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venerdì 7 novembre 2014

Intervista a György Lukács - Rossana Rossanda (1965)

Che cosa è il reale? Domanda inesorabile d’un vecchio moscovita

il manifesto, 28 luglio 1991


Ho incontrato György Lukács a Budapest nel 1965. In quegli anni il Partito comunista ungherese era ancora sotto lo choc del ’56 e si presentava come molto più aperto di altri partiti dell’Europa dell’Est. Potei incontrare Lukács senza grandi difficoltà, ma forse perché ero un membro «autorevole» di un partito fratello. Viveva da solo in un appartamentino a un piano elevato davanti all’hotel Gellert, perché la moglie era morta da poco ed egli si apprestava a pubblicare la sua opera completa e una fondamentale «ontologia».

La conversazione ha preso spunto nelle recenti posizioni critiche ed estetiche di Ernst Fischer.

domenica 10 maggio 2020

Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron

Da: http://www.rifondazione.it - Il testo è tratto da: https://www.elsiglo.cl/2020/04/23/atilio-boron-y-los-150-anos-de-lenin -
Atilio A. Boron è un intellettuale e sociologo argentino.
Leggi anche:  Marxismo e revisionismo - Vladimir Lenin (1908) 
                         Il socialismo e la guerra - Vladimir Lenin (1915) 
                         Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale*- Vladimir Lenin (1917) 
                         Better Fewer, But Better*- Vladimir Lenin (1923) 
                         Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923) 
                       Tutto il potere ai soviet’ - Lars T. Lih 
                        Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                         La missione morale del Partito comunista - György Lukács 


22 Aprile 2020

Vladimir Illich Ulianov è nato in un giorno come oggi, del 1870, a Simbirsk, in Russia. Fu il fondatore del Partito Comunista Russo (bolscevico), il leader indiscusso della prima insurrezione operaia e contadina di successo a livello nazionale nella storia della umanità: la Rivoluzione d’ottobre in Russia (che portò a termine ciò che la eroica Comune di Parigi non potè fare) e architetto e costruttore dello Stato sovietico. Come se questo non fosse abbastanza, fu anche un notevole intellettuale, autore di numerosi scritti su argomenti diversi come filosofia, teoria economica, scienze politiche, sociologia e relazioni internazionali (1).

“Pratico della teoria e teorico della pratica” secondo la brillante definizione che György Lukács ha proposto, Lenin introdusse tre contributi decisivi al rinnovamento di una teoria vivente, il marxismo, che ha sempre inteso come una “guida all’azione” e non come un dogma o un insieme sclerotizzato di precetti astratti. 

Grazie a Lenin le basi teoriche stabilite da Karl Marx e Friedrich Engels furono arricchite con una teoria dell’imperialismo che fece luce sugli sviluppi più recenti del capitalismo nel primo decennio del ventesimo secolo; con una concezione della strategia e delle tattiche della conquista del potere o, in altre parole, con una rinnovata teoria della rivoluzione basata sull’alleanza “operaia-contadina” e sul ruolo degli intellettuali; e con le sue diverse teorie sul partito politico e i suoi compiti in diversi momenti della lotta sociale. Una straordinaria eredità teorica, come emerge dalla precedente enumerazione. 
 
In questo breve promemoria della nascita di una persona eccezionale come Lenin, vorrei attirare l’attenzione su uno di questi tre contributi: la “teoria” del partito in Lenin. 

venerdì 29 maggio 2020

Appunti su “la Distruzione della Ragione”, di György Lukács -

Da: https://sigma.altervista.org - https://revolucionvoxpopuli.wordpress.com - https://sinistrainrete.info -
Gyorgy Lukacs è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese. 

