mercoledì 28 aprile 2021

Il significato dell’uomo in Marx e in Husserl - Enzo Paci

Da: http://www.rifondazione.it/formazione - Enzo Paci è stato un filosofo e accademico italiano, tra i più espressivi rappresentanti della fenomenologia e dell'esistenzialismo in Italia.

Vedi anche: "Husserl e la Lebenswelt" - Carlo Sini

"Fenomenologia ed esistenzialismo - Husserl"- Paolo Vinci

Stefano Bancalari - Edmund Husserl, "La crisi delle scienze europee" https://www.youtube.com/watch?v=226l_CRUMrM

"La frattura fenomenologica e la nuova antropologia"- Aldo Masullo


Si sa che uno dei temi fondamentali del marxismo è la lotta contro la riduzione della forza lavoro a merce. Questa lotta è anche lotta contro la divisione del lavoro feticizzata.1 «La forma capitalistica della produzione» scrive Marx nel primo volume del Capitale «è diametralmente antitetica a quei fermenti di rivoluzione di cui la meta è l’abolizione della vecchia divisione del lavoro.»2

Il lavoro nella società capitalistica – secondo l’espressione di Engels – riduce l’uomo a un accessorio della macchina. L’uomo è costretto a essere «uomo parziale» mentre il comunismo vuol realizzare per l’uomo la possibilità di diventare «un individuo totalmente sviluppato». Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx aveva già chiarito molto bene questo punto. Il capitalismo costringe il lavoratore, che è un uomo concreto, che non è uomo soltanto nel tempo del lavoro, ma in tutte le ore della sua vita, e resta uomo concreto anche quando lavora, a vivere come se fosse un lavoratore astratto. L’economia capitalistica ha bisogno di considerare l’uomo come un’astrazione.

Ma l’economia non è per Marx una scienza indipendente dallo sviluppo storico della società. Perciò quello che avviene in una società data non è qualcosa di definitivo e di scientificamente necessario. In una situazione storica diversa, mutando l’organizzazione della società e costituendosi una società nella quale il lavoratore non è più contrapposto alla società stessa – nella quale dunque società e individui sono veramente integrati – mutano, insieme alla società, anche le leggi dell’economia. 

È per questo che Marx ha intrapreso il suo lavoro di critica dell’economia politica: per far vedere che dietro le pretese leggi eterne dell’economia capitalistica si nascondeva la struttura della società borghese. 

Tutti noi sappiamo che il sottotitolo del Capitale è Critica dell’economia politica.

Questa critica è necessaria, e sempre di nuovo necessaria alla praxis, al movimento di emancipazione del proletariato, di tutte le società umane che in modi e gradi diversi sono asservite al capitale. In queste società gli uomini non sono uomini concreti, non possono realizzare se stessi come uomini concreti.

In ciò che abbiamo detto è per noi molto importante che il comunismo si riveli come una collettività di uomini concreti, di uomini che cercano il completo sviluppo di sé in una società che tende a realizzare la propria umanità. Ed è molto importante che ciò possa avvenire per mezzo di una praxis che, fin dall’inizio, è guidata dalla critica all’economia politica, e cioè dalla critica al modo con il quale il capitalismo concepisce l’economia e si serve di essa come scienza. 

Possiamo dire che Marx quando critica la concezione capitalistica della scienza economica, critica un cattivo uso della scienza e una scienza che non riconosce di essere determinata dalla situazione storica e dalla realtà. Da questo punto di vista, una scienza così concepita è astratta.

Questa astrazione, si è visto, è necessaria al capitalismo. Il capitalismo, attraverso il cattivo uso della scienza, trasforma il concreto in astratto, e considera poi concreta l’astrazione, mentre nasconde, con la sua ideologia, questa trasformazione. Di fatto questa trasformazione è trasformazione dell’uomo reale in lavoratore astratto, in uomo parziale

L’operaio deve veramente vivere nella società capitalistica così come l’economia politica capitalistica lo concepisce. Deve vivere non come uomo totale, ma come uomo parziale e sfruttato, come uomo ridotto a cosa, a Ding. Da ciò uno degli aspetti fondamentali dell’alienazione e cioè la riduzione dell’uomo a cosa (Verdinglichung). 

