*Questa è la prima
bozza di un documento divulgativo che mi è stato richiesto. http://gennaro.zezza.it/
**Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale
“la creazione di una moneta unica porterà alla fine delle sovranità nazionali e alla capacità di agire in modo indipendente su questioni di rilievo…. La capacità di stampare moneta, e per il governo di finanziarsi presso la propria Banca centrale, è l’aspetto più importante dell’indipendenza nazionale. … Se vi si rinuncia, ci si trasforma in una autorità locale, o una colonia. … e quando arriva una crisi, se il Paese ha perso la capacità di svalutare e non può beneficiare di trasferimenti fiscali a compensazione, non c’è nulla che possa fermarne il declino, fino all’emigrazione come unica alternativa alla povertà”(1)
Abbiamo
voluto l’euro, abbiamo avuto il declino, e ora l’emigrazione e
l’aumento della povertà. E il sottoporre le nostre leggi di
bilancio alla Commissione Europea è solo una delle dimostrazioni del
fatto che il Governo è diventato una “autorità locale”.
Ma
allora perché abbiamo adottato l’Euro?
Per
lo stesso motivo per cui molti vogliono rimanerci! Era già chiaro,
nei dibattiti parlamentari che hanno preceduto la firma dei Trattati,
che rinunciare alla politica dei cambi e alla politica monetaria
comportava una compressione dei salari. La decisione di entrare
nell’Euro è stata politica, motivata dal desiderio di conribuire a
scrivere le regole della “casa comune europea”. Questo desiderio
si è rivelato una pia illusione, perché nonostante il peso
economico dell’Italia, l’evoluzione delle regole dell’Unione
europea e della gestione dell’Euro hanno tutelato principalmente i
gruppi industriali e finanziari del Nord, con scarsi interventi di
bilanciamento.
Casa
comune Europea, o vinca il più forte?
E’
diventato via via più evidente, nei Trattati che hanno seguito
Maastricht, che le regole dell’Eurozona non puntavano ad una
crescita armonica e bilanciata dei Paesi che ne fanno parte, ma
invece alla creazione di un mercato più ampio in cui le imprese dei
diversi Paesi devono competere, ma senza la possibilità di partire
ad armi pari. La Germania, nei primi anni dell’Euro, ha avviato per
prima le “riforme strutturali” del mercato del lavoro, un termine
che si traduce in compressione dei salari e dei diritti dei
lavoratori. Comprimendo la dinamica dei salari e dell’inflazione al
di sotto degi obiettivi fissati dalla BCE, la Germania ha posto le
basi per aumentare la sua competitività di prezzo sia sui mercati
interni all’area Euro, sia sui mercati esteri, dato che con l’Euro
– diversamente che con il Marco – un surplus dei conti esteri dei
tedeschi non si traduceva più in una rivalutazione del cambio.
L’Euro ha garantito alle imprese tedesche un cambio più
vantaggioso di quanto avrebbero avuto con il Marco, e specularmente
un cambio troppo forte per le imprese delle regioni europee a più
alta inflazione, come l’Italia, la Spagna, la Grecia.
Finché
l’economia mondiale cresceva, tra il 2000 e il 2007, il sistema ha
retto. La riduzione nei tassi di interesse ha però stimolato la
domanda in quei Paesi periferici, come la Spagna e la Grecia, che non
erano in grado di far fronte con un aumento della produzione interna
ad un aumento della domanda finanziata dal credito a basso costo. La
dinamica della domanda si è sommata alla dinamica dei prezzi
relativi, contribuendo a creare deficit crescenti nei conti con
l’estero della periferia, e surplus crescenti nei Paesi “core”
come la Germania.
Con l’arrivo della crisi, i problemi generati da queste asimmetrie sono esplosi. Alcuni governi hanno dovuto salvare le proprie banche in crisi, trasformando i debiti privati in debiti pubblici. In generale, soprattutto nella seconda ondata di crisi generata dal tracollo della Grecia, le politiche di contenimento sono sempre state orientate solo a tutelare il sistema finanziario. Questo senza però considerare il fatto che in una fase recessiva, in cui le imprese e le famiglie indebitate hanno difficoltà crescenti ad onorare i propri debiti, senza un sostegno adeguato al reddito famiglie e imprese prima o poi non potranno più rimborsare le banche, e queste ultime richiederanno salvataggi reiterati.
Con l’arrivo della crisi, i problemi generati da queste asimmetrie sono esplosi. Alcuni governi hanno dovuto salvare le proprie banche in crisi, trasformando i debiti privati in debiti pubblici. In generale, soprattutto nella seconda ondata di crisi generata dal tracollo della Grecia, le politiche di contenimento sono sempre state orientate solo a tutelare il sistema finanziario. Questo senza però considerare il fatto che in una fase recessiva, in cui le imprese e le famiglie indebitate hanno difficoltà crescenti ad onorare i propri debiti, senza un sostegno adeguato al reddito famiglie e imprese prima o poi non potranno più rimborsare le banche, e queste ultime richiederanno salvataggi reiterati.
