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domenica 5 giugno 2022

RICORDO DI ALESSANDRO MAZZONE concetti hegeliani e materialismo storico - Roberto Fineschi, La Contrddizione

 Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzone, ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels. (Marx. Dialectical Studies). 

Leggi anche: Le classi nel mondo moderno* - Alessandro Mazzone

AUTOGOVERNO E TIRANNIDE*- Alessandro Mazzone

Classe lavoratrice, sindacato, storia del Movimento Operaio* - Alessandro Mazzone

Modo di produzione capitalistico*- Alessandro Mazzone

Classi e lotta di classe dopo la “crisi del marxismo”?* - Alessandro Mazzone

L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone

Il 1 giugno è stato il decennale della morte di Alessandro Mazzone, mio compianto maestro. Allego qui il link - https://ilconfrontodelleidee.blogspot.com - a un articoletto che scrissi a suo tempo sia sul rapporto intellettuale che si era creato in venti anni di frequentazione sia su alcuni aspetti salienti del suo contributo teorico (ci sono anche dei link ad altre pubblicazioni). In questo credo/spero di cogliere anche il sentimento comune dei “mazzoniani” di allora. 

Colgo l’occasione per pre-annunciare la nascita di un’associazione culturale - “Laboratorio critico” - che tra i suoi scopi si pone anche la valorizzazione del suo lascito teorico e librario. (R. F.)


Se consideriamo la società borghese nel suo complesso, compare come risultato ultimo del processo sociale di produzione, compare sempre la società stessa, cioè l’uomo nelle sue relazioni sociali.
Tutto quello che ha forma fissata, come prodotto ecc., compare come momento dileguante in questo moto.
Anche il processo di produzione immediato compare qui solo come momento.


[Karl Marx, Lineamenti, La vera comprensione del processo sociale di produzione] 


1. La mia frequentazione diretta con Alessandro Mazzone è durata quasi venti anni. Con lui ebbi la mia prima lezione universitaria nell’ottobre del 1992, un corso di Filosofia della storia, dove si leggeva la Filosofia del diritto di Hegel. Inutile negare che tutti noi studenti, per lo più al primo o al secondo anno, subimmo il fascino di un professore molto diverso dagli altri che avevamo o avremmo conosciuto. Eravamo probabilmente giovani ed ingenui, ma avevamo la chiara sensazione che, grazie a quelle lezioni, venivamo introdotti nel mondo rarefatto e sofisticato della vera filosofia, vale a dire del pensiero capace di pensare le cose. Non era come negli altri corsi, dove si faceva il conto dei libri per l’esame, tot pagine dal manuale, tot dal seminario, ecc.; delle fotocopie fatte in copisteria senza la bibliografia per risparmiare i soldi. Era una cosa molto diversa. La consapevolezza che stavamo vivendo un’esperienza per molti aspetti unica, ci spinse a tenere duro quando ci spaccavamo la testa sulle sottigliezze concettuali hegeliane; capivamo la differenze fra ripetere a pappagallo le formule trinitarie e comprendere la dialettica intrinseca delle cose nel loro svolgimento. Accettammo di studiare per un solo esame, quanto altri non studiavano nemmeno per la tesi. Si creò in questo modo la comunità dei “mazzoniani”, un gruppo di strani personaggi innamorati della filosofia marx-hegeliana e guidati da quella singolarissima figura che era Alessandro Mazzone. Difficile spiegare l’ef­fetto delle sue lezioni a chi non vi abbia assistito. Era forse la percezione della incredibile profondità del suo sapere ad impressionarci; come la capacità di leggere, parlare e scrivere in cinque o sei lingue (per noi che a stento parlavamo italiano). Ci sembrava, in poche parole, che il sapere stesse personificato di fronte a noi e che noi avessimo la grande occasione di parlare con lui guardandolo negli occhi. 

Con Mazzone abbiamo, tutti noi, imparato a studiare; abbiamo capito che senza una solida base non si ha la strumentazione per capire un bel niente; che educazione popolare non significa banalizzare le cose difficili, ma fornire i mezzi per capirle; le scorciatoie purtroppo non esistono. Così siamo cresciuti; abbiamo cercato di imparare le lingue, di leggere i classici, di pensare – pur con tutti i limiti personali – in grande. Questo è il grande insegnamento umano e di metodo che Alessandro Mazzone mi/ci ha dato. 

sabato 1 maggio 2021

Epidemie, storia, capitalismo. Passi indietro e passi avanti. - Roberto Fineschi

https://www.sinistrainrete.info - Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) -  Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels (Marx. Dialectical Studies). 


