domenica 19 giugno 2016

Identità e dialettica - Stefano Garroni (2006)

E’ possibile ascoltare le registrazioni audio degli incontri in collaborazione con Stefano Garroni andando su questo canale di Youtube:    http://www.youtube.com/user/mirkobe79


Una traccia dell’influenza hegeliana su Marx l’abbiamo in una riflessione, che più volte tornerà nei testi di quest’ultimo, a proposito del risultato del processo di lavoro.
Se lo esaminiamo nella sua relazione con il processo di lavoro –sottolinea Marx- [1] il prodotto ne è il risultato, in quanto è processo di lavoro cristallizzato, i cui diversi fattori convergono in un oggetto stabile (ruhender); insomma, il prodotto coincide con l’intrecciarsi di un’attività soggettiva e di un contenuto materiale.

E’ proprio su questo intrecciarsi, che è opportuno richiamare l’attenzione, in quanto, con tutta evidenza, Marx dimostra di muoversi in una prospettiva teorica, che tende a considerare la rigida contrapposizione/opposizione tra soggettivo e oggettivo, come un ostacolo da superare, anche nel senso che solo ‘togliendolo’ quell’ostacolo, si potrà riuscire a comprende l’effettiva dinamica del fenomeno in esame. [2]

In questo senso appare chiaro quanto possa essere inopportuna, rispetto a Marx, la qualifica di ‘materialista’, dacché se ne potrebbe legittimamente ricavare che proprio Marx, da un lato, accetti la rigida contrapposizione tra soggettivo ed oggettivo, tra spirito e materia e, dall’altro, che lo stesso Marx scelga di privilegiare l’uno dei due opposti, smentendo in questo modo ciò che caratterizza, invece, un approccio dialettico, vale a dire la comprensione/superamento di ciò, che immediatamente si contrappone.

Marx continua osservando che il risultato del processo di lavoro è un valore d’uso, del quale vale questa descrizione: la materia [3], su cui il lavoro [4] si è esercitato, ha ricevuto la forma, le proprietà determinate alla cui costruzione (Herstellung) era finalizzato -in quanto suo scopo trainante- l’intero processo di lavoro.
Le proprietà in questione vengono determinate, appunto, dallo stesso modo di lavoro; il prodotto è il risultato di un precedente processo di lavoro, che è la storia della sua genesi. [5]

Ciò che qui vale sottolineare è che se, inizialmente, il prodotto del lavoro era da Marx caratterizzato essenzialmente in quanto oggetto stabile, [6] ora, al contrario, egli ne sottolinea il fatto che sia esattamente un risultato, dunque, che il suo essere un che di stabile, di ‘calmo’, di persistente nella propria determinatezza, derivi dall’opposto, ovvero dallo svolgersi di un processo, di un dinamismo, di una ‘irrequietezza’. E le stesse determinate, definite, stabili qualità, proprie dell’oggetto, risultano -anch’esse- dal movimento, dall’attività lavorativa, che è messa in opera per il raggiungimento di un obiettivo pre-fissato.

Come si vede, nella descrizione marxiana del fenomeno si ritrovano caratteristiche opposte (sostanzialmente, stabilità e/o movimento), che si alternano, si rovesciano l’un nell’altra, coesistono l’un con l’altra. Ed è chiaro che questo andamento complesso, dinamico, ‘contraddittorio’ (dialettico, in una parola) del fenomeno in questione, deriva esattamente dal fatto che questi è da Marx analizzato in quanto avvenimento, in quanto fenomeno storico e non in quanto essenza, ente logico.

Potremo meglio approfondir la cosa in seguito, ma cominciamo già ora a notare che nella pagina di Marx –certamente dalla struttura dialettica– in nessun modo vengono contraddette in un qualunque punto le regole della logica formale: e questo accade per il semplice fatto che, con le sue procedure dialettiche, Marx non si colloca nella stessa prospettiva della logica formale, ma sì in quella dello svolgersi effettuale degli eventi storico-sociali.