Quali
politiche si possono condurre per invertire questa rotta che porta a
sicura catastrofe?
Come
è ampiamente noto, non basta una piccola riforma dell’Euro ma,
come dicevamo all’inizio, il “piano A” per riprendere il
cammino della “casa comune europea” dovrebbe prevedere la
creazione di un sistema di perequazione fiscale in una Federazione
dei Paesi europei, con un bilancio simile a quello del governo
Federale statunitense. Questa strada è sbarrata, come dimostrano le
discussioni al Parlamento europeo, da cui sono emerse le decise
contrarietà anche a piccoli incrementi del prelievo fiscale – e
della redistribuzione – dal livello nazionale a quello
comunitario.
Serve allora un “Piano B”, una azione politica
promossa da singoli Paesi, ma anche da un Paese solo che mostri la
via.
Usciamo
dall’Euro?
Una
ipotesi di cui si discute è l’uscita unilaterale dall’Euro di un
solo Paese, con modalità tali da non creare quella catastrofe
finanziaria ed economica che è inevitabile se il sistema dei
pagamenti smette improvvisamente di funzionare. Se ad uscire fosse la
Germania, utilizzando la Lex Monetae per ridenominare i propri debiti
in un “neo-Marco”, la nuova valuta tedesca dovrebbe apprezzarsi
almeno del 15 percento rispetto al dollaro e all’Euro, e i crediti
dei tedeschi verso quel che resta dell’Eurozona – che
rimarrebbero in Euro – comporterebbero una perdita in conto
capitale, perdita che tuttavia è già scontata dai mercati, tramite
gli spread. La rivalutazione del neo-Marco, e il possibile
indebolimento dell’Euro, contribuirebbero a ridurre o eliminare gli
squilibri nel sistema internazionale dei pagamenti.
Ma poiché
la Germania ha solo da perdere da questa soluzione, non si vede
perché dovrebbe percorrerla, se non per il timore crescente che
l’alternativa – il tracollo dell’Euro – faccia evaporare del
tutto i crediti dei tedeschi verso il resto dell’Eurozona, o chiami
il contribuente tedesco a ingenti trasferimenti verso la periferia
dell’Eurozona.
L’uscita dall’Euro dell’Italia avrebbe
esiti molto più incerti, soprattutto perché è difficile ipotizzare
che non sia seguita da decisioni analoghe della Spagna, o anche della
Francia. In questo caso, la ridenominazione in neo-Lire dei debiti
italiani oggi espressi in Euro comporterebbe perdite finanziarie per
i creditori al Nord. Proprio per questo motivo, per alzare il costo
dell’uscita unilaterale dall’Euro, sono state introdotte delle
clausole (CAC) che il nostro governo deve inserire nella emissione di
una quota crescente di titoli del debito, che garantiscono i
creditori contro la ridenominazione.(2) E
il Quantitative Easing di Draghi ha previsto un meccanismo per cui,
se l’Italia dovesse adottare una neo-Lira, una quota rilevante dei
debiti della Banca d’Italia verso la BCE vada comunque rimborsata
in Euro. Giorno dopo giorno, la quota del debito pubblico che ogni
Paese può ridenominare in una nuova valuta se esce dall’Euro si va
assottigliando, alzando i costi dell’uscita.
In ogni caso,
l’uscita unilaterale dall’Euro è una strada percorribile solo
date alcune condizioni, in particolare bloccando i movimenti di
capitale, e quindi con una rottura degli accordi stabiliti nei
Trattati.
E
se non rimborsassimo il debito pubblico?
Certo,
un governo può decidere di non onorare il suo debito, ma è molto
difficile, se non impossibile, fare default sui titoli posseduti da
creditori esteri, e non su quelli posseduti da Fondi pensione, banche
italiane o semplici risparmiatori. Chi chiede la cancellazione del
debito pubblico italiano dovrebbe prevedere una massiccia creazione
di nuovo debito per evitare che i risparmi degli italiani evaporino,
e sapere che questa opzione taglierebbe fuori l’Italia dai mercati
finanziari internazionali.
L’Europa
a due velocità?
Di
recente(3) Angela
Merkel ha suggerito l’ipotesi che gli ulteriori passi di
integrazione europea riguardino solo alcuni Paesi. Le “due
velocità” richiamano le proposte di “Euro del sud” o “Euro2”,
e cioè di creare una nuova valuta comune per i Paesi dell’Eurozona
più deboli. L’Euro come valuta rimarrebbe per la Germania e i suoi
Paesi satelliti, e si apprezzerebbe, mentre l’Euro2 si
svaluterebbe.