 1. Pare che le epidemie siano un qualcosa di tipicamente umano, un tutt’uno con la vita associata. Quando nell’antica Mesopotamia sono nate le prime civiltà si è creato il contesto ideale perché esse prosperassero e si diffondessero. La vita comune di ingenti masse di individui che mangiano, bevono, espletano le proprie necessità fisiologiche, producono nello stesso luogo creò presupposti mai esistiti in precedenza per cui condizioni igieniche estreme e contiguità massiccia favorirono malattie e contagi; a ciò va aggiunta la convivenza promiscua con animali di vario tipo dai quali e ai quali trasmettere germi, bacilli ed ogni altra forma di vita potenzialmente nociva. La domesticazione umana, animale e ambientale va all’unisono con infezioni e malattie. Si calcola che, anche al tasso naturale di crescita, la popolazione mondiale dal 10.000 a.C al 5.000 a.C avrebbe dovuto almeno raddoppiare, invece, alla fine del periodo, essa era aumentata di appena un 25%, passando da 4 a 5 milioni, nonostante condizioni che in teoria avrebbero dovuto implicare anche più di una duplicazione (rivoluzione neolitica). Nei cinquemila anni successivi aumentò invece di una ventina di volte. Si ipotizza che, proprio a causa di epidemie e di un plurimillenario processo di adattamento della specie alle nuove condizioni di vita, l’espansione della popolazione sia stata drasticamente rallentata. Epidemiologicamente, si trattò con tutta probabilità del periodo più mortifero della storia umana. Sembra che le popolazioni mesopotamiche avessero già l’idea del contagio per trasmissione e che adottassero misure analoghe a quella della quarantena. 

Con la vita urbana, l’aumento di densità abitativa fu dalle dieci alle venti volte superiore a quanto mai fosse stato sperimentato dall’homo sapiens. Le malattie storicamente nuove, conseguenza della nuova pratica sociale, furono: colera, vaiolo, orecchioni, morbillo, influenza, varicella e, forse, malaria. Sono tutte collegate all’urbanizzazione e all’agricoltura. Dei millequattrocento agenti patogeni umani conosciuti, ottocento-novecento circa hanno avuto origine in organismi non umani ed hanno visto nell’essere umano l’ospite finale. La lista di malattie che condividiamo con vari animali, da polli a maiali, da cani a pecore è impressionante. Alcune delle trasformazioni biologiche furono conseguenza di trasformazioni intenzionali, come la coltivazione, ma altre semplicemente frutto dell’istituzione della domus e della vita associata1.

sabato 26 dicembre 2020

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

 Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Trascrizione leggermente rivista della conferenza tenutasi online il 3 maggio 2020 organizzata dalla Rete dei Comunisti ("Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare" - R.Fineschi, M.Casadio, A.Allegra.). - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzoneha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.

Leggi anche: La Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2), Intervista a Roberto Fineschi* - Ascanio Bernardeschi

L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone

Le classi nel mondo moderno* - Alessandro Mazzone 


Lo sforzo di questo intervento è iniziare a pensare le dinamiche di classe, la configurazione dei soggetti che agiscono storicamente e politicamente in quella sottofase dello sviluppo del modo di produzione capitalistico che chiamo “capitalismo crepuscolare”; si vedrà come il nodo della violenza nasca intrinsecamente in seno a queste dinamiche e come la violenza ed il suo inasprimento siano un portato necessario dello sviluppo di strutturazioni sociali complesse. 


Uno dei punti chiave di questa fase è la “crisi” del concetto di persona. Il concetto di persona è la chiave logica, istituzionale, giuridica del mondo borghese e per un largo periodo di tempo la sua rivendicazione è stata una lotta progressista; se si pensa al periodo rivoluzionario, conflittuale della classe borghese contro le forze dell'ancien régime, è proprio l'affermazione dell'universalità della persona, dell’uomo in generale come principio che ha carattere assolutamente positivo. Qui già emerge un punto chiave: la storicità di queste categorie; questa storicità implica che una categoria come quella di persona abbia una funzione storicamente progressiva in un determinato momento di sviluppo dei rapporti di forza e che possa averne una negativa, o diversa, in altre fasi. Perché nella teoria di Marx, che fa da orizzonte di riferimento in queste considerazioni, un concetto chiave è quello della storicità dei soggetti e dei modi di produzione; nel caso specifico ciò significa che, secondo Marx, l’uomo in generale non esiste, la persona astratta non esiste come dato naturale, è piuttosto essa stessa risultato di processi storici, di modificazioni dei modi di produzione che implicano esattamente che questo stesso concetto di uomo in generale si produca storicamente. Si tratta di un punto veramente chiave, perché tutta l’ideologia borghese si basa sul naturalismo della persona, cioè sul ritenere che uomo e persona siano la stessa cosa. Questa è la grande funzione storica della filosofia di John Locke per esempio, che teorizza come i diritti naturali, l’uguaglianza, la libertà e ovviamente la proprietà, facciano parte dello stesso pacchetto.

