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venerdì 13 gennaio 2023

Il capitalismo come forma religiosa - Alessandro Visalli

Da: https://www.facebook.com/alessandro.visalli.9https://tempofertile.blogspot.com - Alessandro Visalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili. 

Quello che segue è uno dei paragrafi del libro "Classe e Rivoluzione", in preparazione per i tipi di Meltemi ed in uscita presumibilmente in primavera-estate.

Fa parte di un breve prologo sui "Capitalismi" che muove dalla lezione di Walter Benjamin per approfondire la forma di vita e di teologia economica implicita ma operante nel capitalismo. Seguirà un capitolo sulle 'rivoluzioni' e quindi un terzo, a completare la Parte Prima, sui 'mutamenti', nei quali, ripassando per il tema delle forme religiose dei capitalismi nel corso del tempo e per le forme idolatriche del mercato come salvezza, si arriva a descrivere il 'compromesso' dei trenta gloriosi, la sua 'revoca' nei successivi quaranta anni, e la 'revoca della revoca' (ovvero il ritorno della storia), in corso di dispiegamento.

La Parte Seconda e Terza (rispettivamente 'concetti' ed 'azioni') si occuperanno di trarre le conclusioni e di segnalare un percorso nella rete concettuale della tradizione marxista (e non solo) per dismettere gli abiti del lutto, propri della 'revoca', e riattivare i potenziali della situazione, evitandone alcuni rischi. Tra questi quello di correre avanti, immaginarsi a cavallo di un'onda mentre se ne viene portati, evitare il sentiero stretto di un lavoro lungo, determinato e paziente, volto alla creazione di nuove soggettività nell'azione di comunità politiche capaci di esprimere una nuova visione del mondo. Tuttavia non da questo estranee e fuggenti, come monaci benedettini. Serve un lavoro sistematico di interpretazione e rottura, azione concreta sui territori, immersione nelle controversie del proprio tempo, fatica del dialogo con i diversi e con i vicini, sforzo della memoria.

Se si naviga nella nebbia bisogna portare a prua una lampada, se si vogliono evitare gli scogli che affiorano ovunque. Avere idea per quale trasformazione sociale si lavora e perché. 

Il Capitalismo come forma religiosa.

venerdì 23 settembre 2022

Karl Marx: umanismo e materialismo - Caterina Genna

 Da: materialismo storico - Caterina Genna  insegna Storia della Filosofia presso l'Università degli Studi di Palermo; afferisce al Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche e della Formazione, dove ricopre gli insegnamenti di Storia della filosofia contemporanea e di Storia della filosofia italiana contemporanea.

Leggi anche: Problemi dell’umanesimo oggi - Stefano Garroni


Ad inizio del XXI secolo, consolidatasi la crisi delle ideologie, la memoria storica induce a ripensare alle opere di alcuni autori, che hanno caratterizzato il pensiero occidentale contemporaneo. Tra gli autori che di tanto in tanto tornano di moda, oppure sono ricordati con nostalgica memoria, trova posto Karl Marx, troppo spesso legato alle vicende storiche del XX secolo, dalla rivoluzione d’ottobre del 1917 al processo di destalinizzazione avviato in URSS con lo svolgimento del XX congresso del PCUS nel 1956; nonché dall’esplosione del movimento giovanile del 1968 alla caduta del muro di Berlino nel 1989. L’autore de Il capitale, nel corso della seconda metà del XX secolo, è stato oggetto di studio e di continue reinterpretazioni alla luce della riscoperta o della pubblicazione postuma di non poche opere giovanili1. Sempre nel corso della seconda metà del XX secolo, è stato oggetto di facili entusiasmi, sia in Europa orientale che in Europa occidentale; con la riscoperta di alcuni scritti giovanili, per un verso (in Europa occidentale), è stato osannato per avere posto al centro della sua produzione il cosiddetto problema della persona umana nell’ampio contesto della Sinistra hegeliana2; per un altro verso (in Europa orientale), è stato assunto a simbolo di un sistema politico che riteneva di potere cambiare il mondo3. Venuto meno il sistema politico del socialismo reale, l’opera di Karl Marx costituisce a pieno titolo una delle componenti più interessanti della storia della cultura contemporanea, se si presta la dovuta attenzione, oltre che agli scritti del Marx giovane, a quelli del Marx giovanissimo solitamente trascurati. Se ci si sofferma sui contenuti delle opere dedicate all’economia politica, si può riscontrare che il problema della persona umana continua a costituire il tema centrale del materialismo storico e dialettico, già posto ed elaborato nelle opere giovanili sul piano antropologico e sociologico.

