.

Pertanto, “dopo che sia eliminato il modo di produzione capitalistico, conservando però la produzione sociale, la determinazione di valore continua a dominare, nel senso che la regolazione del tempo di lavoro e la distribuzione del lavoro sociale tra i diversi gruppi di produzione e infine la contabilità a ciò relativa, diventano più importanti che mai” [C, III.49,5]. Sulla permanenza della determinazione di valore (produzione di merci semplici, non solo contabilità basata sul tempo di lavoro, come misura della ricchezza sociale prodotta) sorgono i diversi problemi del cosiddetto “socialismo di mercato”, come se potesse esserci un “socialismo” ... senza mercato. Si confonde il “socialismo” di transizione col “comunismo” senza classi e senza merci o col mercato in senso capitalistico, che è altra cosa. Il problema, semmai, è capire dunque di quale mercato debba trattarsi.

La forma di valore del prodotto in quanto merce comporta anche la permanenza della forma di denaro del valore, pur se quel denaro è profondamente trasmutato, perché esso non deve più rendere conto della determinazione capitalistica dissolta di plusvalore (sempre inteso, quest’ultimo, come rappresentazione alienata del pluslavoro). Le merci, il loro scambio sul mercato e i relativi prezzi in quanto forme monetarie del valore testimoniano della mutata permanenza del denaro. Ma esso – per la forma finita del mondo delle merci che “vela il carattere sociale del lavoro” – attesta che l’attività degli individui è necessariamente trasformata in quella sua forma materiale che rappresenta il loro potere sociale. Di qui sorge la più grande contraddizione tra la costruzione della comunità reale e la necessaria permanenza del denaro nella prima (lunga) fase della transizione: una contraddizione che si può dirimere solo con lo sviluppo storico di questa forma sociale di passaggio.

Gli individui sono sottomessi alla produzione sociale, la quale esiste come un fato a loro estraneo”, sostiene Marx; ma la loro associazione non è arbitraria e presuppone lo sviluppo di condizioni materiali e spirituali quali l’agglomerazione, la combinazione, la cooperazione, la concentrazione, la completa dipendenza dal mercato mondiale, ecc. Senonché, tale sviluppo è generato proprio dal capitale, dallo scambio privato e dalla divisione del lavoro, come forme antitetiche dell’unità sociale. Dunque, sotto il permanere dell’appa­renza del prezzo, in qualsiasi forma, ci sono sempre il valore e il denaro.

   Ogni epoca e fase della produzione sociale esprime naturalmente denaro e prezzi in forme diverse e adeguate ai caratteri specifici del periodo. Ma per quante trasformazioni profonde i valori subiscano per pervenire, attraverso il denaro (la cui sostanza immanente è il lavoro sociale), alla forma più idonea di prezzo – così diversa, l’una dall’altra, nella fase monopolistica o in quella finanziaria, nel capitalismo di stato o nell’impe­rialismo multinazionale, fino alle forme primitive di pianificazione, rispetto alla loro epoca di origine concorrenziale – il percorso seguito è sempre chiaramente individuabile.

È chiaro, dunque, che laddove c’è prezzo, cioè scambio di merce, il processo di produzione di valore fondato sul lavoro continua a regolarne l’andamento complessivo (a dispetto di tutte le presunte teorizzazioni post-marxiste). Il carattere del prezzo – che corrisponde al valore in quanto tempo di lavoro pianificato nella fase di transizione, sia durante il capitalismo di stato sia nella transizione socialista – dovrà garantire la ripartizione pianificata dell’intera produzione sociale. E dovrà garantirla, cioè, senza profitto in quanto forma sociale determinata, ma tenendo conto, invece, oltre che della parte destinata al consumo immediato anche di quella destinata all’allargamento della produzione stessa.

Pertanto, che il prodotto non si presenti più come merce, e che il valore d’uso non sia più espresso in valore (di scambio), è possibile soltanto al superamento di quella soglia quantitativa che si presenta “non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza”: e oggi si è lontani da quella soglia. Allora “il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura” solo se “si sviluppa la grande industria” al punto da far prevalere la “potenza degli agenti messi in moto durante il tempo di lavoro” rispetto al lavoro vivo immediato. Ciò dipende “dallo stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall’applicazione di questa scienza alla produzione”, sicché il compiuto deperimento della forma di valore non è possibile, neppure nella società di transizione [cfr. Lf, q.VII, f.3].

Anche entro il marxismo, troppo spesso si dimentica la circostanza che, pur entro il processo di grande trasformazione sociale della transizione, “il lavoro, in quanto espresso nel valore” continua a essere caratterizzato dalla duplicità stessa della merce. Pertanto, a fianco della sua qualità particolare di produrre ricchezza materiale, il lavoro – in quanto unica fonte attiva del prodotto come valore d’uso, anche nella forma di merce di esso – duplica il suo carattere e solo perciò “non possiede più le stesse caratteristiche che gli sono proprie come generatore di valori d’uso. Tale duplice natura del lavoro contenuto nella merce è il perno intorno al quale ruota la comprensione dell’economia politica”, dice Marx in apertura del Capitale.

Nella misura in cui, appunto, il carattere di merce è destinato a protrarsi a lungo oltre il capitalismo, la circostanza della duplicità del lavoro conserva tutta la sua centralità e va interpretata. E nella misura in cui, ancora, il lavoro determinato dalla necessità e della finalità esterna è lungi dal decadere, occorre seguire solo le sue trasformazioni, prima quantitative e poi qualitative – e non già la sua estinzione. La socializzazione del lavoro combinato è un elemento materiale che corrisponde allo sviluppo della produzione sulla base del capitale, ma essa costituisce già nel capitalismo un momento preparatorio della transizione. 


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