Da: http://www.gianfrancopala.tk/ - (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm) - Gianfranco Pala è un economista italiano.
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole -
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole -
Leggi anche: EPITAFFIO
PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur
Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky
Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1306/1206) Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky
(valore,
classi e pianificazione)
Si
sa che Marx – fin dall’inizio dell’analisi del Capitale
– ripete tante volte che “produzione delle merci e circolazione
delle merci sono fenomeni che appartengono insieme a differentissimi
modi di produzione, sia pure in mole e con portata differenti”.
Sembra, dunque, inevitabile che una società di produttori associati,
la quale voglia iniziare a porre sotto un controllo cosciente e
pianificato
la produzione stessa non possa fuoriuscire immediatamente da questa
forma di merce. Deve, tuttavia, mutarne i caratteri sociali
conservandone la base materiale “in quanto forma
universalmente necessaria del prodotto”
che “si esprime tangibilmente nella produzione su grande scala e
nel carattere di massa
del prodotto”.
Tale
carattere può essere conservato
– mentre può essere soppressa,
insieme alla soppressione della non proprietà del lavoro,
l’unilateralità che il capitalismo gli impone – trascendendo
così il modo capitalistico stesso di produrre, affinché esso non
ripresenti anacronisticamente i caratteri privati (non socializzati)
della merce semplice.
Si ricordi fin d’ora che la forza-lavoro è
l’unica merce che,
già nel sistema capitalistico, appare nella sua forma
semplice, ovvero non
prodotta
capitalisticamente, il che dimostra come praticamente possibile
l’esistenza immediata
di merce semplice con caratteri di massa in antitesi alla forma
capitalistica. Dunque, tra i “differentissimi modi di produzione”
che presuppongono la merce
– ovverosia, lo scambio sul mercato
di prodotti del lavoro e forza-lavoro medesima contro denaro – c’è
anche, per definizione,
la produzione non interamente pianificata della transizione
socialista.
Ciò
pone tre ordini di problemi: i.
la tecnica e la
scienza, riducendo il tempo di lavoro vivo socialmente necessario
relativamente a quello morto, costituiscono l’oggettivazione
che permane di contro alla soppressa alienazione delle
condizioni materiali del lavoro; ii.
la possibile negazione
della forma capitalistica della merce ripropone, ma su basi nuove in
quanto non solo mediatamente ma immediatamente
sociali, quella figura del ciclo della circolazione – vendere
per comprare anziché,
capitalisticamente, comprare per vendere – che ha al suo inizio e
alla sua fine la merce
e non il denaro (riconsiderando così il lato “dimenticato” della
duplicità della merce, il suo valore d’uso); iii.
con il mutamento del carattere storico della merce emerge il
mutamento della sua forma
valore, fino al
significato della sua forma
denaro (e del
corrispondente prezzo delle merci).
Le contraddizioni della forma storica capitalistica comportano la descritta socializzazione della produzione (lavoro combinato raggiunto sul fondamento oggettivo dei rapporti materiali di produzione maturati sulla base del capitale). Senonché, la potenziale abolizione “unicamente” della terza tra le condizioni marxiane, prima ricordate, che definiscono la produzione capitalistica – la contrapposizione tra la non proprietà delle condizioni autonomizzate del lavoro e il lavoro stesso – è capace di ridefinire completamente le altre due, sia il valore della merce (la produzione generalizzata di merce permane), sia la forza-lavoro come merce (lo scambio della capacità lavorativa contro denaro e il suo susseguente uso non è immediatamente soppresso). La permanenza di entrambe le prime condizioni, senza tuttavia il predominio “unico” su di esse della terza, è dunque tale da rivoluzionarne completamente il significato: in particolare, ne risulta sopratutto stravolta e negata la determinazione di plusvalore.
Il
plusvalore in quanto tale deperisce.
Dunque, rammentando la peculiarità della riproduzione della
forza-lavoro, si dà la possibilità
di una forma superiore
di merce semplice e di
massa e di una
corrispondente forma di valore
senza plusvalore,
ossia senza la sua figura alienata di tipo capitalistico. Il lavoro,
dunque, nella fase di transizione può tendere a configurarsi sempre
più generalmente in quanto salariato
di se stesso, lavoro
sempre in forma astratta ma solo “autoalienato”.
Il plusvalore, come scopo ultimo soltanto
della produzione capitalistica di merci sulla base del capitale, non
è più in grado di autoriprodursi. La produzione
non capitalistica di merci
sulla base del capitale
– è questa la nuova forma antitetica su cui riflettere – può
rappresentare il primo
passo verso
l’emancipazione del lavoro sociale: appunto, l’epoca della
transizione socialista.
Pertanto,
“dopo che sia eliminato il modo di produzione capitalistico,
conservando però la produzione sociale, la determinazione di valore
continua a dominare, nel senso che la regolazione del tempo di lavoro
e la distribuzione del lavoro sociale tra i diversi gruppi di
produzione e infine la contabilità a ciò relativa, diventano più
importanti che mai” [C,
III.49,5].
Sulla permanenza della determinazione di valore (produzione di merci
semplici, non solo contabilità basata sul tempo di lavoro, come
misura della ricchezza sociale prodotta) sorgono i diversi problemi
del cosiddetto “socialismo di mercato”, come se potesse esserci
un “socialismo” ... senza
mercato. Si confonde il “socialismo” di transizione col
“comunismo” senza classi e senza merci o col mercato in senso
capitalistico, che è altra cosa. Il problema, semmai, è capire
dunque di quale mercato
debba trattarsi.
