lunedì 13 febbraio 2017

La via maestra*- Antonio Gramsci

*(editoriale del num. 1 del quotidiano «L’Unità» 12 febbraio 1924).  Da:   http://www.senzatregua.it/ 


Cade oggi l’anniversario dei 90 anni (ora 93) di pubblicazione de «l’Unità» il quotidiano fondato dal Partito Comunista d’Italia nel 1923 e che ebbe il suo primo numero proprio il 12 febbraio. Questo articolo scritto da Gramsci, che suggerì il nome «l’Unità» spiega le ragioni della nascita del giornale e le proposte del Partito Comunista. Un articolo di straordinaria attualità che fino ad ora non era mai stato riportato integralmente sul web. Una mancanza che non riteniamo casuale e a cui abbiamo voluto rimediare, coscienti che nella storia del movimento operaio italiano ed internazionale, siano racchiusi spunti indispensabili per l’analisi della situazione attuale e l’azione politica conseguente per cambiare lo stato di cose presente. «La via maestra» è uno spunto essenziale per le nuove generazioni di comunisti.


La tragica esperienza compiuta dagli operai e dai contadini d’Italia in questi ultimi anni non deve essere perduta, essa può costituire anzi la taglia che essi hanno pagato e pagano per raggiungere la capacità politica necessaria a portare a termine lo sviluppo della loro rivoluzione. Il martirio subito può passare all’attivo della classe proletaria, se rimarrà a debellare definitivamente le illusioni che le hanno fatto segnare il passo negli anni 1919-1920. Occorre per ciò impedire che il fascismo, come già la guerra mondiale, passi senza aver trasformato radicalmente lo spirito delle masse, occorre che sotto l’assillo delle sofferenze e per l’anelito alla riscossa, non siano realizzate formule, stati d’animo e pregiudizi atti a sabotare ogni possibilità di ripresa proletaria, a precludere ogni seria prospettiva di rivincita. 

Il nostro giornale si propone a tale scopo di sondare metodicamente le cause che hanno piegato i lavoratori sotto il peso di una gravissima sconfitta e di farne pesare gli insegnamenti nella loro coscienza militante. L’unità a cui noi facciamo appello non è quindi un richiamo di ordine sentimentale e decorativo; non è il fiotto fangoso e torbido dei consensi stagnanti e senza sbocco; essa tende a forgiare lo strumento idoneo per la lotta del proletariato, ed ha alla sua base una concezione politica ben definita e coerente, che vi circola come sangue vivo, che la genera e la rinsalda. 

