La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
"Io credo che il vero scopritore del metodo scientifico non sia stato Galileo, ma la Filosofia greca, poiché è stata la prima a parlare di "intelligibilità dell'Universo", senza la quale sarebbe inutile qualunque forma di studio della Fisica. Galileo ha reso più sofisticato e moderno il metodo sperimentale, ma la Filosofia greca lo ha reso possibile. Trovo che Aristotele dovrebbe in effetti essere molto più apprezzato. Spesso la sua Fisica viene liquidata come "un cumulo di sciocchezze", mentre un cumulo di sciocchezze le dice chi perpetra questa liquidazione. Ad es., vero è che Aristotele dice che l'aria non pesa, ma lo dice dopo aver fatto l'esperimento. Aristotele difetta non nell'effettuazione dell'esperimento, ma nell'interpretazione del medesimo. Ho apprezzato sopratutto l'ultima parte del video, in cui si dice che la "matematizzazione" dell'Universo non è dimostrabile: spero che la gente si convinca sempre di più che, in sostanza, l'attività scientifica si basa sui dei veri e propri ATTI DI FEDE.
Piccoli appunti:
a) Il cosiddetto PRINCIPIO D'INERZIA non è un Principio, ma un teorema del Principio fondamentale;
b) Dal punto di vista fisico è più corretto dire ma = f, anziché il contrario, perché nelle leggi fisiche la causa si mette sempre al 2° membro, e la Fisica DEVE distinguere fra causa e effetto, la Matematica no.
c) Il Principio d'inerzia è comunque stato formulato per la prima volta né da Aristotele, né da Newton, ma da Democrito, le cui dottrine purtroppo sono state imbastardite da Epicuro prima, e da Lucrezio poi, come nota Enriques nella sua bellissima Storia del pensiero scientifico."
Il filosofo Gabriele Giannantoni, già professore dell’Università Sapienza di Roma, ci introduce al pensiero di Socrate (Atene, 470 a.C./469 a.C.– Atene, 399 a.C.), uno dei più grandi filosofi dell’antichità che ha influenzato tante correnti del pensiero filosofico moderno e contemporaneo.
"Se A si predica di tutti i B, e B si predica di tutti i C, allora A si predica di tutti i C."
"se P ha M, e M ha S, allora P ha S."
Qui di seguito, la trascrizione dell’intervista al professor Giannatoni.
Secondo una celebre frase di Kant, la logica dopo Aristotele non ha dovuto fare nessun passo indietro e non ha potuto fare nessun passo avanti. La logica dunque nasce con Aristotele e con lui raggiunge la sua massima perfezione?
Se dovessimo fare una storia della logica antica fondandoci sul termine “logica”, dovremmo escluderne Aristotele, perché egli non usa mai questo termine, che entra nel linguaggio filosofico probabilmente con gli Stoici. Aristotele chiama l’insieme delle sue ricerche sull’argomentazione e sulla predicazione con il nome di “analitica”, intendendo con questo termine il procedimento di analisi, cioè di risoluzione di una proposizione nei suoi elementi componenti e nelle premesse da cui essa scaturisce. Ciò non di meno l’Analitica di Aristotele non soltanto fa parte della storia della logica, ma è certamente la massima espressione delle ricerche su questo tema nell’antichità. Aristotele ha consegnato queste riflessioni a molte opere, che sono state complessivamente indicate con il titolo di Organon, cioè strumento. Questo titolo non è di Aristotele, ma dei suoi editori successivi, i quali volevano così indicare il carattere strumentale di queste ricerche, nel senso che la ricerca dell’argomentazione corretta è preliminare, strumentale, per tutte le scienze, così che queste possano basarsi su ragionamenti formalmente validi. La massima espressione dell’analitica aristotelica è costituita dalla dottrina dei sillogismi, cioè dagli Analitici primi e dagli Analitici secondi, le due grandi opere in cui Aristotele espone sia la teoria del sillogismo in generale, sia, più specificamente, quella del sillogismo scientifico. Ma fanno a pieno titolo parte di questo gruppo di opere aristoteliche anche i Topica, cioè la raccolta dei tópoi, ossia dei “luoghi comuni” intesi come argomentazioni dialettiche, gli Elenchi sofistici, cioè la serie di confutazioni di argomenti particolarmente in voga tra i sofisti, e soprattutto i due trattati che recano come titolo Categorie e De Interpretatione. Nel primo Aristotele esamina il valore e il senso dei termini detti fuori di ogni connessione – per esempio i nomi e i verbi staccati gli uni dagli altri; nel secondo elabora la teoria generale della proposizione come connessione di un soggetto e di un predicato. Questo è il corpus delle opere che noi giustamente definiamo logiche, e in cui per lungo tempo nella storia del pensiero è stata vista la realizzazione massima della riflessione umana in questo campo. L’affermazione di Kant, non può però essere considerata storicamente esatta: per citare un esempio, le ricerche più recenti hanno attribuito grande valore anche alla logica stoica. Tuttavia, il giudizio kantiano esprime bene il punto di vista del razionalismo settecentesco, che considerava ancora la logica di Aristotele come il culmine non più perfezionabile di questa disciplina filosofica.