In questi termini, l’Euro2 comporta costi molto rilevanti per i Paesi Euro2 indebitati in Euro con l’estero, a meno di non ridenominare i debiti in Euro2. A mio avviso, se si considerasse seriamente questa opzione pasticciata, che lascia intatti i problemi di cui dicevamo all’inizio, meglio il ritorno alle valute nazionali.
Se viceversa fosse la Germania ad adottare un Euro2 con i suoi Paesi satelliti, il peso del debito estero in Euro del “Sud” non aumenterebbe. Ma questa ipotesi non mi sembra sia presa in considerazione.
In questi termini, l’Euro2 comporta costi molto rilevanti per i Paesi Euro2 indebitati in Euro con l’estero, a meno di non ridenominare i debiti in Euro2. A mio avviso, se si considerasse seriamente questa opzione pasticciata, che lascia intatti i problemi di cui dicevamo all’inizio, meglio il ritorno alle valute nazionali.
Se viceversa fosse la Germania ad adottare un Euro2 con i suoi Paesi satelliti, il peso del debito estero in Euro del “Sud” non aumenterebbe. Ma questa ipotesi non mi sembra sia presa in considerazione.
Una
strategia intermedia: la moneta fiscale
E’
possibile però una strategia intermedia, che sarà tanto più
efficace quanto più condivisa da altri Paesi dell’Eurozona. Mentre
i Trattati vietano l’introduzione di una nuova moneta legale
alternativa all’Euro, non impediscono la creazione di una “moneta
fiscale”.
Cos’è
una moneta fiscale?
Mentre
la moneta legale è lo strumento di pagamento che la legge stabilisce
vada usato per estinguere debiti, per “moneta fiscale” si intende
una forma di pagamento che non viene imposta dalla normativa per gli
scambi tra privati, ma che il governo nazionale, e/o i governi
locali, sono disposti ad accettare per il pagamento delle imposte.
Dal momento in cui la crisi in Grecia ha mostrato i possibili
problemi di mancanza di liquidità, le proposte di introduzione di
una moneta fiscale si sono moltiplicate, così come è aumentato
rapidamente il numero delle “monete complementari” in
circolazione tra le comunità locali.
Questa moneta fiscale può
essere emessa in forma cartacea (ma in tal caso richiede dei tempi
tecnici non brevi per la sua emissione) ma anche solo in formato
elettronico, come registrazione contabile nel sistema dei pagamenti,
su un circuito di carte di credito, o come mezzo di pagamento sul
telefono cellulare. Può essere presentata come moneta vera e
propria, o come un particolare tipo di titolo di credito.(4)(5)(6)
Ha un valore nominale espresso in Euro, ma il governo non si impegna a convertirla in Euro, ma solo ad accettarla come mezzo di pagamento, per il suo valore nominale in Euro.
Ha un valore nominale espresso in Euro, ma il governo non si impegna a convertirla in Euro, ma solo ad accettarla come mezzo di pagamento, per il suo valore nominale in Euro.
Come
si crea la moneta fiscale?
La
proposta che abbiamo esaminato più in dettaglio,(7) e
valutato per il caso della Grecia,(8) prevede
che questa moneta, che abbiamo chiamato Geuro, sia inizialmente
immessa nel sistema economico dal governo per:
-
saldare i propri debiti di breve termine con i fornitori e le banche private
-
fornire sostegno economico (assegni di disoccupazione, pensioni, ecc.)
-
creare nuovi posti di lavoro (pagamento stipendi, ecc.)
-
finanziare progetti di investimento
In
generale, la creazione di una moneta fiscale risponde a due
obiettivi: aumentare il grado di liquidità del sistema (facilitare
la compensazione tra crediti e debiti) e finanziare la ripresa
economica. Mentre sembra che forze politiche di orientamento molto
diverso siano favorevoli alla creazione di una moneta fiscale, le
modalità in cui questa verrebbe usata sono differenziate.
Con
la moneta fiscale possiamo finanziare qualunque progetto senza
limiti?
