mercoledì 22 settembre 2010

nessuna opposizione entro le maglie del capitalismo, ma si opposizione al capitalismo...

Nessuna opposizione entro le maglie del capitalismo, ma sì opposizione al capitalismo
Hans Heinz Holz  (Marxistiche Blätter, n. 5 – 2007).
(traduzione di Stefano Garroni).

In autunno, commemoreremo un grande evento: la Rivoluzione d’Ottobre, la quale d’un sol colpo cambiò la faccia del mondo. Ora è febbraio: ma il febbraio contiene il nocciolo, che conduce all’ottobre. Nella storia, i Kerenski hanno solo il ruolo dei personaggi di passaggio e i menscevichi erano statisti scoraggiati su un palcoscenico, in cui si svolgeva il dramma della rivoluzione e, come grande protagonista, era indicato Lenin.
Nel dramma della storia, le azioni non hanno la forma armoniosa, che hanno nelle opere artistiche. Gli interludi possono durare a lungo oltre la norma.  Su questo dovremmo riflettere,
se dal 1989 la nostra capacità di sopportazione vien messa alla prova  e il nostro slancio rivoluzionario si fa faticoso. Non sempre basta mezz’anno, per modificare i segni del tempo. Anche se cercano di portare indietro la ruota della storia di vent’anni, gli Schröder, Schläuble, Merkel e Müntefering non son altro che dei Kerenski, che saranno spazzati via dallo sviluppo del mondo con <stivali di ferro>, come dice Hegel, dai contemporanei e dai pensatori di un’altra grande rivoluzione.
Noi che stiamo a valle di fronte all’alta montagna, che ancora una volta abbiamo da scalare, non possiamo permetterci di perderci di coraggio: per questo disponiamo della forza della nostra visione scientifica del mondo, la dottrina di Marx, Engels, Lenin  e di tutti coloro che, in seguito, hanno contribuito ad avanzare nella costruzione di questo potente edificio teorico.
Torniamo a leggere Lenin.
Tra settembre e dicembre del 1914, Lenin lesse con molto impegno l’hegeliana Scienza della logica, ne fece degli estratti, scrisse delle annotazioni filosofiche di ampia estensione e commenti ed annotazioni fondamentali per una filosofia marxista. Nello stesso tempo, Lenin lesse la monografia feuerbachana su Leibniz. In breve tempo seguirono di Hegel “Le lezioni sulla storia della filosofia”, successivamente gli Hegel – Studien, la “Metafisica” di Aristotele e lo studio di Lassalle su Eraclito. Questa è una raccolta completa di letture per uno studente di filosofia, che desidera lavorare sui fondamenti della dialettica.  Un grande patrimonio teorico che lascerà profonde tracce di sé negli scritti successivi di Lenin. La sua eco più tarda la troviamo nelle proposizioni del saggio sul materialismo militante, dove Lenin dice:
<<I collaboratori della rivista Sotto le bandiere del marxismo debbono organizzare lo studio sistematico della dialettica di Hegel dal punto di vista materialistico … Il gruppo dei redattori e collaboratori della rivista, a mio parere,dovrebbero essere una sorta di Società degli amici materialistici della dialettica di Hegel. [1] . Se si legge questo appello insieme ai “prospetti della Logica”, allora si ricava una chiara concezione filosofica: <<il materialismo storico come una delle utilizzazioni e svolgimenti della geniale idea, del seme di grano, che nell’opera di Hegel è presente, ma ancora nella condizione di germe … Non si può capire a fondo il Kapital di Marx ed in particolare il primo capitolo, senza studiare con grande serietà tutta la Logica  di Hegel ed averla capita. Di conseguenza da mezzo secolo nessun marxista ha capito Marx!>>.
Ma tutto questo, già notevole in sé, non è un invito ad una ricerca accademica per la conoscenza di forme di pensiero e di visioni del mondo. Lenin si impegnò nello studio della filosofia nei primi momenti della sconvolgente  rottura politica a livello mondiale, che si consumò all’inizio della prima guerra mondiale il 1 agosto del 1914.
Le contraddizioni nell’ordinamento concorrenziale del sistema capitalistico fece saltare l’unità di classe della borghesia, che fino ad allora era vissuta di compromessi rispetto ad ogni rivalità: il nuovo stadio dell’imperialismo fece sì che le contraddizioni si scontrassero, senza alcuna possibile conciliazione. Potenti gruppi capitalistici, dalla analoga forza, si ergevano l’’un contro l’altro, ognuno doveva rimuovere l’altro, se voleva aumentare la sua quota-parte di sfruttamento ed in fine conquistare il primato sul mercato mondiale.