Se noi pensiamo in termini di persona l’uomo come tale, se riduciamo le nostre rivendicazioni politiche alla personalità, questo ahimè ci vincola a un contesto di senso borghese che non riusciamo a spezzare. Qui il discorso si fa di nuovo complicato: nelle condizioni attuali, per esempio, la rivendicazione dei diritti personali è nuovamente diventata un elemento progressista, perché a molti esseri umani è negata la personalità, quindi rivendicare per loro il diritto a essere persone è chiaramente positivo; non è tanto negare la rivendicazione della personalità il problema, ma credere che questo sia sufficiente, cioè che ristabilire i diritti della persona come tale a livello universale ci liberi dal modo di produzione capitalistico e dallo sfruttamento. Infatti, è proprio il modo di produzione capitalistico a imporre la persona come struttura universale di senso. Di nuovo, Marx ci insegna nei primi capitoli del Capitale ma prima ancora nei Grundrisse, che la persona è la forma di soggettività che ci viene imposta dalla circolazione delle merci: libertà, uguaglianza sono le precondizioni del mercato. Solo in quanto libero e uguale e titolare di proprietà io posso essere uno scambiante ed è proprio il modo di produzione capitalistico che universalizza questo concetto a tutta la specie umana. Ciò ha la sua dimensione progressiva, ma se ci riduciamo a rivendicare libertà e uguaglianza a livello personale ricadiamo in Prudhomme, siamo utopisti, vale a dire che vorremmo gli aspetti positivi del modo di produzione capitalistico, ma senza capire che tali concetti sono il frutto del modo di produzione capitalistico stesso. Molti movimenti libertari, rivendicando la libertà individuale, sono in certe fasi progressisti, ma, se questa posizione si radicalizza, di nuovo si ricade dalla padella nella brace, cioè in una ideologia individualistica che è veramente il fondamento concettuale del modo di produzione capitalistico e della borghesia stessa. 

mercoledì 19 aprile 2023

Alessandro Mazzone, Per una teoria del conflitto - Roberto Fineschi, Tommaso Redolfi Riva e Salvatore Tinè

Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels. - 
Tommaso Redolfi Riva ha studiato filosofia e storia del pensiero economico presso le università di Pisa e Firenze. Attualmente impegnato in una ricerca su marxismo ed economia politica in Italia negli anni Settanta, si occupa di temi afferenti al pensiero marxiano e alla teoria critica. Ha pubblicato saggi e articoli su riviste italiane e straniere. - 

                                                                           

giovedì 13 gennaio 2022

Marx per delegati (e militanti). A proposito del "Marx" di Roberto Fineschi - Lorenzo Giustolisi

 Da: https://www.usb.it - https://contropiano.org - Lorenzo Giustolisi, Esecutivo Nazionale Pubblico Impiego USB (https://www.youtube.com/watch?v=bRZHlH3BYEc


Roberto Fineschi, Marx, Ed. Morcelliana 2021


Pubblichiamo il testo della recensione che conclude l’appena pubblicato volume di Proteo, rivista del Cestes e di USB, dedicata a una recente pubblicazione su Marx. 

L’intero volume e il taglio della recensione sono pensati nell’ottica della ripresa di un lavoro di formazione teorica e politica sui fondamentali del pensiero del movimento di classe, che è al centro del numero. (L.G.)

 

Tra le tante recensioni che hanno accompagnato l’uscita di questo importante volumetto, non sono mancate certamente considerazioni sul senso di una operazione editoriale e culturale, concepita e realizzata con l’intento chiaro di avviare alla lettura e alla comprensione di Marx un pubblico largo e nuovo.

Segnalare questa pubblicazione in una rivista come «Proteo» – oltre che sui siti del Cestes e di USB – da venticinque anni impegnata in un lavoro di analisi delle dinamiche di trasformazione sociale ed economica e delle grandi questioni che attraversano il mondo della produzione e del lavoro nel nostro Paese, ma anche a livello internazionale, significa rivolgersi ad una fetta, crediamo presente nelle intenzioni del nostro autore, di quell’auspicabile pubblico “largo e nuovo”, fatta di delegati e attivisti sindacali, sociali, militanti politici, che sono peraltro i destinatari di questo numero della rivista. È una questione, quella del bagaglio teorico dei quadri e dei delegati, che ha attraversato tutta la storia del movimento operaio e delle sue lotte, nella consapevolezza che non si trattava né si tratta di fare diventare tutti specialisti, ma che 8 ore di lavoro, 8 per dormire, 8 per lo svago e per migliorarsi, è stato un precetto che, al di là delle variazioni orarie (spesso a scapito del riposo…), continua ad avere anche oggi un enorme senso.

Il nome di Roberto Fineschi è certamente indicato per il compito appena accennato, che ha a che fare con quella che il suo maestro Alessandro Mazzone definiva “alta popolarizzazione”, per la lunga e proficua consuetudine negli studi marxiani che si traduce, fra le altre cose, nella ricerca di un linguaggio adeguato agli scopi (una attitudine che lo caratterizza da sempre, ma qui perseguìta in maniera più programmatica), senza perdere in profondità (e ovviamente anche in complessità, per cui nessuno immagini un testo semplice), mentre dice qualcosa sullo stato dell’editoria in questo paese il fatto che a prendersi carico (e merito) della pubblicazione sia stata una casa editrice di chiara matrice cattolica.

mercoledì 27 aprile 2022

Discussione intorno al senso della guerra - Roberto Fineschi

Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi -  Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzone, Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.

