*Da: José Ortega y Gasset, LA RIBELLIONE DELLE MASSE http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/OrtegaRibellioneMasse.pdf
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/conoscenzasapienzasaggezza-il-triangolo.html
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La tesi era che la civiltà del secolo XIX ha prodotto automaticamente l’uomo‐
massa. Conviene di non chiudere la sua esposizione generale senza analizzare, in un
caso particolare, il meccanismo di questa produzione. In tal modo, nel concretarsi, la tesi
guadagna in forza persuasiva.
Questa civiltà del secolo XIX, dicevamo, può riassumersi in due grandi
dimensioni: democrazia liberale e tecnica. Consideriamo adesso soltanto quest’ultima.
La tecnica contemporanea nasce dall’accoppiamento del capitalismo con la scienza
sperimentale. Non tutta la tecnica è scientifica.
Chi fabbricò nell’età preistorica le torce con la pietra focaia, mancava di senso
scientifico non sospettarlo minimamente l’esistenza della fisica.
Soltanto la tecnica moderna europea ha una radice scientifica, e da questa radice
le deriva il suo carattere specifico, la possibilità di un progresso illimitato. Le altre
tecniche ‐mesopotamiche, nilota, greca, romana, orientale‐ tendono fino a un punto di
sviluppo che non possono sorpassare, e, appena lo raggiungono, cominciano a
retrocedere in una misera involuzione.
Questa prodigiosa tecnica occidentale ha reso possibile la meravigliosa prolificità
della casta europea. Si ricordi il dato statistico da cui è partito questo saggio e che, come
facemmo notare, racchiude in germe tutte queste meditazioni. Dal secolo V al 1800,
l’Europa non giunge a ottenere una popolazione maggiore di 180 milioni. Dal 1800 al
1914 ascende a più di 460 milioni. Il salto è unico nella storia dell’umanità. Non si può
dubitare che la tecnica ‐insieme alla democrazia liberale‐ ha generato l’uomo‐massa nel
senso quantitativo di questa espressione. Però queste pagine hanno cercato di mostrare
che è anche responsabile dell’esistenza dell’uomo‐massa nel senso qualitativo e
peggiorativo del termine.
Per «massa» ‐ed è un’avvertenza che facemmo fin dal principio‐ non si intenda
specialmente l’operaio; non designa qui una classe sociale, ma un tipo o un modo d’essere dell’uomo che si ritrova oggi in tutte le classi sociali, che per ciò stesso
rappresenta il nostro tempo, su cui esso prevale e domina.
Chi esercita oggi il potere sociale? Chi impone la struttura del proprio spirito
all’epoca? Senza dubbio, la borghesia. Chi, in seno a questa borghesia, è considerato
come il gruppo superiore, come l’aristocrazia del presente? Senza dubbio, il tecnico:
ingegnere, medico, finanziere, professore ecc., ecc. Chi, dentro a questo ambiente
tecnico, lo rappresenta con maggiore altezza e purezza? Indubbiamente, l’uomo di
scienza. Se un personaggio «astrale» visitasse l’Europa e, con animo di giudicarla, le
domandasse attraverso a quale tipo d’uomo, fra quelli che l’abitano, preferisse di essere
giudicata, non c’è, dubbio che l’Europa indicherebbe, compiaciuta e sicura di una
sentenza favorevole, i suoi uomini di scienza. E, naturalmente, il personaggio «astrale»
non domanderebbe di portare il giudizio su individui d’eccezione, ma cercherebbe la
norma, il tipo generico dell’uomo di scienza, vertice dell’umanità europea.
Ebbene, dunque: risulta che l’attuale uomo di scienza è il prototipo dell’uomo‐massa,. E non a caso, né per difetto personale di ciascun uomo di scienza, ma perché la
scienza stessa ‐radice della civiltà- lo tramuta automaticamente nell’uomo‐massa: cioè,
fa di lui un primitivo, un barbaro moderno.
La cosa è arcinota: innumerevoli volte s’è fatta constatare; però, solamente
articolata nell’organismo di questo saggio, acquista la pienezza del suo significato e
l’evidenza della sua gravità.
La scienza sperimentale s’inizia alla fine del secolo XVI (Galileo), giunge a
costituirsi alla fine del XVII (Newton) e comincia e svilupparsi a metà del
XVIII. Lo sviluppo di qualcosa è un fenomeno diverso della sua costituzione, ed
è sottomesso a condizioni differenti. Così, la costituzione della fisica, denominazione
collettiva della scienza sperimentale, obbligò a uno sforzo di unificazione. Tale per
l’opera di Newton e di altre menti del suo tempo. Però lo sviluppo della fisica iniziò una,
fatica di carattere opposto a quella dell’unificazione. Per progredire, alla scienza
occorreva che gli uomini di scienza si specializzassero: gli uomini di scienza, non essa
stessa. La scienza non è mai specialista: altrimenti cesserebbe ipso facto d’essere vera.
