*Da:
https://zeroconsensus.wordpress.com/ Fonte: Nòema (
https://riviste.unimi.it/index.php/noema/index)
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Carlo_Sini è un filosofo italiano. Laureatosi con Enzo Paci. È membro dell’Accademia dei Lincei e dell’Institut International de Philosophie di Parigi.
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In una celebre pagina della Ricchezza delle nazioni Adam Smith si chiede se la tendenza umana a trafficare, a barattare, a scambiare una cosa con un’altra non sia se non la conseguenza della facoltà della ragione e della parola. Vi sarebbe dunque un nesso profondo tra economia e linguaggio, denaro e parola, e in effetti denaro e linguaggio sono due sistemi di segni che caratterizzano in modo eminente l’umano. Uno scambio semiotico come questo non ha riscontro nel mondo animale, se non per cenni embrionali in ogni senso incomparabili.
Che cosa è segno ricordiamolo qui in forma molto sintetica: segno, diceva Peirce, è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro; quindi è qualcosa che
rappresenta qualcos’altro sulla base dell’uso sociale, ovvero delle risposte comuni. Stando «al posto di», il segno favorisce dunque lo scambio, fornisce una cosa per un’altra o che
vale come rappresentante di quell’altra, e ciò fondamentalmente in vista dello scambio di beni e di informazioni. Cioè del possesso di qualcosa e dell’acquisto di conoscenze. È interessante osservare che beni e informazioni si possono scambiare le parti; infatti anche il possesso di un bene informa: se vado in giro su una Ferrari, implicitamente informo che non sono un poveraccio. Se invece so come vanno le cose in luoghi difficilmente accessibili ma per me significativi, è evidente che il possesso di queste informazioni riveste per me la natura di un bene.
Chiediamoci ora quale sia rispettivamente il valore di un’informazione e il valore di uno scambio di beni. Nel primo caso, evidentemente, è che l’informazione sia
corretta. Che cosa si debba intendere con il termine ‘correttezza’ non va appiattito, come spesso si fa, sulla base esclusiva delle teorie della informatica novecentesca, teorie che spesso hanno la ridicola pretesa di ridurre alle loro categorie analitiche ogni sorta di messaggio, come chiedersi per esempio quante informazioni contiene la
Divina commedia. Le profezie della Sibilla prevedono una loro
correttezza di formulazione e d’uso e così i criteri per l’infallibilità del papa o il significato di verità della statistica sociale.
Quanto al valore dello scambio di beni, credo che il criterio sia, in questo caso, che lo scambio sia
equo. Ovvero produttivo per entrambi i contraenti, i quali devono altresì essere completamente liberi di addivenire allo scambio oppure no. Il senso di questa «libertà» è peraltro complesso e non facilmente determinabile. Esso non si identifica affatto con l’ottimismo liberistico che lo assegna senz’altro al desiderio soggettivo di aderire allo scambio. Se vi è disparità sul piano del bisogno, nel senso che un contraente può fare a meno senza danno dello scambio in questione e l’altro contraente invece no (è molto spesso il caso del mercato del lavoro), allora lo scambio non è socialmente equo. Così pure, se l’offerta è rivolta a persona ignorante o sprovveduta (per esempio un contraente conosce bene il valore dello scambio in questione e trae profitto dalla totale ignoranza dell’altro contraente circa il valore dei beni comparati), di nuovo lo scambio non è
moralmente equo.