Vedi anche: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci 


Una lettura significativa degli ultimi tempi è stata “La distruzione della ragione”, pubblicata nel 1954 e scritta da György Lukács.
In questo libro, l’autore sostiene che le filosofie irrazionalistiche sono una parte molto importante (seppur non l’unica) del fondamento ideologico delle politiche reazionarie. Nel seguente articolo proveremo a riassumere quanto osservato dall’autore, espandendo poi il discorso al fine di trarre qualche conclusione iniziale, che ci sarà estremamente utile per il futuro.
INTRODUZIONE E BREVE RIASSUNTO
Il libro è stato completato nel 1954, durante il primo periodo “caldo” della Guerra Fredda. In questo periodo, Lukács era un intellettuale emarginato e dissidente a causa del suo forte marxismo hegeliano, contrapposto al “piatto” ed economicistico “marxismo” staliniano. Egli, come altri intellettuali del tempo (ad esempio Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, Hannah Arendt) dovette rendere conto di come fosse stata possibile la barbarie nazista. Allora la sua ricerca si orientò verso il fondamento ideologico-filosofico del nazismo: l’irrazionalità.
I pensatori affrontati sono soprattutto tedeschi per motivi storici e sociali, ma l’autore fa notare a più riprese come il movimento irrazionalistico (ad esempio quello della “filosofia della vita” di Bergson, Dilthey e James) assuma portata internazionale, riflettendo una vera e propria epoca storica che coincise con le difficoltà di accumulazione del capitale, poco prima del suo “scatenamento imperialistico” nella Prima Guerra Mondiale e successiva “ricaduta” della Seconda Guerra Mondiale.
La tradizione irrazionalistica ha origini relativamente lontane, formandosi in modo coerente a partire dagli “idealisti soggettivi” del primo 1800 (l’autore definisce così gli irrazionalisti in generale), in primis Schelling. A partire dalla filosofia irrazionalistica “feudale” di Schelling, seguiamo l’evoluzione, le differenze e talvolta i contrasti tra pensatori irrazionalisti, pur accomunati dalla sfiducia verso la ragione. Lukács si occupa di pensatori di grande importanza (e attualità) come Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, Simmel, Weber, Heidegger e Schmitt, oltre ad altri autori dei loro ambiti. Come è evidente, l’autore non si occupa esclusivamente di filosofi, bensì considera anche il campo della sociologia (dedicando anche un paio di capitoli alla “teoria della razza”), per evidenziare la portata multidisciplinare e la pervasività sociale del fenomeno irrazionalistico.
Essendo l’ideologia la forma politica della coscienza, e non semplice “astrazione” o “formalizzazione” dei rapporti sociali, essa influisce sulla società, attecchendo in modo più o meno fecondo nella coscienza delle persone e, di conseguenza, influenzandone i comportamenti come la prassi politica. Esaminiamo ora gli aspetti principali per cui l’irrazionalismo sarebbe, secondo Lukács, reazionario.

giovedì 11 febbraio 2021

Abbozzo di riflessione sul PCI e sulla sua crisi - Roberto Fineschi

 Da: https://www.cumpanis.net - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels(Marx. Dialectical Studies)

Leggi anche: Per il comunismo. Il concetto di classe - Roberto Fineschi 

Epoca, fasi storiche, Capitalismi - Roberto Fineschi 

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni 

Nessuna opposizione entro le maglie del capitalismo, ma si opposizione al capitalismo...- Hans Heinz Holz

L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala 

Sul compromesso storico - Aldo Natoli

D’Alema e l’involuzione del PCI - Alessandra Ciattini

Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977)

"PRAGA '68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA" - Franco Astengo

LA "MARCIA DEI 40000": uno dei momenti di caduta. 

(U.S.)America nell'epoca Tecnetronica*- Zbigniew Brzezinski (1968) 

Vedi anche: sullo scritto di Ernesto Che Guevara "L'uomo e il socialismo a Cuba" - Alessandra Ciattini

Centenario del PCI: dialogo con Aldo Giannuli, Antonio Carioti e Andrea Ricciardi (https://www.facebook.com/giannulialdo/videos/1408990496166312


Con molte riserve e ritrosie vergo queste note per il centenario della fondazione del Partito Comunista Italiano, non essendo io uno storico e tanto meno un esperto di questo tema specifico. Quanto segue sono riflessioni sviluppate soprattutto nella prospettiva di un conoscitore della teoria di Marx come teoria della processualità storica. Si tratta di commenti provvisori, schematici e quanto mai aperti a essere discussi. Sono riflessioni che hanno inevitabilmente sullo sfondo il presente e le sue problematiche. Il tema abbozzato è quello dello snodo degli anni settanta, la figura di Berlinguer e i cambiamenti storici allora intervenuti e probabilmente ancora irrisolti.