E nemmeno la scienza empirica, presa nella sua totalità, è vera, se la si separa
dalla matematica, dalla logica, dalla filosofia. Però il lavoro in essa dev’essere ‐
assolutamente‐ specializzato.
Sarebbe di grande interesse e di maggiore utilità di quanto non possa sembrare a
prima vista, fare una storia delle scienze fisiche e biologiche, mostrando il progresso
della crescente specializzazione nella fatica degl’investigatori.
Essa farebbe vedere come, da una generazione all’altra, l’uomo di scienza s’è
andato limitando, rinchiudendo, in un campo d’occupazione intellettuale sempre più
ristretto. Però non è questo l’importante che questa storia ci insegnerebbe, ma, anzi, il
contrario: come, cioè, in ogni generazione, lo scienziato, per dover sempre ridurre il suo
ambito di ricerca, vada progressivamente perdendo contatto con le altre parti della
scienza, vale a dire con una interpretazione totale dell’Universo, che è l’unica a meritare
i titoli di scienza, cultura, civiltà europea.
La specializzazione comincia, precisamente, in un tempo in cui si chiama uomo
civile l’uomo «enciclopedico». Il secolo XIX inizia il suo destino sotto la direzione di
creature che vivono in un’atmosfera enciclopedica, anche se la loro produzione rivesta
già un carattere di specializzazione. Nella generazione successiva, l’equazione si è
spostata, e la specialità comincia a scalzare nell’intimo di ciascun uomo di scienza la
cultura integrale. Quando nel 1890 una terza generazione assume la guida intellettuale dell’Europa, c’incontriamo con un tipo di scienziato senza esempio nella storia. È un
uomo che, di tutto ciò che occorre sapere per essere un personaggio intelligente,
conosce soltanto una scienza determinata, e anche di questa scienza conosce bene
soltanto una piccola parte di cui egli è investigatore attivo. Arriva a proclamare come
una virtù questa sua carenza d’informazione per quanto rimane fuori dall’angusto
paesaggio che coltiva particolarmente, e chiama «dilettantismo» la curiosità per
l’insieme del sapere.
E tuttavia, recluso nella ristrettezza del suo campo visivo, riesce, effettivamente,
a scoprire nuovi fatti e a fare progredire la scienza, che, egli conosce appena, e con essa
l’enciclopedia del pensiero, che coscienziosamente ignora. Come è, stato possibile, e lo
è, una cosa simile?
È necessario ribadire la stravaganza di questo fatto innegabile: la
scienza sperimentale ha progredito in buona parte mercé il lavoro di uomini
assolutamente mediocri, e anche meno che mediocri, vale a dire che la scienza
moderna, radice e simbolo della civiltà contemporanea, accoglie dentro di sé l’uomo
intellettuale «medio» e gli permette d’operare con successo. La ragione di ciò consiste
in un fatto, che è, a un tempo stesso, il maggior vantaggio e il più grave pericolo della
scienza nuova e di tutta la civiltà che quella dirige e rappresenta: la meccanizzazione.
Una buona parte delle cose che bisogna operare in fisica e biologia è lavoro meccanico
del pensiero che può essere eseguito, più o meno, da chiunque. Per effetto
d’innumerevoli ricerche è possibile suddividerle la scienza in piccoli settori rinchiudersi
in uno di essi e disinteressarsi degli altri. La stabilità e l’esattezza dei metodi permettono
questa provvisoria e pratica disarticolazione del sapere. Si lavora con uno di questi
metodi come una macchina, e nemmeno è obbligatorio, per ottenere buoni risultati,
possedere idee rigorose sul significato e fondamento del metodo. Così, la maggior parte
degli scienziati danno impulso al progresso generale della scienza, chiusi nella piccola
cella del loro laboratorio, come l’ape nel suo lavo.
Però tutto questo finisce col produrre una casta d’uomini oltremodo strani. Il
ricercatore che ha scoperto un nuovo fenomeno della Natura, deve per forza sentire
un’impressione di dominio e di sicurezza nella sua persona. Con certa apparente
giustizia si considerera come «un uomo che sa». E, in realtà, in lui esiste un frammento
di qualcosa, che, insieme ad altri frammenti che non esistono in lui, costituisce
veramente il sapere. Questa è la situazione intima dello specialista, che nei primi anni di
questo secolo è giunto alla sua più frenetica esagerazione. Lo specialista, «conosce»
assai bene il suo minimo angolo d’Universo; però ignora tutto il resto.