Un’altra puntualizzazione, che ci aiuta a comprendere la specificità dell’indagine e della riflessione marxiane, la troviamo in Mega, 3.1: 60, dove leggiamo che nella stessa misura, in cui la merce è,da un lato, valore d’uso e, dall’altro, valore di scambio, lo stesso processo di produzione (Entstehungsprozess) ha di necessità un carattere duplice –ovvero, di essere processo di produzione di valori d’uso, ma anche di valori di scambio; il fatto, però, è che questa duplicità riguarda uno stesso processo di produzione, indica le due facce di una stessa medaglia. Il che conferma che la contraddittorietà di un processo reale non solo non implica alcuna violazione delle leggi logiche, ma sì anche che risulta dalla prospettiva, a partire da cui lo stesso processo viene osservato. E, ripeto, all’interno di ogni singola prospettiva (nel nostro esempio, lo stesso processo, ora, come processo di produzione di valor d’uso; ora, come processo di produzione di valori di scambio) l’istanza logica dell’identità vien confermata ed, addirittura, è proprio per questo che possiamo parlare di un processo o movimento storico-reale contraddittorio.

Avendo sottolineato che in una società mercantile –e, dunque, anche e particolarmente in quella capitalistica–, il fatto che la merce abbia un valore d’uso è la condizione necessaria perché la stessa merce possa avere valore di scambio [7], Marx precisa che lo scopo, verso cui si orienta lo scambio denaro/capacità di lavoro, in nessun modo è un valore d’uso, ma sì piuttosto la trasformazione del denaro in capitale. Cosa significa questo?

Nello scambio denaro/capacità di lavoro, dice Marx [8], non solo il valore deve mantenersi, ma anche maggiorarsi e nel far ciò il valore va assumendo, nel denaro, una figura propria; è in questo modo che il possessore di denaro diviene capitalista, in quanto rappresenta quel valore –ormai resosi autonomo-, che comprende/supera [9] la circolazione e in essa si afferma come soggetto. [10]
Tutti i presupposti del processo di lavoro, e che entrano in esso, non sono solo valori d’uso, ma sì merci, ovvero valori d’uso che hanno, però, un loro prezzo, il quale ne esprime il valore di scambio. Essendo merci gli elementi presenti nel processo, da questo stesso processo debbono risultare ulteriori merci; ma tutto ciò –avverte Marx- non si coglie, se esaminiamo il processo di lavoro semplicemente come processo materiale, senza metterne in evidenza la forma storico-sociale, che presuppone. [11]

Insomma, Marx ci dice che se ci limitiamo ad analizzare la produzione semplicemente come quel processo, che manipola ed elabora materia prima o materiale rozzo (materielle Produktion), ci mettiamo nella condizione di coglierne solo un lato, esattamente, quello materiale, in quanto opposto allo storico-sociale, e, dunque, costruiamo del processo produttivo una rappresentazione, che in realtà non è oggettiva, proprio perché esclude da sé la considerazione dell’elemento soggettivo, oltre che di quello materiale.

Più precisamente, se ci limitassimo all’unilateralità appena descritta, il processo di produzione (capitalistico, in particolare) ci apparirebbe come semplice processo di lavoro, e non per quello che è nella sua specificità, ovvero, processo di autovalorizzazione. [12]

A chiarimento del concetto di <autovalorizzazione>, teniamo conto del fatto che il valore di scambio del prodotto (ovvero, di un certo valore d’uso), il quale risulta dal processo di lavoro, è costituito, certo, dalla quantità di tempo-lavoro in esso materializzatosi, dal quanto di lavoro in esso consumato, oggettivato (vergegenständlichte). Tuttavia, Marx sottolinea che nella costituzione del valore non entra solo il tempo di lavoro attualmente speso, ma anche l’ammortamento –che avviene mano a mano- del costo del materiale e degli strumenti, usati nella produzione. Lo strumento di produzione, insiste Marx, passa nel prodotto, solo nella misura in cui è consumato durante il processo di lavoro e, dunque, solo in questa misura può entrare nella determinazione del valore. [13] Nel processo di lavoro, il valore del materiale e dello strumento di lavoro si mantengono e, dunque, -in quanto parte componente del valore del prodotto, presupposta e stabile - riappare in esso. Di qui l’opportunità di esaminare in dettaglio come nel processo di lavoro il materiale e lo strumento di lavoro vengano consumati, mutati o, addirittura, distrutti, senza però che ne venga distrutto il valore, che riappare come parte del valore del prodotto. [14]

Il materiale e lo strumento del lavoro, -per le loro qualità oggettive e per quelle, che posseggono in quanto materiale e strumento di questo determinato lavoro-, risultato da un lavoro già eseguito e si conservano, al termine del processo di produzione, nel risultato di quest’ultimo, come qualità della cosa prodotta.
In questo senso possiamo dire che ciò che risultava da un lavoro già erogato scompare, in quanto tale, per riapparire come qualità propria del prodotto: il lavoro è scomparso, perché si conserva sotto forma reificata.