1. Gli anni settanta e Berlinguer come figura di un momento di svolta

Gli anni settanta sono segnati dalla strategia del “compromesso storico” che, nella mente dei suoi promotori, si reggeva su due fondamentali premesse teoriche, strategiche e di fatto:

1) la crisi del comunismo sovietico come modello di socialismo praticabile in occidente (in realtà iniziava a delinearsi l’idea della sua impraticabilità in generale): esso non funzionava in quanto autoritario (i freschi fatti cecoslovacchi del ‘68 lo avevano dimostrato) e in quanto non-europeo (impossibile realizzarlo nell’Europa occidentale con la sua complessa stratificazione sociale e le sue diffuse libertà formali);

2) il colpo di stato in Cile: una via parlamentare al socialismo non era possibile perché, anche in caso di vittoria elettorale, le forze dell’imperialismo mondiale avrebbero messo fine in forma violenta a tale esperienza.

domenica 17 gennaio 2021

"LA PARABOLA DEL COMUNISMO" - Angelo D'Orsi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano

"Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"- Angelo D'Orsi, Guido Carpi

Leggi anche: STORIA DEL MARXISMO - Andras Hegedus -

Sull' URSS - Marcello Grassi

ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI - Samir Amin

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923)

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni

Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz.

                                                                           

martedì 14 giugno 2022

Ecco perché sono comunista - André Vltchek

Da: https://ilgiornaledelriccio.com - Art. originale da CounterPounch - traduzione di Elena Dardano - 

Andre Vltchek (29 dicembre 1963-22 settembre 2020) è stato un analista politico, giornalista e regista americano di origine sovietica. Vltchek è nato a Leningrado, ma in seguito è diventato cittadino americano naturalizzato dopo aver ottenuto asilo lì a vent'anni. Ha vissuto negli Stati Uniti, Cile, Perù, Messico, Vietnam, Samoa e Indonesia. Vltchek ha coperto i conflitti armati in Perù, Kashmir, Messico, Bosnia, Sri Lanka, Congo, India, Sud Africa, Timor orientale, Indonesia, Turchia e Medio Oriente. Ha viaggiato in più di 140 paesi, e ha scritto articoli per Der Spiegel , quotidiano giapponese The Asahi Shimbun , The Guardian , ABC News e il quotidiano della Repubblica Ceca Lidové novizio. Dal 2004, Vltchek ha lavorato come senior fellow presso l' Oakland Institute. 

Leggi anche: Sulla stagnazione del marxismo - Stefano Garroni

Perchè è fallito il comunismo?*- Domenico Losurdo (9/11/1999)

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Questioni relative allo sviluppo e alla persistenza nel socialismo con caratteristiche cinesi - Xi Jinping

Sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria - LENIN

ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI - Samir Amin

La colonizzazione globale: le false unità e le false identità nelle ideologie dell’impero*- Edoarda Masi**

Il socialismo e l'uomo a Cuba - Ernesto Che Guevara (1965)

L'A.B.C. del Comunismo* - Bucharin-Preobrazenskij (1919)

Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz. 



Ogni qualvolta si guarda La Ultima Cena, un geniale film del 1976 diretto dal cubano Tomás Gutiérrez Alea, ci si rende conto di molti importanti messaggi che vengono letteralmente urlati dallo schermo. 

Il primo: non si può schiavizzare un intero gruppo o un’intera etnia, almeno non per sempre. È impossibile spezzare l’ardente desiderio di esercitare le propria libertà e i propri diritti, non importa quanto brutalmente e frequentemente il colonialismo, l’imperialismo, il razzismo e il terrore religioso provano a farlo.

Il secondo messaggio ugualmente importante è che i bianchi e i cristiani (e ancora di più i cristiani bianchi) per secoli, ovunque nel mondo, si sono comportati come orde di bestie selvagge e maniaci genocidi.

A fine Aprile 2016, a bordo del jet della Cubana de Aviacion, che mi stava portando da Parigi a L’Avana, non ho resistito alla tentazione di accendere il computer e guardare di nuovo, forse per la decima volta in vita mia, La Ultima Cena.
Con Gutiérrez nello schermo, Granma Internacional (il giornale ufficiale cubano chiamato così dalla nave che portò Fidel, il Che e altri rivoluzionari a Cuba per dare l’avvio alla rivoluzione) e un bicchiere di autentico e puro rum sul tavolino, mi sentivo a casa, al sicuro e raggiante di felicità.  Dopo diversi giorni tristemente trascorsi a Parigi, mi stavo finalmente lasciando alle spalle la grigia, sempre più deprimente, dispotica e auto compiacente Europa.