Tuttavia, oltre che sulle opere del giovane Marx, è opportuno soffermarsi sulle opere del giovanissimo Marx, che dal conseguimento della licenza liceale a Treviri e dagli studi in giurisprudenza (compiuti nelle Università di Bonn e di Berlino) giunge al conseguimento della laurea in filosofia nell’Università di Jena, con una tesi incentrata sulla filosofia della natura di Democrito e di Epicuro (ossia sulla filosofia greca che transita dal periodo ellenico a quello ellenistico).

martedì 14 giugno 2022

Ecco perché sono comunista - André Vltchek

Da: https://ilgiornaledelriccio.com - Art. originale da CounterPounch - traduzione di Elena Dardano - 

Andre Vltchek (29 dicembre 1963-22 settembre 2020) è stato un analista politico, giornalista e regista americano di origine sovietica. Vltchek è nato a Leningrado, ma in seguito è diventato cittadino americano naturalizzato dopo aver ottenuto asilo lì a vent'anni. Ha vissuto negli Stati Uniti, Cile, Perù, Messico, Vietnam, Samoa e Indonesia. Vltchek ha coperto i conflitti armati in Perù, Kashmir, Messico, Bosnia, Sri Lanka, Congo, India, Sud Africa, Timor orientale, Indonesia, Turchia e Medio Oriente. Ha viaggiato in più di 140 paesi, e ha scritto articoli per Der Spiegel , quotidiano giapponese The Asahi Shimbun , The Guardian , ABC News e il quotidiano della Repubblica Ceca Lidové novizio. Dal 2004, Vltchek ha lavorato come senior fellow presso l' Oakland Institute. 

Leggi anche: Sulla stagnazione del marxismo - Stefano Garroni

Perchè è fallito il comunismo?*- Domenico Losurdo (9/11/1999)

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Questioni relative allo sviluppo e alla persistenza nel socialismo con caratteristiche cinesi - Xi Jinping

Sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria - LENIN

ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI - Samir Amin

La colonizzazione globale: le false unità e le false identità nelle ideologie dell’impero*- Edoarda Masi**

Il socialismo e l'uomo a Cuba - Ernesto Che Guevara (1965)

L'A.B.C. del Comunismo* - Bucharin-Preobrazenskij (1919)

Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz. 



Ogni qualvolta si guarda La Ultima Cena, un geniale film del 1976 diretto dal cubano Tomás Gutiérrez Alea, ci si rende conto di molti importanti messaggi che vengono letteralmente urlati dallo schermo. 

Il primo: non si può schiavizzare un intero gruppo o un’intera etnia, almeno non per sempre. È impossibile spezzare l’ardente desiderio di esercitare le propria libertà e i propri diritti, non importa quanto brutalmente e frequentemente il colonialismo, l’imperialismo, il razzismo e il terrore religioso provano a farlo.

Il secondo messaggio ugualmente importante è che i bianchi e i cristiani (e ancora di più i cristiani bianchi) per secoli, ovunque nel mondo, si sono comportati come orde di bestie selvagge e maniaci genocidi.

A fine Aprile 2016, a bordo del jet della Cubana de Aviacion, che mi stava portando da Parigi a L’Avana, non ho resistito alla tentazione di accendere il computer e guardare di nuovo, forse per la decima volta in vita mia, La Ultima Cena.
Con Gutiérrez nello schermo, Granma Internacional (il giornale ufficiale cubano chiamato così dalla nave che portò Fidel, il Che e altri rivoluzionari a Cuba per dare l’avvio alla rivoluzione) e un bicchiere di autentico e puro rum sul tavolino, mi sentivo a casa, al sicuro e raggiante di felicità.  Dopo diversi giorni tristemente trascorsi a Parigi, mi stavo finalmente lasciando alle spalle la grigia, sempre più deprimente, dispotica e auto compiacente Europa.