Leggi anche: Fare la pace o fare la guerra? - Roberto Fineschi

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

Vedi anche: Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare" - R.Fineschi, M.Casadio, A.Allegra.



Sabato 9 aprile, il Centro Casa Severino e l'Associazione di Studi Emanuele Severino hanno promosso un incontro interdisciplinare sul tema della guerra. Qui sotto la trascrizione minimamente rivista del mio intervento. 

Da una parte vorrei tentare di fare un discorso più generale diciamo di quadro. Facendo questo inevitabilmente ci si presta alla critica di non cogliere la drammaticità del presente: quando muoiono persone, si distruggono città è difficile distogliere lo sguardo; ovviamente si tenta di farlo non per ignorare il dramma ma per proporre una riflessione più ampia, inquadrata in un contesto di sistema, in questo caso relativo al concetto di guerra e violenza nella modernità e, a fortiori, anche al caso ucraino. 

La guerra non è certo una novità contemporanea; da quando esistono società complesse l'uomo ha sempre fatto guerre; da sempre i filosofi se ne sono occupati, ma più recentemente è nata una disciplina che in modo più politically correct ha cercato di affrontarla in maniera ancora più esplicita: le relazioni internazionali. In esse si cerca di sciogliere il nodo della guerra non per giustificarla da un punto di vista morale, ma per spiegarne la necessità fattuale nel mondo politico (i rapporti di potere producono degli equilibri che non si tratta di giudicare perché belli o brutti, ma semplicemente in quanto instaurano un ordine) o nel tentativo di evitarla proprio per le caratteristiche che ha. 

Tanto gli approcci realisti e neorealisti, quanto quelli che hanno invece cercato una via diplomatica, non violenta alla soluzione delle controversie internazionali di stampo liberale o neoliberale (Bobbio ad esempio), a mio modo di vedere hanno una questione filosofica di fondo che consiste nel partire da una concezione che dal punto di vista di Marx è criticabile, vale a dire il contrattualismo: considerare la formazione dell'istituzione statuale come un contratto sociale, che naturalmente si risolve poi diversamente in diversi filosofi. Il tratto comune è che se si instaura una società che in qualche modo argina la violenza anarchica dello stato di natura a livello interno, il problema si ripropone a livello esterno nelle relazioni internazionali in cui, di nuovo, i singoli funzionano come atomi anarchici. Secondo alcuni la loro interazione porta naturalmente a un equilibrio tra forze contrapposte e, alla fine, stabilisce un ordine che non è necessariamente giusto o bello, ma è un ordine. Invece secondo altri quest'ordine va costruito in qualche modo replicando la dimensione contrattualistica attraverso istituzioni terze che riescano, da una posizione super partes, a riconciliare e ricomporre il dissidio atomico dell'anarchia. 

mercoledì 11 gennaio 2023

Lo stato attuale della democrazia - Paolo Massucci

Da: https://www.lacittafutura.it - Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni.

Leggi anche: "DEMOCRAZIA" - Norberto Bobbio 

AUTOGOVERNO E TIRANNIDE*- Alessandro Mazzone 

Come il neoliberismo arrivò in Italia - Intervista a Luciano Gallino (2015)

Vedi anche: Democrazia e Filosofia | After Democracy - Remo Bodei 


A dispetto della narrazione apologetica sulla nostra democrazia, l’Italia e in generale i Paesi del mondo occidentale, sin dagli anni ’80, ma con un’accelerazione a partire dall’implosione dell’URSS, hanno subito un attacco non solo alla democrazia sostanziale, ma anche ed in particolare a quella formale. 



Norberto Bobbio -in "Quale socialismo? Discussione di un'alternativa", Einaudi, Torino 1976, p. 42- definisce la democrazia come " un insieme di regole (le cosiddette regole del gioco) che consentono la più ampia e più sicura partecipazione  della maggior parte dei cittadini, sia un forma diretta sia in forma indiretta, alle decisioni politiche, cioè alle decisioni che interessano tutta la collettività".

Illustre filosofo del diritto del XX secolo, Norberto Bobbio fu sempre, indiscutibilmente, un intellettuale appartenente all'area liberal-socialista e la sua definizione di democrazia qui citata, peraltro elegante ed essenziale, si colloca pienamente nella tradizione liberale, in quanto circoscrive la definizione di democrazia a livello formale. Ciò la contrappone, nell'ambito del pensiero politico, alle definizioni di democrazia su un piano sostanziale, in cui non è ritenuta sufficiente la mera potenzialità di uguaglianza dei cittadini da un punto di vista politico, economico e sociale, in quanto questa uguaglianza, per essere tale, deve realizzarsi nei fatti. Quest'ultima concezione appartiene tipicamente alla tradizione del pensiero comunista.

lunedì 18 gennaio 2016

La Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2), Intervista a Roberto Fineschi* - Ascanio Bernardeschi

*Da:     http://www.lacittafutura.it/
Vedi anche:    https://controinformazion.wordpress.com/2011/11/27/1493/

La Mega2

Roberto Fineschi, giovane filosofo senese, allievo del compianto Alessandro Mazzone, è uno dei pochissimi italiani che ha seguito da vicino i lavori della nuova edizione critica delle opere di Marx e di Engels. È autore di diversi saggi [1] che, partendo dall'illustrazione di questa novità editoriale, forniscono alcune indicazioni utili per sviluppare la ricerca sulle orme del lascito marxiano. Ha tradotto in italiano e curato la pubblicazione del primo libro del Capitale [2] che tiene di conto di tali novità. 