No,
la quantità di moneta fiscale che viene creata deve tener conto di
alcuni vincoli stringenti:
-
La spesa pubblica finanziata da creazione di nuova liquidità aumenta la domanda. Se l’offerta non è in grado di aumentare, perché le imprese sono prossime al pieno utilizzo degli impianti, si crea inflazione. Siamo tuttavia molto, molto lontani in Italia da una situazione di questo tipo;
-
L’aumento di domanda si rivolge anche ai beni prodotti all’estero (importazioni). La sostenibilità del debito estero dell’Italia dipende anche dal mantenere un saldo positivo nella bilancia delle partite correnti. Questo vincolo è cruciale, perché la proposta di moneta fiscale non trovi una ferma opposizione dai rappresentanti politici dei creditori esteri. Si tenga presente, però, che il saldo delle partite correnti dell’Italia negli ultimi dodici mesi era di 45 miliardi di euro: una manovra espansiva dell’ordine di 100 miliardi di euro dovrebbe generare maggiori importazioni per un ammontare molto inferiore;
-
La quota di imposte che viene pagata in moneta fiscale deve essere tarata in modo da non generare un aumento del deficit pubblico in Euro. Se usata per finanziare la ripresa, la moneta fiscale genera un aumento del reddito nazionale, e quindi del gettito tributario: questo punto non va quindi valutato come semplice sostituzione tra Euro e moneta fiscale, ma deve tener conto dell’aumento nel gettito totale.
Qual
è il rischio che nessuno voglia essere pagato in moneta fiscale?
Oggi
la moneta, terminata la convertibilità in oro, è basata sulla
fiducia verso chi la emette. Se un governo promuove la moneta fiscale
come strumento per ridare un futuro ai giovani, e si impegna ad
accettarla da subito al valore nominale per il pagamento di una parte
delle tasse, non si vede perché i privati non debbano fidarsi, e
utilizzarla anche per altre forme di pagamento.
Se invece la moneta fiscale è presentata come una proposta dettata dalla disperazione per non avere accesso alla moneta “vera”, l’Euro, viene minata la sua credibilità.
Se invece la moneta fiscale è presentata come una proposta dettata dalla disperazione per non avere accesso alla moneta “vera”, l’Euro, viene minata la sua credibilità.
La
moneta fiscale è una alternativa all’uscita dall’Euro?
La
moneta fiscale può essere introdotta immediatamente, e per come è
proposta non dovrebbe creare panico sui mercati finanziari. Anzi,
l’aumento nel reddito del Paese generato da una espansione fiscale
aumenta la sostenibilità del nostro debito estero in Euro.
Questo consente al Paese di interrompere il declino, mentre valuta insieme ai partners europei le indispensabili riforme da attuare in Europa, riforme che richiedono tempi non compatibili con l’aumento nella disoccupazione, nella povertà e nell’emigrazione dei nostri giovani.
Una soluzione auspicata da molti è quella di trasformare l’Euro in “moneta comune”, cambiando le regole di funzionamento della BCE sulla falsariga del progetto di Keynes a Bretton Woods.
Questo consente al Paese di interrompere il declino, mentre valuta insieme ai partners europei le indispensabili riforme da attuare in Europa, riforme che richiedono tempi non compatibili con l’aumento nella disoccupazione, nella povertà e nell’emigrazione dei nostri giovani.
Una soluzione auspicata da molti è quella di trasformare l’Euro in “moneta comune”, cambiando le regole di funzionamento della BCE sulla falsariga del progetto di Keynes a Bretton Woods.
La
moneta fiscale come strumento di cooperazione internazionale
La
capacità del Paese di invertire il processo di austerità imposto
dai Trattati europei può ridare dignità al Governo italiano in
ambito internazionale. La promozione di iniziative analoghe negli
altri Paesi dell’Eurozona che vivono l’Euro come un vincolo
insopportabile, può essere alla base di nuove strategie in cui i
“Paesi del Sud” non formano un gruppo di “serie B” rispetto
alla Germania e ai suoi Paesi satellite, ma sono in grado di mettersi
alla guida di un modello di sviluppo più sostenibile, in particolare
per l’area del Mediterraneo.
Note
-
Wynne Godley, “Maastricht and all that”, London Review of Books, Vol. 14 No. 19, pp.3-4 · 8 October 1992
-
Si veda ad esempio qui
-
Si veda Amato – Fantacci – Papadimitriou – Zezza, “Going forward from B to A? Proposals for the Eurozone Crisis”, Economies, 2016, 4(3), 18. Una proposta analoga è di Andresen e Parentau, e le varianti sono ormai troppo numerose per essere elencate.
-
Una variante promossa da tempo per l’Italia, soprattutto da Marco Cattaneo, Biagio Bossone e Stefano Sylos Labini, è nota come “Certificati di Credito Fiscale” (CCF). Si veda in proposito il rapporto di Mediobanca, i diversi articoli di Stefano Sylos Labini su Econopoly, gli articoli di Marco Cattaneo su Vox e Biagio Bossone. Una sintesi molto recente è qui
-
Una proposta simile è avanzata dal responsabile economico della Lega Nord, Claudio Borghi, che parla di “MiniBot”
-
Si veda Amato et al., cit.
-
Si vedano le Strategic Analysis del Levy Economics Institute sulla Grecia
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