Il processo, che oggi vien chiamato ‘globalizzazione’, le cui condizioni strutturali  già Marx ha analizzato nella fase iniziale del mercato mondiale capitalistico, con la prima guerra mondiale entrò nel suo stadio acuto e, contemporaneamente, inasprì al massimo le contraddizioni interne dell’imperialismo fino all’estremo di una grande guerra mondiale. In seguito a ciò si realizzò un intreccio tra le contraddizioni fondamentali delle classi e le contraddizioni secondarie tra gli imperialisti, concorrenti l’un contro l’altro. La comprensione di questa duplice contraddittorietà diviene un problema nodale dei cambiamenti di strategia rivoluzionaria. Il XX secolo è, ad un tempo, il momento delle rivoluzioni socialiste e degli eccessi dell’imperialismo. Le forze contrapposte conducono una guerra per la vita e la morte, la cui durezza  si chiarisce bene con il fatto che lo scontro non è più tra formazioni sociali della stesso tipo per la conquista del dominio politico, ma sì fra due tipi contrapposti di formazione sociale.
I partiti della classe operaia nella II Internazionale, di fronte alla nuova fase dell’imperialismo –che Lenin analizzerà come imperialistica- avevano fallito ed avevano abbandonato la lotta di classe per gli interessi della borghesia nazionale. Al fronte, operai spararono contro operai. Le finalità socialiste apparvero rimandate ad un lontano futuro, i socialisti stessi si erano procurati una sconfitta disgregante,  che ne distruggeva l’identità politica. Ricordando l’alternativa,formulata per primo da Kautsky (e ripetuta più tardi dalla Luxenburg) socialismo o barbarie, i partiti socialdemocratici si son posti dal lato della barbarie!
Fu lo zoccolo duro della classe operaia organizzata a contrapporsi a queste tendenze codiste: i bolscevichi russi e gli spartachisti tedeschi, avendo come leaders politici e teorici rispettivamente Lenin, la Luxemburg e Karl Liebknecht. E’ lo spirito di partito e lo slancio classista di lotta della I Internazionale a riproporsi di contro al riformismo e revisionismo, che erano largamente penetrati nella II Internazionale; è questo slancio che, nel momento della crisi della società borghese e del crollo delle monarchie reazionarie di Russia e di Germania, si realizza in un impulso rivoluzionario. La missione storica della classe operaia, di provocare la caduta del capitalismo e di erigere le fondamenta di un nuovo ordine sociale, non fu seriamente percepita dalla maggioranza dei socialisti.
Dopo il 1914, fu, dunque, necessario proteggere l’identità del partito, quale era stata rappresentata dall’opera teorica e dall’agire pratico di Marx e di Engels, contro l’adeguamento al funzionamento della democrazia borghese.
Nessuna opposizione entro le maglie del capitalismo, ma sì opposizione al capitalismo: questo è il senso e il compito di un Partito comunista.
Questa differenza costituisce un confronto all’interno dell’ambiente delle forze socialiste, che si ripropone ad ogni livello dello sviluppo e che è ottimamente esemplificato dalla lotta di Lenin per la linea bolscevica del Partito.
Se la rivoluzione è promossa sulla base di un Partito integro, pronto al sacrificio e ben organizzato e se, senza tale Partito, non si può realizzare nessun coerente intreccio di linea strategica e finalità tattiche, risulta anche immediatamente quale orientamento la coscienza di classe debba assumere nei Partiti comunisti: essa deve dare la propria impronta al contenuto rivoluzionario. L’unità del Partito deve essere garantita mediante la propria identità e non mediante compromessi fra ‘orientamenti’ e ‘linee’,  che in ultima analisi conducono solo a frazioni, che si escludono vicendevolmente. L’identità del Partito si mostra sia nei suoi assunti programmatici di base, sia nella continuità della sua storia –intendendo con ciò i suoi successi, ma anche i suoi errori, sconfitte e deviazioni. La lotta di classe non si svolge senza contraddizioni. Il materialismo storico ci dà gli strumenti storici per spiegare quelle contraddizioni e per riflettere criticamente su di esse. La riflessione nulla ha a che fare con il moralismo – questo sarebbe socialdemocratismo, secondo Albert Lange-, ma è piuttosto realismo storico. Solo  così si ricavano lezioni dalla storia: lezioni dalla vittoriosa Rivoluzione d’Ottobre, lezioni dalla sconfitta del 1989.
La disponibilità ad apprendere include anche il fatto che noi non dobbiamo né rimuovere, né negare la nostra storia.