Roberto, puoi dirci in cosa consistono i lavori della MEGA2 e perché sono importanti?

Si tratta della nuova edizione critica delle opere di Marx ed Engels iniziata nel 1975. Prevede la pubblicazione di oltre un centinaio di volumi, tant'è vero che è stata definita scherzosamente “megalomane”. Si articola in 4 sezioni. La prima contiene tutte opere pubblicate e i manoscritti, escluso Il Capitale; la seconda comprende Il Capitale e i relativi lavori preparatori a partire dai manoscritti del 1857-58, i cosiddettiGrundrisse; la terza sezione è dedicata al carteggio e la quarta alle note di lettura e gli estratti dei due autori.
È importante perché Marx in vita non ha pubblicato molto e quindi la stragrande maggioranza delle sue opere che conosciamo sono pubblicazioni postume di manoscritti editati e curati da varie persone in maniera più o meno filologicamente corretta. Quindi la nuova edizione offre per la prima volta i veri testi di Marx. Si tratta di opere non marginali, ma capitali, sulla base delle quali si sono sviluppate le varie interpretazioni. Per esempio, i cosiddetti Manoscritti economici-filosofici del '44, nella forma in cui li conosciamo, non sono un'opera unitaria. Allo stesso modo l'Ideologia tedesca non è una “opera”; soprattutto il primo capitolo su Feuerbach è un insieme di manoscritti o articoli incollati e messi lì in maniera in parte arbitraria dai curatori (include perfino un testo di Hess!).

A proposito del capolavoro Marxiano, Il Capitale, cosa c'è di nuovo o si annuncia nei lavori della Mega2?

venerdì 19 marzo 2021

"I partiti e la massa"* di Antonio Gramsci – a cura di Giorgio Gattei

 Da: http://www.maggiofilosofico.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna.

Leggi anche: Il nostro Marx*- Antonio Gramsci

Cadaveri e idioti - Antonio Gramsci

CHE FARE? - Antonio Gramsci

«Capo» - Antonio Gramsci

L'Università popolare*- Antonio Gramsci

La via maestra*- Antonio Gramsci

Operai e contadini - Antonio Gramsci

Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi - Antonio Gramsci

Perché studiare il latino e il greco?*- Antonio Gramsci

La Rivoluzione contro il Capitale*- Antonio Gramsci

Su Gramsci e la fondazione del Pci - PIERO GOBETTI

L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone

Gramsci e gli intellettuali

GRAMSCI E LA “RIVOLUZIONE IN OCCIDENTE”* - Renato Caputo

Vedi anche: Antonio Gramsci. Ritratto di un rivoluzionario - Angelo D'Orsi 


Dopo la scissione del Partito Socialista Italiano, che a Livorno nel gennaio 1921 aveva portato alla fondazione del Partito Comunista d’Italia, Antonio Gramsci s’interroga a settembre, sulla rivista “L’Ordine Nuovo” che era passata da settimanale a quotidiano ufficiale del nuovo partito, sulle prospettive politiche che si potevano aprire ai comunisti sulla base di un ragionamento che aveva introdotto l’anno prima, e cioè la dipendenza della sorte dei partiti politici dalle classi sociali di riferimento. Allora aveva spiegato che «i partiti politici sono il riflesso e la nomenclatura delle classi sociali» e sorgono, si sviluppano e si decompongono secondo le variazioni d’esistenza che subiscono le classi rispettive quando «acquistano una maggiore e più chiara consapevolezza di sé e dei propri vitali interessi» (O.N., 9 ottobre 1920).

Le classi dunque, che sostanzialmente sono tre: la borghesia fondiaria e industriale, che detiene il controllo dello Stato; il proletariato di fabbrica e di campagna, che sta all’opposizione; e un coacervo di “ceti medi” in cui confluiscono piccoli borghesi, sia agrari che urbani, impiegati privati e pubblici e ceti professionali e intellettuali. Data la sua eterogeneità sociale, questa “classe media” è politicamente ondivaga, costantemente pencolando tra l’adesione agli interessi della borghesia oppure a quelli del proletariato.