L’America Latina mi aspettava. Stava affrontando degli attacchi terribili organizzati dall’Occidente. Il suo futuro era ancora una volta incerto. “I nostri governi” stavano sanguinando, alcuni di loro collassando. Quello terrificante dell’ala di estrema destra guidato da Mauricio Macri in Argentina era completamente impegnato nello smantellare lo stato sociale. Il Brasile soffriva per il colpo di stato ad opera dei corrotti legislatori di destra. La rivoluzione bolivariana del Venezuela combatteva strenuamente per la propria sopravvivenza. Le forze sovversive conservatrici stavano affrontando sia l’Ecuador che la Bolivia.

Mi chiesero di andare. Mi dissero: “L’America Latina ha bisogno di te. Stiamo combattendo per la nostra sopravvivenza”. Ed eccomi lì, a bordo del Cubana, mentre andavo a casa, in quella parte del mondo che mi è sempre stata cara e mi ha modellato in quello che sono ora, un uomo e uno scrittore.

Andavo  a casa perché lo volevo, ma anche perché era un mio dovere. E cavolo, io ci credo davvero nei doveri!

Dopotutto, non sono un anarchico, ma un Comunista, “istruito” e temprato in America Latina.

***

giovedì 17 giugno 2021

L’irrazionalismo come fenomeno internazionale nel periodo dell’imperialismo - György Lukács

 Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com - Prefazione a La distruzione della ragione

Gy6rgy Lukacs (Budapest, 13 aprile 1885 – Budapest, 4 giugno 1971) è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese.

Leggi anche: Appunti su “la Distruzione della Ragione”, di György Lukács -

Vedi anche: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci



Questo libro non pretende affatto di essere una storia della filosofia reazionaria o addirittura un trattato sul suo sviluppo. L’autore sa bene che l’irrazionalismo, di cui viene qui presentato l’affermarsi e l’estendersi a indirizzo dominante della filosofia borghese, è solo una delle tendenze importanti nella filosofia reazionaria borghese. Benché non vi sia praticamente filosofia reazionaria che non celi un determinato elemento irrazionalistico, il campo della filosofia reazionaria borghese è molto più ampio di quanto non sia quello della filosofia irrazionalistica, nel senso proprio e rigoroso del termine. 

Ma neppure questa limitazione basta a circoscrivere il nostro compito. Anche in quest’ambito più ristretto, non si tratta di fare una storia vasta e particolareggiata dell’irrazionalismo, che aspiri alla completezza, bensì di tracciare la linea principale del suo sviluppo, di analizzare le tappe e i rappresentanti più importanti e più tipici. Questa linea principale va presentata come la risposta più significativa e grave di conseguenze data dalla reazione ai grandi problemi degli ultimi centocinquanta anni.

La storia della filosofia, alla stessa maniera della storia dell’arte e della storia della letteratura, non è mai, come pensano i suoi storici borghesi, semplice storia di idee filosofiche o magari di personalità. I problemi e i modi di risolverli vengono stabiliti per la filosofia dallo sviluppo delle forze produttive, dall’evoluzione sociale, dallo svolgersi delle lotte di classe. Le linee fondamentali e decisive di una qualsiasi filosofia non possono essere scoperte se non in base alla conoscenza di queste primarie forze motrici. Se si fa il tentativo di porre e di spiegare il nesso dei problemi filosofici in base a un cosiddetto sviluppo immanente della filosofia, si ha necessariamente un travisamento idealistico dei nessi più importanti, anche se gli storici possiedono la necessaria cultura e hanno la buona intenzione di essere oggettivi. È evidente che l’indirizzo denominato delle «scienze dello spirito» rappresenta rispetto a questo punto di vista non un progresso, ma un regresso: l’impostazione ideologica deformante rimane, ed è soltanto più confusa, più deformante in senso idealistico. Basti confrontare Dilthey e la sua scuola con la storiografia filosofica degli hegeliani, per esempio con Erdmann.