Il tavolo, che mi serve per scrivere, chiarisce Marx: “possiede come proprie forma e qualità, quelle che prima apparivano come determinatezza e capacità formatrice (formgebende Qualität), appartenenti al lavoro del falegname … Che il materiale, di cui il tavolo è fatto, abbia ottenuto questa determinata forma mediante il lavoro del falegname, tutto ciò è scomparso, si è dissolto nella sua esistenza di cosa (dingliche Dasein)”; l’oggetto serve ormai come tavolo, “senza alcuna considerazione del lavoro che è stato necessario per costruirlo come tavolo.” [15]

Qui Marx tocca un motivo, che deriva necessariamente dalla sua riflessione (e di tanta parte della tradizione economica): se è il lavoro a produrre e a dar valore alla cosa e se questa, mediante la circolazione, si rivela anche un valore di scambio, se dunque il lavoro gioca un ruolo così centrale nella caratterizzazione della cosa sia come valore d’uso che come valore di scambio, la stessa presenza del lavoro nella cosa dovrebbe rivelarsi in qualche modo; e, comunque, deve essere illustrabile, nelle sue modalità, il processo di trasformazione della materia rozza mediante il lavoro. [16]

Di questo tema, Marx si occuperà in vari luoghi, ma già nel brano citato egli mette in evidenza un certo processo [17], per il quale le qualità del lavoro (dunque, del lavoratore, in quanto effettivo erogatore di quelle irrequietezza produttiva, che è appunto il lavoro) possono scomparire nel prodotto e presentarsi, invece, come proprietà della cosa stessa, subendo dunque quel processo di estraniazione e reificazione, per cui ciò che è dell’uomo non appare se non come qualità della cosa.

Naturalmente, quando si tratta la questione del rapporto fra lavoro e cosa prodotta, la fondamentale precisazione da fare è la seguente: per la determinazione del valore, vien considerato non il quantum di un lavoro determinato impiegato in quella produzione, ma sì il quantum di lavoro in generale, privo di determinazioni, sociale, astratto, che è stato erogato. [18]
La determinatezza materiale (stoffliche) del lavoro, dunque anche del valore d’uso in cui quella determinatezza si era fissata, ormai è dissolta, è scomparsa, è qualcosa di indifferente. Che si tratti di un lavoro utile, dunque, di lavoro produttore di valore d’uso, è un presupposto. Ma nella merce in quanto valore di scambio, quale che fosse la determinata utilità del lavoro, essa è ormai scomparsa, poiché, in quanto tale, la merce è l’equivalente di una qualunque analoga quantità di lavoro sociale, esprimibile in qual si voglia valore d’uso, dunque, in qualunque altra forma di lavoro utile.

Per chiudere questa nostra ricostruzione del pensiero di Marx, consideriamo un’ultima osservazione che egli fa.

Il processo di lavoro –leggiamo in Mega, 3.1: 66– procede sul fondamento dell’appropriazione della capacità di lavoro mediante l’acquisto di essa da parte del denaro e mediante la continua trasformazione del denaro in capitale. Così risulta che l’esistenza della Arbeiterklasse è una costante, che viene continuamente riprodotta dal capitale. Anche in precedenti epoche produttive appariva sporadicamente una primitiva Arbeiterklasse, ma non ancora come generale presupposto della produzione. E’ il lavoro vivo (inteso, ovviamente, non come lavoro utile, ma sì astratto), che trasferisce nel processo di lavoro quel valore, che è presupposto negli strumenti e nel materiale di lavoro.

