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A contrasto con lo stato di “pace” relativa della “Belle Epoque” – dopo il 1870 – si levarono numerose voci che reclamavano la guerra, il “ritorno del cannone”. In particolare in Italia, oltre ai futuristi e a D’Annunzio, fu un pugno di letterati che nel 1910, riuniti nell’Associazione Nazionalista, iniziarono la campagna per andare in Libia, e quindi si scatenarono nella propaganda per l’intervento nella Grande guerra, iniziata nell’estate 1914 e in cui infine le autorità italiane decisero di portare il Paese nel maggio del ’15. Quella scelta, in contrasto con il sentire diffuso della popolazione, costò 600 mila morti. La diffusione di una ideologia bellicistica, ad opera degli intellettuali, ottenne il triste trionfo.
“Ci voleva, alla fine un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di ottobre. È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria.” (Giovanni Papini, Amiamo la guerra!, in “Lacerba”, 1914)
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