L’America Latina mi aspettava. Stava affrontando degli attacchi terribili organizzati dall’Occidente. Il suo futuro era ancora una volta incerto. “I nostri governi” stavano sanguinando, alcuni di loro collassando. Quello terrificante dell’ala di estrema destra guidato da Mauricio Macri in Argentina era completamente impegnato nello smantellare lo stato sociale. Il Brasile soffriva per il colpo di stato ad opera dei corrotti legislatori di destra. La rivoluzione bolivariana del Venezuela combatteva strenuamente per la propria sopravvivenza. Le forze sovversive conservatrici stavano affrontando sia l’Ecuador che la Bolivia.

Mi chiesero di andare. Mi dissero: “L’America Latina ha bisogno di te. Stiamo combattendo per la nostra sopravvivenza”. Ed eccomi lì, a bordo del Cubana, mentre andavo a casa, in quella parte del mondo che mi è sempre stata cara e mi ha modellato in quello che sono ora, un uomo e uno scrittore.

Andavo  a casa perché lo volevo, ma anche perché era un mio dovere. E cavolo, io ci credo davvero nei doveri!

Dopotutto, non sono un anarchico, ma un Comunista, “istruito” e temprato in America Latina.

***

venerdì 13 gennaio 2023

Il capitalismo come forma religiosa - Alessandro Visalli

Da: https://www.facebook.com/alessandro.visalli.9https://tempofertile.blogspot.com - Alessandro Visalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili. 

Quello che segue è uno dei paragrafi del libro "Classe e Rivoluzione", in preparazione per i tipi di Meltemi ed in uscita presumibilmente in primavera-estate.

Fa parte di un breve prologo sui "Capitalismi" che muove dalla lezione di Walter Benjamin per approfondire la forma di vita e di teologia economica implicita ma operante nel capitalismo. Seguirà un capitolo sulle 'rivoluzioni' e quindi un terzo, a completare la Parte Prima, sui 'mutamenti', nei quali, ripassando per il tema delle forme religiose dei capitalismi nel corso del tempo e per le forme idolatriche del mercato come salvezza, si arriva a descrivere il 'compromesso' dei trenta gloriosi, la sua 'revoca' nei successivi quaranta anni, e la 'revoca della revoca' (ovvero il ritorno della storia), in corso di dispiegamento.

La Parte Seconda e Terza (rispettivamente 'concetti' ed 'azioni') si occuperanno di trarre le conclusioni e di segnalare un percorso nella rete concettuale della tradizione marxista (e non solo) per dismettere gli abiti del lutto, propri della 'revoca', e riattivare i potenziali della situazione, evitandone alcuni rischi. Tra questi quello di correre avanti, immaginarsi a cavallo di un'onda mentre se ne viene portati, evitare il sentiero stretto di un lavoro lungo, determinato e paziente, volto alla creazione di nuove soggettività nell'azione di comunità politiche capaci di esprimere una nuova visione del mondo. Tuttavia non da questo estranee e fuggenti, come monaci benedettini. Serve un lavoro sistematico di interpretazione e rottura, azione concreta sui territori, immersione nelle controversie del proprio tempo, fatica del dialogo con i diversi e con i vicini, sforzo della memoria.

Se si naviga nella nebbia bisogna portare a prua una lampada, se si vogliono evitare gli scogli che affiorano ovunque. Avere idea per quale trasformazione sociale si lavora e perché. 

Il Capitalismo come forma religiosa.

domenica 23 settembre 2018

Sul problema del lavoro intellettuale - György Lukács

Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com - Scritti politici giovanili 1919-1928, Laterza, Bari 1972. - gyorgylukacs è stato un filosofo e critico letterario ungherese.
Leggi anche: che cos'è il marxismo ortodosso - https://www.marxists.org/italiano/lukacs/ortodossia-marxista.htm



[Zur Frage der Bildungsarbeit, 1921]