Da ciò non consegue, come pensano i volgarizzatori, che vengano trascurati i problemi puramente filosofici. Anzi, solo in questo nesso può risultar chiara la differenza fra le questioni importanti, dotate di un significato permanente, e le divergenze professorali fatte di sfumature. Proprio la via che conduce dalla vita sociale alla vita sociale conferisce ai pensieri filosofici la loro vera portata, determina la loro profondità anche nel senso strettamente filosofico. A questo riguardo è del tutto secondaria la questione, in che misura i singoli pensatori siano consapevoli di questa loro posizione, di questa loro funzione storico-sociale. Anche in filosofia si giudicano non le opinioni, ma le azioni, cioè l’espressione obbiettiva del pensiero, la sua efficacia storicamente necessaria. In questo senso ogni pensatore è responsabile di fronte alla storia del contenuto obbiettivo del suo filosofare.

mercoledì 2 giugno 2021

Crisi storiche e naturalismo capitalistico - Stefano G. Azzarà


Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020 (vol. IX), a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) - Riproduciamo qui, con qualche lieve modifica, il primo capitolo del libro di Stefano G. Azzarà Pensare la pandemia. Universalismo astratto e sovranismo particolaristico di fronte allo stato d’eccezione, Mimesis, Milano 2020.
Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo. 



Le crisi acute mettono in evidenza le contraddizioni, le fragilità e linee di faglia di ogni società storica come di ogni sistema politico  e economico. In tutte le epoche, guerre su vasta scala, cadute repentine della produzione, eruzioni rivoluzionarie, terremoti, carestie ma anche epidemie hanno interrotto il normale funzionamento della vita delle nazioni e hanno sottoposto a stress imprevisti i loro assetti, conducendole a volte anche al collasso quando queste tensioni superavano  il livello di soglia e in  particolare quando  potevano  far leva su fratture profonde pregresse che sino a quel momento erano rimaste più o meno celate o erano state in qualche modo suturate. Così che sarebbe interessante completare l’indagine di Walter Scheidel sull’impatto livellatore e redistributivo dei «Quattro Cavalieri» – «guerre di massa, rivoluzioni trasformative,  fallimenti  degli  Stati  e  pandemie  letali» – indagando  «se  e  come»  la presenza di gravi forme di disuguaglianza sociale o altre asimmetrie abbiano potuto «contribuire a generare questi shock violenti»1. 

Sotto questo aspetto, le società capitalistiche, e tanto più quelle avanzate come la maggior parte dei paesi appartenenti alla civiltà occidentale, dovrebbero  comunque  dimostrarsi  in  linea  di  principio  avvantaggiate rispetto  alle società tradizionali o a quelle improntate a una diversa organizzazione della produzione e della riproduzione. Per quanto certamente più complesse delle formazioni sociali precedenti o di quelle concorrenti, come già Gramsci aveva compreso nel cartografare la loro «robusta catena di fortezze e di casematte»2 – una  complessità  che  per  il  suo  pluralismo,  oltretutto, viene  di  solito  fatta valere anche come una caratteristica positiva di fronte a possibili configura-zioni alternative e più centralizzate del legame sociale –, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra queste società hanno in gran parte superato il problema della sussistenza e dei bisogni primari su scala di massa. Inoltre, la razionalità tecnica e scientifica che presiede alla loro organizzazione, progettata vieppiù per adattarsi alle fluttuazioni improvvise dei mercati, dovrebbe essere in grado in linea di principio di reagire in maniera adattiva e persino proattiva ad ogni contingenza: in questo modo quantomeno, come ha fatto notare Richard  Sennet3, è stato con  insistenza promosso  nel corso di troppi  decenni alle nostre spalle il processo di «specializzazione flessibile» del lavoro sociale complessivo, al fine di sconfiggere tramite le «reti  aperte» i «mali della routine». E di rispondere, abituandosi a «cambiamenti improvvisi e decisi», alle esigenze di un’epoca che, si diceva, con la sua continua accelerazione dei ritmi di vita e di consumo e con i suoi problemi ogni giorno più globali imponeva una  sempre  nuova  ridefinizione just  in  time di  tutte  le  funzioni  sociali  man mano che le esigenze della società stessa mutavano, in risposta alla sua prepotente evoluzione interna come agli stimoli esterni (in realtà, per «ridurre il costo diretto e indiretto del lavoro»4 e per «ridurre il rischio d’impresa», avvertiva più prosaicamente Luciano Gallino). 

giovedì 11 febbraio 2021

Abbozzo di riflessione sul PCI e sulla sua crisi - Roberto Fineschi

 Da: https://www.cumpanis.net - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels(Marx. Dialectical Studies)

Leggi anche: Per il comunismo. Il concetto di classe - Roberto Fineschi 

Epoca, fasi storiche, Capitalismi - Roberto Fineschi 

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni 

Nessuna opposizione entro le maglie del capitalismo, ma si opposizione al capitalismo...- Hans Heinz Holz

L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala 

Sul compromesso storico - Aldo Natoli

D’Alema e l’involuzione del PCI - Alessandra Ciattini

Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977)

"PRAGA '68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA" - Franco Astengo

LA "MARCIA DEI 40000": uno dei momenti di caduta. 

