Dati i problemi, in cui oggi viviamo e che, ancor più, nelle
crisi che si annunciano per il futuro, è senza dubbio necessario ridiscutere
quale oggi, possa essere il significato di umanesimo.
E’ in questo modo che F.Hinkelammert inizia il suo saggio (Marxismus,
Humanismus, Religion), nel fascicolo 4 –2010 di Marxistische Blãtter, la
rivista teorica della DKP o Partito comunista tedesco.
Nella nostra storia moderna, il momento culminante dal punto
di vista dell’ umanesimo porta il nome dalla Rivoluzione francese, la quale tuttavia si svolse entro
un limite di fondo: essa nacque e si stabilizzò, di fatto, quando il mercato
mondiale si era ormai costituito come
mercato capitalistico.
E questo è il motivo, per cui l’umanesimo della Rivoluzione
francese è ancora essenzialmente ridotto ad un umanesimo dell’uomo astratto, il
quale si identifica con il proprietario privato. Ma questa stessa Rivoluzione
francese, che pur sbocca in una pura ristrutturazione borghese della società,,
nello stesso tempo fonda le categorie, partendo dalle quali diviene possibile
fondare un nuovo umanesimo.
Data la sua identificazione di uomo con il proprietario
privato, la Rivoluzione francese può continuare a basarsi su una situazione di
estremo sfruttamento e sulla costrizione al lavoro nella forma della schiavitù
di massa.
Dall’altro lato, nella Rivoluzione vennero espresse le
categorie politico-giuridiche della cittadinanza.
Son queste categorie, che divennero una base della moderna
democrazia, sebbene ancora limitata agli uomini bianchi e proprietari.
Poggiandosi sulla categoria della cittadinanza e della sue estensione continua
si andrà provocando un movimento per i diritti dell’uomo, che definisce le
lotte future per l’emancipazione. L’uomo come cittadino – dunque, non
è necessariamente un borghese-: ecco da cosa nascerà un
concetto di cittadinanza, che supera i limiti sociali della borghesia.
In primo luogo si tratta qui dell’emancipazione degli
schiavi, delle donne e della classe operaia. Si può simbolizzare la profondità
del conflitto mediante tre morti importanti: la morte di Olimpia de Gouges, che
rappresenta il diritto delle donne a divenire cittadine e che fu
ghigliottinata. Analogamente morì ghigliottinato Babeuf, che rappresenta il
diritto d’associazione dei lavoratori. Toussaint-Louverture, il liberatore degli
schiavi ad Haiti, fu arrestato ed ucciso, sotto l’imperatore Napoleone.
Come si vede, le cosiddette rivendicazioni di emancipazione
erano, certo, il prodotto della Rivoluzione francese, ma si capovolsero contro
di essa, per il fatto che la rivoluzione si andò sempre meglio definendo come
borghese. Più tardi apparvero maggiori richieste di emancipazione, come quella
delle colonie, delle culture e della natura sfruttata e distrutta. Ma tutte
queste emancipazioni costringono il sistema borghese a confrontarsi con le
vittime sacrificali, che sono il prodotto del suo stesso sviluppo. Questo è il
senso di un nuovo umanesimo: ovvero, l’umanesimo dell’uomo vivente in quanto
soggetto, di contro alla riduzione dell’umanesimo a quello del proprietario nel
quadro del mercato., Il quale diritto ha ben presto la tendenza a riconoscere come unico diritto umano quello alla proprietà appunto.
Queste lotte per l’emancipazione hanno ottenuto
significativi successi, poiché sottendono diritti umani, che sono entrati ormai
nelle Carte costituzionali. Tuttavia, la riduzione dei diritti umani al diritto
di proprietà ha la tendenza ad annullare ancora una volta tutti gli altri.
