Quello che è accaduto alla Fiat tra il Settembre e l'Ottobre del 1980 non ha rappresentato solo una semplice sconfitta sindacale, ma una sconfitta sul piano sociale, politico e culturale, che ha modificato profondamente non soltanto il modo di produrre e le relazioni sindacali, ma ha inciso profondamente sulla vita reale di milioni di lavoratori. Proprio da lì, infatti, è partito l'attacco al mondo del lavoro, che solo alcuni anni dopo ha portato, sotto il governo Craxi, al "Decreto di San Valentino" ed al conseguente taglio della scala mobile.
Il retroterra delle lotta dei 35 giorni alla Fiat parte praticamente dal clima molto caldo di quel periodo a Torino, e la Fiat prende come pretesto sia la morte del suo dirigente Carlo Ghiglieno, ucciso dalle BR, che alcuni agguati ai caporeparti, da poco verificatisi, per licenziare, nell'Ottobre del 1979, sessantuno (61) lavoratori, come fiancheggiatori in fabbrica dei terroristi (dei quali, poi, solo quattro di essi saranno condannati) e, non potendo dare questa motivazione, respinta in prima istanza dalla magistratura, l'azienda addebita loro indisciplina e comportamenti scorretti. Gli operai, in massima parte, la ritengono essere l'ennesima prepotenza del padrone, e la FLM si schiera con loro, mentre le confederazioni, ancora uniti in Federazione, ed il PCI, avvisati da Romiti prima dell'avvio dei provvedimenti, oltre che invitati a tenere un comportamento responsabile, preferirono defilarsi, accusando la FLM di essere "renitente" nella lotta "contro il terrorismo e la violenza", così come veniva presentata in quegli anni.
Intanto la tensione sale, così nell'estate '80 Agnelli annuncia altri tagli ed il Sindacato annuncia lo sciopero generale. A questo punto Agnelli, l'uomo della "mediazione", il 31 Luglio si dimette da Amministratore Delegato e viene sostituto da Cesare Romiti, uomo forte, arrivato ai vertici dell'industria torinese nel 1974, e voluto dal presidente di Mediobanca, Enrico Cuccia; tale cambio fu interpretato come la decisione dell'avvio di uno scontro frontale con i lavoratori.
L'11 Settembre 1980 vengono annunciati da FIAT 14469 licenziamenti, e così ha inizio la lotta operaia, i famosi 35 giorni. La Fiat dichiara inoltre, che sono "24000 i lavoratori in eccesso". La successiva mediazione governativa prevede la cassa integrazione per 24000 lavoratori, che, dall'inizio del 1981, sarebbe stata a rotazione; proposta accettata, con qualche riserva, dalla FLM, ma respinta dalla FIAT.
Il 27 Settembre cade il Governo Cossiga, e la Fiat blocca i licenziamenti; poco dopo dà l'annuncio della cassa integrazione per tre mesi, a zero ore, di 24000 lavoratori a partire dal 6 Ottobre. A fronte del ritiro dei licenziamenti, la FLM decide di sospendere lo sciopero indetto per il 2 Ottobre, scontrandosi con i delegati che vedevano in ciò un segno di debolezza: questa divaricazione di valutazioni durerà per tutta la vertenza e dopo.
Il 29 Settembre la FIAT dichiara di essere disponibile a prendere in considerazione soluzioni alternative ai licenziamenti, ma il giorno dopo, il 30 Settembre, vengono esposte ai cancelli della FIAT, proprio mentre era in corso l'Assemblea dei delegati al Teatro Nuovo di Torino, le "liste di proscrizione" con i nomi dei cassintegrati: questo è stato interpretato come uno schiaffo al sindacato, una scelta unilaterale sui criteri scelti per selezionare i lavoratori ed un tentativo evidente di dividerli tra chi viene messo in lista e chi, invece, ritornerà a lavorare. Il Consiglio di Fabbrica di Mirafiori approva una mozione per presidare tutti i cancelli, chiedendo alle confederazioni di proclamare lo sciopero generale. I picchetti, molto partecipati di fatto, precludono a chiunque di entrare in fabbica, nonostante alcuni tentativi di sfondamento, organizzati dai capetti più beceri e filopadronali. Intanto, oltre i cancelli, operai espulsi si suicidavano in silenzio (ve ne furono circa 200), sopraffatti dallo sconforto e dalla mancanza di una prospettiva seria (da ricordare che i cassintegrati erano sia avanguardie, che operai usurati e malati: nessuno è più rientrato).
Ebbene, in questo clima rovente, il 14 Ottobre 1980, trentacinque (35) anni fa, il "Cordinamento dei capi" convoca un'assemblea dei capi e dei quadri FIAT al Teatro Nuovo di Torino, perchè vogliono rientrare al lavoro: vogliono avere "la libertà di potere entrare e produrre". Tale assemblea, finanziata e organizzata dalla FIAT tramite un semplice ed oscuro quadro intermedio, Luigi Aurisio, è composta principalmente da capi e capetti, i colletti bianchi (lavoratori che svolgono mansioni meno pesanti e spesso più remunerative di quelle manuali: il nome deriva dalla classica camicia bianca indossata da questo tipo di impiegato), ed anche da quei settori della classe operaia che si sono riciclati dentro il nuovo processo produttivo (vedi, ad esempio, i tecnici adibiti a funzioni di controllo e di supervisione alle linee automatizzate ed ai robot).