La questione di metodo e di principio dominerà presumibilmente le future discussioni sul problema culturale. Nelle tesi dei compagni ungheresi è stata proclamata la questione della preminenza della scienza sociale e storica sulle scienze naturali; esse hanno trovato il consenso del compagno Röbig (nel n. 6, II annata, della «Jugend-Internationale»), ma è probabile che incontreranno anche una grande resistenza. Quindi forse non sarà del tutto superfluo addentrarci con alcune brevi note sulla parte del problema che si riferisce al metodo1.
Occorre anzitutto osservare che la discussione, se è condotta ragionevolmente, può vertere solo sulla preminenza del metodo, non sulla priorità dell’ambito contenutistico. Non v’è mente ragionevole che non si renda conto del fatto che la dittatura del proletariato, non appena avrà superato la fase del più immediato pericolo, porterà una nuova e grande fioritura della scienza naturale e della tecnica. È evidente, anzi, che con l’eliminazione della barriera del profitto la tecnica avrà strada libera verso possibilità oggi appena pensabili. Ammesso tutto ciò, è da chiedersi tuttavia se il metodo delle scienze naturali nell’educazione, nel modo di pensare e di sentire, nella scienza quanto nella filosofia, avrà e dovrà avere quel ruolo determinante e decisamente egemone su ogni cosa che esso ha esercitato nella società borghese. Occorre infatti avere chiarezza su un punto, e cioè che ogni estrinsecazione vitale dell’uomo della società borghese ne era dominata. Non vogliamo né possiamo qui addentrarci nella questione per mancanza di spazio, ma lo dimostra già il fatto – salvo alcune eccezioni, come vedremo in seguito, di carattere reazionario – che la conoscenza scientifico-naturale abbia avuto il valore di conoscenza tout court, o comunque di tipo ideale della conoscenza, e che sotto questo aspetto le principali correnti della filosofia borghese (materialismo à la Büchner, kantismo ed empiriocriticismo) erano concordi fra loro. Ciò non è casuale. Non solo le scienze naturali hanno permesso alla società borghese la razionalizzazione – capitalistica – della produzione ecc., ma il loro metodo è stato per essa anche un’eccellente arma ideologica nella lotta sia contro il morente feudalismo che contro l’irrompente proletariato.

mercoledì 30 novembre 2016

Genere e famiglia in Marx: una rassegna*- Heather Brown**

**Eather Brown è assistente di scienze politiche alla Westfield State University. Questo articolo è un adattamento della conclusione del suo volume Marx on Gender and the Family: A Critical Study (Haymarket, 2013), dove compare in una forma leggermente diversa.

Molte studiose femministe hanno avuto, nel migliore dei casi, un rapporto ambiguo con Marx e il marxismo. Una delle questioni oggetto di maggiore contesa riguarda il rapporto Marx/Engels.

Gli studi di György Lukács, Terrel Carver e altri, hanno mostrato significative differenze tra Marx ed Engels circa la dialettica, così come su molte altre problematiche (1). Basandomi su tali lavori, ho esplorato le loro differenze riguardo alle questioni di genere nonché della famiglia. Ciò è di particolare rilevanza in rapporto ai dibattiti attuali, considerato che un certo numero di studiose femministe hanno criticato Marx ed Engels per quello che considerano il determinismo economico di questi ultimi. Tuttavia, Lukács e Carver indicano proprio nel grado di determinismo economico una notevole differenza tra i due. Entrambi considerano Engels più monistico e scientista di Marx. Raya Dunayevskaya è tra le poche a separare Marx ed Engels riguardo al genere, indicando nel contempo la natura maggiormente monistica e deterministica della posizione di Engels, in contrasto con una comprensione dialetticamente più sfumata delle relazioni di genere da parte di Marx (2).

In anni recenti, vi è stata scarsa discussione intorno agli scritti di Marx su genere e famiglia, ma negli anni Settanta e Ottanta, essi erano oggetto di numerosi dibattiti. In alcuni casi, elementi della più complessiva teoria marxiana andavano a fondersi con la teoria femminista, psicoanalitica o di altra forma, nel lavoro di studiose femministe come Nancy Hartsock e Heidi Hartmann (3). Queste hanno visto la teoria di Marx come primariamente chiusa rispetto alle questioni di genere, insistendo sulla necessità di integrazioni teoriche al fine di comprendere meglio le relazioni di genere. Ciò nonostante, hanno continuato a ritenere il materialismo storico di Marx come un punto di partenza per comprendere la produzione. Inoltre, un certo numero di femministe marxiste hanno fornito il loro contributo, dai tardi anni Sessanta fino agli Ottanta, in particolare nell’ambito dell’economia politica. Per esempio, Margaret Benston, Mariarosa Dalla Costa, Silvia Federici e Wally Seccombe, hanno tentato una rivalutazione del lavoro domestico (4). In aggiunta, Lise Vogel ha cercato di andare oltre il sistema duale, verso una comprensione unitaria dell’economia politica e della riproduzione sociale (5). Ancora, Nancy Holmstrom ha mostrato come Marx possa essere utilizzato al fine di comprendere lo sviluppo storico della natura femminile (6).

venerdì 23 settembre 2022

Karl Marx: umanismo e materialismo - Caterina Genna

 Da: materialismo storico - Caterina Genna  insegna Storia della Filosofia presso l'Università degli Studi di Palermo; afferisce al Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche e della Formazione, dove ricopre gli insegnamenti di Storia della filosofia contemporanea e di Storia della filosofia italiana contemporanea.