Di questa puntualizzazione marxiana, ci interessa sottolineare in particolare che il termine Arbeiterklasse ha un significato storicamente ben preciso: non indica genericamente la classe dei lavoratori, ma sì quella dei lavoratori, che sono utilizzati all’interno del moderno sistema di produzione industriale

In un momento come quello che attraversiamo, in cui da varie parti si tende a sfumare il ruolo economico e –potenzialmente- sociale e politico dell’operaio moderno e, da sinistra, si propone qualche volta di abbandonare la traduzione canonica del termine tedesco (<classe operaia>), per sostituirla, appunto, con un più generico <classe lavoratrice>, vale la pena ricordare che, in Marx, Arbeiterklasse e moderna organizzazione industriale fanno tutt’uno (il che ovviamente non implica affatto non analizzare gli sviluppi e i mutamenti di tale moderno modo di produzione e, con ciò, delle figure sociali, che richiede –le quali possono essere semplici traformazioni delle tradizionali o, addirittura, nuove figure. Ma si tratta sempre di modi di presentarsi in contesti storicamente determinati della marxiana Arbeiterklasse.

Note

[1] - v. Marx-Engels Gesammelte Werke (Mega). Zweite Abteilung <Das Kapital> und Vorarbeiten. Band 3. Zur Kritik der Politiche Ökonomie (Manuskript 1861-1863). Teil 1, Berlin 1976: 58. (D’ora in avanti, Mega, 3.1).

[2] - Anche tenendo conto semplicemente di Hegel, sappiamo che l’opposizione è qualcosa, che si colloca non solo sul piano teoretico e conoscitivo, ma anche pratico, politico e sociale. Basti riconsiderare la critica del giovane Hegel alla Positivität della religione cristiano-giudaica.

[3] - Dunque, l’elemento oggettivo, il <dato>.

[4] - Dunque, l’elemento soggettivo.

[5] - Mega, 3.1: 59.

[6] - L’oggettivo usato da Marx, lo abbiamo visto, è <ruhender>, che, com’è chiaro, rimanda a Ruhe = pace, quiete.

[7] - Mega, 3.1: 60. Ancora una volta, i due opposti –valore d’uso e valore di scambio-, pur confermandosi in questa loro relazione logica, mutuamente esclusiva, tuttavia, nell’effettualità del movimento storico, coesistono e si rovesciano l’un nell’altro. Ancora una volta possiamo osservare che ciò è possibile, in quanto Marx non colloca la propria argomentazione sul piano della formalità logica (la quale, ovviamente, ha piena legittimità nel suo ambito proprio), ma sì in quello dello svolgersi di determinati processi storici effettivi.

[8] - Mega, 3.1: 59.

[9] - Così traduco il tedesco übergreifen.

[10] - E’ evidente l’influenza della concezione hegeliana di <soggetto>. Per chiarir meglio la figura del capitalista, consideriamo un’altra pagina di Marx, in cui leggiamo che il possessore di denaro diviene capitalista, se trasforma il suo denaro in capitale industriale, ovvero, se riesce a usarlo in modo da ricavarne un incremento del valore iniziale. Il capitalista deve comprare strumenti e materiale di lavoro, per poter impiegare lavoro altrui –il che implica che l’incremento di valore deve essere al netto non solo delle spese per pagare la forza-lavoro, ma anche gli strumenti e il materiale di lavoro (Nota mia. S.G.). (Mega, 3.1: 60).

[11] - Mega, 3.1: 60. Si noti anche questo: ancora una volta, l’analisi di un processo storico reale porta a rilevare il rovesciarsi di un opposto (valore d’uso) nell’altro (valore di scambio); tuttavia, Marx non si limita a questa constatazione, dacché indica anche il modo, in cui avviene quel rovesciarsi. L’esigenza di descrivere un processo nei suoi vari passaggi ha immediatamente un carattere anti-mistico, in quanto –a dir così- toglie misteriosità, ‘miracolosità’ al processo, consentendone invece una dettagliata descrizione ed aprendosi, quindi, alla possibilità di ulteriori descrizioni, che correggano la prima e, in questo modo, sottolineando l’aspetto sempre aperto, non conclusivo dell’analisi e della riflessione scientifiche.

[12] - Mega, 3.1: 62s).

[13] - Mega, 3.1: 62.

[14] - ivi.

[15] - Mega, 3.1: 63.

[16] - Come si vede, Marx affronta sempre il tema del vivente, dell’efficare, di ciò che è capace di dare qualcosa di nuovo, in una chiave decisamente opposta od ogni impostazione mistico-spiritualistica. Nel senso che per lui è sempre centrale mostrare i modi determinati, in cui il nuovo vien prodotto, creato.

[17] - Ma questa non sarà la sola possibilità, la sola possibile relazione tra lavoro e bene prodotto. 


[18] - Mega, 3.1: 63.

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