L’uomo lavora la materia, ma la materia lavorata, in quanto entra nello scambio delle merci, toglie all’operaio il valore del suo lavoro a causa del processo di valorizzazione del capitale. Il lavoro prodotto dall’operaio, il lavoro al quale il valore è dato soltanto dal lavoro dell’operaio, si rivolta così contro l’operaio.

Dunque il lavoratore, a causa della valorizzazione del capitale, viene considerato, in ultima analisi, come una merce. La scienza economica usata dal capitalismo nasconde accuratamente questo processo che è poi il processo di feticizzazione delle merci. 

Ciò che continuamente Marx fa osservare è che la critica dell’economia ha il compito di scoprire ciò che si nasconde dietro il carattere enigmatico della feticizzazione delle merci.

L’economia borghese non è una scienza disinteressata: essa costringe la società alla feticizzazione. Perciò Marx comincia la sua analisi con lo studio dei due fattori che caratterizzano le merci: il valore d’uso e il valore di scambio. Il valore di scambio, egli dice, è «la forma fenomenica del valore». Il valore è tale, in generale, soltanto perché in esso «viene oggettivato, o materializzato, lavoro astrattamente umano».3 I valori delle merci «sono cristalli di lavoro umano, cristalli di sostanza sociale».4

Questa cristallizzazione ignora gli individui concreti, e quindi non rende possibile una società concreta. Le categorie astratte della scienza economica, il cattivo uso di tale scienza, fanno sì che il valore del lavoro sia nascosto dalla merce. Per questa ragione è molto difficile analizzare la merce. «Una merce sembra, a prima vista, qualcosa di triviale che si spiega da sé [...]. Al contrario è una cosa molto complessa.»5

Per spiegare questa complessità Marx fa vedere che il rapporto tra le merci, in quanto valori, non deve essere inteso come il rapporto tra due cose fisiche. «L’impressione luminosa di un oggetto sul nervo ottico» egli scrive «non si presenta come una eccitazione soggettiva del nervo stesso, ma come la forma sensibile di qualcosa che eccita dall’esterno l’oggetto. Bisogna aggiungere che nell’atto della visione la luce è realmente proiettata da un oggetto esterno su un altro oggetto, l’occhio; è un rapporto fisico tra due cose fisiche. Ma la forma valore e il rapporto di valore dei prodotti del lavoro non hanno assolutamente nulla a che fare con la loro natura fisica. È soltanto un rapporto sociale determinato dagli uomini fra loro che riveste qui per essi la forma di un rapporto di cose fra loro.»6

Il feticismo, in un rapporto sociale determinato, che è quello capitalistico, trasforma dunque in rapporti fisici tra cose fisiche i rapporti sociali che non sono più rapporti tra lavoratori che creano il valore del lavoro, ma diventano rapporti tra cose della natura fisica. Questi rapporti, così concepiti, Marx li dice fantastici, perché, come si è visto, «non hanno assolutamente nulla a che fare con la loro natura fisica». 

Naturalmente questo non vuol dire che l’uomo reale e concreto non lavori oggetti materiali naturali, ma vuol dire che non si devono ridurre a rapporti naturali o trasformare in rapporti naturali i rapporti sociali. In questo senso Marx è contro la naturalizzazione dei rapporti sociali, del lavoro prodotto dall’uomo concreto e sociale, dal lavoratore vivo. 

La naturalizzazione è la trasformazione del lavoro vivente in lavoro morto: questa trasformazione è caratteristica del capitalismo. Il capitale infatti è morto mentre solo il lavoro che produce il valore è vivo. Così il capitalismo costringe il produttore del valore, l’operaio, a vivere come morto, e il colonialismo, per esempio, costringe il colonizzato a vivere quel tanto che basta per essere sfruttato, con la tentazione ricorrente di distruggerlo. Se lo fa non può però sfruttarlo. È visibile in ciò la contraddizione massima del capitalismo. 