Invece i partiti politici nelle elezioni del maggio 1921 erano stati sostanzialmente cinque: un Blocco Nazionale di diverse sigle di partiti borghesi che aveva raccolto 105 seggi; i due partiti del proletariato con il vecchio PSI che, nonostante la confusione d’indirizzo dimostrata nella convulsione del dopoguerra, aveva guadagnato 123 seggi, mentre il neonato PCdI si era fermato a 15 seggi; e infine le classi medie che si erano presentate con le due novità del Partito Popolare, d’ispirazione cattolica e d’espressione soprattutto contadina, che aveva ottenuto 108 parlamentari ed il Partito fascista, di estrazione più cittadina e d’ispirazione dichiaratamente eversiva, che aveva preso solo 35 parlamentari (peraltro eletti all’interno del Blocco Nazionale che aveva dato loro ospitalità).

lunedì 22 giugno 2020

Come sta andando il salario negli ultimi anni? - Maurizio Donato

Da; Ariano In Movimento - Maurizio Donato insegna Economia politica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo. https://mrzodonato.wordpress.com
                       Salario minimo - Gianfranco Pala 
                       LA FORMA DI MERCE DELLA FORZA-LAVORO*- Gianfranco Pala
                       Salario sociale reale - Gianfranco Pala 

                                                                                
[...]
La nostra capacità di lavorare, la nostra forza-lavoro, si produce e riproduce grazie ad elementi materiali (cibo, acqua, riposo, cultura) che però a loro volta, in un ambiente dominato dalle forme capitalistiche, hanno bisogno di essere acquistati, dunque ci vuole denaro per sopravvivere e questo denaro i lavoratori se lo possono procurare legalmente solo vendendo a loro volta (a nostra volta se chi legge appartiene alla classe dei lavoratori) l’unica merce di solito in nostro possesso, la forza-lavoro.

Tale merce, specialissima, l’unica nel suo genere, non esaurisce la propria funzione con l’uso; anzi, usandola, cioè lavorando, è capace non solo di creare valore in generale, ma più valore di quanto non occorra a produrla a riprodurla. Questo, per Marx, l’elemento centrale della critica dell’economia politica, e – in quanto tale – un elemento che ha a che fare direttamente con la questione del cambiamento delle forme.

Per vivere o sopravvivere (elemento materiale) abbiamo bisogno del denaro (forma monetaria del valore) che ci procuriamo vendendo (scambiandola con denaro) la nostra forza-lavoro. Attraverso il lavoro cambiamo forma (fisica, materiale) al mondo, creando merci cha hanno un valore superiore a quello delle loro parti costitutive, forza-lavoro compresa. Tale valore comprensivo del plusvalore spetta al proprietario delle imprese; ai lavoratori spetta il corrispettivo in valore della forza-lavoro, il salario. Col salario (trasformazione monetaria del capitale variabile a disposizione del capitalista) i lavoratori possono acquistare merci (fisiche) che ci consentano di riprodurre la forza-lavoro e così di seguito.

Dal momento che la alieniamo, però, la forza-lavoro di cui siamo proprietari (è nostra, non vivendo in schiavitù) diventa – per alcune ore al giorno alcuni giorni la settimana per tot anni della nostra vita – di proprietà di chi ne acquista il diritto all’uso: il capitalista, che ne dispone a suo piacimento cercando di sfruttarla al massimo per poi, se riesce a vendere a prezzo pieno il prodotto del nostro lavoro (la merce), godere del plusvalore realizzato che a sua volta in parte trasforma in beni di lusso e in parte accumula come nuovo capitale, così che il ciclo continui all’infinito. O quasi...

mercoledì 29 novembre 2023

Calvino è stato marxista. In memoriam - Roberto Fineschi

Da: La città futuraRoberto Fineschi è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni: Marx e Hegel (Roma 2006), Un nuovo Marx (Roma 2008) e il profilo introduttivo Marx (Brescia 2021). È membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere complete di Marx ed Engels, dell’International Symposium on Marxian Theory e della Internationale Gesellschaft Marx-Hegel für dialektisches Denken. (http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Marx. Dialectical Studies - laboratoriocritico.org!). 


Presento qui, in occasione della ricorrenza del centenario della nascita e in forma estremamente schematica, alcune idee che sto sviluppando in uno studio di carattere organico sulla “filosofia” di Italo Calvino che uscirà l’anno prossimo. (R.F.)

1. Italo Calvino, sanremese cui “capitò” di nascere a Cuba, è stata una figura di intellettuale tra le più grandi della storia italiana recente, tra i pochi con un ampio respiro internazionale e universalmente apprezzato per originalità e profondità. Viaggiatore del mondo, parigino di adozione, ebbe notoriamente forti legami con il territorio toscano: oltre a morire infaustamente proprio a Siena nel 1985, amò profondamente il litorale prossimo a Castiglion della Pescaia, scenario di alcune delle sue opere; vi passò per molti anni l’estate nella sua residenza immersa nella pineta di Roccamare e scelse la cittadina toscana come luogo per la propria sepoltura.

