*Brevi passaggi dall’intervento nell’Incontro-Convegno tenutosi
alla Sapienza di Roma il 18/03/99 su LE ILLUSIONI DEL POSTMODERNISMO
di T. EAGLETON – A.Ciattini, A.Simonicca, A.Colajanni, N.Gasbarro,
S.Garroni. https://www.facebook.com/groups/276130642477707/?fref=ts
Qui l’audio di tutti gli interventi: https://www.youtube.com/watch?v=htILF79-rbM&list=PLF60090192DC349BA&index=1
[...]C'è una sola illusione: quella di esistere. Il post-modernismo
non esiste.
[...]Immaginate un grande pittore che faccia un quadro, dopo un po'
di anni questo quadro viene stampato, riprodotto e venduto al
supermercato. Questo momento è il post-modernismo.
[...]Colajanni descrive certe vicende delle università. Ma collega
Colajanni questo è proprio l'emarginazione, la marginalità! Ha
ragione Eagleton, non è che io non sono marginale perché manovro i
dollari, è che la cultura è stata resa marginale da un sistema di
potere che è sempre di più concentrato in poche mani che sono
volgarmente le multinazionali che hanno i soldi da dare ai professori
universitari, e questi fanno i giochetti tra di loro, ma non hanno
più nessun peso effettivo.
Questo è il punto reale. Si scopre una
certa marginalità nel post-modernismo? ma certo, ma si tratta di
quegli strati piccolo o medio borghesi che hanno creduto alla
possibilità di un nuovo grande New Deal, di un nuovo grande momento
del capitalismo che assicurasse a tutti, cioè a loro, ricchezza,
benessere, libertà, potere: non è successo. Non è successo.
Recentemente è uscito un articolo di una studiosa americana, negli
Stati Uniti, in cui giustamente si sottolinea che al di là
dell'asprezza degli scontri nel ‘68, negli Stati Uniti in
particolare, gli obiettivi di lotta erano quelli di un capitalismo
democratico. Un largo strato di intellettuali ha creduto di poter
accedere finalmente al potere. Non ce l’ha fatta. Il grande crollo
è questo, la grande disillusione di non potere avere spazio nella
società dei padroni. E non ce l'hanno infatti.
[...]Noi abbiamo, con una profondità notevolissima, con una ricchezza
di temi enorme, con un'attualità formidabile - questa si attuale, penso a Kierkegaard, penso Nietzsche, per esempio, altro che Vattimo
questa roba qua -, abbiamo una tematizzazione profondissima, ricca, densa, di tutti i problemi che noi stiamo vivendo. Però noi
li stiamo vivendo a livello del supermercato, della riproduzione di
supermercato. Lì venivano vissuti in maniera molto seria, molto
profonda.
[...]Nel ‘68, i colleghi lo ricorderanno, era un luogo comune la
critica al soggetto cartesiano, perché è un soggetto autoritario,
unilaterale, e implica la dittatura della ragione. Questo significa
non aver letto minimamente, per esempio, il discorso sul metodo. Dove
la dimensione è completamente un'altra. Non aver riflettuto su che
cosa vuol dire l'arbitrarismo teologico di Cartesio. Cartesio in
definitiva dice: “A noi è sicuramente evidente che uno più uno fa
due, non c'è dubbio. Perché è evidente? Perché così Dio ha
voluto. Ma avrebbe potuto volere altrimenti”. Il che vuol dire
costruire il mondo su una situazione di arbitrio. Con buona pace
della dittatura della ragione, dell'unilaterale ragione che tutto
soffoca. Non è vero!
Tutto il pensiero moderno nasce con il senso fortissimo del dramma, dell'ambiguità. Giustamente Colajanni ricordava quel libro che mette in questione non la post-modernità, ma la modernità. Ha ragione. In che senso? ovviamente, nel senso che la post-modernità, le fesserie che l'industria culturale ci ammannisce, sulla base di Vattimo e di tanti altri imbroglioni del genere (non esiste). Per esempio se noi andiamo effettivamente a studiare le cose, ma dove sta questa cattiva ragione che tutto imprigiona? Sta in Diderot? In Hume? In Locke? Dove sta? Tutta la cultura moderna è piena del senso del dramma, dell'ambiguità, della complessità. Pensate a Kant. Là dove la ragione è un progetto, è un qualcosa da costruire, è un impegno morale. Se la ragione è un impegno morale vuol dire che non è nei fatti. È un impresa in cui io mi butto e devo rischiare: vinco, perdo, non so.
[...] Alt! il post-modernismo è una falsificazione totale. Certo se
noi andiamo alle cose serie, per esempio andiamo a Nietzsche, per
esempio andiamo a Kierkegaard, per esempio andiamo a Schopenhauer,
cogliamo qualche cosa di molto importante, che sono quelle ambiguità,
quelle contraddizioni grandi che si nascondono nella società
moderna. Anche i suoi momenti più grandi di conquista di libertà:
la democrazia, il parlamentarismo. Beh, le analisi di Nietzsche, di
Schopenhauer, sono formidabili. C'è un anticipo netto del dramma del
totalitarismo della società democratica, dell'appiattimento della
personalità che la società democratica comporta. Uno dei cui
effetti è il post-modernismo. Solo in un uomo diventato misero,
piatto, il post-modernismo può valere come atteggiamento culturale.
Badate, voglio dire esattamente questo: ha senso leggere Kierkegaard,
ha senso leggere Nietzsche, ha senso leggere Schopenhauer. Io non
condivido le loro posizioni, ma qui imparo. Non ha senso leggere
Derrida, Vattimo e quest'altra roba qua. Non ha nessun senso, non
imparo, non capisco meglio il mondo, non acquisto una nuova
problematicità. Qui ha ragione Eagleton ed è molto bella la
descrizione che faceva Colajanni, perché ha perfettamente ragione.
Quante cose sono accennate, per esempio in questo libro è nettamente
presente Wittgenstein. È nettamente presente un certo modo di
leggere Hegel, Kant, mediato dalla tradizione empiristica che è di
grandissimo interesse. Proprio contro quella compresenza della falsa
sinistra, o della sinistra chiusa nel dogma. È presente Wittgenstein
in Eagleton. Io non sono antropologo quindi non so fare il paragone
che faceva Colajanni, ma certo che questa enfasi sull’
“immaginiamo”, io la leggo come un diretto chiamare in causa
Wittgenstein appunto, ed è - mi soffermo su questo per un motivo,
non sto facendo arena accademica -, wittegensteiniano il fatto anche
che questo sottolineare i momenti immaginativi “immaginiamo che …”,
non ha nulla a che fare con il post-moderno. Questo “immaginiamo
che …”, serve poi a tornare nella realtà per capirla meglio, e
Wittgenstein lo sottolinea molte volte. I giochi linguistici che io
immagino, invento, hanno la funzione di farmi capire meglio il gioco
linguistico reale, della lingua che effettivamente parliamo. Questo
non è post-moderno. Questo è un uso dell'immaginazione per
allargare gli strumenti di cui posso disporre per capire ciò che
c'è. [...]
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