Leggi anche: Problemi dell’umanesimo oggi - Stefano Garroni


Ad inizio del XXI secolo, consolidatasi la crisi delle ideologie, la memoria storica induce a ripensare alle opere di alcuni autori, che hanno caratterizzato il pensiero occidentale contemporaneo. Tra gli autori che di tanto in tanto tornano di moda, oppure sono ricordati con nostalgica memoria, trova posto Karl Marx, troppo spesso legato alle vicende storiche del XX secolo, dalla rivoluzione d’ottobre del 1917 al processo di destalinizzazione avviato in URSS con lo svolgimento del XX congresso del PCUS nel 1956; nonché dall’esplosione del movimento giovanile del 1968 alla caduta del muro di Berlino nel 1989. L’autore de Il capitale, nel corso della seconda metà del XX secolo, è stato oggetto di studio e di continue reinterpretazioni alla luce della riscoperta o della pubblicazione postuma di non poche opere giovanili1. Sempre nel corso della seconda metà del XX secolo, è stato oggetto di facili entusiasmi, sia in Europa orientale che in Europa occidentale; con la riscoperta di alcuni scritti giovanili, per un verso (in Europa occidentale), è stato osannato per avere posto al centro della sua produzione il cosiddetto problema della persona umana nell’ampio contesto della Sinistra hegeliana2; per un altro verso (in Europa orientale), è stato assunto a simbolo di un sistema politico che riteneva di potere cambiare il mondo3. Venuto meno il sistema politico del socialismo reale, l’opera di Karl Marx costituisce a pieno titolo una delle componenti più interessanti della storia della cultura contemporanea, se si presta la dovuta attenzione, oltre che agli scritti del Marx giovane, a quelli del Marx giovanissimo solitamente trascurati. Se ci si sofferma sui contenuti delle opere dedicate all’economia politica, si può riscontrare che il problema della persona umana continua a costituire il tema centrale del materialismo storico e dialettico, già posto ed elaborato nelle opere giovanili sul piano antropologico e sociologico.

Tuttavia, oltre che sulle opere del giovane Marx, è opportuno soffermarsi sulle opere del giovanissimo Marx, che dal conseguimento della licenza liceale a Treviri e dagli studi in giurisprudenza (compiuti nelle Università di Bonn e di Berlino) giunge al conseguimento della laurea in filosofia nell’Università di Jena, con una tesi incentrata sulla filosofia della natura di Democrito e di Epicuro (ossia sulla filosofia greca che transita dal periodo ellenico a quello ellenistico).

sabato 9 maggio 2020

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com - Scritti politici giovanili 1919-1928, Laterza, Bari 1972 [Die moralische Sendung der kommunistischen Partei, 1920]. -
Gyorgy Lukacs è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese.
Leggi anche:  EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur 
                       Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky                         
                       
Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                      Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala 
                       https://ilcomunista23.blogspot.com/2019/09/inefficienze-e-difetti-delleconomia.html