(U.S.)America nell'epoca Tecnetronica*- Zbigniew Brzezinski (1968) 

Vedi anche: sullo scritto di Ernesto Che Guevara "L'uomo e il socialismo a Cuba" - Alessandra Ciattini

Centenario del PCI: dialogo con Aldo Giannuli, Antonio Carioti e Andrea Ricciardi (https://www.facebook.com/giannulialdo/videos/1408990496166312


Con molte riserve e ritrosie vergo queste note per il centenario della fondazione del Partito Comunista Italiano, non essendo io uno storico e tanto meno un esperto di questo tema specifico. Quanto segue sono riflessioni sviluppate soprattutto nella prospettiva di un conoscitore della teoria di Marx come teoria della processualità storica. Si tratta di commenti provvisori, schematici e quanto mai aperti a essere discussi. Sono riflessioni che hanno inevitabilmente sullo sfondo il presente e le sue problematiche. Il tema abbozzato è quello dello snodo degli anni settanta, la figura di Berlinguer e i cambiamenti storici allora intervenuti e probabilmente ancora irrisolti.


1. Gli anni settanta e Berlinguer come figura di un momento di svolta

Gli anni settanta sono segnati dalla strategia del “compromesso storico” che, nella mente dei suoi promotori, si reggeva su due fondamentali premesse teoriche, strategiche e di fatto:

1) la crisi del comunismo sovietico come modello di socialismo praticabile in occidente (in realtà iniziava a delinearsi l’idea della sua impraticabilità in generale): esso non funzionava in quanto autoritario (i freschi fatti cecoslovacchi del ‘68 lo avevano dimostrato) e in quanto non-europeo (impossibile realizzarlo nell’Europa occidentale con la sua complessa stratificazione sociale e le sue diffuse libertà formali);

2) il colpo di stato in Cile: una via parlamentare al socialismo non era possibile perché, anche in caso di vittoria elettorale, le forze dell’imperialismo mondiale avrebbero messo fine in forma violenta a tale esperienza.

domenica 17 gennaio 2021

"LA PARABOLA DEL COMUNISMO" - Angelo D'Orsi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano

"Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"- Angelo D'Orsi, Guido Carpi

Leggi anche: STORIA DEL MARXISMO - Andras Hegedus -

Sull' URSS - Marcello Grassi

ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI - Samir Amin

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923)

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni

Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz.

                                                                           

domenica 11 ottobre 2020

Domenico Losurdo: Nietzsche, il ribelle aristocratico - Maurizio Brignoli

 Da: http://www.filosofia.it - 

Vedi anche: Un altro Nietzsche - Domenico Losurdo

NIETZSCHE, Lo scriba del Caos - Carlo Sini

Marx, il liberalismo e la maledizione di Nietzsche*- Paolo Ercolani

Nietzsche e la crisi dell'epoca moderna - Costantino Esposito 

Nietzsche - Antonio Gargano

Leggi anche: 

Storia e oggettività in Nietzsche*- Vladimiro Giacché 

IL LIBRO DEL FILOSOFO* - Stefano Garroni 

Appunti su “la Distruzione della Ragione”, di György Lukács -


Losurdo, Domenico, Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico. Bollati Boringhieri, Torino 2002, pp. 1167.



Domenico Losurdo sviluppa in Nietzsche, il ribelle aristocratico una scrupolosa e dettagliata ricostruzione del contesto storico e del dibattito culturale coevo quali premesse per comprendere l’evoluzione della carica dissacratoria del pensatore di Röcken.

