Profitto, plusvalore, guadagno e ricchezza reale
È il caso di rammentare sùbito – onde evitare tanti equivoci
nati da una lettura troppo affezionatamente ammiratrice di Marx – che lui
quando coniò il titolo del futuro iv libro storico del Capitale <“Teorie sul plusvalore”>
lo pensò unicamente in quanto rivolto alla ricerca, del tutto
tralasciata o ignorata dagli economisti borghesi (classici e volgari), dell’“origine
sociale del profitto” —— ovvero del guadagno dell’imprenditore [proprietario
privato] capitalista in sèguito allo scambio contro denaro di merci ottenute
entro quello specifico modo di produzione. Ma devono essere chiare due
questioni, sia che: 1) questa particolare analisi è
circoscritta soltanto al modo di produzione e circolazione
della merce capitalistica (dove c’è valore e
plusvalore); 2) un qualsiasi proprietario privato,
in altri modi di produzione (per ora solo precedenti, i <futuri> per la
loro significazione sono ineffabili), può trasformare il mero denaro che possiede,
in qualsiasi altro oggetto che desideri o trarne eventualmente un vantaggio
monetario. Tuttavia unicamente la rappresentazione del capitale in
denaro diviene tale solo e soltantose esso denaro\capitale
è funzionalmente legato a comprare come merce la forza-lavoro altrui per
valorizzarsi: ma un vantaggioso guadagno monetario [che gli
agenti e i contabili del capitale denotano come “profitto” – e per Marx il
tasso del profitto ha cause empiriche e forme diverse dal tasso di plusvalore
che pure lo determina concettualmente] si può ottenere in tanti modi diversi
dall’uso funzionale della forza-lavoro altrui non pagata, cioè dall’aver trasformato quel
<denaro in quanto tale> in capitale per far produrre plusvaloremediante pluslavoro.
Di simili casi assai diversi tra loro e non
capitalistici nel passato (mitico, reale o fantastico) ce ne sono a
iosa: da Creso a Mida, da imperatori romani, egizi o cinesi, a molti re come
Luigi xiv “re sole”, per non dire di uno stuolo di papi, nobili e via
notabilando, fino ... a Paperon de’ Paperoni. Dunque la fine del
plusvalore, alla prova della storia, può voler dire in via esclusivamente
preliminare che il denaro guadagnato – o meglio arraffato
rubato sottratto ingannevolmente ai più ingenui, miserabili o deboli – da parte
di un gruppo sociale dominante con arroganza e violenza; la qual cosa non
implica la cessazione di quella appropriazione indebita.
Piuttosto quel furto continua: epperò soltanto <senza
plusvalore>. Sì! sbagliano i marxolatri a ritenere il contrario;
se non c’è plusvalore, non si può neppure <pensare> almodo di
produzione capitalistico, ma un sistema di rapina e corruzione può
proseguire in altre vesti, come si è ricordato essere già avvenuto
abbondantemente nei secoli passati in tutto il mondo, anche su basi
assolutamente non-capitalistiche (ossia non riferentisi
a quelmodo di produzione, e in subordine di circolazione), pur se esse
ancora possono assumerne la “forma formale” [dizione diMarx: cfr per
tutte lf,q.ii\ff.16, in relazione a Ricardo il quale intende “il
capitale <posto come prodotto>, in sé valore di scambio, a
cui lo scambio aggiunge soltanto una forma, che in lui è una forma
formale”]. Senonché la tanto sfrenata quanto insensata affezione al
<comunismo-curiale> (ossia al modo d’esprimersi ufficiale della
<corte> del partito\madre – per cui in codesto àmbito è affatto inutile
parlare di marxismo ...) ha portato da decenni anche quei sedicenti
<cccommunisti> ad affogarsi in indifendibili paralogismi che
legavano inscindibilmente, per varie strade, la fine di plusvalore\pluslavoro e
sfruttamento alla fine del capitalismo.
