*Da: https://www.lacittafutura.it/
Vedi anche: Il blocco contro Cuba: il genocidio più lungo della Storia https://www.youtube.com/watch?v=vItDZLwt6Hg
Vita quotidiana all'Avana
Uscendo la mattina ancora fresca da un edificio popolare e periferico ti accoglie la tiepida umidità non incontaminata dell'Avana. I vicini si avvicinano e ti salutano, chiedendoti informazioni sulla tua vita e suoi tuoi famigliari. È difficile liberarsi in pochi minuti tanto i rapporti sono stretti e continui. Trascinando il suo carrettino, qualche venditore ambulante grida offrendo ai passanti pane, frutta e verdura. È anche possibile veder passare un carretto, caricato di materiale vario, tirato da un cavallino docile e mansueto. Le piante lussureggianti che ombreggiano qualche viale danno un senso di vitalità istintuale che può rianimare qualche turista del vecchio mondo. Ora comincia la grande fatica, cui non si sottraggono neppure gli uomini (anzi questa sembra essere una grande conquista delle donne cubane): fare la spesa per sopperire alle necessità quotidiane. Se ti sei fatto la lista delle cose da comprare devi fare parecchi giri, perché non tutto si trova nel medesimo luogo. Ci sono i grandi magazzini dello Stato, che in molti casi hanno più l'aspetto di depositi che di supermercati, e le tiendas particulares. È possibile pagare sia in convertibles (CUC, grosso modo l'equivalente di un euro) o in pesos, tenendo presente che un CUC vale 24 pesos. Per esempio, se si compra una piccola bottiglia di olio di oliva, che non fa certo parte degli alimenti consumati dai cubani, in CUC costa 6,40 in pesos 160.
Vi sono alimenti che per le difficoltà di produzione e di approvvigionamento sono introvabili, altri è possibile trovarli dopo aver fatto alcuni giri e seguendo i consigli dei passanti che ti indicano i possibili luoghi riforniti di quello che cerchi. Senza voler risalire troppo indietro nel tempo, appare evidente che nessun settore dell'economia cubana sia stato colpito come quello agricolo, dopo la dissoluzione del blocco socialista. In particolare la produzione dello zucchero e dei suoi derivati: se alla fine degli anni ‘80 del ventesimo secolo a Cuba si lavoravano circa 8 milioni tonnellate metriche di canna da zucchero, a partire dal 2010 si supera appena un milione di tonnellate. Quasi tre quarti delle industrie di lavorazione della canna sono state chiuse e le terre prima destinate a tale coltivazione sono state abbandonate. Dal 2007 si è cominciato a ridistribuire queste terre sotto varie forme, ma solo nel primo decennio del ventunesimo secolo è cresciuta la produzione dei prodotti più cari nei mercati dei prodotti agricoli. Questa è la ragione per la quale Cuba è diventata fortemente dipendente dall'importazione di alimenti dall'estero (J. I. Domínguez, Introducción, in Desarrollo económico y social en Cuba, 2013: 11).
Sembra che la folla che si accalca per le strade dell'Avana sia in questa ricerca del necessario quotidiano assai solidale: sono tutti disponibili ad aiutarti e a condividere le necessarie informazioni. Tutti partecipano in ugual misura alla lucha por la vida cotidiana, che dovrebbe assicurarti un soddisfacente tenore di vita, anche se nella situazione descritta le entrate familiari risultano essere in molti casi insufficienti per garantire a tutta la popolazione il soddisfacimento delle sue necessità fondamentali (Omar. E. Pérez Villanueva, La economía cubana: evaluacion y propuestas de cambios necesarios en la politica, Desarrollo economico social en Cuba, 2013: 46).
Non si può certo dire che le strade dell'Avana, soprattutto quelle periferiche, siano pulite, anche se si può notare un certo miglioramento. E ciò certo non scandalizza i romani o i napoletani abituati a vedere come qui cumuli di rifiuti, tra i quali i cani randagi cercano qualcosa di commestibile.
Questi personaggi insignificanti per gli umani, con i loro occhi dolci e tristi, rappresentano per me una nota dolente: li puoi vedere accucciati e assetati al lato del marciapiede alla ricerca disperata di un poco di frescura.
Anche lo stato delle strade dell'Avana non è sempre buono. I marciapiedi sono spesso sconnessi e vi si aprono buche improvvise. Qualcosa che del resto anche noi italiani conosciamo molto bene, e a cui i nostri tanti discussi sindaci non sembrano trovar riparo.
Sotto gli ombrelli per difendersi dal sole fattosi cocente, le donne camminano disinvolte con i rolli sulla testa, portando con sé bei bambini ben vestiti e ben curati con la pelle lucida dalle più varie sfumature. Comprano il pane prendendolo direttamente in mano senza alcuna protezione, a meno che non si siano portate dietro una busta di plastica.
I mendicanti ci sono ma non sono numerosi: qualche anziano che con molta decenza ti chiede tutt'al più qualche peso cubano.
Quanto si diceva a proposito della difficoltà di parte della popolazione a far fronte ai propri bisogni fondamentali trova la sua espressione piena in questa lotta per la vita quotidiana di cui il fare la spesa è solo uno dei tanti aspetti. È tanto sentito questo tema, che in questi giorni persino il noticiero televisivo della mattina gli ha dedicato un servizio, soffermandosi sulla modalità di stabilire i prezzi in un popolare mercato di Marianao, quartiere dell’Avana.