Fin dalla Nascita della tragedia è possibile vedere come gli spunti politici non siano esterni alla riflessione estetica e come la grecità sia una categoria filosofica elaborata in contrapposizione al mondo moderno, soprattutto alla Francia contemporanea attraversata dalle rivoluzioni. Il pericolo mortale, che sfocia nella rivolta servile della Comune, ha le sue origini nell’illusione moderna della possibilità di conoscere e trasformare la realtà, eliminandone la componente tragica e negativa. Causa di ciò è l’ottimismo, la fede nella felicità terrena di tutti che produce lo scontento nel ceto degli schiavi e li porta a sentire come ingiusta la propria condizione. La crisi della grecità tragica sta nell’ottimismo socratico che crede nell’insegnabilità della virtù e nell’attesa di un mondo felice. Il popolo tedesco, che ha sconfitto la Francia socratica della rivolta servile, deve essere l’erede della civiltà greca. 

Se questa critica alla sovversiva idea di felicità comune è diffusa fra Sette e Ottocento, l’originalità di Nietzsche consiste proprio nel procedere il più indietro possibile nell’individuare l’origine della sovversione. Mentre l’ottimismo moderno porta alla rivolta e il cristianesimo alla fuga dal mondo, l’arte-religione greca promuove la felicità dell’esistenza, nonostante la coscienza del dolore della schiavitù che è a fondamento di ogni civiltà. Riflessione estetica e politica sono così strettamente unite ed è la politica a costituire l’aspetto principale che permette di cogliere l’unità tra i riferimenti al movimento socialista e alla guerra franco-prussiana e le analisi della tragedia eschilea e wagneriana. Siamo in presenza di una filosofia della storia caratterizzata dalla polemica contro lo «spirito del tempo» (Zeitgeist), dalla «critica del tempo presente» (Zeitkritik), in ultima analisi dal rifiuto della modernità (pp. 66-67). Il mondo non necessita di alcuna giustificazione estrinseca: al posto di una teodicea si pone così una cosmodicea che, oltre a eliminare la trascendenza cristiana, elimina anche qualsiasi trascendenza rivoluzionaria. 

Lo stesso concetto universale di uomo è un’astrazione che non appartiene al mondo greco: la differenza tra uomo e uomo emerge nella celebrazione della personalità eccezionale. È però solo con Nietzsche che questa metafisica del genio, presente in Lagarde, Wagner, Schopenhauer, Mill, diviene il centro di un programma politico di contrapposizione radicale alla modernità e alle tendenze sovversive e massificanti ad essa connesse (p. 101). 

Nietzsche spera che con l’affermarsi dell’essenza dionisiaca del popolo tedesco si possano superare le lacerazioni della modernità: la Nascita della tragedia non fa che tradurre in linguaggio dionisiaco questo ideale nato dalla vittoria sulla Francia illuminista e rivoluzionaria. Vi sono però altri miti genealogici che cercano di legittimare il Secondo Reich: quello cristiano-germanico di Wagner, quello puramente germanico dei teutomani e quello ariano-greco-germanico di Schopenhauer. Nella loro diversità, questi miti hanno in comune l’antiebraismo e, nel giovane Nietzsche, le antitesi grecità tragica/modernità e pessimismo/ottimismo coincidono con le dicotomie Germania/Francia e germani/ebrei. Il Nietzsche pre-illuminista è allora un antisemita? È forse più corretto parlare di un antigiudaismo (critica che non mette in discussione l’eguaglianza civile e politica) che può sconfinare nella giudeofobìa (ostilità che porta alla discriminazione politico-sociale); inoltre, l’ebraismo non viene definito da Nietzsche in termini razziali e la successiva presa di distanza da questa giudeofobìa emerge in contrasto con la rozzezza naturalistica dell’antisemitismo wagneriano. L’analisi della modernità, in cui l’antigiudaismo svolge un ruolo significativo, in certa misura si autonomizza rispetto a questi elementi giudeofobi che pure l’hanno accompagnata. 

venerdì 29 maggio 2020

Appunti su “la Distruzione della Ragione”, di György Lukács -

Da: https://sigma.altervista.org - https://revolucionvoxpopuli.wordpress.com - https://sinistrainrete.info -
Gyorgy Lukacs è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese. 