Marx chiarisce ancora la sua analisi quando spiega che la cristallizzazione del lavoro in merce è naturalismo astratto in quanto ignora la storia, in quanto non si rende conto che i rapporti sociali sono rapporti storici.

I rapporti naturalizzati dal cattivo uso dell’economia sono rapporti storici. Le categorie dell’economia sono fondate sulla storia reale, ed è questo che il capitalismo non vuol riconoscere. 

Le categorie così concepite, al di fuori del loro fondamento – fondamento nel quale vivono nel mondo e nella natura gli uomini concreti, anche gli uomini concreti che sono costretti a vivere come astratti e morti – sono categorie astratte dell’intelletto. Tuttavia queste categorie astratte riflettono una società obiettiva.

Ciò avviene perché nella società borghese le categorie astratte funzionano come concrete, e cioè perché nella società borghese il lavoratore vive veramente come un’astrazione e i rapporti tra i lavoratori sono rapporti concepiti come rapporti della natura fisica. «Le categorie dell’economia politica borghese sono delle forme dell’intelletto che hanno una verità oggettiva in quanto esse riflettono dei rapporti sociali reali, ma questi rapporti non appartengono che a questa epoca storica determinata, dove la produzione delle merci è il modo della produzione sociale»,7 caratterizzato dalla feticizzazione.

Dunque è caratteristico del modo di produzione della società capitalistica che in esso le categorie astratte diventino concrete perché tale società è organizzata secondo categorie astratte che sono diventate obiettive e, nel medesimo tempo, secondo rapporti sociali che sono concepiti come rapporti tra cose fisiche. Abbiamo qui un’astrazione e una fisicizzazione, o naturalizzazione, e queste sono legate al fatto che la società capitalistica non vuol riconoscere che anche l’astrazione e la fisicizzazione sono fondate sulla storia reale, su un periodo storico che deve essere trasformato.

In questo modo le categorie usate dall’economia sono opposte al movimento, alla dinamica della trasformazione. Esse riflettono una società obiettiva, quella borghese, ma questa società è su una cattiva via. Come l’uso borghese della scienza è sulla falsa via della scienza, così la praxis del proletariato, opponendosi alla scienza borghese, sarà sulla via vera della scienza e, nello stesso tempo, proprio per questo, potrà costituire una società, non solamente fondata, ma fondata su una storia che non è su una cattiva via. C’è qui una lotta della buona via contro la cattiva via e cioè si rivela uno degli aspetti della dialettica. La storia cattiva è quella costituita dalla lotta di classe; quella buona è quella che, combattendo la lotta di classe, instaurerà una società senza classi. L’attore reale, orientato secondo la buona via della scienza, e che trasforma la società e la storia, è il proletariato.

Comprendiamo allora perché il marxismo non soltanto è una critica della scienza male usata ma è anche una scienza fondata nel suo uso ed è tale in quanto distrugge sia le categorie astratte sia la società che in quelle categorie si riflette. In altre parole ci sembra di comprendere bene, da questo punto di vista, in che senso, tutto particolare, il marxismo è scientifico e perché esso è una scienza della storia e un’azione nella storia.

L’analisi scientifica del marxismo è un’analisi che segue il corso reale delle cose e la buona via della storia. L’uso cattivo delle categoria dell’economia è astratto in quanto è il contrario dello svolgimento reale e del senso di verità di tale svolgimento. Dunque anche la società capitalistica che si riflette nel falso uso dell’economia è il contrario della società reale. È una società capovolta, nella quale l’astratto è concreto e il concreto è astratto, nella quale la natura fisica diventa rapporto sociale e il rapporto sociale diventa natura fisica. Il marxismo, rovesciando il rovesciamento del reale che caratterizza la società capitalistica, e cioè negando la negazione, fonda, nel medesimo tempo, la scienza e la società secondo un significato di verità.