Ecco qui un preciso esemplare di questo strano uomo nuovo che ho cercato di
definire, mediante l’uno o l’altro dei suoi aspetti. Ho detto anche che è una
configurazione umana senza pari in tutta la storia. Lo specialista ci serve per individuare
con energica concretezza la specie e perché ci fa vedere tutto il radicalismo della sua
novità. Dato che prima gli uomini potevano dividersi, semplicemente, in saggi e
ignoranti, in più o meno ‐saggi e più o meno ignoranti. È invece, lo specialista non può
essere compreso sotto nessuna di queste due categorie. Non è un saggio, perché ignora
formalmente quanto non entra nella sua specializzazione; però neppure è un ignorante,
perché è, «un uomo di scienza» e conosce benissimo la sua particella d’universo.
Dovremo concludere che è un saggio‐ignorante, cosa oltremodo grave, poiché, significa
che è un tipo il quale si comporterà, in tutte le questioni che ignora, non già come un
ignorante, bensì con tutta la petulanza di chi nei suoi problemi speciali è un saggio.
In realtà è questo il comportamento dello specialista. In politica, in arte, nei
costumi sociali, nelle altre scienze, prenderà posizione da primitivo, da ignorantissimo; però le assumerà con energia e sufficienza senza ammettere ‐e questa è la cosa
paradossale‐ «specialisti» di queste questioni. Nello specializzarlo, la civiltà lo ha reso
ermetico e soddisfatto dentro la sua limitazione; però questa stessa sensazione interiore
di dominio e di valore lo porterà a voler prevalere al di fuori della sua specialità. Dal che
deriva che anche in questo caso, che rappresenta un maximum d’uomo qualificato ‐la
specializzazione‐ e, pertanto l’opposto dell’uomo‐massa, il risultato è che si comporterà
«senza qualità» e come uomo‐massa in quasi tutte le sfere della vita.
La constatazione non è vaga. Chiunque può osservare la stupidità con cui
pensano, giudicano e agiscono oggi in politica, arte, religione e nei problemi generali
della vita e del mondo gli «uomini di scienza», e naturalmente, tra loro, medici,
ingegneri, finanzieri, professori, ecc. Questa condizione di non volere «ascoltare», di non
sottomettersi ad istanze superiori, che reiteratamente ho presentata come caratteristica
dell’uomo‐massa, arriva al, colmo precisamente in questi uomini potenzialmente
qualificati. Essi simboleggiano, e in gran parte costituiscono, il dominio attuale delle
masse, e la loro «barbarie» è la causa più immediata della dislocazione morale
dell’Europa.
D’altra parte significano il più potente e preciso esempio di come la civiltà
dell’ultimo secolo, abbandonata alla sua propria inclinazione, abbia prodotto questo
germoglio di primitivismo e di barbarie.
Il risultato più immediato di questo specialismo non «compensato» è stato che
oggi, proprio quando vi è un maggior numero di «uomini di scienza» che mai ci siano
molto meno uomini «colti» che, per esempio, verso il 1750. Ed il peggio è che con questi
furetti della caccia scientifica neanche si può dire assicurato il progresso della scienza.
Perché questa ha bisogno, di tanto in tanto, come organico ordinamento del suo stesso
sviluppo, di un lavoro di ricostituzione, ogni volta più difficile, che ogni volta ricollega
regioni più vaste del sapere totale. Newton poté creare il suo sistema fisico senza
conoscere molta filosofia, però Einstein ha dovuto saturarsi di Kant e di Mach per poter
attingere la sua acuta sintesi. Kant e Mach ‐e con questi due uomini soltanto si
simboleggia la massa enorme di pensieri filosofici e psicologici che hanno influito sulla
formazione di Einstein‐ hanno servito a liberargli la mente e lasciargli la via libera verso
la sua innovazione. Però Einstein non è sufficiente. La fisica entra ora nella crisi più
profonda della sua storia, e soltanto potrà salvarla una nuova enciclopedia più
sistematica di quella anteriore.
La specializzazione, dunque, che ha reso possibile il progresso della scienza
sperimentale, durante un secolo, si approssima ad una tappa in cui non potrà avanzare
per se stessa, se una generazione migliore non s’incarica di costruirle una norma più
ampia.
Però, se lo specialista ignora la fisiologia interna della scienza che coltiva, molto
più profondamente ignora le condizioni storiche della sua continuità, cioè come la
società e il cuore dell’uomo debbano essere organizzati perché possano continuare ad
esserci ricerche scientifiche. La flessione di vocazioni scientifiche che si osserva in questi
anni ‐a cui abbiamo già alluso‐ è un sintomo preoccupante per chiunque abbia un’idea
chiara dell’essenza d’una civiltà, l’idea che suole mancare al tipico «uomo di scienza»,
vertice della nostra civiltà attuale. E, inoltre, egli crede che la civiltà è tutta qui,
semplicemente, come la crosta terrestre e la selva primigenia.
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