Tale situazione problematica, strettamente vincolata al bloqueo statunitense, è esplosa con la dissoluzione dell'Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti, che – per dare un solo dato – ha determinato negli anni 90 del Novecento la diminuzione del PIL di circa il 35%. Come è noto a partire da questo evento – forse non tanto inatteso – sono state prese varie misure, che avrebbero dato vita a quello che Juan Valdéz Paz definisce “modello socialista misto”. In esso attori economici statali e non statali condividono le funzioni produttive, beni e servizi sono distribuiti congiuntamente da meccanismi dello Stato e del mercato (cit. M. Espina Prieto e V. Togores González, Cambio estructural y rutas de movibilidad social e la Cuba actual, in Desarrollo economico y social en Cuba, 2013: 278, nota 2).
Come ho potuto ricavare dalla mia esperienza quotidiana e dalla lettura di alcuni saggi dedicati al tema, ciò ha prodotto una serie di cambiamenti significativi, tra i quali il riapparire della disuguaglianza sociale [1], la quale sembrerebbe esser vincolata alla crescita della possibilità di lavorare nel settore non statale meglio remunerato (Ibidem: 283). Lo Stato stesso ha offerto questa possibilità, diminuendo di circa 500.000 il numero dei suoi dipendenti e incrementando le opportunità di svolgere un'attività privata (cuentapropismo). Allo stesso tempo, ha cambiato la sua politica sociale, stabilendo una relazione tra la retribuzione e i risultati, pagando salari in moneta straniera per alcuni tipi di lavoro e in alcuni settori, aumentando lo stipendio di coloro che svolgono attività da cui si ricava valuta pregiata o hanno un'importanza centrale (medici, maestri, scienziati, servizi di sicurezza). Secondo una valutazione puramente ipotetica circa il 10% della popolazione si trova in questa condizione sicuramente privilegiata, la parte restante si mette nelle condizioni di acquisirla attraverso il mercato informale, largamente diffuso.
Queste misure sono state accompagnate a partire dal 2000 da programmi volti a migliorare e modernizzare i servizi pubblici (salute ed educazione) e a proteggere in maniera più efficace i settori più vulnerabili della popolazione (Ibidem: 280-281).
Questi cambiamenti strutturali hanno alimentato una nuova mobilità sociale, in ascesa o in discesa, dalla quale è rispuntata la disuguaglianza, tema su cui si interrogano sia gli studiosi sia gli uomini politici cubani.
Il settore dei servizi (soprattutto turistici, di ristorazione e professionali), i posti direttivi e professionali, il settore non statale dell'economia (il già menzionato cuentapropismo, il risorgere della piccola borghesia urbana, le imprese miste) sono diventati oggi gli strumenti per ottenere denaro, beni e servizi (Ibidem: 306).
A questo processo ascendente ha corrisposto un parallelo processo discendente che ha lasciato ai margini individui disoccupati, impiegati nel settore statale, con uno scarso grado di educazione anche per l'origine sociale delle proprie famiglie, esclusi da quelle reti sociali che garantiscono informazioni e sostegno, oltre che dislocati in territori poco toccati dai miglioramenti economici. Il livello educativo raggiunto ha ancora una forte connotazione simbolica, anche se non è più considerato un mezzo indispensabile per l'ascesa sociale. L'uguaglianza continua ad essere un valore centrale nella società cubana, benché coloro che hanno raggiunto una posizione invidiabile si esprimano contro il piatto ugualitarismo, che non garantisce lo sviluppo delle specifiche capacità degli individui e dei gruppi (Ibidem: 303-304).
Le differenze sociali riemerse nel contesto della trasformazione delle relazioni internazionali e di quella strutturale interna generano malcontento e conflitti, di cui ci dà notizia sempre la televisione, facendo per esempio riferimento alle lamentele dei clienti delle farmacie, che intervistati criticano la poca professionalità dei venditori e le difficoltà nel reperire certi farmaci. L'altro conflitto, riferito invece dal Granma, riguarda invece i conduttori dei famosi almendrones (taxi collettivi) e il governo che, per garantire la popolazione dipendente da questo mezzo di trasporto, ha stabilito tariffe per i differenti percorsi, suscitando la loro protesta.
Contraddizioni che si ripercuotono sulla vita quotidiana del comune cittadino e che certo sono il prodotto di cambiamenti dettati dal modificarsi delle condizioni oggettive, in cui è stato avviato il processo di costruzione del socialismo a Cuba. Allo stesso tempo contraddizioni che fanno sorgere interrogativi sul percorso da intraprendere per proseguire in questa direzione nello stato delle cose attuale, che a questo modello sociale è ferocemente ostile.
Note
[1] Secondo certe valutazioni, basate sulle entrate delle famiglie e sulla possibilità di soddisfare le necessità fondamentali, la percentuale della popolazione urbana povera è aumentata dal 6,3% del 1998 al 20% del 2004 (Ibidem: 290). Sicuramente una percentuale minore a quella della maggioranza dei paesi latinoamericani.
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