Leggiamo ora Marx: «La riflessione sulle forme della vita sociale e, di conseguenza, la loro analisi scientifica, segue una via completamente opposta al movimento reale. Essa comincia, da principio, con dei dati già completamente stabiliti, con il risultato dello sviluppo delle forme che imprimono al prodotto del lavoro il suggello delle merci e che, di conseguenza, presiedono già alla loro circolazione e possiedono anche la fissità di forme naturali della vita sociale, prima che gli uomini cerchino di rendersi conto, non del carattere storico di queste forme, che loro appare piuttosto immobile, ma del loro senso».8

Poiché l’analisi scientifica deve analizzare la società capitalistica, comincia dai dati di questa società e perciò è costretta, dato che la società capitalistica è rovesciata, a seguire il movimento opposto a quello reale.Ma l’analisi scientifica è vera se si rende conto di questa astrazione a cui è costretta. Risale quindi dai dati e dalle merci, già fissate nella circolazione, alla loro origine. Scopre le contraddizioni della società capitalistica perché scopre che l’uso capitalistico della scienza, non rendendosi conto che riflette un movimento rovesciato, è un uso sbagliato. È molto importante comprendere questo punto perché esso spiega l’uso che fa Marx dell’astrazione nel Capitale

Marx si muove dall’astratto verso il concreto. Comincia con l’analisi dell’astratto che funziona come concreto e scopre che questa contraddizione si trasforma in una praxis per la costituzione di una società libera dall’astrazione feticizzata.

Nella società capitalistica le cose reali appaiono come quello che non sono, in quanto l’operaio è sempre uomo concreto, anche se viene costretto a vivere come uomo astratto a causa dell’astrazione che funziona come concreta; appaiono come quello che sono, perché l’operaio è costretto a vivere veramente come un’astrazione. 

In altre parole i rapporti capitalistici, dice Marx, sono rapporti naturali tra persone e rapporti sociali tra cose: di conseguenza appaiono così9 e nascondono l’uomo parziale, presentandolo come totale. 

Reale è qui ciò che non è vero. La realtà capitalistica è contraddittoria perché non è la vera realtà. Il prendere coscienza di questa situazione guida la praxis che ha per compito di costituire una realtà secondo il senso della verità.

Il marxismo, in quanto vuol instaurare una società concreta di uomini che possano sviluppare completamente se stessi, è la vera difesa delle concrete persone umane, della loro realtà e della loro verità. La società che il marxismo vuol fondare è la società degli uomini vivi e veri e cioè del lavoro vivente.

Il capitale non deve porsi in un rapporto contrario alla realtà e alla verità. La stessa cosa si deve dire della terra, come Marx dimostra nell’analisi della rendita fondiaria. Nell’inversione del rapporto i prodotti dominano i produttori e i produttori, così, da vivi diventano morti. Perciò Marx dice che per il capitalismo i soggetti individuali sono sempre sottintesi e mai riconosciuti. Il capitalismo finisce per negare l’individuo concreto e la sua stessa esistenza. 

Marx scrive: «La forza lavoro esiste soltanto come attitudine naturale dell’individuo vivente, quindi la produzione di essa presuppone l’esistenza dell’individuo».10 Il capitalismo nega l’esistenza dell’individuo concreto e finisce per negare l’esistenza del mondo. Volendo nascondere la vita concreta e il significato dell’uomo, finisce per perdere e distruggere la realtà. 

Ora, dice Marx nel terzo volume del Capitale, la vera scienza deve ricondurre l’apparenza alla realtà, deve fare in modo che si riveli la situazione reale. Deve prendere coscienza che la situazione capitalistica è falsa e si pone contro il processo della realtà, contro la vera direzione, il vero fine del processo storico, contro il significato di verità della storia. L’importante è che ciò che appare, che ciò che diventa fenomeno, siano le cose stesse e non le astrazioni. E ancora più importante è che gli uomini diventino se stessi, possano sviluppare se stessi diventando veri uomini. 

Possiamo comprendere allora anche il compito della fenomenologia che vuol tornare alle cose stesse è fare in modo che esse si rivelino perché sia possibile all’uomo il movimento verso il proprio telos.