Paralogismi peraltro degni più di
esperti di culinaria del xix sec che di studiosi di economia e politica: mentre
i primi discettavano da par loro di quella sapida e piccante salsetta a crudo,
fatta secondo diverse maniere regionali, in cui inzuppare carciofi (il cuore
dentro le cosche esterne), le teste di cavolo, le carote, ecc. variamente
detta, secondo i gerghi e gli usi, cacimperio (o cassimperio o cazzimperio come
lo preferisce G.G.Belli, con la chiara allusione sessuale). Dal passaggio al xx
sec. dal xix, con la contemporaneità temporale fra l’epoca dell’imperialismo
classico e la culinaria del cazzimperio, oggi si potrebbe rispettare questa
tradizione confusionaria rispetto ai pasticcioni comunisti odierni coevi
all’epoca dell’imperialismo transnazionale nel passaggio dal xx al xxi sec.
della leccornìa delcazzimperialismo transnazionale, con l’affermazione
di quel simulacro di comunismo. Senza rammentarsi che Marx [c, i.8(2)]
affermò perentoriamente che “il capitale non ha inventato il pluslavoro.
Ovunque una parte della società possegga il monopolio dei mezzi di produzione,
il lavoratore, libero o schiavo, deve aggiungere al tempo di lavoro necessario
al suo sostentamento tempo di lavoro eccedente per produrre i mezzi di
sostentamento per il possessore dei mezzi di produzione {si ricordi come ciò
annunciavano precocemente i fisiocratici – ndr}, sia questo
proprietario bello e buono, cioè nobile ateniese, teocrate etrusco, civis
romanus, barone normanno, negriero americano, boiardo valacco, proprietario
agrario moderno, o capitalista”: e con codesta eccedenza di pluslavoro lo
sfruttamento.
Quindi lo <sragionamento paralogico>, anche un po’
volutamente sofistico e farlocco, è del tipo: – non c’è più plusvalore – il
capitale è finito –ergo: facciamo il comunismo. Ma il pluslavoro c’è,
così come l’appropriazione del tempo di lavoro altrui e lo sfruttamento —— ma
dopo l’eventuale fine del capitale non viene da sé il comunismo (occorre
preparare ben altre condizioni, che tuttora mancano). Ovverosia possono
prevalere molti altri tipi di <formazioni economico-sociali>
[prescindendo da una catastrofe che possa provocare la sesta estinzione di
massa sulla terra o addirittura l’impatto del pianeta con un meteoroide o
piuttosto un asteroide non
piccolo, cioè un altro enorme corpo celeste che porti alla loro fusione con la
scomparsa della terra stessa così com’è ancora – e questo non è catastrofismo
ma fenomeni possibili, anche se poco probabili, che rientrano nel novero degli
eventi reali, con buona pace dei fatui atteggiamenti delle scioccherie verdi
eco\ambientaliste, che in tale maniera dissipano anche le denunce serie dei problemi
naturali rispetto alle basi scientifiche che debbono avere].
Quel denaro in quanto tale, oggetto dei paralogismi
pseudo-comunisti-curiali, è sempre più spesso impiegato in attività monetarie speculative del
cosiddetto “capitale fittizio” (che appunto in quanto fittizio. cioè finto e
ingannevole è immaginario, ossia <non-capitale>) è quindi da
intendere impiegato nelle truffaldine iniziative finanziarie negoziate per
realizzare un utile per <speculazione> [ma non nell’accezione cólta di
attività teoretiche portate a osservazioni e riflessioni sulla realtà] – o pure
in spese di lusso; senza badare al ripetuto avvertimento marxiano di non
superare la <giusta proporzione> tra quella destinazione del denaro e
l’impiego riproduttivo di esso, pena il collasso del sistema
esistente, vieppiù incapace di sopportare simili sproporzioni [e il potere non
si nasconde dietro l’insostenibile leggerezza dell’essere, ma come gli aveva
insegnato Hegel nella realtà crolla sempre sotto il peso della
propria ricchezza perché non è capace di reggerne la sostenibilità,
soverchiata da crescenti indebitamenti]. Al proposito è istruttivo esaminare la
grandissima leva speculativa, più di 30\40 volte il valore o prezzo effettivo
della quota azionaria originale rappresentata dal prezzo facciale nominale
stampato sul titolo emesso, che quindi continua a rappresentare sempre soltanto
quella quota di proprietà monetaria iniziale, mentre circola una quantità
enormemente maggiore di titoli derivati dal primo, che non
contano che come pezzi di carta (una volta erano solo cambiali in quantità
minime ancora negoziabili pagando il risconto bancario) che servono unicamente