Vedi anche: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci 


Una lettura significativa degli ultimi tempi è stata “La distruzione della ragione”, pubblicata nel 1954 e scritta da György Lukács.
In questo libro, l’autore sostiene che le filosofie irrazionalistiche sono una parte molto importante (seppur non l’unica) del fondamento ideologico delle politiche reazionarie. Nel seguente articolo proveremo a riassumere quanto osservato dall’autore, espandendo poi il discorso al fine di trarre qualche conclusione iniziale, che ci sarà estremamente utile per il futuro.
INTRODUZIONE E BREVE RIASSUNTO
Il libro è stato completato nel 1954, durante il primo periodo “caldo” della Guerra Fredda. In questo periodo, Lukács era un intellettuale emarginato e dissidente a causa del suo forte marxismo hegeliano, contrapposto al “piatto” ed economicistico “marxismo” staliniano. Egli, come altri intellettuali del tempo (ad esempio Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, Hannah Arendt) dovette rendere conto di come fosse stata possibile la barbarie nazista. Allora la sua ricerca si orientò verso il fondamento ideologico-filosofico del nazismo: l’irrazionalità.
I pensatori affrontati sono soprattutto tedeschi per motivi storici e sociali, ma l’autore fa notare a più riprese come il movimento irrazionalistico (ad esempio quello della “filosofia della vita” di Bergson, Dilthey e James) assuma portata internazionale, riflettendo una vera e propria epoca storica che coincise con le difficoltà di accumulazione del capitale, poco prima del suo “scatenamento imperialistico” nella Prima Guerra Mondiale e successiva “ricaduta” della Seconda Guerra Mondiale.
La tradizione irrazionalistica ha origini relativamente lontane, formandosi in modo coerente a partire dagli “idealisti soggettivi” del primo 1800 (l’autore definisce così gli irrazionalisti in generale), in primis Schelling. A partire dalla filosofia irrazionalistica “feudale” di Schelling, seguiamo l’evoluzione, le differenze e talvolta i contrasti tra pensatori irrazionalisti, pur accomunati dalla sfiducia verso la ragione. Lukács si occupa di pensatori di grande importanza (e attualità) come Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, Simmel, Weber, Heidegger e Schmitt, oltre ad altri autori dei loro ambiti. Come è evidente, l’autore non si occupa esclusivamente di filosofi, bensì considera anche il campo della sociologia (dedicando anche un paio di capitoli alla “teoria della razza”), per evidenziare la portata multidisciplinare e la pervasività sociale del fenomeno irrazionalistico.
Essendo l’ideologia la forma politica della coscienza, e non semplice “astrazione” o “formalizzazione” dei rapporti sociali, essa influisce sulla società, attecchendo in modo più o meno fecondo nella coscienza delle persone e, di conseguenza, influenzandone i comportamenti come la prassi politica. Esaminiamo ora gli aspetti principali per cui l’irrazionalismo sarebbe, secondo Lukács, reazionario.

domenica 10 maggio 2020

Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron

Da: http://www.rifondazione.it - Il testo è tratto da: https://www.elsiglo.cl/2020/04/23/atilio-boron-y-los-150-anos-de-lenin -
Atilio A. Boron è un intellettuale e sociologo argentino.
Leggi anche:  Marxismo e revisionismo - Vladimir Lenin (1908) 
                         Il socialismo e la guerra - Vladimir Lenin (1915) 
                         Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale*- Vladimir Lenin (1917) 
                         Better Fewer, But Better*- Vladimir Lenin (1923) 
                         Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923) 
                       Tutto il potere ai soviet’ - Lars T. Lih 
                        Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                         La missione morale del Partito comunista - György Lukács 


22 Aprile 2020

Vladimir Illich Ulianov è nato in un giorno come oggi, del 1870, a Simbirsk, in Russia. Fu il fondatore del Partito Comunista Russo (bolscevico), il leader indiscusso della prima insurrezione operaia e contadina di successo a livello nazionale nella storia della umanità: la Rivoluzione d’ottobre in Russia (che portò a termine ciò che la eroica Comune di Parigi non potè fare) e architetto e costruttore dello Stato sovietico. Come se questo non fosse abbastanza, fu anche un notevole intellettuale, autore di numerosi scritti su argomenti diversi come filosofia, teoria economica, scienze politiche, sociologia e relazioni internazionali (1).