Quali sono le prospettive che si aprono oggi ai lavoratori? Qual è la natura e la consistenza del regime fascista? Quali sono i mezzi, quali le risorse, per una opposizione efficace? Per un certo tempo i riformisti, specie dirigenti confederali hanno atteso una conversione a sinistra di Mussolini; hanno sperato nel contrasto tra i fascisti della prima e quelli dell’ultima ora; hanno contato sulle pressioni degli industriali… intelligenti contro le «esagerazioni» del regime. Oggi ancora tutta la loro attenzione, tutte le loro speranze sono rivolte alla opposizione costituzionale, dalle cui file sperano di veder saltare fuori il cavaliere senza macchia e senza paura, che giunga a rompere l’incanto, a strappare i denti del drago fascista ed a togliere dall’orrido carcere la giovinetta libertà che vi sta piuttosto malconcia.
Una tale speranza e la politica che se ne ispira, lungi dall’essere un modello di avvedutezza o di abilità politica, dimostrano il totale disorientamento dei socialisti, l’assenza in loro di  ogni fiducia nel movimento operaio. Essi si aggrappano alla corrente borghese e democratica perché i consensi delle masse sono venuti loro a mancar. Oggi la classe lavoratrice ha scarsa possibilità di muoversi e di riunirsi: il lavorare con essa e per essa implica grandi difficoltà, metodi nuovi di lavoro, e l’abbandono di tutte le abitudini di comodità e di parassitismo che i facili successi del passato avevano nutrito. Raggruppare dieci operai in una sezione politica, centro in un sindacato richiede oggi un dispendio di energie morali che i dirigenti socialisti sono ben lungi dall’aver accumulato.  Essi sono ancora oggi per la soluzione più facile, quella che permette di continuare il gioco ristretto a cui hanno per trent’anni affidata la loro fortuna e perciò hanno spostato il campo della loro azione verso i praticelli meno calpestati, della democrazia e della costituzione.
Noi crediamo invece che la lotta di classe, la lotta cioè del proletariato contro i capitalisti, sia la sola capace di battere in pieno il fascismo. È perfettamente vero che la cosiddetta fraseologia del fascismo, o meglio le varie forme che sono state inalberate volta a volta dal fascismo, riecheggiano di affermazioni e principi che furono in altre situazioni, adoperati nelle lotta contro le classi dominanti. Ma ciò non fa che confermarne da un lato l’incapacità assoluta della piccola borghesia a darsi una dottrina peculiare ed omogenea, dall’altra la sua incapacità a portare a termine da sola uno Stato.
L’antitesi tra il programma fascista del 1919 e quello dell’attuale governo non sono affatto il prodotto di una… degenerazione, di una specie di tradimento ai «sacri principi»; essa dimostra al contrario che gli ideali della tribù piccolo borghese non hanno resistito che pochi mesi, crollando, ad uno ad uno, di mano in mano che il movimento fascista prendeva maggior contatto con la grande borghesia, di cui accettava a poco a poco mezzi e programmi, ed in cui trovava la consistenza che senza di essa non avrebbe mai avuto.
Per lottare contro il fascismo la strategia più intelligente è quella che costituisce i suoi piani, che cerca le sue risorse unicamente nelle classi lavoratrice, che non permetterà manovre molto brillanti, ma porterà dei risultati positivi.
Come raggiungere lo scopo di mobilitare gli operai e i contadini in una unione di difesa dei loro interessi politici ed economici? Noi pensiamo che i margini dell’azione possibile siano ancora abbastanza ampi. Occorre soltanto sapere adattare la forma di resistenza e di lotta alla situazione. La tattica del fronte unico degli operai e dei contadini che noi ardentemente propugniamo, può creare nuove possibilità. Già a tale scopo mirava il programma delle sinistre sindacali che può essere utilmente ripreso e rinnovato! Se i sindacati di mestiere sono immobilizzati dal terrorismo fascista, dalla complice passività dei dirigenti confederali, dalla vecchia e nuova tutela prefettizia, essi possono rispondere col rifugiarsi nelle fabbriche, nelle aziende. Le fabbriche devono diventare i fortilizi del sindacalismo rosso, i fortilizi che il fascismo non potrà incendiare e dove il manganello ed i «decreti» devono arrestarsi davanti al blocco dell’operaio e delle sue macchine, strumenti insopprimibili della produzione.
La politica interna del fascismo offrirà al fronte unico operaio occasioni frequenti di agitazione e di lotte sul terreno concreto degli interessi della classe proletaria. Dalla applicazione del decreto per il lavoro straordinario, alla disoccupazione, dai gravami sui consumi, alla libera contrattazione degli affitti, dalle falcidie dei salari, al sabotaggio delle previdenze sociali; tutti i momenti della vita degli operai e dei contadini hanno subito il contraccolpo dell’offensiva capitalista. Piantando le sue radici e traendo le sue ragioni di essere nelle condizioni stesse di esistenza dei lavoratori, l’azione politica e sindacale per cui si attuerà il fronte unico non accorcerà il suo respiro, né limiterà i propri orizzonti…Nella situazione italiana odierna le lotte ingaggiate per gli obiettivi più modesti impegnano a fondo, pongono ad ogni passo il problema del regime, collegano il duro travaglio delle classi italiane a quello del proletariato internazionale.
Per cui il fronte unico che si salda in tale lotta non vive alla giornata, non si spezza dopo i primi passi in comune. Quello che oggi si costruisce sta alla base del lavoro di domani, perché una stessa smina ci cresce dentro a mano a mano che si fanno i muscoli ed i nervi al duro cimento. I lavoratori italiani troveranno in esso i quadri efficienti della milizia a cui la loro coscienza di classe imperiosamente li chiama. 

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