1. Come ogni scritto di Lenin, anche questo nuovo opuscolo1 merita lo studio più attento da parte di tutti i comunisti. Esso dimostra, ancora una volta, la straordinaria capacità di Lenin di comprendere gli elementi decisamente nuovi che esistono in un nuovo fenomeno nell’evoluzione del proletariato, di capire e di far capire in maniera essenziale l’essenza di quegli elementi. Mentre i suoi precedenti scritti erano dedicati più alla polemica, e cercavano di analizzare a fondo le organizzazioni di lotta del proletariato (in primo luogo lo Stato), quest’ultimo è invece dedicato ai germi della nuova società che stanno sbocciando. Come la forma di produzione capitalistica, con cui la disciplina del lavoro imposta dalla costrizione economica (la fame), era superiore alla nuda forma della servitù della gleba, così la libera collaborazione di uomini liberi nella nuova società supererà di gran lunga, anche in produttività, il sistema capitalistico. Appunto a questo riguardo i disfattisti socialdemocratici della rivoluzione mondiale sono estremamente scettici. Essi si richiamano all’allentamento della disciplina del lavoro, al calo della produttività, in una parola a fatti che sono i necessari fenomeni collaterali del dissolversi dell’ordinamento economico capitalistico: e con una impazienza e intolleranza paragonabili quanto a vigore solo alla loro pazienza e tolleranza nei confronti del capitalismo, essi ci dicono che questi fenomeni nella Russia sovietica non si sono modificati immediatamente. La scarsità di materie prime, le lotte intestine, le difficoltà organizzative valgono ai loro occhi come giustificazione solo per gli Stati capitalistici, mentre un ordinamento proletario della società dovrebbe secondo loro significare, nello stesso istante del suo nascere, un capovolgimento di tutti i rapporti tanto all’interno quanto all’esterno, il miglioramento della situazione in tutti i campi. I rivoluzionari autentici, e primo fra tutti Lenin, si distinguono da questo utopismo piccolo-borghese per l’assenza di illusioni. Essi sanno che cosa ci si può aspettare da un’economia distrutta dalla guerra, e soprattutto che cosa ci si può aspettare da uomini educati all’egoismo, spiritualmente depravati e corrotti dal capitalismo. Per il vero rivoluzionario una mancanza di illusioni non può mai significare avvilimento e disperazione, bensì fede, rinvigorita dalla conoscenza, nella missione storico-mondiale del proletariato; si tratta di una fede che non può mai essere scossa dalla lentezza e dalle circostanze spesso più che avverse della sua realizzazione, di una fede che mette in conto tutto ciò e che, nonostante tutti questi sconvolgimenti e ostacoli, non perde mai di vista il proprio obiettivo ed il processo di avvicinamento ad esso.

giovedì 26 settembre 2013

Né questo, né quello. Polanyi riletto - Alberto Sobrero -

http://177ermanno.blogspot.it/2013/09/karl-polanyi-e-la-grande-trasformazione.html
 

 Questo intervento non ha la pretesa di dire molto di nuovo sulla figura e sul pensiero di Karl Polanyi. È davanti a tutti il recente ritorno editoriale della sua opera, le continue riedizioni di The Great Transformation (negli Stati Uniti nel 2008 e nel 2010, in Italia nel 2000 e nel 2010; e ormai in altre quindici lingue, fra le quali, più di recente, il cinese, 2007, il finlan­dese, 2009, il turco, lo sloveno, il greco etc.), i tanti saggi di commento e approfondimento (ricordo solo quelli scritti al tempo della crisi: Dale 2009, 2010b; Joerges, Falke 2011; Hann, Hart 2009, 2011; Graeber 2011; in italiano, Laville, La Rosa 2008; Caillé, Laville 2011) e, fatto nuovo e interes­sante, la presenza delle idee di Polanyi nell’attualità del dibattito politico ed economico1.

Solo tra la metà degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo, in quel periodo che Hann e Hart chiamano “l’età dell’oro dell’antropolo­gia economica”, l’interesse per l’opera di Polanyi ha conosciuto una simile intensità (Wilk 1996; Carrier 2005; Hann, Hart 2011). C’era allora la con­troversia antropologica (confusa e magari ingannevole) fra un approccio formalista e un approccio sostantivista, c’era, poco più tardi, il dibattito marxista e strutturalista sulla nozione di modo di produzione, ma prin­cipalmente c’era sullo sfondo un incessante interrogarsi sul rapporto fra capitalismo trionfante e quello che allora si chiamava Terzo Mondo.

In quegli anni abbiamo letto Polanyi grazie ad Alfredo Salsano, che ne ha introdotto l’opera in Italia, e a Edoardo Grendi, che ne offrì fra i primi un commento, ma per lo più lo leggemmo male: o forzandolo nella lezione dei Grundrisse marxiani, o mettendolo accanto ai libri di Marcuse, Fromm, Adorno. In ogni caso una compagnia un po’ stretta. Chi scrive deve un interesse, forse solo in parte diverso, alla passione e alle aperture
interdisciplinari di Salvatore Puglisi, docente e maestro di Paletnologia alla “Sapienza”. Durante i seminari “autogestiti” leggevamo i neo-evolu­zionisti, Gordon Childe (altro autore molto amato dai giovani “marxisti”) e Polanyi. Era il 1974, quasi quarant’anni fa.