.Attualmente, la strategia della globalizzazione, che ha
immediatamente prodotto molte catastrofi, inoltre ripropone il grave pericolo,
in nome della totalizzazione del mercato e della proprietà privata, di nullificare i diritti dell’uomo come mero
soggetto vivente –i quali ultimi sono effettivamente il risultato delle lotte
d’emancipazione degli ultimi secoli. Proprio questo è il problema
dell’umanesimo oggi.
Per entrare in merito a questo problema, potrei cominciare
con un’analisi dell’umanesimo, per come, dopo la Rivoluzione francese e fino
alla prima metà del IX secolo, operò contro la riduzione delle relazioni umane
a relazioni tra merci.
Così come già avveniva nella formulazione dell’umanesimo borghese del XVIII secolo,
anche per questa nuova formulazione dell’umanesimo del soggetto, un
atteggiamento critico contro la religione costituiva un suo elemento
irrinunciabile: formulazione dell’umanesimo e critica della religione vanno
sempre mano nella mano.
Voglio qui prender le mosse dalla critica alla religione,
formulata dal giovane Marx, allo scopo di analizzare cosa divenga questa stessa
critica nel Marx più tardo e come si rapporti alla critica della religione, che
si trova nella teologia della liberazione. Inizierei con alcune citazioni, che
potrebbero mostrare questa posizione di partenza:
1 - nella Prefazione alla tesi di dottorato del 1841, Marx dice
che la ‘filosofia’ - che nello scritto in questione è già intesa come teoria
critica-, si pronuncia contro tutte le divinità celesti e terrene, che, di
necessità, non riconoscono l’autocoscienza umana come la massima divinità.
Nel testo marxiano l’autocoscienza umana è la massima
divinità di contro ad ogni altra pretesa divinità terrena o celeste; in Marx, autocoscienza va sempre
intesa come essere autocosciente: “la coscienza non può essere altro che
l’essere cosciente e l’essere dell’uomo è il suo effettivo processo di vita:
l’autocoscienza è dunque la coscienza dell’uomo, come se stesso nel suo
reale processo di vita.
2 - Nella più tarda critica della hegeliana Filosofia del
diritto del 1844, Marx afferma: “La critica della religione termina con la
dottrina, secondo cui l’uomo è la più alta essenza per l’uomo stesso, ovvero
termina con l’imperativo categorico di sbarazzarsi di tutti quei rapporti, in
cui l’uomo è un’essenza diminuita, schiavizzata, disprezzata.” Con
l’espressione l’autocoscienza umana come la massima divinità, possiamo
trovare anche quest’altra espressione, secondo cui l’uomo è la massima
essenza per l’uomo stesso. Marx mostra pure che quando si dichiara massima
essenza qualcosa di diverso dall’uomo si finisce col fare dell’uomo qualcosa di
diminuito, schiavizzato e disprezzato.
Coniugando le due citazioni abbiamo ciò che potremmo
indicare come il paradigma marxiano
della critica alla religione.
Detto in altre parole ed in base a codesto paradigma, la
teoria critica si erge contro ogni divinità terrena o celeste, la quale non
riconosca che è l’uomo la massima
essenza per l’uomo stesso; la stessa teoria critica si contrappone ad ogni
divinità celeste o terrena, nel cui nome l’uomo non è la massima essenza per
l’uomo, ma è, proprio per questo, qualcosa di diminuito, asservito,
disprezzato.
Qui si fa interessante una precisazione/obiezione dell’A.
(anche se è dubbio, che possa resistere ad una critica sensata): Hinkelammert
afferma che a ben vedere il paradigma marxiano della critica alla religione vale piuttosto come un criterio per
differenziare quest’ultima, non come un attacco contro la relligion, anche se
invece Marx se ne serve per dimostrare che, in certe condizioni storiche, la
religione in quanto tale diviene superflua. Dunque, il paradosso a cui
Hinkelammert perviene, da un lato, è la sostanziale accettazione della
valutazione di Marx sulla religione; nello stesso tempo, però, da ciò egli
non ne ricava la sua sostanziale
storicità o caducità.