come titoli di proprietà, a rischio di deflagrazione —— bolle speculative
pronte a scoppiare a turno. Si va dai debiti immobiliari accesi sulle case come
in Usa che hanno avvelenato i <fondi pensione privati> di mezzo mondo
tramite banche e altri istituti finanziari, alle cosiddette <obbligazioni
subordinate> vendute come buone e sicure da piccole banche di risparmio
cooperativo, decotte e di fatto già fallite, a poveri risparmiatori non
informati e inconsapevoli, come la Banca Etruria. Qui il raggiro operato dal
governo italiano, tramite il ... <boschivo> Renzi de’ Bischeri di Rignano
vien dall’Arno (... “ragazzo”!!, cosi si autodefinisce l’eterno boy
scout di 41 anni) ha avuto l’ardire di dichiarare, con un altro
paralogismo da strapazzo che così si-sono-salvati-migliaia-di-posti-di-lavoro
di impiegati di banca. Senonché erano stati gli stessi suoi complici. amici e
parenti, dirigenti bancari a mettere gli impiegati sull’orlo delle loro fosse,
obbligandoli a scavare per poi però far cadere in quelle stesse fosse comuni le
migliaia di <risparmiatori subordinati>: e la storia continua.
Ma il guasto logico è più generale e sta a monte: nelle
interpretazioni dei marxologi che hanno il doppiamente insano “desiderio tanto
pio quanto sciocco” come scrisse Marx [cfr.lf, q.ii;f.12], non tanto
<che il valore di scambio non si sviluppi in capitale o che il lavoro che
produce il valore di scambio non si sviluppi in lavoro salariato>, ma
addirittura che si sia già arrivati al comunismo tutto e sùbito.
“Ciò che distingue questi signori dagli apologeti borghesi è da un lato la
sensazione delle contraddizioni che il sistema racchiude; dall’altro l’utopismo
di non capire la necessaria differenza tra configurazione reale e ideale della
società borghese, e di volersi perciò assumere il compito superfluo di volerne
realizzare di nuovo l’espressione ideale, ove questa è in effetti soltanto la
trasfigurazione di questa realtà”. Infatti è in questo contesto che i
marxolatri che hanno quel desiderio utopico superfluo di <realizzare
l’espressione ideale> senza accorgersi che questa <è in effetti soltanto
la trasfigurazione della realtà >. Una trasfigurazione che ha inizio con il
titolo del libro, cocciutamente detto Grundrisse anziché farlo
capire in italiano che è Lineamenti fondamentali e prosegue
con il paragrafo in questione [cfr.lf, q.vii-ff.1-4] che, poiché è stato
espunto dal contesto generale nella prima tardiva traduzione italiana per una
rivista, al tema che tratta della Contraddizione tra la base della produzione
borghese (misura del valore) e il suo sviluppo stesso è stata
anteposta un’etichetta identificatrice, con una parola-chiave [tag,
dicono gli anglofoni] con cui è passata nell’uso comune italiano “Frammento
sulle macchine”, ma originariamente non è affatto un “frammento” (anzi, si
sente la mancanza del contesto complessivo). E passando al contenuto che
interessa, Marx analizza le <contraddizioni della produzione borghese> e
per niente affatto la realizzazione del comunismo.
Fin dalle prime righe si legge che “nella misura in cui
si sviluppa la grande industria, la creazione della ricchezza reale viene a
dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che
dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro,
e che a sua volta — questa loro powerfull effectiveness — non
è minimamente in rapporto al tempo di lavoro immediato che costa la loro
produzione [è la tendenza capitalistica a sostituire lavoro
morto, passato, a lavoro vivo, presente – ndr], ma dipende invece
dallo stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o
dall’applicazione di questa scienza alla produzione. (Lo sviluppo di questa
scienza, in particolare della scienza della natura, e con essa di
tutte le altre, è a sua volta di nuovo in rapporto allo sviluppo della produzione
materiale). L’agricoltura, per esempio, diventa una semplice applicazione
della scienza del <ricambio materiale>, da regolarsi nel modo più
vantaggioso per l’intero organismo sociale. La ricchezza reale si
manifesta invece — e questo è il segno della grande industria — nella enorme
sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure
nella sproporzione qualitativa fra il lavoro ridotto a una pura astrazione e la
potenza del processo di produzione che esso sorveglia.
