domenica 26 maggio 2019

Fare la propria parte e lasciare che la natura faccia la sua - Bertolt Brecht

Da: Bertolt Brecht, Me-ti - Libro delle svolte, Einaudi, Torino, 1979 - Traduzione di Cesare Cases - http://www.contraddizione.it - 



Nel paese di Tsen imperversava un’aspra lotta tra mol­ti gruppi l’un contro l’altro armati. Mi-en-leh si schierò dalla parte dei fabbri d’aratri, poiché credeva che solo co­storo potessero far progredire il paese. Da essi ci si poteva aspet­tare i massimi sforzi, e i loro sforzi massimamente giovavano a tutti gli altri uomini.

Egli diceva: Se sono soltanto i contadini a raddoppiare i loro sforzi, il raccolto sarà poco più grande. Se invece si forniscono aratri in numero sufficiente, si otterrà molto. Vi erano infatti a quel tempo due sorte di aratri. Gli uni era­no fatti di legno, secondo l’antico costume, gli altri in­vece, più moderni, di ferro, e li si fabbricava in grandi of­ficine che appartenevano a potenti signori. Ma di siffatti aratri di ferro ve n’erano relativamente pochi. Erano co­stosi e po­tevano essere vantaggiosamente utilizzati solo per grandi estensioni di terreno, e trainati da cavalli. In­vece i semplici aratri di legno potevano essere fabbricati e usati dai contadini stessi. Il suolo lo incidevano assai poco profondamen­te. Questi aratri venivano usati dai contadini poveri. I quali avevano per di più tanto poca terra che non bastava a dar loro il cibo di un campicello.

Spesso dovevano lavorare anche nei grandi poderi, contro mercede. Molti figli di contadini migravano nelle città e chiedevano lavoro nelle fucine dei fabbri e in altre offici­ne. Ma solo una parte di coloro che la campagna non nu­triva erano nutriti dalle città. Il commercio degli aratri era contenuto in ristretti limiti. In primo luogo il nume­ro dei gran­di poderi era piccolo, e in secondo luogo i pa­droni delle fucine dovevano tenere alti i prezzi degli ara­tri. Il loro gua­dagno essi non l’aumentavano aumentando le vendite di aratri, ma principalmente aumentando l’op­pressione degli operai. Per la continua fuga dalle cam­pagne dei figli dei contadini poveri gli operai delle fucine si trovavano sempre a buon mercato. Essi versavano in grande miseria.

Con l’aiuto di Mi-en-leh i fabbri di aratri cacciarono i padroni delle fucine e conquistarono il potere.

I contadini poveri avevano appoggiato i fabbri nell’e­spellere i padroni delle fucine, e ora i fabbri li aiutarono ad espellere i padroni della terra. I contadini poveri sud­divisero subito tra loro la terra così conquistata.

Prima di giungere al potere Mi-en-leh aveva insegnato che prima di tutto bisognava provvedere tutto il paese di aratri di ferro. E molti avevano inteso che volesse subito sopprimere interamente i piccoli poderi. Ma quando egli assunse il potere insieme ai fabbri di aratri, fece il contra­rio. Egli lasciò la terra ai contadini poveri, come le offici­ne agli operai, e più precisamente a ognuno tanta terra quanta poteva coltivarne con le proprie forze. In tal mo­do egli perfino aumentò il numero dei campicelli, che era­no troppo piccoli per gli aratri di ferro. Solo pochi grandi poderi li amministrò lui stesso insieme ai suoi scolari.

Il filosofo Sa biasimò fortemente Mi-en-leh, dicendo: Mi-en-leh è come tutti gli altri. Il potere indebolisce la me­moria. E aggiunse: Chi è arrivato alla mèta, dimentica molte cose.

Mi-enleh rispose: Io ho insegnato, ora essi imparano. Essi hanno ascoltato, ora fanno esperienza.

Mi-en-leh rise di tutti coloro che credevano che in un sol giorno si potesse por fine con dei decreti ad una mise­ria millenaria, e proseguì nel suo cammino.

Presto si delineò la seguente situazione. I fabbri d’ara­tri, dopo aver cacciato i loro oppressori, fabbricavano più aratri di ferro che potevano, senza chiedersi quale prezzo ne avrebbero ricavato. I padroni della terra erano stati parimenti cacciati e la loro terra l’amministrava ora lo stato, oppure gli innumerevoli piccoli contadini indipen­denti. Tra i contadini ve n’erano di quelli che di terra ne avevano quanto bastava, e avevano anche i cavalli per ti­rare gli aratri. Per loro non valeva la pena di comprare aratri di ferro, perché la loro terra era troppo poca. I con­tadini più poveri non avevano cavalli e soffrivano la fame. Essi dovevano rivolgersi di nuovo a quelli più bene­stanti e compiere lavoro a mercede o lavoro per ottenere in pre­stito i cavalli. Presto si trovarono ad essere assai malcon­tenti. Il loro odio si indirizzò verso i contadini benestanti

Mi-en-leh non fece nulla contro questo odio, anzi l’attizzò. I fabbri di aratri inviarono nei villaggi persone che fa­cevano propaganda per gli aratri di ferro. Essi consiglia­vano ai contadini poveri di riunirsi in gruppi più numero­si che potessero e di mettere insieme più terra che potes­sero, onde valesse la pena di usare un aratro di ferro. A colo­ro che li seguivano essi inviavano aratri di ferro a credito. Invece ai contadini benestanti non davano credi­to e in­viavano gli aratri solo dopo molto tempo. Diceva­no tranquillamente: Noi e i contadini poveri stiamo bene insieme, noi fabbri di aratri non possediamo neanche noi ognuno la sua propria morsa, ché in questo modo non si potrebbe­ro fabbricare aratri.

La parola d’ordine di Mi-en-leh fu: Voi volevate la terra per il grano; ora datela via per il grano! Il che vole­va di­re: Se voi darete via i vostri piccoli appezzamenti di terreno, avrete più grano. Questa era la verità.

Presto si formarono gigantesche fattorie, più grandi delle fattorie padronali che c’erano prima. Dopo qualche tempo anche i contadini più benestanti dovettero entrare a far parte di queste fattorie, perché non si trovarono più lavoratori a mercede e i loro campi davano poco grano, perché i vecchi aratri di legno incidevano troppo poco il terreno. Così Mi-en-leh aveva attuato il suo programma facendo la propria parte e lasciando che la natura facesse la sua.



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