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i - Per il significato economico
del termine, cf. il noto passo di Kant: “Aber in meinem Vermögenszustande
ist mehr bei hundert wirklichen Talern als bei bloß Begriff derselben” ( dalla Critica
della ragion pura, ma citato in Hegel, 1132.1: 88). 1130.3, §. 527: “La
distinzione dei ceti (Unterschied der Stände) opera la concreta
divisione della generale disponibilità (Vermögen) -che è, appunto, un
affare generale- nelle masse particolari, che sono determinate secondo i
momenti del concetto, le quali hanno una propria base di sussistenza, in
connessione a corrispondenti modi di lavoro, di bisogni e di mezzi per la loro
soddisfazione, infine sia di abitudini, che di scopi ed interessi culturali.”
Hegel usa il termine Vermögen, per indicare il patrimonio di beni e
risorse (attuale o potenziale) di un gruppo dato, e commisura l’organizzazione
sociale rispetto all’obiettivo della distribuzione nella società di quel
patrimonio; che tutto ciò sia un anticipo su Marx risulta ancora più chiaro dal
§. 528, tenendo presente che la nozione di <modo di produzione> potrebbe
essere una specificazione di quella di Vermögen; insomma, così come Marx ed
Engels operano sul concetto illuministico di <stato di natura>,
analogamente fanno su quello di Vermögen. A relativo supporto di quanto
dico, cf. Holz, 7155: 37, i cui due errori -se non sbaglio- sono: il trascurare
le pagine di Kant ed il presentare la specificazione marxiana del Vermögen come
inizio di una strada nuova. Il mio sospetto è che si possa però dire che anche
altri -non solo Kant- hanno preceduto Hegel nel tracciare una filosofia della
storia in senso non trascendentalista. E’ interessante quanto si legge in AAVV,
6961.3: 233d, che dimostra l’origine illuministica della tesi hegeliana: “Contro
le teorie teologiche e religiose, Helvétius spiega la coscienza umana,
riportandola alle possibilità di sviluppo definite dal patrimonio di
oggetti storicamente a disposizione
dell’uomo”]. A sottolineare l’importanza del discorso di Hegel quando
rapporta Stände e Vermögen: - “Anche per Hegel il punto di partenza (della
Rivoluzione francese) è il contrasto tra il reale peso economico-sociale del
terzo stato e la sua nullità politica. Compito della rivoluzione è, per Hegel,
appunto di creare un ordinamento statale che corrisponda ai reali rapporti
sociali.” (Lukàcs, 1584: 43b). Poniamo la mentalità primitiva di Lévy-Bruhl; la
successiva dominanza della razionalità scientifica posso tematizzarla come perdita
della mentalità primitiva, oppure
come suo superamento in altro, nel senso della presenza di un ‘terzo’
(ad es., il nesso di Vermögen/Volksgeist), che, in certe condizioni,
produce la mentalità primitiva, in altre produce la razionalità scientifica.
Certamente, anche in questo secondo caso c’è una <perdita>, la quale,
però, non autorizza se non un romantico ‘lutto’. Se manca quel terzo,
resta la <perdita>, in sostanza ingiustificata, gratuita e, dunque, domina
il ‘lutto’. Nei termini di Marx,Vermögen sembra equivalere alla nozione
di forza produttiva, che determina il mondo delle forme di coscienza (Volksgeist).
ii - Questo potrebbe confermare che
la fase del possesso (§. 488) non sta ad indicare una determinata fase
storico-sociale, esattamente perché implica la non esistenza della mediazione.
iii - E’ fuori di dubbio che Hegel
coglie la relazione tra distribuzione della ricchezza sociale, divisione del
lavoro, differenziazione in ceti sociali e diversità culturali. Si tratta,
almeno, di un indubbio presupposto della teoria di Marx o, a dir così, di un
evidente anticipo sul materialismo storico.
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