Quali sono i nuclei storicamente più importanti della logica aristotelica? È corretto attribuire ad Aristotele la scoperta delle più generali e fondamentali leggi del pensiero, i princìpi logici?
Indubbiamente c’è molta parte di verità in quest’affermazione, anche se (e questo è significativo per intendere la genesi e la storia dei problemi logici) Aristotele parla dei princìpi logici non tanto in un’opera logica, ma nel IV Libro della Metafisica. In ogni caso, la teoria dei princìpi logici è certamente uno dei nuclei storicamente più importanti della logica aristotelica. Nel De Interpretatione il filosofo di Stagira indaga a lungo i rapporti che esistono tra proposizioni composte dallo stesso soggetto e dallo stesso predicato. Posso dire, ad esempio, formando proposizioni con i termini “uomo” e “filosofo”: “tutti gli uomini sono filosofi”: si tratta di un giudizio universale affermativo; “qualche uomo è filosofo”, ed è un giudizio particolare affermativo; “nessun uomo è filosofo”, ed è un giudizio universale negativo; e infine “qualche uomo non è filosofo”, ed è un giudizio particolare negativo.
Da: https://www.doppiozero.com - Marco Revelli è un politologo, attivista politico, giornalista e saggista italiano. - Enzo Traverso è uno storico e intellettuale tra i più autorevoli, con un profilo internazionale di alto rilievo. Ha insegnato in Francia, dove si è trasferito dal 1985, a Paris VIII, all’Ecole des hautes études en Sciences sociales, come full professor all’Université de Picardie e infine negli Stati Uniti, alla prestigiosa Cornell University.
Enzo Traverso è uno storico e intellettuale tra i più autorevoli, con un profilo internazionale di alto rilievo. Ha insegnato in Francia, dove si è trasferito dal 1985, a Paris VIII, all’Ecole des hautes études en Sciences sociales, come full professor all’Université de Picardie e infine negli Stati Uniti, alla prestigiosa Cornell University. Nella sua ampia bibliografia (una quindicina di testi, in gran parte pubblicati in francese e in inglese, oltre che in italiano) figurano i grandi temi della violenza nel XX secolo (in particolare il fondamentale testo su La violenza nazista. Una genealogia, del 2002); della cultura ebraica nella diaspora e del suo ruolo nell’autocoscienza della modernità; del senso e del significato di Auschwitz e della Shoah nella vicenda intellettuale postbellica. È uno dei quattro curatori, insieme a Marina Cattaruzza, Marcello Flores e Simon Levis Sullam, della monumentale Storia della Shoah pubblicata dalla UTET nel 2019. Ha dunque le carte perfettamente in regola per affrontare l’impervio tema cui è dedicato questo suo ultimo lacerante testo.
Gaza davanti alla storia non è un libro di storia, per il banale fatto che – l’autore lo dichiara fin dall’incipit – si occupa di un’attualità tuttora in corso. È piuttosto un libro sul presente visto alla luce della storia. Un’operazione in esplicita controtendenza, e quindi in sé coraggiosa, in tempi in cui il vezzo prevalente, e non privo di malizia, è la de-storicizzazione sistematica di ciò che accade, con una visione puntiforme degli eventi – siano essi il 24 febbraio per l’Ucraina, il 7 ottobre per Israele, o prima ancora l’11 settembre per gli Stati Uniti –, quasi che l’orrore scaturisca dall’istante, da una qualche “perversione morale”, senza nulla alle radici, né sul piano evenemenziale né su quello culturale. E come se i dispositivi argomentativi a vantaggio dei “nostri” e viceversa a condanna degli “altri” fossero innocenti nel loro carattere inedito e non invece riproposizioni di consolidati e già condannati stereotipi valoriali. Qui invece, al contrario, ogni fatto – e si tratta soprattutto di fatti violenti, della violenza estrema con cui la guerra identitaria contemporanea si esprime –, e soprattutto ogni “discorso”, è visto sullo sfondo di ciò che si è compiuto e pensato “prima”, nel processo temporale lungo il quale i protagonisti in conflitto si sono formati e hanno elaborato (e insieme trasfigurato e/o snaturato) le proprie rispettive identità e pratiche.