Al di là della memorialistica locale, mero pretesto per avviare il discorso, è altro il ricordo che vorrei rievocare. Se sempre viene a ragione ricordato il periodo della sua militanza politica diretta come membro del Partito Comunista Italiano - interrotta con le dimissioni del 1957 in seguito ai fatti ungheresi e alla timidezza con cui il PCI procedeva con la destalinizzazione -, meno frequentemente tale esperienza viene collegata a ragioni teoriche e filosofiche - oltre che, ovviamente, pratiche - che lo spinsero a questa adesione e che restarono vive ben al di là del fatidico ‘56. Queste ragioni spingono a sostenere - questa la tesi - non solo che Calvino sia stato e rimasto comunista nell’arco della sua vita, ma che le sue posizioni possano essere identificate come “marxiste”, ovviamente intendendo con questo termine una adesione in senso ampio ad alcune linee di ragionamento derivate da Marx, sulle quali, pur mutando accenti e priorità, non ha mai cambiato idea. Ancora più arditamente credo si possa sostenere che, dieci anni prima della “crisi del marxismo” degli anni Settanta, Calvino ne avesse anticipato i tratti di fondo oggettivi e soggettivi e pure i vicoli ciechi di alcuni dei suoi esiti; ne trasse conseguenze pratiche coerenti dal suo punto di vista, con una sospensione di giudizio che non significò affatto fine della ricerca o assenza di posizionamento critico-intellettuale; si trattò piuttosto di una epochè attiva, inquirente, pungolo costante volto a stimolare la realtà per rendere visibile l’invisibile, dire il non detto. Credo si possa affermare che, in questo senso, non ci fosse intento più realistico del suo interesse per l’utopia e il mondo fantastico-invisibile.

sabato 5 dicembre 2020

La questione salariale in Italia - Fulvio Fammoni

 Da: https://www.fondazionedivittorio.it - Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio.

Vedi anche : Dinamica dei salari e immiserimento relativo - Maurizio Donato

Come sta andando il salario negli ultimi anni? - Maurizio Donato

Leggi anche: Miserabile accumulazione: Salari, produttività e impoverimento relativo dei lavoratori*- Maurizio Donato

Salario minimo - Gianfranco Pala 

LA FORMA DI MERCE DELLA FORZA-LAVORO*- Gianfranco Pala

Salario sociale reale - Gianfranco Pala 

Le classi nel mondo moderno III. Nuove frontiere della produzione e dello sfruttamento* - Alessandro Mazzone

Produttività e salari in Europa - Maurizio Donato 



Il report della Fondazione Di Vittorio, scritto da Nicolò Giangrande (https://www.fondazionedivittorio.), mette a confronto i salari del lavoro dipendente in Italia con quelli di cinque delle maggiori economie dell’eurozona (Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna).

Nel 2019, i salari medi italiani, nella statistica OCSE, sono pari a circa 30 mila euro lordi annui, in lieve crescita rispetto al 2000, ma addirittura in diminuzione rispetto al 2007. 

Il divario rispetto agli altri paesi non solo è molto ampio, ma si è andato ancora allargando tra il 2007 e il 2019, sia in cifra totale che come dinamica. 

I salari annui tedeschi sono infatti cresciuti in modo consistente negli anni più recenti (42.421 euro nel 2019), così come in Francia (39.099 euro) e nelle altre realtà prese in esame; simile a quello italiano si presenta invece il caso della Spagna. 

Questo divario non si riduce neanche nelle retribuzioni nette relative ad alcune tipologie familiari considerate dall’OCSE. 

La pressione fiscale sui salari e il cuneo fiscale sul costo del lavoro non producono alcun riequilibrio per l’Italia. 

mercoledì 29 gennaio 2014

Ripensare Marx - Stefano Garroni -

Per una rilettura di Marx fuori dal dogmatismo e dalle semplificazioni scolastiche. 
Al centro, il profondo legame con il pensiero hegeliano e con la scienza.                                                                                                   


"Questo volume raccoglie scritti recenti, ma diversamente occasionati. Tuttavia, sembra a me che un filo rosso li leghi con evidenza: la convinzione che liberare Hegel dall’immagine che ne è stata costruita dalla tradizione (filosofo speculativo, conservatore sia da un punto di vista politico che, in verità, anche teorico), comporti non solo poter constatare convergenze tra il suo pensiero ed episodi importanti del pensiero novecentesco, ma anche aiuti a coglierne il profondo legame col pensiero di Marx, nella prospettiva di una società libera –perché sottratta al dominio della ‘necessità’; e più umana, perché emancipata ormai alle varie forme di estraneazione e di ‘positività’. 