La DKP[2] è stata fondata nel 1968, ma è il Partito di Rosa Luxemburg, Erst Thälmann, Max Reimann e i loro compagni di lotta. Il comunismo è questo, il cui internazionalismo si organizzò nella III Internazionale; il comunismo, al quale dobbiamo con la Rivoluzione d’Ottobre la prima rottura del sistema capitalistico e che in vent’ani divenne la seconda potenza mondiale –non solo nel senso del potere statale, ma anche di quello culturale, morale e filosofico, quale alternativa alla società borghese. Questo è il comunismo, la cui esistenza rese possibile e sostenne l’emancipazione dei popoli coloniali. E’ il comunismo che contribuì a disegnare il programma di pace delle Nazioni Unite e che a questo si attenne, quando l’imperialismo statunitense, già con la guerra di Corea del 1951, ancora una volta si misero sulla strada delle aggressioni militari, continuando a non trascurare quelle economiche. Sono milioni nel mondo i comunisti, che spesso a rischio della propria vita, condussero la lotta di classe nel loro paese e che combatterono contro l’imperialismo e il fascismo. Chi potrebbe pretendere di sminuire tutto ciò, perché nel processo rivoluzionario, come in ogni rivoluzione, di cui abbiamo notizia dalla storia, accaddero episodi di violenza e di violazione del diritto (e si ebbero anche errori)? Certamente ci si deve contrapporre ad ogni caso di violazione del diritto; certamente, dobbiamo anche ricavare dallo studio degli errori lezioni per impedirne la ripetizione nel futuro. Ma la nostra autocritica non può essere separata dalla nostra storia, nella quale siamo radicati e dalla quale traiamo forza.  Noi comunisti abbiamo nel materialismo storico e dialettico la teoria, che ci consente di comprendere le condizioni di nascita e di esistenza delle contraddizioni, quindi possiamo anche conoscere le vie e i mezzi per superare quelle contraddizioni. Questo ci riporta a Lenin. Facciamo ben attenzione: inizia la prima guerra mondiale; la crisi del capitalismo esplode; si annuncia il secolo delle rivoluzioni e Lenin si dedicava a letture filosofiche!
Lo studio dei grandi dialettici –Eraclito, Aristotele, Leibniz, Hegel; una selezione dalla storia della filosofia- erano al servizio della prassi politica. Chi non comprende la struttura logica della contraddizione e la sua realtà ontologica come principio della realtà e ragione della sua forma di movimento, a costui risultano irrazionali anche i processi storici e sociali, gli appaiono fenomeni casuali di un potere incomprensibile. A costui, che non si serve del materialismo dialettico, la storia può contrapporglisi, come un cieco destino o come risultato di un nascosto disegno divino. L’appassionato ateismo di Lenin è motivato dalla sua ferma volontà di rendere la storia traducibile in conoscenza concettuale e, con ciò, accessibile alla libertà dell’uomo, che agisce razionalmente.  Teoria per una prassi, che non abbia nulla di arbitrario, ma che sia piuttosto in grado di comprendere e ricostruire razionalmente le leggi di natura, che entrano nella costituzione della prassi. Questo è lo spirito della moderna Europa, dell’Illuminismo, di Galilei, di F. Bacon, di Leibniz, di Einstein.
‘Theoria cum praxi’ Leibniz aveva scritto, nel 1700, quale emblema della Regia Accademia Prussiana delle Scienze (la cui eredità passò all’Accademia delle Scienze della Repubblica Democratica Tedesca e, dopo il suo illegale scioglimento, è ora passata alla Società leibniziana). Avendo presente questo motto, Marx formulò l’XI Tesi su Feuerbach <I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; l’importante è cambiarlo>.
E’ solo banale interpretare questo testo di Marx, come se, con pressante praticismo, egli avesse rigettato la filosofia , Ogni teoria è sempre interpretazione della realtà. E’ una illusione naive che la teoria possa dare semplicemente una descrizione della realtà, che non sia orientata dalle nostre prospettive e dai nostri interessi. Il materialismo dialettico non è realismo ingenuo. Che noi si modifichi il mondo secondo i nostri scopi, non prescinde dalla nostra interpretazione di come esso dovrebbe essere, posto che esso sia come è. Nella prassi il crudo essere-in-sé, che il materialismo sensualistico ritiene di conoscere, viene elevato a presupposto ontologico del rispecchiamento nella coscienza. Non dunque prassi invece che teoria, sì piuttosto una prassi mediata dalla teoria –è questo il programma che Marx contrappone a Feuerbach.





[1] - “Il significato del materialismo militante”, in V. I. Lenin, Opere complete, vol. XXXIII, Editori riuniti 1967: 205ss.
[2] - Die deutsche kommunistische Partei ovvero il Partito comunista tedesco. Si ricordi che, in  tedesco, il termine partito/partei è femminile.

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