L’analisi prospettata è, per molti lati, di tipo fenomenologico. Possiamo ora vedere, in limiti circoscritti, come si può considerare Husserl tenendo presente Marx.

Nella Crisi delle scienze europee Husserl conduce la fenomenologia alle sue estreme conseguenze. Le scienze – egli dice – sono sempre in progresso e in questo primo senso non sono in crisi. Ma in un secondo senso, in quanto hanno perduto la loro funzione per la società e per l’uomo, esse sono in crisi. Noi possiamo dire, dopo la nostra breve analisi del Capitale, che la crisi delle scienze è causata dal cattivo uso della scienza nella società capitalistica. 

Per Husserl le scienze hanno perduto il significato della verità, della loro vera funzione nella storia, e quindi del loro compito – il che egli dice affermando che le scienze hanno perduto l’intenzionalità. Spiega poi che le scienze sono in crisi perché si servono di categorie astratte e perché hanno dimenticato che le categorie sono fondate in un mondo precategoriale storico e reale, nel mondo che precede l’elaborazione delle categorie scientifiche. In questo mondo l’uomo vive non come soggetto astratto ma come soggetto concreto; non come soggetto parziale, ma come soggetto in tutte le sue funzioni reali. Perciò come Marx critica la concezione capitalistica del lavoratore astratto, così Husserl critica lo scienziato astratto e le scienze che non sono fondate in un mondo precategoriale, in quel mondo che Husserl chiama Lebenswelt

La fenomenologia vuol ritornare ai soggetti concreti e alle operazioni concrete dei soggetti nel mondo che fondano le categorie della scienza. Le scienze sono in crisi perché hanno dimenticato la genesi storica e reale delle loro categorie.

Nel pensiero di Husserl ci sono due momenti strettamente uniti: il primo è il ritorno al soggetto concreto, il secondo è il ritorno alla Lebenswelt. I soggetti vivono infatti nella Lebenswelt e sono incarnati nel loro corpo proprio, nel mondo che li circonda, nella Umwelt. Già in Ideen II Husserl analizza l’uomo partendo dal suo fondamento materiale per poi arrivare a quello che Hegel chiamava lo spirito oggettivo e cioè al mondo storico-sociale.

Nella Crisi delle scienze europee troviamo un’importante critica a Kant. Kant, dice Husserl, non ha capito che c’è un mondo reale già da sempre dato (vorgegebene Welt) prima delle categorie. Questo mondo precategoriale è per Husserl soprattutto temporale e quindi storico. Il fatto che sia temporale è molto importante. Infatti i soggetti concreti vivono nel presente. Ma nel presente scoprono il passato e con una complessa costituzione lo determinano come passato storico. Nelle sue analisi sul tempo e in alcuni manoscritti del gruppo A e del gruppo E sulla costituzione dell’altro e dell’intersoggettività, Husserl fa vedere, come i soggetti, che vivono nel presente, scoprono il mondo che li precedeva e senza il quale non potrebbero esistere. Questo mondo è anche quello della natura così com’era prima dell’apparizione dell’uomo. 

Husserl ci fa vedere come l’uomo scopre il mondo di una natura nella quale egli ancora non esisteva, come egli sostituisce come reale tale mondo e lo rende a sé presente attraverso i documenti e le tracce della storia della natura che egli può ricostruire così come, attraverso i documenti storici, scopre le azioni e la vita degli uomini che sono già vissuti.

Nelle Beilagen della Crisi Husserl insiste sulla storia, e già molto tempo prima aveva dimostrato che la fenomenologia non è soltanto statica ma genetica e che il suo vero metodo è quello genetico-storico. È il metodo con il quale, per esempio, Husserl analizza, nella seconda parte della Crisi, l’origine della geometria e della scienza fisica della natura nell’opera di Galileo.