Naturalmente questo filo rosso si riesce a cogliere, nel limite di una raccolta di scritti e non di un libro strictu sensu; tuttavia, va sottolineato che i singoli scritti sono il frutto degli insegnamenti, che ho ricevuto in particolare dal professor Francesco Valentini -uno dei più insigni studiosi italiani di Hegel; dal professor Hans Heinz Holz -per l’acutezza delle sue pagine e per l’ampiezza della sua cultura;  dai frequenti colloqui con Alessandro Mazzone; ed infine dai compagni del Collettivo di formazione marxista, per i tanti stimoli, che i loro interventi ed osservazioni mi hanno dato."  -Stefano Garroni- 

Leggi tutto il testo:  https://drive.google.com/file/d/1LZ8ucfV-9fb41qhBKL6zfIdnnfaDMAhJ/view?usp=sharing                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

giovedì 17 settembre 2015

POST-MODERNO E CAMBIO SOCIALE* - Stefano Garroni

*Da DIALETTICA E SOCIALITA', Stefano Garroni, BULZONI Ed.

   "Il senso di questo volume sta nella tesi, secondo cui in tanto è possibile restituire al testo di Marx tutta la sua forza teorica, in quanto (anche) se ne riconsideri il rapporto con la lezione hegeliana. Di fatto, l'impoverimento scolastico e dogmatico del marxismo si lega strettamente ad una tradizione interpretativa di Hegel, largamente posta in crisi dalla più recente e rigorosa letteratura critica. Su questa base, tento confronti fra recise pagine di Marx e di Hegel, ritrovando fra esse consonanze, che fanno giustizia - a quanto mi sembra - di accreditati luoghi comuni. L'Appendice che chiude il volume, serve a mostrare come lo stravolgimento dogmatico e scolastico del marxismo ne abbia diminuita grandemente la capacità critica innovatrice. 
   La pubblicazione di questo volume è stata possibile dall'affettuoso sostegno e dall'intelligente contributo di Francesco Valentini, Alessandro Mazzone e Enza Celluprica. Ovviamente ringrazio questi docenti del loro apporto, scusandomi della misura limitata, in cui son riuscito a farne tesoro nel mio scritto. (S. Garroni) 

venerdì 12 maggio 2017

Sul cosiddetto «Capitolo sesto inedito» di Karl Marx. Appunti di lettura e considerazioni critiche*- Giovanni Sgrò**

*Da: http://www.consecutio.org/ -- qui la rivista integrale:  http://www.consecutio.org/wp-content/uploads/2014/03/N.-5-rivista-integrale.pdf
**Università degli Studi eCampus. Scienze dell’Educazione e della Formazione, Facoltà di Psicologia.


1. Premessa 

Il cosiddetto Capitolo sesto inedito rappresenta ‒ insieme ai Grundrisse ‒ uno di quei manoscritti marxiani che nel corso degli anni Settanta del secolo scorso hanno avuto grande diffusione e notevole recezione in Francia, in Germania e anche in Italia, dove fu tradotto per la prima volta nel 1969 da Bruno Maffi per i tipi de La Nuova Italia1 e fu poi oggetto di una fortunata serie di lezioni di Claudio Napoleoni (Torino, Bollati Boringhieri, 1972). Nel presente contributo cercherò di offrire una sorta di “percorso di lettura” personale (§ 3) del denso testo del Capitolo sesto, al fine di mettere in luce alcune caratteristiche specifiche della sua trama teorica e alcuni suoi elementi di grande attualità politica (§ 4). Prima di passare all’analisi specifica dei contenuti del Capitolo sesto, mi sembra opportuno collocarlo brevemente nel progetto marxiano di critica dell’economia politica (§ 2).

2. Il ruolo e la posizione del Capitolo sesto inedito nel progetto marxiano di critica dell’economia politica 

I curatori del volume 4.1 della seconda sezione della MEGA2 hanno stabilito che il Capitolo sesto è stato scritto da Marx tra l’estate del 1863 e l’estate del 18642 : esso si colloca dunque all’altezza del terzo tentativo marxiano di esporre la sua critica dell’economia politica. Come è noto, il primo tentativo è rappresentato dai sette quaderni del 1857/58, noti con il nome redazionale di Grundrisse, che non costituiscono però, a ben vedere, il primo abbozzo de Il capitale, bensì il primo tentativo di una esposizione complessiva dell’ambizioso progetto marxiano di critica dell’economia politica3 . Nei Grundrisse si trova, infatti, una delle prime formulazioni del cosiddetto “piano dei sei libri”: 1) il capitale; 2) la proprietà fondiaria; 3) il salario; 4) lo Stato; 5) il commercio internazionale; 6) il mercato mondiale e le crisi4.

Il secondo tentativo compiuto da Marx per esporre il suo progetto di critica dell’economia politica è rappresentato dai 23 quaderni del manoscritto del 1861-63, la cui parte centrale è occupata dalle cosiddette Teorie sul plusvalore che, a loro volta, non costituiscono il “quarto libro” de Il capitale, in quanto è solo a partire dal Capitolo sesto che Marx inizia a parlare di un progetto in quattro libri (da pubblicare in tre volumi) e, quindi, di un quarto libro da dedicare alla storia delle teorie economiche, che viene separata dall’esposizione teoretica vera e propria, secondo la falsariga di Per la critica dell’economia politica (1859), in cui ai capitoli teorici seguiva un’ampia ricostruzione della storia delle categorie economiche.