Non è più tanto il
lavoro a presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto
l’umano a porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante e
regolatore. (Ciò che si è detto delle macchine, vale anche per la combinazione
delle attività umane e per lo sviluppo delle relazioni umane). Il lavoratore
non è più quello che inserisce l’oggetto naturale modificato come membro
intermedio fra l’oggetto e se stesso; ma è quello che inserisce il processo
naturale, che egli trasforma in un processo industriale, come
mezzo fra se stesso e la <natura inorganica>, della quale si
impadronisce. Egli si colloca accantoal processo di produzione,
anziché esserne l’agente principale. In questa trasformazione non è né il
lavoro immediato, eseguito dall’umano stesso, né il tempo che egli lavora, ma
l’appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione
della natura e il dominio su di essa attraverso la sua
esistenza di corpo sociale — in una parola, è lo sviluppo
dell’individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della
produzione e della ricchezza”.
Ed è qui che viene in luce la fuga in avanti dei marxolatri
verso la insensata adorazione delcomunismo già realizzato fin da
ora. “Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna [cioè ancora quella
borghese capitalistica], si presenta come una base
miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel
frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa. Non
appena [che è in consonanza con la precondizione iniziale che regge
tutto il discorso: <nella misura in cui si sviluppa la grande
industria> – ndr] il lavoro in forma immediata ha
cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro
cessa e deve cessare di essere la sua misura, e
quindi il valore di scambio deve cessare di essere la misura
del valore d’uso.
Il pluslavoro della massa ha cessato di essere la
condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro dei
pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle forze generali della
mente umana. Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla,
e il processo di produzione materiale immediato viene a perdere anche la forma
della miseria e dell’antagonismo. [Subentra] il libero sviluppo delle
individualità, e dunque non la riduzione del tempo di lavoro necessario per
creare pluslavoro, ma in generale la riduzione del lavoro necessario della
società a un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo
artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e
ai mezzi creati per tutti loro.
Il capitale è esso stesso la contraddizione
in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro a un
minimo, mentre, d’altro lato, pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte
della ricchezza. Esso diminuisce, quindi, il tempo di lavoro nella forma del
tempo di lavoro necessario, per accrescerlo nella forma del tempo di lavoro
superfluo; facendo quindi del tempo di lavoro superfluo — in misura crescente —
la condizione di quello necessario”. Fin qui si sta ancora
analizzando la realtà contraddittoria del capitale così com’è
con le tendenze che sono celate al suo interno e che il processo antagonistico
potrebbe svelare <non appena> <nella misura in cui> il rapporto di
capitale <deve cessare>, ma ancora vige.
E perciò è da qui che la lotta
per il comunismo assume i risultati determinati dagli sviluppi dell’industria
capitalistica che contraddittoriamente “da un lato evoca, quindi, tutte le forze
della scienza e della natura, come della combinazione sociale e delle
relazioni sociali, al fine di rendere la creazione della ricchezza
(relativamente) indipendente dal tempo di lavoro impiegato in essa.
Dall’altro
lato esso [capitale] intende misurare le gigantesche forze sociali così create
alla stregua del tempo di lavoro, e imprigionarle nei limiti che sono necessari
per conservare come valore il valore già creato. Le forze produttive e
le relazioni sociali [si veda quanto detto prima – ndr]—entrambi lati
diversi dello sviluppo dell’individuo sociale — figurano per il
capitale solo come mezzi, e sono per esso solo mezzi per produrre sulla sua
base limitata. Ma in realtà essi sono le condizioni per far saltare in aria
questa base”. E questa base non è ancora saltata in aria e sembra che non abbia
per ora intenzione di farlo.
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