Inoltre Husserl critica Kant perché il soggetto trascendentale di cui Kant parla è mitologico. Il vero soggetto è quello concreto che vive nel mondo con gli altri soggetti concreti: è un soggetto in prima persona, con un Leib, un corpo vivente. Questo soggetto è quello stesso che, in Marx, lavorando e operando, crea il valore. E, infine, è in questo soggetto che l’occhio di cui si parlava nell’esempio di Marx non è una cosa, ma appartiene al corpo di tutto l’uomo, al lavoratore concreto.

Come Marx rivela la realtà del lavoro vivente, così Husserl rivela la realtà del soggetto vivente e di tutte le sue operazioni. Il cattivo uso della scienza non capisce che tutte le operazioni scientifiche, come le operazioni del lavoratore di Marx, sono operazioni del soggetto concreto. 

Le scienze sono in crisi perché fanno diventare oggetti quelli che sono soggetti o, nel linguaggio di Marx, perché fanno diventare rapporti tra cose i rapporti sociali tra le persone. Le scienze mal usate vedono soltanto i risultati astratti delle vere operazioni e non gli uomini. Per questa ragione, nella seconda parte della Crisi, Husserl esamina il contrasto tra il soggettivismo, inteso nel senso indicato, e l’obiettivismo. 

Egli critica l’obiettivazione, che si deve intendere come l’alienazione di Marx. Critica l’obiettivazione perché non fonda le categorie nel mondo reale e precategoriale e perché impedisce la scoperta della fondazione delle scienze e della loro verità. La fenomenologia è trascendentale, nel senso di Husserl, in quanto pone alla base delle scienze i soggetti concreti e in quanto questi sono sempre nella vorgegebene Welt.

Al limite Husserl pensa che una società vera è una società nella quale nessun uomo è oggetto, o cosa, ma nella quale tutti sono soggetti. Per lui l’idea di questa società è il telos della storia e solo questa società dà un significato alla vita di tutti gli uomini ed è la verità stessa del movimento storico reale.

Abbiamo visto che Marx parte dai dati stabiliti ma che non si ferma a essi in quanto non vuol giudicare una società secondo quello che la società dice di se stessa e cioè secondo la sua ideologia. Una funzione analoga ha in Husserl la sospensione del giudizio o l’epoché

Marx dice che le forme sociali si presentano a noi nella fissità di forme naturali e abbiamo visto che critica la fisicizzazione e la naturalizzazione. Husserl critica il naturalismo e lo critica perché non rende possibile un rapporto autentico tra i soggetti, un autentico rapporto sociale.

Se il rapporto sociale non è possibile come rapporto tra soggetti viventi è perché cade nell’obiettivazione e nell’alienazione. Per questa ragione Marx diceva che i rapporti sociali «non hanno assolutamente nulla a che fare con la natura fisica».

È importante capire che per Husserl la fenomenologia è trascendentale in quanto è fondata sull’uomo concreto. Anche la fondazione trascendentale della logica formale è l’analisi di come i soggetti operano per costituire la logica formale stessa. Le operazioni sono sempre compiute nel mondo reale e cioè nel mondo già dato. 

La fenomenologia è una scienza del mondo reale e del significato di verità del mondo reale. Nello stesso senso si può dire che il marxismo è una scienza della realtà e della trasformazione della realtà.

Nella seconda sezione della terza parte della Crisi Husserl analizza il rapporto tra la psicologia e la fenomenologia. Egli critica la psicologia per la stessa ragione per cui critica l’obiettivazione, la feticizzazione, l’alienazione. Secondo Husserl la psicologia ha dimenticato l’uomo, il soggetto concreto e integrale nel quale ha la sua radice tutta la vita psicologica.

La psicologia criticata da Husserl cade nella fisicizzazione oppure riduce l’uomo soltanto a una parte di se stesso, a uomo parziale, perché non si accorge che non è accettabile il dualismo cartesiano tra res cogitansres extensa.

Husserl ha esposto per la prima volta le idee che doveva sviluppare nella Crisi in tre conferenze tenute qui a Praga nel novembre del 1935.