La
forma di valore del prodotto in quanto merce comporta anche la
permanenza della forma
di denaro del valore,
pur se quel denaro è profondamente trasmutato, perché esso non deve
più rendere conto della determinazione capitalistica dissolta
di plusvalore (sempre
inteso, quest’ultimo,
come rappresentazione alienata del
pluslavoro). Le merci, il loro scambio sul mercato e i relativi
prezzi in quanto forme monetarie del valore testimoniano della mutata
permanenza del denaro. Ma esso – per la forma finita
del mondo delle merci
che “vela il carattere sociale del lavoro” – attesta che
l’attività degli individui è necessariamente trasformata
in quella sua forma
materiale che
rappresenta il loro potere sociale. Di qui sorge la più grande
contraddizione
tra la costruzione della comunità reale e la necessaria permanenza
del denaro nella prima (lunga) fase della transizione: una
contraddizione che si può dirimere solo con lo sviluppo storico di
questa forma sociale di passaggio.
“Gli
individui sono sottomessi alla produzione sociale, la quale esiste
come un fato a loro estraneo”, sostiene Marx; ma la loro
associazione non è arbitraria e presuppone lo sviluppo di condizioni
materiali e spirituali quali l’agglomerazione, la combinazione, la
cooperazione, la concentrazione, la completa dipendenza dal mercato
mondiale, ecc. Senonché, tale sviluppo è generato proprio dal
capitale, dallo scambio privato e dalla divisione del lavoro, come
forme antitetiche
dell’unità sociale.
Dunque, sotto il permanere dell’apparenza del prezzo,
in qualsiasi forma, ci
sono sempre il valore e il denaro.
Ogni epoca e fase della produzione sociale esprime naturalmente denaro e prezzi in forme diverse e adeguate ai caratteri specifici del periodo. Ma per quante trasformazioni profonde i valori subiscano per pervenire, attraverso il denaro (la cui sostanza immanente è il lavoro sociale), alla forma più idonea di prezzo – così diversa, l’una dall’altra, nella fase monopolistica o in quella finanziaria, nel capitalismo di stato o nell’imperialismo multinazionale, fino alle forme primitive di pianificazione, rispetto alla loro epoca di origine concorrenziale – il percorso seguito è sempre chiaramente individuabile.
È
chiaro, dunque, che laddove c’è prezzo, cioè scambio di merce, il
processo di produzione di valore
fondato sul lavoro
continua a regolarne
l’andamento complessivo
(a dispetto di tutte
le presunte teorizzazioni post-marxiste). Il carattere del prezzo –
che corrisponde al valore in quanto tempo di lavoro pianificato nella
fase di transizione, sia durante il capitalismo di stato sia nella
transizione socialista – dovrà garantire la ripartizione
pianificata dell’intera produzione sociale. E dovrà garantirla,
cioè, senza profitto
in quanto forma
sociale determinata, ma tenendo conto, invece, oltre che della parte
destinata al consumo immediato anche di quella destinata
all’allargamento
della produzione stessa.
Pertanto,
che il prodotto non si presenti più come merce, e che il valore
d’uso non sia più espresso in valore (di scambio), è possibile
soltanto al superamento di quella soglia
quantitativa che si
presenta “non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di
essere la grande fonte della ricchezza”: e oggi si è lontani da
quella soglia. Allora “il tempo di lavoro cessa e deve cessare di
essere la sua misura” solo se “si sviluppa la grande industria”
al punto da far prevalere la “potenza degli agenti messi in moto
durante il tempo di lavoro” rispetto al lavoro vivo immediato. Ciò
dipende “dallo stato generale della scienza e dal progresso della
tecnologia, o dall’applicazione di questa scienza alla produzione”,
sicché il compiuto deperimento della forma di valore non è
possibile, neppure nella società di transizione [cfr. Lf,
q.VII,
f.3].
Anche
entro il marxismo, troppo spesso si dimentica la circostanza che, pur
entro il processo di grande trasformazione sociale della transizione,
“il lavoro, in quanto espresso nel valore” continua a essere
caratterizzato dalla duplicità stessa della merce.
Pertanto, a fianco
della sua qualità particolare di produrre ricchezza materiale, il
lavoro – in quanto unica fonte attiva
del prodotto come valore d’uso, anche nella forma di merce di esso
– duplica il suo carattere e solo perciò “non possiede più le
stesse caratteristiche che gli sono proprie come generatore di valori
d’uso. Tale duplice natura del lavoro contenuto nella merce è
il perno intorno al
quale ruota la comprensione dell’economia politica”, dice Marx
in apertura del Capitale.
Nella
misura in cui, appunto, il carattere di merce è destinato a
protrarsi a lungo oltre
il capitalismo, la
circostanza della duplicità del lavoro conserva tutta la sua
centralità e va interpretata. E nella misura in cui, ancora, il
lavoro determinato dalla necessità e della finalità esterna è
lungi dal decadere, occorre seguire solo le sue trasformazioni,
prima quantitative e
poi qualitative – e non già la sua estinzione. La socializzazione
del lavoro combinato è un elemento materiale che corrisponde allo
sviluppo della produzione sulla base del capitale, ma essa
costituisce già nel capitalismo un momento preparatorio
della transizione.
Nessun commento:
Posta un commento