“Pratico della teoria e teorico della pratica” secondo la brillante definizione che György Lukács ha proposto, Lenin introdusse tre contributi decisivi al rinnovamento di una teoria vivente, il marxismo, che ha sempre inteso come una “guida all’azione” e non come un dogma o un insieme sclerotizzato di precetti astratti. 

Grazie a Lenin le basi teoriche stabilite da Karl Marx e Friedrich Engels furono arricchite con una teoria dell’imperialismo che fece luce sugli sviluppi più recenti del capitalismo nel primo decennio del ventesimo secolo; con una concezione della strategia e delle tattiche della conquista del potere o, in altre parole, con una rinnovata teoria della rivoluzione basata sull’alleanza “operaia-contadina” e sul ruolo degli intellettuali; e con le sue diverse teorie sul partito politico e i suoi compiti in diversi momenti della lotta sociale. Una straordinaria eredità teorica, come emerge dalla precedente enumerazione. 
 
In questo breve promemoria della nascita di una persona eccezionale come Lenin, vorrei attirare l’attenzione su uno di questi tre contributi: la “teoria” del partito in Lenin. 

sabato 9 maggio 2020

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com - Scritti politici giovanili 1919-1928, Laterza, Bari 1972 [Die moralische Sendung der kommunistischen Partei, 1920]. -
Gyorgy Lukacs è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese.
Leggi anche:  EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur 
                       Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky                         
                       
Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                      Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala 
                       https://ilcomunista23.blogspot.com/2019/09/inefficienze-e-difetti-delleconomia.html


1. Come ogni scritto di Lenin, anche questo nuovo opuscolo1 merita lo studio più attento da parte di tutti i comunisti. Esso dimostra, ancora una volta, la straordinaria capacità di Lenin di comprendere gli elementi decisamente nuovi che esistono in un nuovo fenomeno nell’evoluzione del proletariato, di capire e di far capire in maniera essenziale l’essenza di quegli elementi. Mentre i suoi precedenti scritti erano dedicati più alla polemica, e cercavano di analizzare a fondo le organizzazioni di lotta del proletariato (in primo luogo lo Stato), quest’ultimo è invece dedicato ai germi della nuova società che stanno sbocciando. Come la forma di produzione capitalistica, con cui la disciplina del lavoro imposta dalla costrizione economica (la fame), era superiore alla nuda forma della servitù della gleba, così la libera collaborazione di uomini liberi nella nuova società supererà di gran lunga, anche in produttività, il sistema capitalistico. Appunto a questo riguardo i disfattisti socialdemocratici della rivoluzione mondiale sono estremamente scettici. Essi si richiamano all’allentamento della disciplina del lavoro, al calo della produttività, in una parola a fatti che sono i necessari fenomeni collaterali del dissolversi dell’ordinamento economico capitalistico: e con una impazienza e intolleranza paragonabili quanto a vigore solo alla loro pazienza e tolleranza nei confronti del capitalismo, essi ci dicono che questi fenomeni nella Russia sovietica non si sono modificati immediatamente. La scarsità di materie prime, le lotte intestine, le difficoltà organizzative valgono ai loro occhi come giustificazione solo per gli Stati capitalistici, mentre un ordinamento proletario della società dovrebbe secondo loro significare, nello stesso istante del suo nascere, un capovolgimento di tutti i rapporti tanto all’interno quanto all’esterno, il miglioramento della situazione in tutti i campi. I rivoluzionari autentici, e primo fra tutti Lenin, si distinguono da questo utopismo piccolo-borghese per l’assenza di illusioni. Essi sanno che cosa ci si può aspettare da un’economia distrutta dalla guerra, e soprattutto che cosa ci si può aspettare da uomini educati all’egoismo, spiritualmente depravati e corrotti dal capitalismo. Per il vero rivoluzionario una mancanza di illusioni non può mai significare avvilimento e disperazione, bensì fede, rinvigorita dalla conoscenza, nella missione storico-mondiale del proletariato; si tratta di una fede che non può mai essere scossa dalla lentezza e dalle circostanze spesso più che avverse della sua realizzazione, di una fede che mette in conto tutto ciò e che, nonostante tutti questi sconvolgimenti e ostacoli, non perde mai di vista il proprio obiettivo ed il processo di avvicinamento ad esso.