Lo sviluppo di queste conferenze, che oggi costituiscono la prima e la seconda parte della Crisi, è stato fissato da Husserl in due saggi pubblicati nel primo numero della rivista Philosophia uscita a Belgrado nel 1936 e diretta dal professor Arthur Liebert. 

Husserl ha lavorato alla Crisi fino all’agosto del 1937, fino a quando cioè glielo ha permesso la malattia che lo ha poi condotto alla morte,

L’ultima parte della Crisi doveva studiare il rapporto tra tutte le scienze. Doveva cioè fondare le scienze sulla scienza del mondo concreto, sulla scienza della Lebenswelt, scienza che è poi la stessa fenomenologia. 

Husserl non ha finito questa parte della Crisi, anche se ci ha lasciato molti manoscritti su questo argomento catalogati con la lettera K.

Il compito di Husserl è rimasto interrotto. D’altra parte egli ha posto il problema di tutte le scienze, ma non si è posto il problema dell’economia, il problema che è al centro delle analisi di Marx in quanto il Capitale è una critica dell’economia. La critica dell’economia può farci vedere sotto una nuova luce il compito che Husserl si era posto con la critica di tutte le scienze e la ricerca del loro fondamento. 

Le scienze devono scoprire la propria funzione e la propria verità. Tutte devono essere articolate secondo il loro compito intenzionale. Ciò vuol dire che tutte vanno ricondotte alla realtà dell’uomo e al significato della storia dell’uomo, a quello che Husserl indica come il significato intenzionale della storia. 

Per Marx la feticizzazione delle merci è un enigma. Husserl dice che è un enigma l’obiettivazione e la crisi delle scienze.

Nelle scienze gli atti utili sono diventati dannosi. La fenomenologia come filosofia deve restituire alle scienze la loro funzione sociale e umana.

La fenomenologia non è una filosofia nel senso tradizionale. È una filosofia che non deve liberare soltanto il filosofo ma tutta l’umanità e come tale diventa praxis.12 Non è dunque una astratta filosofia ma una filosofia che trasforma la realtà. Husserl dice che deve riplasmare gli uomini e il loro mondo circostante e, con precisione, scrive che deve trasformare «l’esistenza politica e sociale dell’umanità».13

La crisi delle scienze, e Husserl insiste su questo fatto, non è soltanto una crisi della conoscenza, ma una crisi dell’esistenza dell’uomo. Per questa ragione la storia della filosofia moderna deve diventare una lotta, una lotta per il significato dell’uomo. Questa lotta è anche una lotta contro lo scetticismo e l’irrazionalismo.

Quando l’uomo prende coscienza che la causa della crisi delle scienze è l’obiettivazione, prende anche coscienza della funzione razionale delle scienze. Scopre la propria natura razionale e comprende che bisogna realizzare nella storia una società razionale.

La presa di coscienza rivela ciò che è nascosto, il significato di verità del processo storico. Per l’umanità la presa di coscienza dell’obiettivazione è una comprensione radicale del proprio compito e del proprio telos.

È la lotta per una umanità autentica. Scrive Husserl: «L’umanità in generale è per essenza un essere uomini entro organismi umani generativamente e socialmente connessi, e se l’uomo è un essere razionale, lo è soltanto se tutta la sua umanità è un’umanità razionale».14


Note

1 Questo scritto è il testo italiano di una conferenza tenuta all’Accademia filosofica di

Praga il 24 ottobre 1962.

2 Karl Marx, Il Capitale, Rinascita, Roma 1956, I, 2, p. 201.

3 Ivi, I, 1, p. 51.

4 Ivi, p. 50.

5 Ivi, p. 84.

6 Ivi, p. 86.

7 Ivi, p. 89.

8 Ibidem. Trad. leggermente modificata.

9 Ivi, 1, p. 86.

10 Ivi, p. 187.

11 Ivi, III, 3, p. 228.

12 Edmund Husserl, Crisi delle scienze europee, il Saggiatore, Milano 1961, p. 37.

13 Ibidem.

14 Ivi, p. 44.



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