Dal Teatro esce un corteo silenzioso che percorre le vie della città: si parla di 40000; in realtà saranno 15000, che mostrano cartelli come "Picchetti uguale violenza", "la libertà di lavoro è un diritto", "ora basta", ed altri del genere... Nel contempo, a Roma, all'Hotel Boston, erano riuniti la Federazione sindacale, i sindacati confederali (Lama, Carniti, Marianetti e Benvenuto) e la FIAT (Romiti, Ghidella, Annibaldi e Calleri): alla notizia della riuscita di tale manifestazione, i sindacati furono presi dal panico(?), e sfruttarono l'occasione per accettare tutto quello che l'azienda voleva.
L'accordo raggiunto (23000 in cassa integrazione, senza rotazione) fu richiesto che fosse sottoposto alla verifica delle assemblee dei lavoratori, ma, prima di queste, il giorno 15, fu convocata l'Assemblea dei delegati FIAT al Cinema Smeraldo di Torino. Essa contestò violentemente l'accordo come una svendita delle lotte, e lo stesso trattamento fu riservato ai dirigenti nazionali (Lama, Carniti e Benvenuto), quando si prentarono ai cancelli della Fiat, riuscendo a fuggire solo grazie ad un'auto della polizia.
Nonostante ciò, riuscirono a far passare l'accordo, nel "referendum sindacale" che poi si svolse, e, di conseguenza, la capitolazione sindacale, grazie anche alla partecipazione massiccia alla votazione di capi, capetti, impiegati e crumiri. Da segnalare che Bertinotti, già allora famoso "rivoluzionario", Segretario regionale CGIL del Piemonte, si schierò contro i delegati, e firmò l'intesa. Una intesa che, negli anni successivi sino ai giorni nostri, fu causa di conseguenze disastrose, per il peggioramemto delle condizioni di tutti i lavoratori e non solo di quelli della Fiat. Come le vicende FIAT avevano fatto da traino in positivo alle lotte, lo fecero al negativo: diminuirono l'unità e la forza di classe del movimento operaio, con una perdita generale in coscienza di classe, ed un'accelerazione del processo degenerativo dei confederali, trasformantisi in sindacati istituzionali. Vi sono momenti concreti dello scontro di classe, in cui quello che avviene sposta il punto di "equilibrio" dei rapporti di forze, molto più velocemente del solito, in avanti, o all'indietro: questa vicenda lo spostò all'indietro per la nostra classe!
E' chiaro che la grande lotta, con quelle particolari caratteristiche, presidi giornalieri alle porte, con sciopero ad oltranza, blocco delle merci, manifestazioni in piazza, scioperi generali, la imposero i lavoratori e delegati. I vertici sindacali subirono questa impostazione e la cavalcarono tatticamente, per poter poi riprendere il controllo, appena le circostanze lo permettessero, come successivamente confermò, in un'intervista lo stesso Trentin, Segretario nazionale della CGIL; in ciò coerenti con la linea uscita due anni prima dalla Conferenza nazionale dei Consigli generali e dei quadri di Cgil, Cisl e Uil del 13-14 febbraio 1978 all'EUR di Roma, dove il sindacato voleva diventare soggetto politico e, come tale, influenzare le scelte sociali, politiche ed economiche del Paese, instaurando una linea rivendicativa moderata, la famosa "linea dei sacrifici", improntata alla cooperazione con governo e imprenditori, contrattando nel rigoroso rispetto della competitività economica e commerciale internazionale del capitalismo italiano.
La posizione del PCI, quello del compromesso storico, di appoggio alle lotte dei lavoratori Fiat, è stata certamente strumentale, come è stato "casuale" il comizio di Berlinguer davanti ai cancelli di Mirafiori e la sua insincerità su un eventuale sostegno all'occupazione della fabbrica (come si apprende da alcune dichiarazioni di Pietro Fassino). Le fasi dello scontro, infatti, erano governate dalle strategie di avvicinamento ed irrigidimento del PCI verso il governo, e dalla polemica con Craxi. E' chiaro che quel partito ha buttato sul piatto della politica il peso della classe: l'ha, ancora una volta, sacrificata nella lotta fra i vari interessi in una battaglia prettamente politica per la ripartizione dei poteri.
Lo scontro di classe tra la FIAT, che voleva riprendere completamente il controllo in fabbrica e ridare il potere ai vari capi e capetti, ed il movimento dei lavoratori, che voleva difendere le conquiste degli anni settanta e repingere il tentativo di riduzione della forza-lavoro, dovuta alla ristrutturazione tecnologica in atto, poteva avere un esito diverso? La Storia non si fa con i se o i ma, ma è vero che la battaglia era ancora in piedi, godeva del consenso della maggioranza dei lavoratori sia della Fiat e sia nel Paese, e stava portando il governo Forlani sull'orlo delle dimissioni, aprendo prospettive diverse, magari di parziale vittoria, per i lavoratori. Allo"sbragamento" del sindacato non c'è stata, sia da parte dei delegati, sia di altre forze, la forza e la capacità di rilanciare, coivolgendo tutti i lavoratori italiani, nè la presenza di un riferimento classista, conseguente e radicato, in grado di convogliare le energie ancora integre verso uno scontro politico per il potere proletario.
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